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    INVICTIS VICTI VICTURI
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    Predefinito Il simbolismo degli scacchi

    Il gioco degli scacchi, come è noto, è originario dell’India. L’Occidente medievale lo ha conosciuto grazie alla mediazione dei Persiani e degli Arabi, come testimonia fra l’altro l’espressione “scacco matto” (in tedesco: Schachmatt) derivante dal persiano shah (re) e dall’arabo mat (è morto). Nel Rinascimento furono cambiate alcune regole del gioco: la regina e i due alfieri (erano in origine elefanti che trasportavano una torre fortificata) acquistarono maggiore mobilità; il gioco divenne più astratto e matematico, e si allontanò dal suo modello concreto (la strategia) senza comunque perdere i tratti essenziali del suo simbolismo.

    Nella posizione iniziale dei pezzi, l’antico modello strategico resta evidente; vi si riconoscono le due armate disposte nell’ordine di battaglia in uso presso gli eserciti dell’antico Oriente: le truppe leggere, rappresentate dai pedoni, formano la prima linea, mentre il grosso dell’armata è costituito dalle truppe pesanti, i carri da guerra (le torri), i cavalieri (i cavalli) e gli elefanti da combattimento (gli alfieri); il re e la sua dama – o il suo “consigliere” – si tengono al centro delle truppe. La forma della scacchiera corrisponde al tipo “classico” del Vastu-mandala, il diagramma che costituisce anche il tracciato fondamentale di un tempio o di una città. Tale diagramma è simbolo dell’esistenza, concepita come un “campo d’azione” delle potenze divine. Il combattimento rappresentato dal gioco degli scacchi è dunque figura, nel suo significato più universale, del combattimento dei devas con gli asuras, degli “dei” con i “titani”, o degli “angeli” (i devas della mitologia indù sono infatti analoghi agli angeli delle tradizioni monoteiste) coi “demoni”: tutti gli altri significati del gioco derivano da questo.

    La più antica descrizione del gioco degli scacchi che sia giunta fino a noi si trova nelle “Praterie d’Oro” dello storico arabo al-Mas’udi, vissuto a Baghdad nel IX secolo. Al-Mas’udi attribuisce l’invenzione, o la codificazione, del gioco ad un re indù chiamato “Balhit”, discendente di “Barahman”. Vi è qui una confusione evidente fra una casta, quella dei Brahmani, ed una dinastia; ma l’origine brahmanica del gioco degli scacchi è dimostrata dal carattere eminentemente sacerdotale del diagramma a 8 x 8 quadrati (ashtapada). D’altronde, il simbolismo guerriero del gioco si rivolge agli Kshatriyas, la casta dei principi e dei nobili, come del resto è indicato da al-Mas’udi quando egli scrive che gli Indù consideravano il gioco degli scacchi (shatranj) come una “scuola di governo e di difesa”. Il re Balhit avrebbe scritto un libro su questo gioco, di cui “fece una sorta di allegoria dei corpi celesti, come i pianeti e i dodici segni zodiacali, dedicando ogni pedina ad un astro.”. Notiamo che gli Indù contano otto pianeti: il sole, la luna, i cinque pianeti visibili ad occhio nudo e Rahu, l’”astro oscuro” delle eclissi; ognuno di questi “pianeti” domina una delle otto direzioni dello spazio. Continua al-Mas’udi: “Gli Indiani attribuiscono un misterioso significato alla progressione geometrica effettuata sulle caselle della scacchiera; essi stabiliscono un rapporto fra la causa prima, che domina tutte le sfere ed a cui tutto fa capo, e la somma del quadrato delle caselle della scacchiera.”. Qui, l’autore confonde probabilmente il simbolismo ciclico implicito nell’ashtapada con la famosa leggenda secondo la quale l’inventore del gioco chiese al monarca di riempire le caselle della sua scacchiera con dei chicchi di grano, ponendo un solo chicco sulla prima casella, due sulla casella successiva, quattro sulla terza e così via, fino alla 64° casella, ottenendo così un totale di 18446744073709551616 chicchi. Il simbolismo ciclico della scacchiera consiste nel fatto che essa esprime lo sviluppo dello spazio secondo il quaternario e l’ottonario delle direzioni principali (4×4x4=8×8), e che sintetizza, sotto forma “cristallina”, i due grandi cicli complementari del sole e della luna: il duodenario dello Zodiaco e le 28 case lunari; d’altra parte, il numero 64, somma delle caselle della scacchiera, è un sottomultiplo del numero ciclico fondamentale 25920, che misura la processione degli equinozi. Abbiamo visto che ciascuna fase di un ciclo, “fissata” nello schema di 8×8 quadrati, è dominata da un astro e simboleggia al contempo un aspetto divino personificato da un deva (certi testi buddhisti descrivono l’universo come una tavola di 8×8 riquadri, fissati per mezzo di corde d’oro; questi riquadri corrispondono ai 64 kalpas del Buddhismo. Nel Ramayana, la città inespugnabile degli dei, Ayodhya, è descritta come un quadrante avente otto comparti su ciascun lato. Nelle Tradizione cinese, i 64 segni derivanti dagli 8 trigrammi commentati nell’I-King. Questi 64 segni sono generalmente disposti in maniera tale che corrispondono alle otto regioni dello spazio). In tal modo questo mandala rappresenta contemporaneamente il cosmo visibile, il mondo dello Spirito e la Divinità nei suoi molteplici aspetti.

