Dai "briganti" a Capitan Harlock
L'immaginario di destra?
Libertario da sempre
di Luciano Lanna
C´è un dato che in questi giorni di attenzione mediatica sull´identità e l´immaginario della destra italiana tende a sfuggire ai più. Ed è quello che riguarda l´essenza più propria di tutti gli autori, i filoni, le letture, le suggestioni, le icone che hanno sempre coinvolto l´universo umano e antropologico che si è collocato a
destra. Un´essenza che, trasversalmente e in tutta la sua complessità, è senz´altro individuabile in una - spesso non rivendicata né sottolineata ma decisamente determinante, quasi fosse il vero comun denominatore di tutta una geografia dell´immaginario - matrice libertaria. Se ne è parlato recentemente in riferimento alla più profonda ispirazione del poeta americano Ezra Pound. E la stessa considerazione potrebbe essere fatta per la letteratura di Céline o di Hamsun, per il cinema di Sam Peckinpah, di John Milius o di Clint Eastwood, per i libri di Jack Kerouac o per la saga tolkieniana di Frodo Baggins, per un libro come Il gabbiano Jonathan Livingston o per le descrizioni di viaggio di Bruce Chatwin. Ma la stessa matrice - non altra - emergerebbe andando a rileggere i testi di Leo Longanesi o di Indro Montanelli, del giovane Papini e di Saint-Exupéry, di Marinetti o di Giuseppe Berto, o a rievocare l´avventura fiumana di Gabriele d´Annunzio o le epopee immaginifiche dei corsari, dei confederali americani o dei ribelli d´ogni sorta... Sino alla passione per Capitan Harlock o Braveheart...
Pensiamo, solo per fare un esempio, a un autore come Erst Jünger. È stato lui a scrivere: «L´obbligo scolastico è, essenzialmente, un mezzo di castrazione della forza naturale, e di sfruttamento. Lo stesso vale per il servizio militare obbligatorio. Respingo come una scemenza l´obbligo scolastico, come ogni vincolo e ogni limitazione della libertà». Non solo. «L´importante per me resta è la libertà del singolo», spiegò lo scrittore tedesco già ultracentenario intervistato da Antonio Gnoli e Franco Volpi. E proprio in nome del singolo e contro il dilagare del collettivismo e delle burocrazie spersonalizzanti si era espressa quasi tutta la sua produzione letteraria e filosofica a partire dall´apologo anti-totalitario Sulle scogliere di marmo del 1939. Si tratta di riflessioni che Jünger continuerà negli anni Cinquanta e oltre. E non a caso un suo scritto - La ritirata nella foresta - apparirà, prima ancora di svilupparsi in un vero e proprio manuale di resistenza libertaria (tradotto in italiano come Il trattato del ribelle), sulla rivista statunitense Confluence nell´ambito di un seminario internazionale sulla minaccia totalitaria. Pubblicata in Italia nel ´57 dalle Edizioni di Comunità di Adriano Olivetti, l´antologia di quegli scritti vedrà, accanto a quello di Ernst Jünger, i nomi e le firme di Hanna Arendt, James Burnhan e Giorgio de Santillana. Un´ottima compagnia per uno scrittore di cui si tende invece a sottolinearne soltanto gli aspetti decadenti.
Il fatto, purtroppo, è che soprattutto in Italia si è sempre avuto difficoltà a rendere pubblica e tematizzata quella via post-liberale e immaginifica alla libertà che, da sempre affascina, la destra. Come spiegare, d´altronde, il fatto che in Italia si sia equivocato sulla figura jüngeriana del Waldgänger (alla lettera "l´uomo-che-si-dà-alla-macchia", ovvero "colui che passa al bosco") con il termine di "ribelle" che di per sé evoca un atteggiamento troppo conflittuale, in realtà non coincidente con la prospettiva che Jünger voleva suggerire? Un qualcosa di analogo si è prodotto nella celebrazione letteraria e non solo della figura dei briganti, impedendo di farne emergere la vera matrice, che è profondamente libertaria.
