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  1. #11
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    Predefinito Rif: Le sirene tra archetipo e mito

    Franz Kafka


    IL SILENZIO DELLE SIRENE

    (1917)




    Per dimostrare che anche mezzi insufficienti, persino puerili, possono procurare la salvezza:
    Per difendersi dalle sirene Ulisse si empì le orecchie di cera e si fece incatenare all'albero maestro. Qualcosa di simile avrebbero potuto fare beninteso da sempre tutti i viaggiatori, tranne quelli che le sirene adescavano già da lontano, ma in tutto il mondo si sapeva che ciò era assolutamente inutile. Il canto delle sirene penetrava dappertutto, e la passione dei sedotti avrebbe spezzato altro che catene e alberi maestri! Ma non a questo pensò Ulisse, benché forse ne avesse sentito parlare. Aveva piena fiducia in quella manciata di cera e nei nodi delle catene e, con gioia innocente per quei suoi mezzucci, navigò incontro alle sirene.
    Sennonché le sirene possiedono un'arma ancora più temibile del canto, cioè il loro silenzio. Non è avvenuto, no, ma si potrebbe pensare che qualcuno si sia salvato dal loro canto, ma non certo dal loro silenzio. Nessun mortale può resistere al sentimento di averle sconfitte con la propria forza e al travolgente orgoglio che ne deriva.
    Di fatti all'arrivo di Ulisse le potenti cantatrici non cantarono, sia credendo che tanto avversario si potesse sopraffare solo col silenzio, sia dimenticando affatto di cantare alla vista della beatitudine che spirava il viso di Ulisse, il quale non pensava ad altro che a cera e catene.
    Egli invece, diremo così, non udì il loro silenzio, credette che cantassero e immaginò che lui solo fosse preservato dall'udirle. Di sfuggita le vide girare il collo, respirare profondamente, notò i loro occhi pieni di lacrime, le labbra socchiuse, e reputò che tutto ciò facesse parte delle melodie che, non udite, si perdevano intorno a lui. Ma tutto ciò sfiorò soltanto il suo sguardo fisso alla lontananza, le sirene scomparvero, per così dire, di fronte alla sua risolutezza, e proprio quando era loro più vicino, egli non sapeva più nulla di loro.
    Esse invece, più belle che mai, si stirarono, si girarono, esposero al vento i terrificanti capelli sciolti e allargarono gli artigli sopra le rocce. Non avevano più voglia di sedurre, volevano soltanto ghermire il più a lungo possibile lo splendore riflesso dagli occhi di Ulisse.
    Se le sirene fossero esseri coscienti, quella volta sarebbero rimaste annientate. Sopravvissero invece, e avvenne soltanto che Ulisse potesse scampare.
    La tradizione però aggiunge qui ancora un'appendice. Ulisse, dicono, era così ricco di astuzie, era una tale volpe che nemmeno il Fato poteva penetrare nel suo cuore. Può darsi - benché ciò non riesca comprensibile alla mente umana - che realmente si sia accorto che le sirene tacevano e in certo qual modo abbia soltanto opposto come uno scudo a loro e agli dei la sopra descritta finzione.

  2. #12
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    Predefinito Rif: Le sirene tra archetipo e mito

    Loredana Mancini

    Da Il rovinoso incanto. Storie di Sirene antiche (Il Mulino)


    L'idea e l'immagine di Sirena esercitano, sugli studiosi di mitologia come su chiunque sia interessato alle vicende dell'immaginario, il fascino di un simbolo che ha attraversato i secoli adattandosi, per forme e significati, ai mutamenti di cultura e agli slittamenti dei confini tra reale e fantastico. Cosa sa l'uomo moderno delle Sirene? Sa che esse sono donne - e donne bellissime - ma che celano una repellente appendice bestiale; che vivono in situazioni per l'uomo impraticabili pena la morte (sul fondo del mare e dei fiumi, spesso a latitudini proibitive o in aree inesplorate); che cantano con voce suadente attraendo irresistibilmente i marinai nel loro gelido abbraccio. [1]

