http://multimedia.lastampa.it/multim...a/lstp/136959/
Ce la si farà?
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Ce la si farà?
Ultima modifica di Maximilian; 21-04-12 alle 15:44
I vincenti hanno sempre una soluzione ad ogni problema, i no(n)euro hanno sempre una scusa.
«e i bambini Delta sono vestiti di kaki. Oh no, non voglio giocare coi bambini Delta. E gli Epsilon sono ancora peggio. Sono troppo stupidi per imparare a leggere e scrivere. Inoltre son vestiti di nero, che è un colore molto brutto. Son così contento di essere un Beta!»
ma gli hanno spiegato bene che se tutti pagano le tasse i servizi sono più efficienti vero?
Non mi mettete ste cose che io la pistola la posseggo davero eh
" Democracy is currently defined in Europe as: " A country run by Jews " . E.P.
L'indottrinamento Anticapitalista nelle scuole europee.
Una recente inchiesta di Stefan Theil, giornalista economico del <newsweek>, ha rivelato che nelle scuole dei due maggiori stati europei, la Germania e la Francia, i programmi d’insegnamento sono pervasi da una forte impostazione marxista e anticapitalistica. Questo studio potrebbe adattarsi benissimo alla situazione italiana, dove l’impostazione filo-marxista di gran parte dei libri adottati nelle scuole è stata più volte documentata. Molti passaggi dei manuali citati da Theil sembrano infatti estrapolati dai pamphlets no-global di Naomi Klein e Noam Chomsky, o dagli articoli di <le monde="" diplomatique="">.</le></newsweek>
In un testo in tre volumi sulla storia del XX secolo studiato da centinaia di migliaia di studenti francesi il capitalismo viene sempre associato alle parole “selvaggio”, ”brutale”, “neoliberale” o “americano”, considerati evidentemente sinonimi. Agli studenti vengono proposti concetti come questi: <il xxi="" si="" aperto="" all="" insegna="" della="" consapevolezza="" dei="" limiti="" crescita="" e="" rischi="" che="" essa="" pone="">, <la globalizzazione="" sottomette="" il="" mondo="" al="" mercato="" e="" costituisce="" un="" vero="" pericolo="" culturale="">, <la pressione="" globale="" per="" una="" deregulation="" in="" realt="" significa="" il="" dissanguamento="" del="" nazionale="">. Grazie alla maggiore libertà degli scambi su scala planetaria miliardi di persone sono uscite dalla povertà soprattutto in Asia, ma secondo questo testo negli ultimi vent’anni , dato che <la crescita="" economica="" impone="" uno="" snervante="" stile="" di="" vita="" che="" produce="" superlavoro="" stress="" depressione="" malattie="" cardiovascolari="" e="" secondo="" alcuni="" anche="" il="" cancro="">.</la></la></la></il>
Secondo un corso di Scienze Economiche e Sociali diffuso dallo stesso ministero dell’Educazione francese, la risposta corretta alla globalizzazione è l’imposizione di nuove regole statali a livello internazionale. In altri libri di testo molto diffusi gli studenti imparano che la disoccupazione è causata dalle nuove tecnologie, e che <la globalizzazione="" della="" cultura="" porta="" a="" violenza="" internazionale="" e="" movimenti="" di="" resistenza="" armati="">. Theil conclude dicendo che i francesi quando si laureano possono non sapere molto su offerta e domanda, o su come funziona un’impresa. Ma in compenso saranno ferratissimi sul rischio di McDonaldizzazione del mondo o sui benefici della Tobin Tax>.</la>
Il sistema educativo tedesco è più decentralizzato di quello francese, perché le linee-guida dei programmi di studio sono stabilite dai singoli land federali. La situazione tuttavia non è certo migliore, perché tutti e sedici i land promuovono una visione tipicamente marxista del lavoro e dell’impresa. Un libro di testo per le scuole superiori, nel capitolo intitolato “Che cosa fare contro la disoccupazione”, indica queste ricette: organizzare i lavoratori in gruppi di pressione e inscenare manifestazioni per ottenere più tutele dal governo.
