La morte delle sirene
Nell'Odissea non c'è alcun accenno alla sorte delle Sirene dopo che Ulisse riesce a superare l'insidioso ostacolo. Analogamente, in Apollonio Rodio (Argonautiche 4, 891-919) gli Argonauti passano indenni accanto agli scogli delle Sirene, grazie al canto di Orfeo. Il suicidio delle Sirene è invece descritto nelle Argonautiche orfiche, elaborazione poetica tarda, di autore sconosciuto.
E dunque, mentre io cantavo con la cetra, le Sirene, dalla cima dello scoglio,
rimasero attonite, poi misero fine al loro canto.
Quindi con le loro mani una gettò in mare i legni dell'aulo,
un'altra la lira. Gemevano in maniera disperata,
perché giungeva il giorno fatale della morte.
Dall'alto della loro roccia cava si lanciarono nell'abisso
e nel frastuono del mare, e trasformarono in rocce
i loro corpi e la tracotante bellezza.
Anche Erodiano (De prosodia catholica) aveva raccontato la morte delle Sirene, ma in un contesto del tutto diverso: dopo la gara di canto con le Muse, non potendo sopportare l'onta della sconfitta, si strapparono le ali, diventarono bianche e si buttarono in mare. L'attestazione letteraria più antica, è rappresentata dall'Alessandra di Licofrone o, per essere più precisi, dalla fonte seguita da Lìcofrone nell'episodio delle Sirene: la profezia di Cassandra.
Luigi Spina
BIOGRAFIE DI SIRENE: LA MORTE
Morire di mito
Erodiano aveva raccontato dell'insopportabilità della sconfitta, da parte delle Sirene, dopo la gara di canto con le Muse; Orfeo autobiografo – così abbiamo chiamato per comodità referenziale l'autore delle Argonautiche orfiche - le aveva viste buttarsi in mare dopo il passaggio della nave Argo. Orfeo aveva annotato: «Gemevano in maniera disperata, perché giungeva il giorno fatale della morte». La spiegazione di quel giorno fatale coinvolgerà ora anche Odisseo, introducendo un terzo polo nel destino di morte delle Sirene. Non c'è dubbio che il richiamo al fato, per quanto generico, presupporrebbe, formulato in quel contesto, un destino già annunziato. Anche se Orfeo non dice molto di più, sembra di capire che le Sirene avevano riconosciuto in quell'evento - Orfeo che riesce a prevalere col canto, la nave che passa indenne - proprio il segno del loro destino già decretato. Un racconto di questo tipo c'è, infatti; solo che l'evento cui si riferisce la profezia è un altro passaggio indenne, quello di Odisseo. […]
Una morte annunciata
Odisseo era riuscito a passare oltre, applicando lo stratagemma suggerito da Circe. C'era, però, una profezia (lógion), secondo la quale le Sirene sarebbero morte (teleutésaì) se una nave fosse riuscita a passare: e dunque era arrivata la loro fine (eteleúton). Anche Igino conosceva la storia della profezia, inserita ancora una volta all'interno delle avventure di Odisseo, e la raccontava quasi con le stesse parole; solo, in un'altra lingua: fatum delle Sirene era di poter vivere fino a quando un mortale, pur ascoltando il loro canto, non fosse riuscito a passare oltre (praetervectus esset). Vi riuscì Ulisse, che passò oltre (praetervectus est), grazie allo stratagemma suggerito da Circe. [1] Colpisce, nell'uniformità dei due mitografi, quella sorta di precisione lessicale con cui entrambi sembrano voler quasi riprodurre il testo della profezia - ripetendone la parola chiave -, cosi da farla coincidere poi con l'evento realizzato. Si noterà, però, che per Apollodoro la parola chiave è quella che segnala l'esito tragico: dovevano morire, e morirono; Igino, invece, sottolinea lo scarto dal consueto, il segno rispetto al quale il destino deve compiersi: se qualcuno fosse passato oltre..., e Ulisse passò oltre. Odisseo, non Orfeo, è, dunque, l'uomo del fato [2], l'eroe che provoca la morte delle Sirene. […]
Python, Odisseo e le Sirene, Phyton, cratere a figure rosse
da Paestum (450-425 a.C. circa)
Cosi, d'altra parte, recitava anche una profezia di Cassandra. La ricostruisce Licofrone, un poeta alessandrino sperimentale e misterioso. Il poemetto, l'Alessandra, è lungo quasi 1500 versi. L'invenzione narrativa è sofisticata: un messaggero racconta a Priamo, padre di Alessandra/Cassandra, la lunga profezia della figlia. C'è tutto, dalla fine della guerra di Troia ai ritorni degli eroi, dalla fondazione delle colonie italiche fino ai conflitti tra Asia ed Europa: un avvenire nascosto fra enigmatiche allusioni, epiteti dotti, riferimenti storici. A metà della lunga profezia, accanto al nome di Odisseo, una visione inequivocabile [3].