    Al-Mas’udi afferma dunque con ragione che gli Indiani spiegano “con dei calcoli” basati sulla scacchiera “il cammino del tempo ed i cicli, le influenze superiori che agiscono su questo mondo ed i legami che le collegano con l’anima umana.”. Il simbolismo ciclico della scacchiera era noto ad Alfonso il Saggio, il celebre trovatore di Castiglia che compose nel 1283 i suoi Libros de Acedrex, opera che s’ispira in gran parte alle fonti orientali. Alfonso il Saggio descrive anche un’antichissima variante del gioco degli scacchi (il “gioco delle quattro stagioni”) che richiede quattro giocatori, così che le pedine, disposte ai quattro angoli della scacchiera, avanzino in un senso rotatorio analogo al movimento del sole. Le 4×8 pedine devono essere di colore verde, rosso, nero e bianco; esse corrispondono ai quattro elementi: aria, fuoco, terra ed acqua, ed ai quattro “umori” organici. Il movimento dei quattro gruppi simboleggia la trasformazione ciclica.

    Questo gioco, che richiama stranamente certi riti e certe danze “solari” degli Indiani dell’America settentrionale, mette in evidenza il principio fondamentale della scacchiera. La scacchiera può essere considerata come uno sviluppo di uno schema composto da quattro quadrati alternativamente neri e bianchi, e costituisce di per sé un mandala di Shiva, Dio nel suo aspetto di “trasformatore”: il ritmo quaternario, di cui questo mandala è come la “cristallizzazione” spaziale, esprime il principio del tempo. I quattro quadrati, disposti intorno ad un centro non manifestato, simboleggiano le fasi cardinali di ogni ciclo. L’alternanza delle caselle bianche e nere, in questo schema elementare della scacchiera, ne evidenzia il significato ciclico e ne fa l’equivalente rettangolare del simbolo estremo orientale del yin-yang; essa è un’immagine del mondo visto sotto l’aspetto del suo dualismo intrinseco. Se il mondo sensibile, nel suo dispiegamento integrale, risulta in qualche modo dalla moltiplicazione delle qualità inerenti allo spazio e di quelle del tempo , il Vastu-mandala, dal canto suo, deriva dalla divisione del tempo secondo lo spazio: ricordiamo a questo proposito la genesi del Vastu-mandala a partire dal ciclo celeste indefinito, ciclo diviso dagli assi cardinali e poi “cristallizzato” in una forma rettangolare. Il mandala è dunque il riflesso inverso della sintesi principale dello spazio e del tempo, ed è in ciò che risiede la sua portata ontologica.