Il messaggio che passa agli studenti, quindi, è che il lavoro è un diritto da chiedere allo stato. Lo stesso capitolo riporta un lungo estratto del programma della federazione sindacale tedesca, e spiega che i datori di lavoro usano la minaccia dei licenziamenti per ridurre le paghe. L’analisi sulla causa della disoccupazione riprende le puerili spiegazioni luddiste: colpa dei computer, dei robot e di internet!.
Un altro libro di studio sulla globalizzazione, per descrivere il fenomeno, usa definizioni quali “revival del capitalismo manchesteriano”, “brasilianizzazione dell’Europa”, “ritorno all’età buia”. Falsificando scientemente la realtà, il libro spiega che l’India e la Cina sono esempi di successo perché hanno un largo settore pubblico e praticano il protezionismo, mentre le società con i mercati più liberi si trovano nell’Africa sub-sahariana. Molti testi suggeriscono agli studenti che vogliono sapere di più sulla globalizzazione di contattare il gruppo attivista Attac, presenza fissa alle contestazioni del G8.
Mentre negli Stati Uniti i manuali scolastici di economia si basano ancora sull’analisi classica dell’impresa e del mercato (nel Texas, ad esempio, i programmi richiedono che venga insegnato agli alunni il positivo contributo degli imprenditori allo sviluppo economico), lo studente europeo finisce il suo corso di studio convinto che le imprese private distruggano i posti di lavoro e che lo stato li crei, che gli imprenditori sfruttino i lavoratori e che lo stato li protegga, che la globalizzazione sia un fenomeno distruttivo, che il libero mercato porti al caos e che la regolamentazione governativa porti ordine. Insomma, tutti i discorsi che abbiamo sentito ad nauseam nel corso della crisi borsisitica del 2008.
Il bravo studente europeo che esce a pieni voti da questo corso di studi anti-capitalista sarà convinto di vivere in un mondo molto peggiore di quello che è in realtà. Vedrà il suo datore di lavoro come un nemico a cui deve ribellarsi. Vedrà il suo posto di lavoro come una minaccia alla sua libertà. Vedrà le nuove tecnologie come un nuovo strumento di oppressione. In sintesi: le nuove generazioni vivranno nell’incubo del futuro. E vedremo ancora nello stato l’unica oasi di salvezza.
Questa impostazione culturale rischia di avere conseguenze devastanti per l’avvenire dell’Europa. Solo 2 francesi e tedeschi su 5 sognano di lavorare in proprio, mentre gli americani sono 3 su 5; il 28% degli americani desidera aprire un’impresa, contro il 18% dei tedeschi e l’11% dei francesi. Questo orientamento anticapitalista dell’opinione pubblica europea è preoccupante perché, come ha dimostrato il premio nobel per l’economia Edmund Phelps, l’atteggiamento “culturale” degli individui verso il mercato, il lavoro e l’assunzione del rischio sono molto più significativi nello spiegare le attuali differenza nella performance economiche dei vari paesi dei tradizionali fattori “strutturali” su cui si concentrano gli economisti, come la spesa pubblica, le tasse e le regolamentazioni del mercato del lavoro.
Secondo una ricerca del Monitor Group ricordata da Theil, la mentalità imprenditoriale spiega il 40% delle differenze tra un paese e l’altro dei tassi di crescita e di sviluppo delle imprese; si tratta, di gran lunga, della correlazione più forte tra i 31 indicatori che sono stati testati.
S.THEIL, “Europe’s Philosophy of Failure”, in <foreign policy="" magazine="">.</foreign>
S. MAGNI, “A scuola di Anticapitalismo”, in <ragionpolitica>.</ragionpolitica>
devo ricaricare il lanciafiamme. considerando chi governa anche a Spezia,il rischio è alto
Hey, I don't feel so good. Something's not right, something's coming over me, what the hell is this?