    Le più recenti versioni cinematografiche della favola delle Sirene, nel tentativo di mettere al bando ogni traccia del loro carattere fondamentalmente inquietante, lasciano intendere la possibilità di una integrazione all'interno della comunità umana. [2] In realtà, come dimostrano i racconti per adulti (tra i quali rientra di fatto la lugubre storia della Sirenetta di H.C. Andersen), la Sirena non può essere ammessa nel mondo degli uomini senza un compromesso: la perdita della coda squamosa, la rinuncia al potere ammaliante della voce, l'impossibilità di esprimersi nel linguaggio umano (che significa impossibilità di una vera comunicazione con gli uomini). Spesso la «Sirena fuor d'acqua» finisce per avvertire una irresistibile nostalgia di casa, ovvero del mare aperto, e per sparire improvvisamente, o morire. Nonostante il volto affabile della Sirena di celluloide, anche la Sirena dei giorni nostri conserva quindi la sua irrimediabile alterità.

    L'immaginario moderno ha ereditato la figura della Sirena dall'arte e dall'erudizione medievale; grazie al gigantesco sforzo di raccolta e di sistemazione del sapere portato avanti dagli enciclopedisti, essa ha attraversato i secoli oscuri che vanno dalla fine del mondo antico alla rinascita del XII secolo, pur rimettendoci - è il caso di dirlo - le penne. Per sopravvivere alla fine del paganesimo, la Sirena ha dovuto adattarsi ad esprimere una nuova spiritualità (quella cristiana) e una nuova simbologia, quella legata al contemptus mundi e ai pericoli della «navigazione» attraverso il mare dell'esistenza. Dal punto di vista estetico, essa ha guadagnato una figura più aggraziata: la Sirena medievale perde infatti le ingombranti ali da uccello delle sue antenate classiche per trasformarsi nella sinuosa donna-pesce che tutti noi conosciamo. Ma non senza qualche resistenza. Il fiorire dell'arte romanica ci mostra infatti i portali delle cattedrali popolati di Sirene dalle serpeggianti code di pesce o dalle zampe da uccello o con entrambe le appendici, frutto dell'inesauribile fantasia che gli artisti medievali dispiegarono per rappresentare il vizio in forme il più possibile repellenti, ma che finiscono per avere una sorta di morboso fascino.


    John William Waterhouse, La sirena (1905)

    Ma accanto alla Sirena della cultura clericale, incarnazione della sensualità e del demonio, il Medioevo conosce anche una Sirena dei racconti popolari, una sorta di spirito della acque cui si attribuisce un'esistenza reale e che viene rappresentata ora come un vampiro sanguinario, ora come uno spirito soccorritore: una contraddizione, solo apparente, che vedremo in atto già ai suoi esordi antichi. In realtà, come avremo modo di verificare, quella della Sirena è un'immagine polisemica. Riprendiamo qui una definizione formulata da J. Leclerq-Marx per la Sirena medievale, ma che può essere applicata altrettanto bene a tutta la sua evoluzione precedente e successiva: "l'efficacia simbolica dell'uno o dell'altro aspetto della Sirena doveva riattivarsi semplicemente in funzione della finalità del discorso o del livello di percezione a cui esso era destinato. Ciascuno trovava infatti ciò che cercava in questa figura d'ombra che si poteva allo stesso tempo temere e compatire, e la cui forma per metà umana e per metà animale simboleggiava così esattamente il mondo medievale dominato dall'antagonismo delle forze del Bene e del Male…" [3]