    D’altra parte, il mondo è “intessuto” delle tre qualità fondamentali o gunas, e il mandala rappresenta questa “tessitura” in modo schematico, conformemente alle direzioni cardinali dello spazio. L’analogia tra il Vastu-mandala e la tessitura è evidenziata dall’alternanza dei colori, che ricorda un tessuto il cui ordito e la cui trama sono alternativamente apparenti o nascosti. L’alternanza del bianco e del nero corrisponde d’altro canto ai due aspetti, in linea di principio complementari ma in pratica opposti, del mandala: questo è da una parte un Purusha-mandala, cioè un simbolo dello Spirito universale (Purusha) in quanto sintesi immutabile e trascendente del cosmo; d’altra parte, esso è un simbolo dell’esistenza (Vastu) considerata come il supporto passivo delle manifestazioni divine. La qualità geometrica del simbolo esprime lo Spirito; la sua estensione puramente quantitativa esprime l’esistenza. Del pari, la sua immutabilità ideale è “spirito”, la sua fissazione limitativa è “esistenza” o materia; nella polarità considerata, quest’ultima non è la materia prima, vergine e generosa, ma la materia secunda tenebrosa e caotica, radice del dualismo esistenziale. Ricordiamo a questo proposito il mito secondo cui il Vastu-mandala rappresenterebbe un asura, personificazione dell’esistenza bruta: i devas hanno sconfitto questo demone, stabilendo le loro “dimore” sul corpo disteso della loro vittima; essi gli imprimono così la loro “forma”, ma è lui che li manifesta (il mandala di 8×8 quadrati è anche detto Manduka, la “rana”, per allusione alla Grande Rana che sostiene tutto l’universo ed è il simbolo della materia indifferenziata e oscura).

    Questo doppio senso che caratterizza il Vastu-Purusha-mandala, e che si ritrova, d’altronde, in modo più o meno esplicito, in ogni simbolo, verrà per così dire “attualizzato” dal combattimento che il gioco degli scacchi rappresenta. Questo combattimento, dicevamo, è essenzialmente il conflitto fra devas e asuras, che si disputano la scacchiera del mondo. E’ qui che il simbolismo del bianco e del nero, già contenuto nell’alternanza delle caselle della scacchiera, acquista tutto il suo valore: l’armata bianca è quella della Luce, l’armata nera è quella delle tenebre. Da un punto di vista relativo, la battaglia raffigurata sulla scacchiera rappresenta sia quella di due veri e propri eserciti terreni, ciascuno dei quali combatte in nome di un principio, sia quella dello spirito e delle tenebre nell’uomo (in una guerra santa, è possibile che ciascuno dei due avversari possa legittimamente considerarsi il protagonista della lotta della Luce contro le tenebre. E’ questa un’altra conseguenza del duplice senso di ogni simbolo: quello che per l’uno è espressione dello Spirito, può essere l’immagine della materia tenebrosa agli occhi dell’altro). Sono, queste, le due “guerre sante”: la “piccola guerra santa” e la “grande guerra santa”, secondo un’espressione del Profeta. E’ da notare l’affinità fra il simbolismo del gioco degli scacchi ed il tema della Bhagavad-Gita, il libro parimenti rivolto agli Kshatriyas. Se si traspone il significato dei diversi pezzi del gioco nell’ordine spirituale, il re sarà il cuore o lo spirito e le altre figure saranno le diverse facoltà dell’anima. Le loro mosse corrispondono d’altronde a differenti modalità di realizzazione delle possibilità cosmiche rappresentate dalla scacchiera: vi è il movimento assiale delle “torri” o carri da guerra, il movimento diagonale degli “alfieri” o elefanti, che si spostano su caselle di uno stesso colore, ed il complesso movimento dei cavalieri. Il movimento assiale, che “taglia” attraverso i diversi “colori”, è logico e virile, mentre il movimento diagonale corrisponde ad una continuità “esistenziale”, perciò femminile. Il salto dei cavalieri corrisponde all’intuizione.

