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  1. #21
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    Predefinito Re: Le sirene tra archetipo e mito

    Fino a circa cento anni fa c'era ancora chi credeva che delle Sirene esistessero nella Scozia settentrionale. C'è da dire che quella zona è ricca di foche, quindi si prestava bene a questo tipo di confusione, anche perché la sirena così come è comunemente rappresentata, mezza donna (o mezzo uomo) e mezzo pesce è un assurdo biologico.

    Tuttavia ci sono stati casi di avvistamenti ritenuti, da chi li aveva fatti, non attribuibili ad animali noti, che fanno pensare a qualcosa che deve essere successo nella percezione dei testimoni anche se per poco tempo.

    Il più famoso è quello di un certo William Munro, che sarebbe avvenuto alla fine del '700; un altro caso interessante è quello del capitano John Smith.

    tratto da: Le Sirene esistono. Citazioni da Colombo, Shakespeare, Plino il Vecchio e altri


    1797: William Munro, un insegnante in Scozia, scrive una lettera al dottor Torrance a Glasgow, pubblicata sul Times di Londra l'8 settembre 1809. Munro scrive:
    «Circa dodici anni fa, quando ero maestro di scuola parrocchiale a Reay, mentre camminavo sulla riva del Sandside Bay, essendo una giornata calda in estate, sono stato indotto a prolungare il mio cammino verso Sandside Head, quando la mia attenzione è stata carpita dalla comparsa di una figura simile a una femmina umana svestita, seduta su di una roccia che si estende nel mare, apparentemente nell'atto di pettinare i suoi capelli, che scendevano fluenti attorno alle sue spalle e di colore marrone chiaro. La somiglianza che la figura portava al suo originale in tutte le sue parti in vista era così sorprendente che se la roccia su cui era seduta non fosse stata pericolosa per la balneazione, sarei stato costretto a considerarla davvero una forma umana e per un occhio non abituato alla situazione, deve essere senza dubbio apparsa come tale. La testa era coperta con i capelli del colore di cui sopra e ombreggiati alla radice, la fronte rotonda, il viso paffuto. Le guance rubiconde, gli occhi azzurri, la bocca e le labbra di una forma naturale simili a quelle di un uomo, i denti non li ho potuti intravedere, data la bocca chiusa, i seni e l'addome, le braccia e le dita nella misura in cui le mani sono state impiegate, non sembrano essere palmate, ma quanto a questo non sono sicuro. E' rimasta sulla roccia tre o quattro minuti dopo che l'ho osservata, in quel tempo ha provveduto alla sua pettinatura di capelli, che erano lunghi e folti e di cui è apparsa orgogliosa e poi si lasciò cadere in mare, che arrivava al livello dell'addome; benché non mi riapparve, ho avuto una visione distinta delle sue caratteristiche, essendo a non grande distanza sopra gli scogli rocciosi su cui si era seduta e il sole era splendente».
    E continua:
    «Immediatamente prima di entrare nel suo proprio elemento naturale mi sembrava che mi avesse osservato, perché gli occhi erano rivolti verso l'altura su cui mi trovavo. Potrebbe essere necessario osservare, che il periodo precedente all'avvistamento, ne avevo spesso sentito parlare da più persone e alcuni di loro, persone la cui veridicità non ho mai messo in dubbio, avevano visto un fenomeno come quello che ho descritto, anche se poi, come molti altri, non ero disposto ad accreditare la loro testimonianza su questo argomento. Posso dire di una verità, solo vedendo il fenomeno mi sono perfettamente convinto della sua esistenza.
    Se il racconto di cui sopra può in qualsiasi grado essere utile per stabilire l'esistenza di un fenomeno fino ad allora quasi incredibile per i naturalisti o per rimuovere lo scetticismo di altri che sono pronti a contestare tutto ciò che non possono comprendere fino in fondo, sii il benvenuto,
    Egregio Signore,
    Il tuo servo più obbligato e più umile,
    WILLIAM MUNRO»



    1614: il capitano John Smith, conosciuto per Pocahontas, vide una sirena al largo della costa del Massachusetts.
    Scrisse che «la parte superiore del suo corpo è perfettamente simile a quello di una donna e stava nuotando con tutta la possibile grazia vicino alla riva». Aveva «grandi occhi un po' troppo rotondi, un naso finemente formato (un po' troppo corto), orecchie ben fatte, un po' lunghe e i suoi lunghi capelli verdi le impartivano un carattere curioso tutt'altro che poco attraente».