    Con il XIII secolo e l'avvento dell'arte gotica le cose cambiano: la rinascita dell'interesse per il mondo e i suoi fenomeni (soprattutto quelli più curiosi e fantastici) determina un nuovo atteggiamento verso la Sirena, di cui si apprezza ora la natura di essere favoloso e la duttilità dell'immagine, che verrà utilizzata sempre più spesso a scopi puramente ornamentali. Sottratta alla simbologia del peccato, essa viene restituita alla fantasia: non a caso è proprio in questo periodo che si diffondono e vengono valorizzate anche letterariamente le leggende popolari relative alle Ondine e simili figlie delle acque. È dunque alla fine del Medioevo che si costituisce e si stabilizza l'immagine e l'idea della Sirena quale noi la conosciamo: una graziosa donna-pesce, che fa la sua figura negli album dei decoratori e sui bicipiti di certi «lupi di mare», ma sulla quale grava velatamente il sospetto di essere imparentata con il diavolo.


    NOTE

    1. La letteratura, sia di tipo scientifico che creativo, sulle Sirene e sui loro incontri con l'uomo è sconfinata. Per una sintesi, che tenga conto anche dei tentativi di classificazione zoologica succedutisi nei secoli passati, si veda: De Donder, Le chant de la Sirène (1992, 59-73); Lao, Il libro delle Sirene (2000, 83-101).
    2. Sulla fortuna cinematografica del mito della Sirena, vedi De Donder Le chant de la Sirène (1992, 59-73); Lao, Il libro delle Sirene (Di Renzo, 2000, 195-201]
    3. Leclerq-Marx, La Sirène dans la pensée et dans l'art de l'Antiquité et du Moyen-Âge (Bruxelles, 1997, 228)


    Loredana Mancini, Il rovinoso incanto. Storie di Sirene antiche (Il Mulino, pag. 7-8)

  3. #13
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    Predefinito Rif: La sirena di Corsignano (l'antica Pienza)

    E' scolpita sul portale d'entrata di quello straordinario edificio sacro che è tuttora, nonostante lo spostamento del centro urbano.. che fu riordinato, realizzando la "nuova" città" dedicata a un Papa.

    Piccolomini ebbe la sorte di essere definito un Papa pagano; forse per questo la sua sepoltura fu violata in varie occasioni e, addirittura, il corpo fu "perso" definitivamente. In realta Enea ebbe un atteggiamento ambiguo; era sensibile al Rinascimento, ma anche acerrimo nemico di Sigismondo Malatesta che - nella sua Rimini - aveva edificato un tempio agli Dèi.

    La Sirena anguipede di Corsignano e da accostare alle Sheela-na-Gig, che mettono in evidenza il loro pube. La vagina rappresenta la porta dei due mondi, il limite fra la vita e il prima, ovvero da dove veniamo o dove andiamo. Verona è ricca di queste immagini, anche se i veronesi non se ne sono accorti!

    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 09-12-11 alle 00:58

  4. #14
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    Predefinito Rif: Le sirene tra archetipo e mito

    Citazione Originariamente Scritto da sideros Visualizza Messaggio
    La Sirena anguipede di Corsignano e da accostare alle Sheela-na-Gig, che mettono in evidenza il loro pube. La vagina rappresenta la porta dei due mondi, il limite fra la vita e il prima, ovvero da dove veniamo o dove andiamo.
    Naturalmente esiste la lettura in chiave morale della sirena della Pieve di Corsignano. Ma, alla luce di culti arcaici e antiche cosmogonie, esistono ben altre motivazioni in cui cercare il significato di questa presenza.


    Riporto quanto scrive Elémire Zolla in Verità segrete esposte in evidenza.

    "A Corsignano, a mostrare il grembo è una sirena, che nel romanico impersona il potere vivifico delle acque irrigue: il suo «dolce canto» è il loro murmure sotterraneo che fa germinare. Non è più la sirena greca, dal corpo di uccello, semmai somiglia alle Nereidi o alle Scille dei sarcofaghi etruschi; di fatto è identica, forma e funzione, alle fanciulle-pesce che in India impersonano gli umori del sottosuolo, sicché sposandole in sogno un conquistatore può diventare legittimo signore della terra sottomessa. Tante dinastie, dall'India al golfo del Tonchino, al mar della Sonda, si appellano a questo sogno per legittimarsi, e altrettanto fecero in Europa le case regnanti che vantarono le nozze del capostipite con la sirena Melusina. I lapicidi romanici soltanto in forma di sirena potevano configurarsi la creatura aquae a cui il sacerdote ritual¬mente si rivolgeva nel benedire, primo atto nella consacrazione d'una chiesa, l'acquasantiera.