    Ciò che più affascina l’uomo di casta nobile e guerriera, è la relazione fra volontà e destino. Ora, il gioco degli scacchi illustra proprio questa relazione, in quanto i suoi concatenamenti restano sempre intelligibili senza essere limitati nella loro varietà. Alfonso il Saggio, nel suo libro sul gioco degli scacchi, racconta che un re dell’India volle sapere se il mondo obbedisce all’intelligenza o al caso. Due saggi, suoi consiglieri, fornirono risposte contrastanti e, per provare le rispettive tesi, uno di loro prese come esempio il gioco degli scacchi, in cui l’intelligenza prevale sul caso, mentre l’altro portò dei dadi, immagine della fatalità. Del pari, al Mas’udi scrive che il re “Balhit”, il quale avrebbe codificato il gioco degli scacchi, preferì quest’ultimo al nerd, un gioco d’azzardo, poiché nel primo “l’intelligenza trionfa sempre sull’ignoranza”. Ad ogni fase del gioco, il giocatore è libero di scegliere fra varie possibilità; ma ogni mossa comporterà una serie di conseguenze ineluttabili: la necessità delimiterà vieppiù la libera scelta, facendo sì che il termine del gioco non rappresenti il frutto del caso, bensì il risultato di leggi rigorose. E’ qui che si rivela non soltanto la relazione fra volontà e destino, ma anche fra libertà e conoscenza: prescindendo da eventuali inaccortezze dell’avversario, il giocatore manterrà la propria libertà d’azione nella misura in cui le sue dimensioni coincideranno con la natura stessa del gioco, ovvero con le possibilità che questo implica. In altri termini, la libertà d’azione va in questo caso di pari passo con la preveggenza e con la conoscenza delle possibilità; l’impulso cieco, di contro, per quanto possa apparire libero e spontaneo in un primo momento, si rivela a conti fatti come una non-libertà. L’ “arte regia” sta nel governare il mondo (esteriore o interiore) in conformità con le leggi che gli sono proprie. Questa arte presuppone la sapienza, che è conoscenza delle possibilità; ora, tutte le possibilità sono contenute in sintesi nello Spirito universale e divino. La vera sapienza è l’identificazione più o meno perfetta con lo Spirito (Purusha), simboleggiato dalla qualità geometrica della scacchiera (lo Spirito o il Verbo è la “forma delle forme”, vale a dire il principio formale dell’universo), “sigillo” dell’unità essenziale delle possibilità cosmiche. Lo Spirito è la Verità: nella Verità l’uomo è libero, fuori di essa è schiavo del destino. Questo è l’insegnamento del gioco degli scacchi. Lo Kshatriya che ad esso si dedica non vi trova solo un passatempo, un modo di sublimare la sua passione guerriera e la sua sete d’avventura, ma anche (in proporzione alla sua capacità intellettuale) un supporto speculativo, una via che dall’azione porta verso la contemplazione.

    * * *

    Tratto da un messaggio della newsletter “etoileinternelle”, maggio 2004.


    Titus Burckhardt

    http://www.centrostudilaruna.it/burc...moscacchi.html
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 22-03-10 alle 02:27

  2. #2
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    Predefinito Rif: Il simbolismo degli scacchi

    LA PARTITA A SCACCHI INTERIORE

    Frammenti di simbologia

    di Dario Chioli

    Dario Chioli, La partita a scacchi interiore. Frammenti di simbologia


    Immagine tratta dal sito Acliroma
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 29-08-09 alle 21:08
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

  3. #3
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    Predefinito Rif: Il simbolismo degli scacchi

    Gli scacchi nella pittura dall’antichità ai nostri giorni

    di Achille della Ragione

    Gli scacchi nella pittura (Achille della Ragione)

    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 23-09-09 alle 23:36
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

  4. #4
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    Predefinito Rif: Il simbolismo degli scacchi

    Il simbolismo occulto degli scacchi

    Derivati da un gioco egizio contrariamente a quanto si crede, gli Scacchi nascondono un significato salvifico: nell'eterna battaglia tra Bene e Male, tra microcosmo e macrocosmo, si palesa il dualismo dell'animo umano.

    Sator ws - Articoli - Il simbolismo occulto degli Scacchi


    Immagine tratta dal sito Blog scacchi Regina Cattolica
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 12-01-10 alle 01:34
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

  5. #5
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    Predefinito Gli scacchi e... Borges

