Esteri
15/04/2012 -
Spagna, i dannati dei mutui: "Abbiamo perso la casa ma ci fanno saldare le rate"

Migliaia di disoccupati pagano per abitazioni riprese dalle banche: «Nessuno
ci aiuta: ci restano soltanto Internet e le parrocchie»
FRANCESCO MANACORDA

inviato a madrid
Vista da qui, dall’appartamento al terzo piano di calle Doctor Sanchez a Entrevias, sobborgo operaio alla periferia di Madrid, la crisi spagnola è una cartelletta piena di ingiunzioni e il pianto silenzioso di Luzmila Lopez Freire. Nella stanza il lettone con la testata metallica, i peluches della figlia dodicenne accatastati in un angolo, una chitarra senza una corda, il tavolino con le sedie che ballano, libri di scuola, la piccola tv a cristalli liquidi. «Ho messo qui tutto quello che ci serve. Ho svuotato le altre stanze e ho regalato i mobili; mica voglio che se li prenda la banca».

Sul tavolino una lettera del tribunale: lo sfratto esecutivo - dice - è fissato per mercoledì 18 aprile alle 8.30. «La casa l’ho comprata nel 2008. Costava 280 mila euro, avevo qualche risparmio, la banca mi finanziava l’80%». Ha quarant’anni, è emigrata dall’Ecuador undici anni fa, «ma sono naturalizzata spagnola». «Nel 2008 facevo la colf, lavoravo in una famiglia e guadagnavo bene, riuscivo a pagare 700 euro di mutuo il mese».

Poi la crisi e la disoccupazione, il vero morbo nazionale. Partita dal crollo del settore immobiliare, che era stato per un ventennio il motore potente ma precario del miracolo spagnolo, l’epidemia di senza lavoro ha raggiunto in Spagna dimensioni epiche: 23% il tasso di disoccupazione ufficiale, poco meno di 5 milioni di iscritti - il 10% in più rispetto a un anno fa - all’ufficio di collocamento, oltre il 50% di disoccupati tra i giovani.

«Adesso 700 euro è quanto guadagno in un mese facendo assistenza agli anziani la mattina. Il mutuo non riesco più a pagarlo, anche perché intanto la rata è salita a più di 1000 euro». Venerdì la banca si riprenderà la casa, ma Luzmila resterà con il suo debito incollato addosso: «Non so nemmeno quanto sarà, tra le spese di mora e tutto quanto. Non posso pensarci». In Spagna la legge prevede che anche se la banca esercita l’ipoteca chi ha contratto il mutuo resta responsabile per il suo debito nel caso in cui la vendita non consenta all’istituto di rientrare in possesso del capitale prestato.

Il doppio effetto della crisi - disoccupazione alle stelle e scoppio della «burbuja», la bolla immobiliare, con il conseguente crollo dei prezzi - ha fatto il disastro. I calcoli ufficiosi dicono che dal 2007 ad oggi 330 mila persone hanno perso la casa di proprietà; da qui al prossimo anno la previsione è che si arrivi a mezzo milione anche se in Parlamento si sta faticosamente facendo strada una legge che - per prestiti fino a un massimo di 200 mila euro, case che rappresentino l’unica abitazione della famiglia e acquisti fatti «in buona fede» - permette di estinguere il debito con la sola restituzione della casa alla banca. È l’epilogo amaro della crisi dei subprime in versione europea. Acquisti, anche azzardati, fatti in un’epoca nella quale il credito era facile per tutti, le banche sorridevano e il prezzo del mattone sembrava destinato a rivalutarsi anno dopo anno.

I dannati del mutuo che soffrono e rischiano di precipitare nella povertà non sono casi limite. Isabel Torres vive con la madre e grazie alla pensione della madre di 470 euro il mese a Getafe, 10 chilometri a Sud di Madrid: «Nel 2005 consolidai con una banca alcuni debiti che avevo per 110 mila euro, mettendo un’ipoteca sulla casa. Facevo la guardia di sicurezza, guadagnavo 1400 euro il mese, non avevo i problemi a pagare la rata. Nel 2008 ho perso il lavoro, nel novembre scorso la casa. Ora sono in affitto, ma spendo quasi tutta la pensione di mia madre»

Le loro speranze e le loro proteste, come quelle di molti altri che hanno perso o stanno perdendo la casa, sono affidate a un’organizzazione spontanea nata tre anni fa a Barcellona e ormai diffusa in tutta la Spagna. Si chiama la Piattaforma dei colpiti da ipoteca e l’hanno fondata Ada Colau e Adrià Alemany. Offre assistenza legale, fa pressione organizzata sulle banche e sulla politica, e soprattutto mobilita la gente: sul suo sito c’è la lista degli sfratti in arrivo, con orari e indirizzi, e l’invito a una presenza massiccia per far fronte all’ufficiale giudiziario. Spesso la manifestazione è un successo, ma serve solo per rinviare di qualche mese l’inevitabile.«La seconda volta - racconta Isabel - sono venuti a sfrattarmi con 22 furgoni della polizia e 150 uomini». Mercoledì prossimo la Piattaforma chiama a raccolta anche in calle del Doctor Sanchez, davanti a casa di Luzmila.