    La sirena bìfida non è sola sull'architrave. Alla sua sinistra un'altra sirena suona una ribeca mentre un drago le pigia le fauci aperte sull'orecchio, come dardeggiandovi la lingua. Alla destra invece una danzatrice dalla gonna pieghettata poggia una mano sul fianco e l'altra protende in alto, come nel flamenco; una compagna le stringe l'avambraccio sollevato, e intanto afferra con l'altra mano un drago che le preme le fauci sull'orecchio.
    Che cosa significano i due draghi?
    Spesso alla base degli stipiti nei portali romanici draghi (o pantere) vomitano e ingoiano le volute d'una vite: la spirale della vita. Secondo Gaignebet sono emblemi del Tempo che tutto produce e annienta. Fra il drago, l'inesorabile scansione del tempo, e il desiderio, che a tutto infonde vita e significato ed è denotato dal grembo di sirena, l'esistenza si snoda; il drago del tempo e la sirena del desiderio sono figure archetipiche della dìade di opposti che regge l'esistenza, sono la sinistra e la destra, che nelle figurazioni romaniche stanno per potenza e atto, fiore e frutto. Nella pittura e scultura coeve si seguono da sinistra a destra Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, San Michele e il Toro del Gargano e così via fino alla dìade francescana: San Francesco e Sant'Antonio da Padova. Nei trittici al centro si porrà il simbolo della trasmutazione e coincidenza degli opposti: la Croce o la Vergine col Bambino o l'Assunzione. Sull'architrave di Corsignano è la sirena bìfida che media. Essa dovette denotare un culto estatico, basato sulla danza. Il sistema di metafore degli antichi dava per scontato che i vortici della danza evocassero i genii delle acque. Nonno nelle Dionisiache descrive Sileno (si amò giocare su «sileni» e «sirene») che diventa una fiumana nell'empito del ballo."

    Elémire Zolla - Verità segrete esposte in evidenza (Saggi Marsilio, pag. 29 e seguenti)


    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 09-12-11 alle 00:59

  5. #15
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    Predefinito Rif: Le sirene tra archetipo e mito


    Zola dimentica che le radici di Corsignano e delle sue rappresentazioni affondano nel mondo etrusco. A Sovana, presso la Necropoli di Sopraripa, è presente la Tomba della Sirena (Sorano), ormai consumata e degradata dall'incuria e dall'ignoranza umana. Il cristianesimo di Corsignano è legato alla sapienza dei Lucumoni, frutto del sincretimo di un mondo che rivive e si rigenera attraverso i suoi simboli. Questi ultimi e i messaggi che veicolano sono infatti immortarli e un popolo li alleva e li mantiene nel cuore, nella mente e nelle rappresentazioni religiose. Per sempre.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 09-12-11 alle 01:02

  6. #16
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    Predefinito Rif: Le sirene tra archetipo e mito


    Collier Twentyman Smithers, Gara di sirene e tritoni
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 15-07-12 alle 23:36
    Orientata verso l'immenso mare della bellezza

  7. #17
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    Predefinito Rif: Le sirene tra archetipo e mito


    John William Waterhouse, Studio per La sirena (1905)

    John William Waterhouse, pittore inglese che visse fra la fine dell'Ottocento ed i primi del Novecento, fu affascinato dal mito delle sirene e dipinse parecchi quadri che le ritraevano.

    Secondo un'antica leggenda tedesca, sulle sponde del Reno viveva una volta una bellissima fanciulla di nome Lorelei, la quale, credendo di aver perduto il suo amore, si gettò per la disperazione nel fiume.