    Mauro Ruggiero

    IL LABIRINTO SULLA SCACCHIERA


    Probabilmente mai nessun gioco è stato e sarà oggetto di tanta attenzione da parte dell'arte in tutte le sue forme, ed in particolare della letteratura, come gli scacchi. Quello degli scacchi, infatti, è un tema caro alla letteratura tanto antica quanto moderna come dimostra il fatto che autori di ogni tempo e luogo, hanno scritto e continuano a scrivere opere il cui tema centrale ruota intorno all'antico gioco di origine indiana, conosciuto in Persia e diffuso in Europa dagli Arabi tra il IX e il X secolo d.C.; quell'universo manicheo retto da rigide regole dove lo scontro tra il bianco e il nero incarna la metafora dell'eterna lotta tra il bene e il male, l'opposizione tra principi originari e contrari, simbolo dell'eterna contesa, infinito divenire dell'universo e della vita stessa. Da Zweig ad Edgar Allan Poe, da Digny a Montale, da Omar Khayyam a Dante, da Cervantes a Goethe, tralasciando gli antichi trattati sul gioco (alcuni di illustri personaggi storici come quello di Alfonso X "il Saggio" Re di Castiglia e Leòn del sec. XIII) e gli innumerevoli moderni studi dei grandi maestri, sono moltissimi gli autori che hanno dedicato particolare attenzione al gioco che nelle loro opere si spoglia delle sue caratteristiche tecnico-logico-matematiche da manuale, per conservare solo i connotati filosofici ad esso connessi. La battaglia simulata sulla scacchiera non è soltanto una guerra tra eserciti contrapposti ma è interpretata come la metafora della dialettica incessante dell'universo, l'eterna contesa tra la vita e la morte, la lotta dell'uomo contro se stesso, il conscio e l'inconscio la cui disputa mina l'integrità dell'individuo nella sua essenza con la minaccia della follia. In una delle varie leggende diffuse sull'origine del gioco, il re, che nell'impossibilità di esaudirne la richiesta aveva fatto uccidere il suo inventore che, rifiutando la metà del regno a lui offerto dal sovrano come ricompensa per la sua invezione, aveva chiesto un solo chicco di grano sulla prima casella della scacchiera via via raddoppiato per ognuna delle restanti 64 caselle di cui la scacchiera era composta, impazzisce egli stesso a causa del gioco che ne causerà la morte.
    Nessun altro gioco al mondo vede una compenetrazione di scienza e filosofia, matematica e poesia, estetica e psicologia, logica e arte come questo; ed è forse proprio questo, insieme all'alone di mistero e leggenda che avvolge le sue origini, il motivo dell'interesse che il gioco ha suscitato in filosofi, artisti, scrittori e poeti di culture e tempi così diversi tra loro, tutti accomunati dalla seduzione e dal mistero che su di essi esercita il mondo degli scacchi.
    Ma tra gli scrittori precedentemente menzionati, piccola parte di tutti quelli che si sono interessati agli scacchi, ce n'è uno in particolare che più degli altri ne coglie le caratteristiche filosofiche e li erge a privilegiato simbolo del suo mondo letterario e sistema filosofico: Jorge Luis Borges. In Borges, come nei più grandi scrittori, l'antico e il nuovo convivono armoniosamente compenetrando tutta la sua arte; un'arte che rivela i segreti del conscio e dell'inconscio, capace di farsi espressione dei sentimenti di inquietudine profonda celati nell'animo dell'individuo e riportarli ad uno stato di coscienza nel labirinto di specchi sul pavimento a scacchiera dell'esistenza.





    E' l'autore stesso che nel prologo a "L'oro delle Tigri" del 1972 dice: "Il mio lettore noterà in alcune pagine l'inquietudine filosofica. Mi appartiene dall'infanzia, da quando mio padre mi rivelò, con l'ausilio di una scacchiera (che era, ricordo, di cedro) la corsa di Achille e della tartaruga". Da questo passo risulta evidente il profondo significato filosofico che Borges attribuisce agli scacchi che si elevano molto oltre il loro stato di semplice gioco. Il gioco degli scacchi si carica di significati mistici la cui simbologia diventa complessa e multiforme dilatando all'infinito il campo semantico di riferimento. Nell'opera borgesiana, la vita stessa è un'interminabile partita a scacchi le cui indeterminate e imprevedibili possibilità non indicano un libero arbitrio da parte degli uomini ma il loro essere assoggettati ad una volontà superiore incarnata da Dio o dal destino, il cui arbitrio è, forse, a sua volta, condizionato dall'imperscrutabile volere di un altro dio, in un diabolico gioco di scatole cinesi la cui causa prima nella successione causale rimane sconosciuta. Come le azioni umane, anche le mosse possibili su una scacchiera, così come i libri contenuti nella Biblioteca di Babele (Ficciones, 1944), sono come gli atomi del mondo e le loro possibili permutazioni; di un numero smisurato, certo, ma pur sempre finito. Il carattere paradossale dell'eternità e dell'infinito, ben si adatta, secondo Borges, alle caratteristiche del gioco degli scacchi. Profondo conoscitore della letteratura orientale dalla Cina agli Arabi, lo scrittore argentino gioca con le cifre arcane di una mitologia simbolica e letteraria dove gli scacchi rappresentano l'imprecisata dilatazione dello spazio e del tempo e le infinite e paradossali dimensioni della realtà.



