Alfredo Cattabiani
da
Calendario. Le feste, i miti, le leggende dell'anno
Gustav Adolph Spangenberg,
La notte di Valpurga (1862)
Il 1° maggio segnava l'inizio del trionfo della luce sulle tenebre e continuò a essere celebrato anche dopo la cristianizzazione, tant'è vero che dalle feste celtiche è derivato il Calendimaggio medievale. Nella notte della veglia, come in ogni periodo di passaggio, si entrava in comunicazione con il mondo infero e con i morti. «Simili ai semi sepolti nella matrice tellurica» scrive Eliade «i morti aspettano di tornare alla vita sotto nuova forma. Per questo si accostano ai vivi, specie nei momenti in cui la tensione vitale raggiunge il massimo, cioè nelle feste dette della fertilità, quando le forze generatrici della natura e del gruppo umano sono evocate, scatenate, esasperate dai riti, dall'opulenza e dall'orgia. Le anime dei morti hanno sete di esuberanza biologica, di ogni eccesso organico, perché questo traboccare di vita compensa la povertà della loro sostanza e li proietta in un'impetuosa corrente di virtualità e di germi [...] Se i morti ricercano le modalità spermatiche e germinative, è altrettanto vero che anche i vivi hanno bisogno dei morti per difendere i seminati e proteggere i raccolti [...] Ippocrate ci dice che gli spiriti dei defunti fanno crescere e germinare i semi.» [1]
Per questo motivo nella notte del 30 aprile si susseguivano, in un'atmosfera orgiastica, banchetti e danze che terminavano con l'espulsione rituale dei morti, ovvero con l'avvento della «nuova vita». Sulla notte vegliava la Grande Madre della fertilità che dominava allo stesso modo il destino dei semi e quello dei morti. Con la cristianizzazione dell'Europa la notte del 30 aprile subì una metamorfosi. Si diceva che vi si dessero convegno spiriti inferi, streghe e stregoni, che si dovevano espellere grazie all'intervento intercessorio di santa Valpurga, santa che ha ereditato le funzioni della Grande Madre e ha dato il nome alla notte.
In Boemia i giovani si radunavano dopo il tramonto su un'altura o a un crocicchio, e schioccavano le fruste con energia: fin dove si sentiva il loro suono, le streghe fuggivano e non potevano più nuocere. Nel Tirolo, negli ultimi giorni di aprile si preparavano fasci di frasche resinose, di cicuta, rosmarino e ramoscelli di pruno. Nello stesso tempo si purificavano e si fumigavano le case con bacche di ginepro e ruta. Quando calava la notte della vigilia, cominciava il rito dell'espulsione delle streghe. Si faceva un gran frastuono - usanza tipica anche della notte di San Silvestro - con fruste, sonagli, vasi, casseruole. Le donne portavano incensieri, mentre i cani correvano in lungo e in largo abbaiando e ringhiando. Poi al suono della campana si incendiavano le fascine e si accendeva l'incenso urlando fra un chiasso assordante: «Fuggi, strega, fuggi, o male sarà per te». Infine si correva a perdifiato intorno alle case, ai cortili e al villaggio.
Il 1° maggio, cacciate le streghe, ovvero ricacciati i morti negli inferi, si portava, e si porta ancora dove la tradizione è sopravvissuta, un albero dal bosco collocandolo in mezzo al paese: è l'Albero di Maggio o semplicemente il Maggio. «A Bordeaux, il 1° maggio, i ragazzi di ogni strada usavano erigere in essa un Maggio che adornavano con ghirlande e una grande corona; e ogni sera per tutto il mese i giovani d'ambo i sessi danzavano e cantavano intorno al palo. Anche oggi si erigono Maggi adorni di fiori e di nastri in ogni borgo e villaggio della gaia Provenza e, sotto di essi, giovani fan festa e i vecchi si riposano.» [2] Sull'albero sfrondato, cui rimaneva solo una corona di foglie, venivano posti salsicce, dolci, uova e altri cibi oltre a nastri variopinti. I giovani vi si arrampicavano per impossessarsene: una sopravvivenza di queste usanze si ritrova negli alberi della cuccagna delle nostre fiere. Quell'albero non era che il simbolo dell'Albero cosmico.
NOTE
1. Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni, Torino 1970, pp. 363-65
2. James G. Frazer, Il ramo d'oro, Torino 1960, pp. 197-98
Alfredo Cattabiani, Calendario. Le feste, i miti, le leggende dell'anno (Oscar Mondadori, pp. 208-209)