    Dopo la sua morte ella venne trasformata in sirena e rimase a infestare la ripida roccia, proprio nel punto più angusto e pericoloso del Reno.

    I naviganti che la scorgevano intenta a pettinare i suoi lunghi capelli ne rimanevano incantati e, seguendo il suo canto ipnotico, naufragavano contro le rocce o venivano risucchiati nei gorghi.

    Sempre secondo la leggenda, “Lorelei un giorno attirò un giovane nocchiero verso un gorgo e lo fece morire.
    Solamente più tardi la sirena si accorse che il giovane altri non era che il suo amante mortale, che un tempo credeva di aver perduto."

    Così pentita, Lorelei si gettò dalla rupe che già tante vittime aveva provocato, morendo tragicamente a sua volta”.
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 04-09-16 alle 00:08
    Orientata verso l'immenso mare della bellezza

  8. #18
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    Predefinito Rif: Le sirene tra archetipo e mito

    Due sono gli animali marini che, con le loro forme, si prestano a supportare le leggende: il lamantino, un mammifero che vive alla foce dei grandi fiumi africani e americani, e il dugongo, un cetaceo erbivoro dell’Oceano Indiano.

    Entrambi appartenenti alla classe dei Sirenidi, hanno grandi seni rotondi privi di peli e quando allattano i loro piccoli emergono dall’acqua con il tronco.

    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 15-07-12 alle 23:36
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  9. #19
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    Predefinito Re: Rif: Le sirene tra archetipo e mito

    La leggenda della sirena Parthenope: il mito della nascita della città di Napoli

    Ogni aspetto della vita della città di Napoli è strettamente legato alle acque che la bagnano; così gli stessi miti sulla nascita di queste coste sono simbolo della vita che sorge dal mare.

    di Davide Lepore


    Innes Fripp, Sirene sorprese da un centauro

    Quella del mare è una presenza indissolubilmente legata alla storia, alle leggende e ad ogni attività della vita quotidiana della città di Napoli. L’immagine del golfo, con le pendici del Vesuvio sullo sfondo che degradano piano verso la costiera Sorrentina, è il biglietto da visita di questi luoghi, il panorama che attira qui turisti da tutto il mondo. E proprio in questi primi giorni d’estate la folla di visitatori cresce e il lungomare della città si riempie di persone ammaliate dalla meravigliosa distesa di acque blu che si perde oltre l’orizzonte.
    Tra la folla ci sono anch’io, seduto sugli scogli bianchi ai piedi del famoso Castel dell’Ovo. Il rumore del vento e delle onde che si infrangono sembrano le voci insistenti di due bambini determinati ad attirare la mia attenzione ad ogni costo. E io li accontento, concentrato come sono sull’importanza di queste acque per la città che sorge alle mie spalle.
    Commercio, pesca, turismo; la sopravvivenza stessa di Napoli, come accade per tutte le città portuali, è stata scandita nei secoli dall’incessante e insistente cozzare dei flutti che ho di fronte. La nascita stessa dei primi centri abitati qui ha a che fare con il mare; e le leggende con cui quegli eventi ci sono arrivati dal passato sono state unite per sempre al destino della città, incise in eterno nel suo stesso nome.
    L’appellativo “Partenopeo”, infatti, deriva dal nome di colei che nelle leggende locali è identificata come la fondatrice di queste terre, Parthenope.
    Personaggio ricco di fascino, legata a questi luoghi da leggende che risalgono a popolazioni greche del III secolo a.C., Parthenope, per sua stessa natura, richiama l’idea del mare: altro non era, infatti, che una sirena.
    Non certo l’unica sulle coste della Campania, Parthenope era la tipica sirena delle leggende greche: un essere dalla testa di donna e il corpo di uccello rapace, diverso dalla donna dalla coda di pesce, immagine che nascerà solo nel medioevo.