  6. #6
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    Predefinito Rif: Il simbolismo degli scacchi

    Citazione Originariamente Scritto da Tomás de Torquemada Visualizza Messaggio
    Il simbolismo occulto degli scacchi

    Derivati da un gioco egizio contrariamente a quanto si crede, gli Scacchi nascondono un significato salvifico: nell'eterna battaglia tra Bene e Male, tra microcosmo e macrocosmo, si palesa il dualismo dell'animo umano.

    Sator ws - Articoli - Il simbolismo occulto degli Scacchi


    Immagine tratta dal sito Blog scacchi Regina Cattolica
    Mah, vengono attribuite varie origini al gioco degli scacchi... non sarei così sicuro nel dire che provenga dall'Egitto.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 22-03-10 alle 02:23

  7. #7
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    Predefinito Rif: Il simbolismo degli scacchi

    Citazione Originariamente Scritto da Tomás de Torquemada Visualizza Messaggio
    Gli scacchi nella pittura dall’antichità ai nostri giorni

    di Achille della Ragione

    Gli scacchi nella pittura (Achille della Ragione)

    Achille della Ragione. ostridicolo:
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 22-03-10 alle 02:13

  8. #8
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    Predefinito Rif: Il simbolismo degli scacchi

    Dio, quando pone l'uomo sulla scacchiera della vita, gli fa sempre scegliere il colore che preferisce.

    Ma l'uomo, prima che impari a giocare bene, deve sempre ripetere diverse partite.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 22-03-10 alle 02:13

  9. #9
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    Predefinito

    Massimo Centini

    UNA "BATTAGLIA" SULLA SCACCHIERA

    Concludiamo questo capitolo con un tema che presenta importanti legami con il simbolismo del combattimento, anche se espresso su un piano figurato e epidermicamente non cruento. Ci riferiamo al gioco degli scacchi, la cui storia è molto antica, articolata e basata su un'impostazione di chiara matrice bellica. I giochi, quasi tutti i giochi, hanno qualcosa di esoterico: questa peculiarità deriva dal fatto che per partecipare è necessario conoscere delle regole. Inoltre, quando si è all'interno del perimetro ludico, ecco che vengono meno le leggi quotidiane e si afferma un mondo spesso opposto a quello reale. Alcuni giochi risultano "più esoterici" di altri, in ragione del loro retroterra storico e, soprattutto, delle valenze simboliche che via via gli sono state attribuite. Tra questi giochi, in qualche modo privilegiati, una posizione del tutto originale è occupata dagli scacchi.

    Strutturati su una scacchiera costituita da sessantaquattro caselle, alternativamente bianche e nere, sulle quali vengono mosse sedici figure per giocatore, gli scacchi, di fatto, sono un meccanismo dove chiaro e scuro si scontrano secondo regole ben definite e piuttosto articolate, che danno l'impressione di creare un gioco difficile. Ma la difficoltà non sta nelle regole, quanto piuttosto nella strategia, che in certi casi assume le caratteristiche della guerra vera e propria. Anche per questa ragione, in molte occasioni il giocatore di scacchi è stato connotato con peculiarità che lo rivestono di toni colmi di mistero. Emblematica la famosa partita a scacchi che costituisce il leitmotiv del film "II settimo sigillo" di I. Bergman, in cui un cavaliere gioca la sua vita con un antagonista imbattibile: la Morte. Uno tra gli aspetti esoterici più significativi degli scacchi è costituito dall'alternanza di bianco e nero che caratterizza la scacchiera. Come il pavimento del tempio massonico pone continuamente in contrasto luce e oscurità, il bene e il male: tale prerogativa si esprime, nella sua forma essenziale, nel gioco degli scacchi.