L´esempio migliore ci viene fornito da una ricorrenza. Ottant´anni fa, nel 1929, il futurista Bruno Corra, che aveva scritto assieme a Marinetti il Manifesto del teatro futurista sintetico, dava alle stampe uno dei primi romanzi che rendevano popolare a tutti gli effetti la figura del brigante: Il Passatore, pubblicato dalle edizioni Alpes di Milano e dedicato alla vicenda di Stefano Pelloni, un fuorilegge che imperversò tra il 1849 e il 1851 tra le province di Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì, tenendo in scacco le polizie austriache e pontificie. Ristampato nel 1945 da Garzanti, il libro ha avuto anche un´ultima edizione economica nel 1967. Ma sin dall´uscita fu un vero e proprio best seller. Lasciamo parlare direttamente il futurista Corra attraverso una pagina del libro: «L´ammirazione del popolo si rivolge ai ribelli. Di qui prende lo slancio, per questa situazione si rafforza la fama già leggendaria del Passatore. Il popolo che si morde le dita impotente sotto un intollerabile giogo, sente esprimersi nella gesta del fuorilegge il proprio bisogno di rivolta. L´uomo che sa tenere in iscacco la gendarmeria del papa e la soldataglia dei mangiasego croati, ha qualcosa di un eroe anche se è un brigante. E c´è di più. Questo bandito toglie il denaro ai ricchi per darlo ai poveri che lo aiutano. È un vendicatore, un giustiziere, un provvidenziale ridistributore dei beni del mondo. Sembra lo strumento inconsapevole di una veggente forza naturale».
Corra racconta, infatti, di un fuorilegge che «accarezza i bambini. Se parla di sua madre e di sua sorella gli occhi gli s´inumidiscono. regala denari a manciate ai vecchi mendicanti. Soccorre le famiglie bisognose. Copre di gioielli le donne delle quali s´innamora». E quando parla della cinghia dei pantaloni del brigante la definisce, per via del coltello, «il preciso confine fra la parte giuridica e la parte libertaria della sua persona». E non mancano le analogie tra la coreografia di quei banditi della foresta e precise esperienze di lotta politica. Corra, infatti, definisce più volte "squadraccia" il gruppo dei masnadieri e così fa rivolgere il Passatore di fronte agli sbirri: «Ascoltate, servitori del Papa, leccapiedi dell´Austria, sottocoda degli svizzeri, berrettini da spie, giubbe da boia...». Sembrano riecheggiare le parole con cui Giuseppe Bottai descriveva lo stato d´animo della sua giovinezza da ardito e squadrista: «Io ero uno dei tanti: uno dei
quattro milioni di reduci dalle trincee, un figlio del secolo che aveva fatti tutti democratici anticlericali e repubblicaneggianti: antiaustriaci e irredentisti esasperati in odio dell´Asburgo tiranno, bigotto e forcaiolo...». Vale la pena leggersi l´ultima lettera del Passatore immaginata da Corra: «Quando la riceverete - sono le parole del brigante - io sarò morto. Dite al mio babbo e alla mia mamma che Stefano Pelloni è morto a testa alta, senza una sola svanzica da parte. I denari che ho preso dalle tasche dei signori, li ho sempre passati nelle tasche dei signori. E io non avrei mai fatto questa vita infame, se non avessi trovato sulla mia strada un pretaccio velenoso e due porche spie!».
Lo scrittore Raffaele Nigro che alla figura del bandito ha dedicato un eccezionale studio a tutto campo - Giustiziateli sul campo. Letteratura e banditismo da Robin Hood ai nostri giorni (Rizzoli, pp. 699, euro 26,00) - individua nell´epopea del Passatore un archetipo del ribelle nella nostra letteratura sin dall´Ottocento, spiegando che furono i pomotori del Risorgimento a farne un eroe: «Soprattutto Garibaldi, il più byroniano dei ribelli politici. Da New York, dove è fuggito per scampare alle minacce di morte, Garibaldi fa sapere agli italiani che Pelloni è un patriota e in questo modo instaura un clima di simpatia che durerà per tutto l´Ottocento e oltre, fino a Giovanni Pascoli che conierà in Romagna l´immagine dei brigante "cortese / re della strada, re della foresta"».