    Il luogo in cui si diceva vivesse, insieme alle sorelle, è stato identificato con il piccolo arcipelago de Li Galli, al largo di Positano. I tre isolotti che compongono l’arcipelago erano, infatti, noti nell’antichità come “Le Sirenuse”, proprio ad indicare il luogo come dimora di queste straordinarie creature.
    Osservando il panorama dall’alto, in effetti, non può sfuggire la forte sensazione di osservare un paesaggio mitologico, carico del fascino dei millenni e di antichi segreti. Proprio qui le più azzardate supposizioni vorrebbero individuare il luogo dell’incontro tra l’eroe greco Ulisse e le creature metà donna e metà uccello, descritto da Omero nell’Odissea.
    Difficile dire se queste teorie siano plausibili; certo è che questo episodio è strettamente collegato al mito della nascita della città di Napoli.
    Se tutto fosse vero, infatti, proprio tra gli isolotti de Li Galli Ulisse decise di affrontare le sirene. Questi esseri erano capaci di cantare melodie straordinarie e, con queste, erano solite incantare gli sfortunati marinai che incrociavano il loro cammino, destinando le loro navi ad un sicuro naufragio. L’astuto Ulisse, però, con un abile stratagemma, riesce a salvare la propria nave insieme a tutto l’equipaggio, superando incolume la dimora delle sirene. Tra queste vi era proprio la nostra Parthenope, la più bella di tutte. Fiera della propria abilità nel canto, certa che nessuno potesse sfuggire al magico suono della propria voce, la sirena non accetta la sconfitta subita di fronte all’ingegno dell’eroe greco e si lascia annegare tra le acque dell’arcipelago. Il mare stesso, però, non accetta la perdita di una creatura di tanto splendore e le onde ne raccolgono il corpo ormai privo di vita. Trasportata dalle acque, Parthenope si arena proprio nel golfo di Napoli ed il suo corpo darà vita a parte della costa. Il luogo esatto dove si fermò il corpo è identificato con l’isolotto di Megaride, proprio qui, dove ora sorge Castel dell’Ovo.

    Ecco, dunque, che anche nel mito sulla nascita della città si vuole sottolineare, con un racconto carico di simbolismo, come la vita in questi luoghi arrivi direttamente dalle acque che li bagnano.
    Una leggenda molto meno affascinante vedrebbe, invece, in Parthenope una fanciulla perdutamente innamorata del giovane Cimone. Ostacolati nel loro amore dal padre di lei, i due giovani amanti fuggono dalla cittadina della Grecia in cui vivevano per giungere proprio nel golfo di Napoli. Qui avrebbero fondato il primo nucleo da cui si sarebbe poi sviluppata nei secoli la città.
    Tuttavia, passeggiando tra questi scogli, la fantasia mi porta ad individuare nella costa la figura della splendida sirena giunta qui nel suo ultimo istante di vita. Il sole, l’odore ed il rumore del mare; per un attimo mi sento quasi come se camminassi in un passo dell’Odissea. Ritrovandosi qui è quasi impossibile non credere al mito della sirena.


    Attilio Pratella, Marina di Napoli

    La leggenda della sirena Parthenope: il mito della nascita della città di Napoli | tempovissuto.it
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 16-07-12 alle 01:06
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

  10. #20
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    Predefinito Re: Le sirene tra archetipo e mito

    Ugo Leonzio

    INCANTATI DALLE SIRENE PERCHÉ SONO COME NOI




    Arnold Böcklin, Sirene (1875)
    Alte Nationalgalerie, Berlino




    […] Di tutti i miti, quello delle Sirene è il più tenace, il più misterioso, il vero cuore del mondo mitico (se in quel mondo qualcuno avesse un cuore) perché unisce due enigmi, il canto e la seduzione, con il laccio inesplicabile della morte. Quale incantesimo indossa questa storia cucita nell'abito della paura, della sconfitta, del suicidio per piacerci al punto di trasformarla in un mito di seduzione e pericolosa armonia?