    Ingmar Bergman, Il settimo sigillo, 1958



    Le 64 caselle sono un multiplo di 8 e questo numero non è casuale, poiché in molte tradizioni esoteriche l'8 è visto come il numero dell'equilibrio cosmico, è il numero della Rosa dei venti, in cui esprime questa sua valenza simbolica, divenendo espressione del Tutto. Nella tradizione orientale questo numero occupa una posizione importante: 8 sono le braccia di Vishnu e le forme assunte da Shiva. L'ottavo giorno è quello della Resurrezione, del ritorno alla vita, emblematicamente i lati del battistero sono 8: un segno chiaro del concetto di vita eterna che trova nel battesimo la sua origine. 8 sono i linga dei templi di Angkor, i raggi della ruota celtica e di quella buddista, così come i petali del loto e gli angeli portatori del trono celeste. Nell'architettura religiosa cristiana, il numero 8 non appare solo nei battisteri, ma è rinvenibile anche nel tracciato a pianta ottagonale della crociera di numerose chiese, in cui esprime, comunque, ancora il ruolo simbolico attribuito all'edificio consacrato al rito del battesimo.

    Gli 8 raggi inscritti nella ruota, presenti nelle tradizioni orientali, si collegano anche alla figura della svastica, che propone un significato simbolico propiziatorio di notevole importanza, la cui origine è nell'antica civiltà dell'Indo. Qui era, infatti, considerata un simbolo solare connesso al dio Visnu. Il 64, secondo il libro oracolare I Ching({Libro dei mutamenti), simboleggia la totalità; inoltre, i 64 quadrati del Vastu-Purusa-Mandala erano il modello di base sul quale venivano costruite le città. Il reticolo ortogonale, quadrato o rettangolare, in effetti, costituisce la base per moltissimi piani urbani: solo nell'area mediterranea le città strutturate secondo questo modello sono, per esempio, Tell-el-Amamah (Egitto), Rodi e Pireo; non vanno poi dimenticati quei centri urbani derivati dal campo militare romano (castrum), fino ai recuperi rinascimentali e barocchi diretti a dimensionare la "città ideale".





    Gli esoteristi moderni riconoscono, nel pezzo che rappresenta il Re, il simbolo dello spirito, nella Regina l'anima; la ragione e la deduzione sono invece la prerogativa degli Alfieri; i Cavalli simboleggiano l'intuizione; le Torri la volontà e i Pedoni i moti del pensiero. In sostanza, giocare a scacchi, anche per il giocatore più smaliziato, può essere un'operazione che evoca simbolicamente il ricorso a un universo non completamente noto, dove c'è sempre qualcosa di non detto, di sconosciuto e di imponderabile. Probabilmente stanno in questa aura "inquietante", le valenze esoteriche degli scacchi. Quella scacchiera: … per la sua forma, presenta una riattivazione del dinamismo d'interpretazione dei due elementi ripetuti e contrapposti che costituiscono la trama dualistica di ogni scacchiera. Si noti che il vestito degli Arlecchini (divinità ctonie) consiste esattamente in scacchi e losanghe, il che testimonia senza ombra di dubbio il rapporto con la scacchiera e le divinità del destino... (J. E. Cirlot, Dizionario dei sìmboli, Milano 1985, pag. 429).

    Massimo Centini, Le Vie dell'esoterismo
    (De Vecchi editore, pag. 167 e seguenti)
    Ultima modifica di Silvia; 21-03-10 alle 17:06

  10. #10
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    Predefinito Rif: Il simbolismo degli scacchi

    Citazione Originariamente Scritto da JnanaTapas Visualizza Messaggio
    Mah, vengono attribuite varie origini al gioco degli scacchi... Non sarei così sicuro nel dire che provenga dall'Egitto.
    Visitando il reparto sull'Antico Egitto del Louvre, ho visto in una vetrinetta statuine di pietra - alcune azzurre, credo di lapislazzulo, altre bianche, sempre in pietra semipreziosa - identiche per misura e fattura agli attuali pezzi degli scacchi (forse un pelino più grandi) e catalogate come non precisabili oggetti di culto dell'800 a. C.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 22-03-10 alle 02:26

 

 
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