  2. #22
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    Predefinito Re: Le sirene tra archetipo e mito

    Volendo ragionare sulla possibilità dell’esistenza fisica di esseri mezzi uomini e mezzi pesce, bisogna dire che la possibilità è remota perché rappresenterebbe un assurdo biologico; infatti, a cosa servirebbero le braccia umane in quell’ambiente? E le orecchie fatte per udire suoni in aria e non in acqua? E gli occhi grandi ed umani, fatti per vedere fuori dall’acqua? E che dire dei lunghi capelli, fatti per proteggere il cranio dall’aria fredda e quindi inutili in acqua, dove invece sarebbe molto più utile uno strato di grasso, tipo quello che hanno le foche? I denti umani poi sono poco efficienti, anzi inutili, a fini predatori. Insomma, direi che la sirena, così come popolarmente rappresentata (nella sua variante marina) ha o ha avuto molte poche probabilità di esistere nella realtà fisica.
    Tuttavia secondo me ci sono delle attenuanti; il corpo umano infatti è molto goffo e poco adatto anche nell’ambiente terrestre, paragonato a quello di tutti gli altri animali; le nostre due gambe sono molto poco efficienti come mezzo di locomozione paragonate a quelle di un quadrupede. Un leone, un ghepardo, un leopardo e molti altri animali ci raggiungerebbero senza alcuno sforzo; perfino il meccanismo di salto in lungo del canguro è molto più efficiente ed efficace della corsa umana. I denti umani fanno ridere, ai fini predatori. Le braccia sono deboli, siamo privi di armi naturali, non abbiamo zanne, artigli, speroni, corna, veleno, niente.
    Ma dominiamo il pianeta grazie alla nostra superiore intelligenza e, per chi ci crede, al nostro spirito.
    Un ipotetico essere sirenide potrebbe sopravvivere nel difficile ambiente marino solo se fosse dotato di un’intelligenza paragonabile a quella umana. Ma come la estrinsecherebbe? Noi abbiamo sviluppato un’estesa tecnologia che ci permette di dominare il mondo, ma questo oggi. Per quanto riguarda il passato vari miti alludono ad un’età dell’oro in cui l’uomo era in armonia con l’ambiente senza esserne sopraffatto ed apparentemente senza tecnologia; in quest’ultimo caso bisognerebbe ammettere la possibilità che l’uomo abbia in sé dei poteri psichici di dominio sul mondo, un po’ come le tigri che non sbranano i monaci in meditazione nella foresta o come il lupo di Gubbio che, anziché scappare o aggredire, si fa avvicinare e addirittura toccare (un animale selvatico non lo permette) come se fosse un cane da San Francesco . Quindi ipotetici esseri sirenidi per poter sopravvivere ai grossi predatori marini dovrebbero o aver sviluppato un certo grado di tecnologia, come ripari artificiali, per esempio, oppure essere dotati di poteri di dominio e controllo psichico sugli animali marini, cosa che si adatterebbe bene ai supposti poteri psichici che i miti riportano in merito alle sirene. Per quanto riguarda il cibo, in un ambiente marino i denti umani non permetterebbero grandi cose, né si potrebbe utilizzare il fuoco per cuocere; bisogna ipotizzare o un certo livello di tecnologia, oppure la capacità di nutrirsi di plancton oppure vegetali marini. In ogni caso, al di là della forma esteriore, bisognerebbe ipotizzare importanti mutazioni interne, per esempio nella capacità di assorbire ossigeno dall’acqua, di proteggere le orecchie dalla pressione, di utilizzare le orecchie e gli occhi anche sotto acqua, di digerire il cibo crudo etc. Un ipotetico essere del genere poi sarebbe portato naturalmente per una vita anfibia, tipo quella delle foche, dei leoni di mare, lamantini, dugonghi et similia.
    Insomma, tutte cose molto poco probabili, a meno di non ammettere che, partendo da un modello terrestre, in un passato molto remoto sia sopravvenuta la necessità di sfruttare l’ambiente marino per qualche ragione e quindi la necessità di mutazioni di questo tipo; oppure di mutazioni artificialmente indotte nell’uomo in un passato lontano.
    Tutto questo se di vuole tenere ferma la buona fede dei racconti passati relativi agli avvistamenti di sirene e si vuole allo stesso tempo escludere l’errore; i racconti che riportano descrizioni del volto della sirena come umano, con commenti sulla grandezza del naso, degli occhi, sul colore dei capelli non propendono per l’errore: non si può scambiare il brutto muso di un dugongo, detto anche maiale di mare, con quello di una bella donna. Quindi i testimoni o mentivano, sapendo di mentire, oppure hanno visto qualcosa. L’errore è possibile se si vede la coda di un dugongo, lamantino, foca etc, ma non il muso. Se si tiene ferma la buona fede e se si esclude l’errore, allora non resta che ammettere (in passato) l’esistenza fisica di questi esseri, ma poco probabile, oppure, più probabilmente, ammettere che in certe condizioni la mente umana possa percepire altri gradi di realtà, per cui la fantasia umana possa funzionare in certe condizioni non come uno strumento che rappresenta pensieri e desideri interni all’uomo, ma come uno strumento di conoscenza verso il mondo esterno, permettendo la rappresentazione simbolica di esseri non fisici ma reali. Nella natura pura ed incontaminata del passato o, in tempi più moderni, nella natura pura ed incontaminata del nuovo mondo che si apriva di fronte agli occhi dei primi esploratori europei, forse questo era ancora possibile.