Ucciderà (kteneì) poi le tre figlie del figlio di Teti,
che improntavano il loro canto alla voce melodiosa della madre:
verranno giù dall'alto scoglio con un salto suicida
e con le ali s'immergeranno nel mare Tirreno,
dove le trascinerà l'amaro filare del fato.
Le tre Sirene saranno poi sballottate dai flutti e finiranno in tre località diverse della costa tirrenica, dove saranno onorate con culti particolari.
Si muore solo due volte
I racconti sulla morte delle Sirene, se proviamo a farne una classificazione, prendono almeno tre strade divergenti. Ce n'è uno che presenta forti caratteri eziologici e regionali: comprende la gara con le Muse, la localizzazione presso l'insediamento poi battezzato Aptera, il mitema fondante dello spennamento, preludio al suicidio con la conseguente trasformazione in rocce dinanzi alle coste cretesi. Questo racconto prescinde dalle Sirene di Omero e di Apollonio Rodio, dalla loro localizzazione geografica, dal loro incontro con Odisseo o con Orfeo; ed è, soprattutto, incompatibile con le Argonautiche orfiche. Tutt'al più potremmo sottolineare un elemento in comune con quello che abbiamo chiamato il racconto autobiografico di Orfeo: la metamorfosi in rocce. C'è, invece, un notevole contrasto motivazionale tra questo suicidio e quello conseguente al passaggio indenne di una nave, sia esso di Orfeo o di Odisseo: la vergogna per la spennatura da parte delle Muse non ha certo la drammatica nobiltà del tragico rifiuto della vita per aver visto vanificata una prerogativa essenziale della propria identità. Le Sirene di Aptera lasciano, invece, il ricordo della stizzita autopunizione per una arroganza mal riposta.
Gli altri due racconti della morte, il suicidio dopo il passaggio di Orfeo, il suicidio dopo il passaggio di Odisseo, sono alternativi al precedente cosi come lo sono fra di loro, per il motivo che abbiamo già chiarito: anteriorità relativa della saga degli Argonauti, ma priorità letteraria dell'Odissea. Nascono, evidentemente, solo dopo i poemi di Omero e di Apollonio Rodio, nei quali, infatti, le Sirene non muoiono. La soluzione proposta dal poeta delle Argonautiche orfiche è l'unica coerente e consonante col mondo dell'erudizione mitografica, anche se, nello stesso tempo, taglia fuori le Sirene dal percorso odissiaco, in quanto già trasformate in pietra dopo il passaggio della nave Argo; d'altra parte, dobbiamo convenire che la presenza di quel tipo di profezia sulla morte delle Sirene - la morte dopo il passaggio indenne di una nave - poteva candidare a realizzarla solo la nave degli Argonauti, il primo equipaggio che aveva resistito al fascino del canto. Eppure, questo racconto convive pacificamente con gli altri, nessun mitografo o poeta smentisce decisamente l'altro nel momento in cui formula la propria versione: la ricchezza del mito si riconferma come dovuta proprio alle diverse possibilità di accadere di un qualsiasi evento, alle diverse possibilità di essere di un qualsiasi personaggio.
NOTE
[1] Igino, Fabula 125, 13.
[2] Nella breve fabula 141 di Igino, dedicata esclusivamente alle Sirene, dalla nascita (figlie di Acheloo e di Melpomene) alla morte, viene ripetuto lo stesso responsum, secondo il quale Ulisse diventa, appunto, fatalis (141, 2).
[3] Licofrone, Alessandra 712-16. I versi successivi riguardano il capitolo importante del culto post mortem delle Sirene, collegato soprattutto alla localizzazione tirrenica. Le Sirene appaiono anche in altre parti dell'opera.
Il Mito delle Sirene, Maurizio Bettini e Luigi Spina (Einaudi, pag. 87 e seguenti)