«Chiediamo - spiega Ada Colau - che ci sia per tutti la possibilità di avere l’estinzione del debito in cambio della restituzione della casa. E poi una moratoria sugli sfratti. Non ha alcun senso, nemmeno economico, che la banche si tengano migliaia di case vuote e migliaia di persone non abbiano dove vivere. Meglio allora trasformare la proprietà in affitto sociale: chi non riesce a pagare il mutuo perde la proprietà dell’appartamento, ma resta a viverci da inquilino, pagando un canone che può affrontare».

Ma la perdita della casa è solo una delle facce della nuova povertà spagnola. Nel suo poderoso rapporto la Caritas nazionale racconta di come il reddito nazionale sia sceso dai 19.300 euro del 2007 a 18.500 euro: un calo del 4% che in termini reali, cioè se si prende in considerazione anche l’aumento del costo della vita, diventa del 9%. Il tasso di povertà spagnolo è oltre il 21%, contro una media europea del 16,4%. Peggio stanno solo Romania e Lettonia. A fine 2011 in 580 mila famiglie spagnole non entrava né uno stipendio, né un sussidio di disoccupazione e nemmeno un aiuto sociale. «Questo fenomeno di povertà estrema - scrive la Caritas - sta registrando una crescita senza precedenti e supera di quasi 150 mila famiglie il valore massimo registrato negli ultimi 25 anni». Un terremoto che «mette in discussione le possibilità del sistema di protezione dei disoccupati e della protezione sociale in generale di far fronte alla crisi».

Nel crack della finanza e nel collasso delle vite vere si riparte così dal basso, con presenze radicate e nuove formule di aggregazione. Si ricorre a Twitter e Facebook, come fa la Piattaforma, ma si riscopre anche la forza della Chiesa. Alla parrocchia di Santa Eulalia de Merida riceve padre Miguel Riesco, parroco della vicina Maria Mediadora: «In tutta Entrevias ci sono 42 parrocchie. Qui la crisi ha colpito duro perché la maggior parte degli abitanti era impiegata nel settore edilizio». E le conseguenze? «Le dico solo che molti servizi della Caritas che erano praticamente scomparsi sono stati riaperti dopo il 2008. Oggi facciamo i corsi di riqualificazione per i lavoratori cinquantenni, abbiamo il mercato del lavoro per mettere in contatto domanda e offerta, le mense sociali e naturalmente le borse della spesa per le famiglie che non ce la fanno. E poi la raccolta dei vestiti usati».

Tra i palazzoni e le case a tre piani di Entrevias i numeri della disoccupazione spagnola diventano facce: le trovi a due passi dalla stazione alla Cervezeria el Puerto, dentro e fuori col bicchiere in mano, o guardando l’omone baffuto che alle quattro del pomeriggio porta a spasso il volpino. Da un lato della strada, sbarrata per non riaprire mai, la libreria Oldon «esoterismo e juegos de rol». Dall’altro c’è Rastrillo, un mercatino che in un capannone propone «todos en articulos de segunda mano»: vecchi mobili e materassi quasi nuovi a dozzine. Il frigo con ancora attaccati gli adesivi dei mostri spaziali viene via per cinquanta euro.

Ma per trovare la Spagna della crisi profonda non servono nemmeno i dieci minuti di treno dalla stazione di Acocha a Entrevias. In plaza General Vara de Rey, pieno centro della capitale, dove i negozi di modernariato attraggono una clientela internazionale, i Messaggeri della Pace di padre Angel De Antonio, celebre e mediatico religioso, un mese fa hanno sgombrato gli uffici al piano terra per installare una mensa i per chi ha da 2 a 14 anni. «Serviamo la merenda e la cena a cinquanta bambini che altrimenti rischierebbero di non mangiare - spiega Maria Antonia Camacho, che si occupa delle attività sociali -. Se vogliono anche i genitori possono cenare con i figli. Per ora stiamo facendo un solo turno, ma molti ci chiedono di raddoppiare». Le tavole sono ben apparecchiate, con le tovaglie di stoffa arancione. Otto posti per i più piccoli: tavolone basso e sedioline dai colori allegri. In un angolo cassette di frutta e pomodori. «Quel che resta dalla mensa lo usiamo per dare borse della spesa». Anche qui «il problema vero è la mancanza di lavoro».
In calle Doctor Sanchez Luzmila piange e si consola con un bicchiere di Coca-Cola: «Ero venuta in Spagna per una vita migliore, invece ho perso tutto».

LASTAMPA.it