  3. #23
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    Predefinito Re: Le sirene tra archetipo e mito

    Lamantini o sirene?

    I grossi erbivori che hanno dato vita a numerose leggende sulle sirene sono oggi a rischio di estinzione


    Lang Kanai

    È il periodo dell'anno in cui lamantini, i lenti mammiferi acquatici della costa sud-orientale del Nord America, iniziano a migrare verso meridione per raggiungere acque più calde.

    Spesso, però, questi grossi animali appartenenti al genere Trichechus si trovano in difficoltà: in Florida molti di loro vengono uccisi dalle collisioni con le barche. In America è stato quindi stabilito che novembre è il mese del lamantino. Il governatore della Florida Rick Scott ha emesso un bando per salvaguardare il mammifero più rappresentativo dello stato, detto anche mucca del mare o pesce bue, "una risorsa naturale caratteristica, preziosa e amata".

    L'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) elenca il lamantino americano, noto anche come lamantino delle Indie Occidentali, tra le specie vulnerabili: oggi ne esistono appena 10.000 esemplari. L'associazione "Save the Manatee" stima che in Florida la popolazione di lamantini conti 4.831 indvidui.

    Il lamantino fa parte dei sirenidi, un ordine di mammiferi acquatici che comprende tre specie di lamantini e il loro cugino dell'Oceano Pacifico, il dugongo. Grandi erbivori marini, i sirenidi sono anche ricordati come le creature che hanno a lungo alimentato in numerose culture miti e leggende sulle sirene. Ecco alcune delle storie più affascinanti.


    "I loro volti avevano tratti maschili"

    Cristoforo Colombo, nel suo primo viaggio verso le Americhe, intravide tre "sirene" davanti alla prua della propria nave; scrisse nel suo diario: "Quando l'ammiraglio è andato a Rio del Oro [Haiti], ha detto di aver visto distintamente tre sirene, che sono balzate fuori dal mare; ma non erano belle come si racconta, perché i loro volti avevano alcuni tratti maschili".

    Lamantini e dugonghi sono in grado di emergere come le attraenti sirene del mito greco, sollevandosi sulla coda nelle acque poco profonde. Grazie agli arti anteriori che contengono cinque serie di ossa simili a dita, e alle vertebre del collo che permettono loro di girare la testa, da lontano i lamantini possono essere scambiati per esseri umani.