Di questo intreccio tra ideali risorgimentali, rivolte generazionali otto-novecenteschi e mitologia del ribelle ha recentemnente scritto anche Marco Lodoli, paragonando, ad esempio, la vicenda dei fratelli Cairoli a quella del bandito Butch Cassidy. Parlando, infatti, della statua dei due eroi risorgimentali sul colle del Pincio, lo scrittore romano ha annotato: «Non so per quale strana assonanza, ma mi ricorda direttamente l´inquadratura finale del film Butch Cassidy, con Paul Newman e Robert Redford giovani e belli che tentano l´estrema sortita e l´immagine che si blocca mentre le mitragliatrici nemiche li sforacchiano senza pietà. Tutto è finito, eppure sembrano ancora muoversi verso una salvezza impossibile. Giovanni e Enrico Cairoli sono uno accanto all´altro, uno già caduto, l´altro con la pistola in mano, ferito, ma ancora pronto a combattere - sottolinea esplicitamente Marco Lodoli - per la libertà...».
Per dirla tutta, la mitologia e l´iconografia del fuorilegge è tutt´altro che natura conservatrice o nostalgica: «Un vento pericoloso - osserva Nigro - invase le città d´Europa sin dal primo Ottocento. I giovani credono in Schiller, nella forza contestatrice che lo scrittore assegna ai banditi, molti si sono votati alla macchia e a un rischioso sovvertimento di valori. La filosofia del masnadiero impregna gli ideali della nuova società, è importante uscire dal contesto borghese e intervenire all´esterno per mutarne le regole. È una figura di contestatore ante litteram contro il quale si scatenato la società civile e la Chiesa». E il Novecento prosegue su questa strada, con il cinema che propone nuove figure di ribelli e fuorilegge che si aggiungono ai corsari e ai Masnadieri di Schiller: Zorro, la Primula Rossa, Robin Hood, Sandokan e i banditi della Malesia, i briganti meridionali di Carlo Alianello, i pirati di Tortuga con la bandiera col teschio incrociato, Butch Cassidy, Jessy James, Capitan Harlock... È la via immaginifica al libertarismo. Perché non prenderne atto?
Articolo pubblicato sul Secolo del 21 marzo 2009
Vagando su internet ho trovato questo articolo di Luciano Lanna apparso sul Secolo qualche mese fa,ed ho pensato potesse suscitare un dibattito circa la cultura e l'immaginario della destra. Io personalmente,anche quando professavo tesi molto reazionarie e clericali sono sempre stato spinto da una sorta di istinto anticonformista,e paradossalmente ho sempre esaltato il "sacro" con una vena altamente dissacratoria,volendo utilizzare un gioco di parole. Io infatti appena ho iniziato a masticare di politica,molto presto a dir la verità,sostenevo una sorta di inesistente "purezza" ideologica e culturale del fascismo,che individuavo nell'impresa di Fiume,nel Futurismo,nel sindacalismo rivoluzionario e nella RSI,insomma ero un "fascista di sinistra". Di queste tendenze mi piaceva,e per certi versi ancora mi affascina la sfrontatezza e la goliardia che animava i legionari fiumani e i primi squadristi,la consideravo l'unica vera rivoluzione possibile.In seguito,per reazione e perchè trovavo queste idee illustrate sopra una sorta di "surrogato" del comunismo,sono diventato un reazionario clericale demaistriano,esaltando la Chiesa,l'aristocrazia e l'ancient regime...Adesso dopo questa "odissea ideologica" mi trovo a soli diciott'anni ad oscillare tra tradizione e libertarismo individualista cercando ancora una precisa identità,però la mia indole è stata sempre quella dell'anticonformista,anzi del Waldganger Jungeriano...