    Le Sirene non nascono da una passione fuori misura, come il Minotauro, guardiano dei misteri d'amore, ma da una punizione e come tutte le punizioni, sul divino Olimpo come tra noi, era di certo immeritata. Il dono del canto, dannazione delle Sirene, deriva da Melpomene, una Musa che già nel nome esibisce il destino musicale della stirpe. Il padre è incerto, come sempre nei labirinti romanzeschi del mito che contiene tutte le trame, le ambiguità e le possibili variazioni degli accoppiamenti. Affascinante, come possibile padre, è il dio fiume Acheloo, che scorre tra l'Acarnania e l'Etolia, che ha il potere di trasformarsi, prendendo infinite forme. Per le Sirene, interpretò il ruolo del toro che non era uno dei suoi più riusciti. Perse una lotta con Eracle, che gli strappò una delle corna. Da quel sangue, raccolto da Chthon, la dea Terra, linea di confine tra la superficie dei mortali e il mondo infero, avrebbero preso vita le Sirene. Quel confine, però non esisteva per loro e l'autorità di Sofocle e di Platone ci svela un'altra angosciante paternità, cioè Forco, figlio del mare, Ponto, e di Chthon, la terra. Questa paternità è il primo indizio a rivelare la nostra passione per le Sirene, una predilezione che si appaga mescolando l'armonia con il mostruoso.

    Forco genera mostri con Chton e noi abbiamo alle nostre spalle una scimmia cannibale che ha imparato a pregare gli dei e a riconoscerne la violenta bellezza. Accoppiandosi con la sorella Ceto, Forco mette al mondo le due Graie, vecchie signorine canute fin dalla nascita, le tre Gorgoni, Echidna, la fanciulla serpente che genera a sua volta Cerbero, Chimera, la Sfinge. Forco (e Ceto) creano anche il serpente innamorato dei pomi delle Esperidi.. Nel frattempo, il fratello di Forco, il delicato zio Taumante, ugualmente versato nell'immaginazione teratologica, fa partorire ad Elettra le Arpie più veloci del vento, in un sogno. Che contiene anche Scilla, generata da Forco, Ecate ed altri pargoli e pargoletti.

    Ma di questi loro parenti, le Sirene, quando per la prima volta videro la luce nel triangolo delle Muse, tra la Pieria, l'Olimpo e l'Elicona, ben poco potevano immaginare. Erano signorine alate, gelose della loro verginità e fornite di strumenti musicali come il flauto libico, la cetra, la zampogna di Pan con cui celebravano gli eroi defunti, quando Persefone le ingaggiava. Il loro disprezzo verginale per l'amore aveva attirato l'odio di Afrodite. La punizione era solo una questione di tempo.

    Quando Ade sbucò dagli inferi come un'orca buia per rapire Proserpina, le Sirene se la diedero a gambe. Persefone le inseguì fino a Cuma, terra di Apollo, e fece penetrare in loro le zampe sgraziate, i rostri e le penne ruvide delle galline. Preservò il volto, il resto del corpo e il canto che non avrebbe più celebrato gli eroi ma sedotto e ucciso i naviganti. Poi, tra inganni e delusioni l'instancabile vendetta di Afrodite le avrebbe spinte a una disastrosa gara di canto con le Muse, che per disprezzo si incoronarono con le loro penne. Ma questo ormai aveva poca importanza, avevano incontrato la loro divina infelicità. Non restava che aspettare l'ultima sconfitta come assassine e seduttrici, per mano di Odisseo, e gettarsi nel mare.

    Cosa resta delle Sirene? La seduzione di un canto che uccide e che nessuno ha mai sentito? Scogli biancheggianti nell'instancabile spuma? Immagini raccapriccianti e malinconiche uscite dall'immaginazione di Tod Browning e Diane Arbus che si sarebbero volentieri lasciati morire, con un'oliva e un Martini, tra cumuli d'ossa sulla spiaggia di Anthemoessa, l'isola delle Sirene elusiva e inafferrabile come il loro profumo?