    Dopo la spedizione di Colombo, in Europa venne pubblicizzata la scoperta dal Nuovo Mondo. Ecco come venne descritta una sirena in un resoconto pubblicato dall'England's Magazine of Natural History: "Poco tempo fa, lo scheletro di una cosiddetta sirena trovato in prossimità dell'isola di Mombass è stato portato a Portsmouth. Quando si è rivelato essere un dugongo, è stato presentato ai membri della Società Filosofica... Se ricordo bene, era lungo circa sei metri: la vertebre dorsali inferiori, con l'ampia estremità caudale, hanno suggerito l'idea di una coda potente come quella dei pesci, mentre le zampe anteriori, dalla scapola all'estremità delle falangi, a un occhio inesperto potevano sembrare ossa del braccio di una piccola donna".


    Signora del mare

    A migliaia di chilometri dai mari solcati da Colombo, il dugongo ha alimentato leggende per secoli. Nel 1959, sono stati scoperti all'interno della Grotta di Tambun, in Malaysia, alcuni disegni rupestri di 3.000 anni fa raffiguranti dugonghi, che in lingua Malay significa "signore del mare".

    A Palau, una nazione del Pacifico che si estende su 340 isole, il dugongo ha un ruolo centrale nelle cerimonie tradizionali. Ancora oggi sopravvivono leggende di giovani donne trasformate in questi docili mammiferi, mentre intagli su legno mostrano dugonghi che aiutano pescatori caduti in mare.

    Olympia E. Morei, direttrice del Museo Nazionale Belau, dice che "i palauani rispettato il loro ambiente e tutti gli esseri viventi: alberi, piante, animali e uccelli. Secondo la leggenda, i dugonghi una volta erano esseri umani".

    Secondo la IUCN anche il dugongo è rischio di estinzione. Il numero di esemplari rimasti non è noto, ma, secondo il Dugong Awareness Project dell'Etpison Museum, ogni anno a Palau vengono uccisi fino a 15 animali per scopi alimentari. "Se il dugongo dovesse estinguersi a Palau, noi, come popolo, perderemmo il legame con il nostro ambiente e con la nostra tradizione", dice Morei.

    Se non si intraprenderanno azioni decise per salvarle, le gentili creature che hanno ispirato i miti delle sirene diventeranno a loro volta soltanto una leggenda.

    Lamantini o sirene? - National Geographic
    "Tante aurore devono ancora splendere" (Ṛgveda)

  4. #24
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    Predefinito Re: Le sirene tra archetipo e mito

    La morte delle sirene


    Nell'Odissea non c'è alcun accenno alla sorte delle Sirene dopo che Ulisse riesce a superare l'insidioso ostacolo. Analogamente, in Apollonio Rodio (Argonautiche 4, 891-919) gli Argonauti passano indenni accanto agli scogli delle Sirene, grazie al canto di Orfeo. Il suicidio delle Sirene è invece descritto nelle Argonautiche orfiche, elaborazione poetica tarda, di autore sconosciuto.

    E dunque, mentre io cantavo con la cetra, le Sirene, dalla cima dello scoglio,
    rimasero attonite, poi misero fine al loro canto.
    Quindi con le loro mani una gettò in mare i legni dell'aulo,
    un'altra la lira. Gemevano in maniera disperata,
    perché giungeva il giorno fatale della morte.
    Dall'alto della loro roccia cava si lanciarono nell'abisso
    e nel frastuono del mare, e trasformarono in rocce
    i loro corpi e la tracotante bellezza.


    Anche Erodiano (De prosodia catholica) aveva raccontato la morte delle Sirene, ma in un contesto del tutto diverso: dopo la gara di canto con le Muse, non potendo sopportare l'onta della sconfitta, si strapparono le ali, diventarono bianche e si buttarono in mare. L'attestazione letteraria più antica, è rappresentata dall'Alessandra di Licofrone o, per essere più precisi, dalla fonte seguita da Lìcofrone nell'episodio delle Sirene: la profezia di Cassandra.