    Arnold Böcklin, Le sirene tentatrici (1886)
    Museo d'arte di Basilea



    La singolarità, l'elemento affascinante di questo mito è che un canto più silenzioso del silenzio abbia attraversato il tempo senza che nessuno sia mai riuscito ad ascoltarlo. Non solo, ma che abbia potuto legarsi indissolubilmente a Eros attraverso l'orrore. Il mito delle Sirene rovescia qualsiasi idea, profonda, raffinata spirituale ci siamo mai potuti fare della bellezza, che nulla ha da spartire con l'enfasi obesa e scorreggiona dei musei. Perché, osservandole con i loro corpi e il loro canto in azione su vasi, crateri, stamnos o lekythos siamo sospinti in una zona della mente che stentiamo a riconoscere, dove ci attrae qualcosa che abbiamo sempre riconosciuto come brutto, disarmonico, mortuario? Non si tratta di sogni dove il bello e il brutto si inseguono esclusivamente tra l'ordito e la sintassi delle nostre paure. In questa zona della mente, che di rado visitiamo perché sfugge anche a Mnemosine, la memoria, non incontriamo volti, parole o suoni, ma pulsioni che di gran lunga le precedono. Qui, Eros e Thanatos travestiti da donna come Dioniso e il suo corteo, giocano a sbranare, distruggere, sfondare, penetrare senza fine ispirati dall'energia del cosmo.

    Se volessimo usare la ragione per capire il mito delle Sirene dovremmo chiederci non perché cantano, ma perché uccidono e perché questa mortale seduzione dell'armonia è diventato un mito. A cosa serve un canto che uccide? Di quale piacere, di quale gioia o di quale dolore si nutrono queste assassine? Forse hanno imparato ad amare la loro punizione. La loro naturalezza, la loro sapienza, il loro orgoglio nel saper sedurre non con l'arte del canto ma con quella della morte, ci farebbe credere di sì, soprattutto perché non hanno alcuno scopo per farlo, escluso quello vertiginoso di sperimentare il potere inspiegabile del loro canto funesto. Forse è questo potere a incantare gli incauti viaggiatori. Anche il più miope dei marinai vedrebbe subito, dalla nave, i mucchi di ossa, i teschi che marciscono al sole e gli uccelli golosi che beccano gli avanzi. Tuttavia, preferisce levarsi gli occhiali, girare il timone verso l'isola e gettarsi in acqua verso quelle impassibili ebbrezze d'estate. Sa di dover morire questo stupido viandante ma la paura dell'Ade diventa per lui un invito a condividere per sempre la mostruosità delle Sirene, dimenticando l'intensa felicità del sole. Quello che credeva bello, ora appare vecchio e maleodorante e le fanciulle alate non più polli spennati ma forme senza più regole o peccati.

    Approdare sull'isola delle Sirene, qualunque essa sia, significa scoprire una legge fondamentale non del mito ma del cuore. Molte combinazioni immaginarie, sfingi, sirene, chimere centauri, demoni angeli, licantropi che uniscono parti diverse di animali per creare esseri fantastici, hanno sempre nutrito la mitologia e le religioni emergendo dalle parti più intime della nostra memoria. La biologia ha scoperto che questa intuizione corrisponde a una possibilità statistica e che noi, insieme a tutti gli esseri viventi costituiti di cellule nucleate, siamo con ogni probabilità creature composite nate dalla fusione di creature diverse. Le cellule del cervello umano che hanno concepito queste creature sono esse stesse sirene, chimere, fusioni di differenti tipi di procarioti un tempo indipendenti e poi evolutisi insieme. Noi, dunque, siamo Sirene. Chi l'avrebbe mai detto?


    Fonte: L'Unità dell'8 aprile 2007 - sezione "Cultura", pag. 23

    Incantati dalle sirene perché sono come noi, Ugo Leonzio

 

 
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