    Luigi Spina


    BIOGRAFIE DI SIRENE: LA MORTE

    Morire di mito



    Erodiano aveva raccontato dell'insopportabilità della sconfitta, da parte delle Sirene, dopo la gara di canto con le Muse; Orfeo autobiografo – così abbiamo chiamato per comodità referenziale l'autore delle Argonautiche orfiche - le aveva viste buttarsi in mare dopo il passaggio della nave Argo. Orfeo aveva annotato: «Gemevano in maniera disperata, perché giungeva il giorno fatale della morte». La spiegazione di quel giorno fatale coinvolgerà ora anche Odisseo, introducendo un terzo polo nel destino di morte delle Sirene. Non c'è dubbio che il richiamo al fato, per quanto generico, presupporrebbe, formulato in quel contesto, un destino già annunziato. Anche se Orfeo non dice molto di più, sembra di capire che le Sirene avevano riconosciuto in quell'evento - Orfeo che riesce a prevalere col canto, la nave che passa indenne - proprio il segno del loro destino già decretato. Un racconto di questo tipo c'è, infatti; solo che l'evento cui si riferisce la profezia è un altro passaggio indenne, quello di Odisseo. […]


    Una morte annunciata
    Odisseo era riuscito a passare oltre, applicando lo stratagemma suggerito da Circe. C'era, però, una profezia (lógion), secondo la quale le Sirene sarebbero morte (teleutésaì) se una nave fosse riuscita a passare: e dunque era arrivata la loro fine (eteleúton). Anche Igino conosceva la storia della profezia, inserita ancora una volta all'interno delle avventure di Odisseo, e la raccontava quasi con le stesse parole; solo, in un'altra lingua: fatum delle Sirene era di poter vivere fino a quando un mortale, pur ascoltando il loro canto, non fosse riuscito a passare oltre (praetervectus esset). Vi riuscì Ulisse, che passò oltre (praetervectus est), grazie allo stratagemma suggerito da Circe. [1] Colpisce, nell'uniformità dei due mitografi, quella sorta di precisione lessicale con cui entrambi sembrano voler quasi riprodurre il testo della profezia - ripetendone la parola chiave -, cosi da farla coincidere poi con l'evento realizzato. Si noterà, però, che per Apollodoro la parola chiave è quella che segnala l'esito tragico: dovevano morire, e morirono; Igino, invece, sottolinea lo scarto dal consueto, il segno rispetto al quale il destino deve compiersi: se qualcuno fosse passato oltre..., e Ulisse passò oltre. Odisseo, non Orfeo, è, dunque, l'uomo del fato [2], l'eroe che provoca la morte delle Sirene. […]




    Python, Odisseo e le Sirene, Phyton, cratere a figure rosse
    da Paestum (450-425 a.C. circa)


    Cosi, d'altra parte, recitava anche una profezia di Cassandra. La ricostruisce Licofrone, un poeta alessandrino sperimentale e misterioso. Il poemetto, l'Alessandra, è lungo quasi 1500 versi. L'invenzione narrativa è sofisticata: un messaggero racconta a Priamo, padre di Alessandra/Cassandra, la lunga profezia della figlia. C'è tutto, dalla fine della guerra di Troia ai ritorni degli eroi, dalla fondazione delle colonie italiche fino ai conflitti tra Asia ed Europa: un avvenire nascosto fra enigmatiche allusioni, epiteti dotti, riferimenti storici. A metà della lunga profezia, accanto al nome di Odisseo, una visione inequivocabile [3].

    Ucciderà (kteneì) poi le tre figlie del figlio di Teti,
    che improntavano il loro canto alla voce melodiosa della madre:
    verranno giù dall'alto scoglio con un salto suicida
    e con le ali s'immergeranno nel mare Tirreno,
    dove le trascinerà l'amaro filare del fato.

    Le tre Sirene saranno poi sballottate dai flutti e finiranno in tre località diverse della costa tirrenica, dove saranno onorate con culti particolari.


    Si muore solo due volte
    I racconti sulla morte delle Sirene, se proviamo a farne una classificazione, prendono almeno tre strade divergenti. Ce n'è uno che presenta forti caratteri eziologici e regionali: comprende la gara con le Muse, la localizzazione presso l'insediamento poi battezzato Aptera, il mitema fondante dello spennamento, preludio al suicidio con la conseguente trasformazione in rocce dinanzi alle coste cretesi. Questo racconto prescinde dalle Sirene di Omero e di Apollonio Rodio, dalla loro localizzazione geografica, dal loro incontro con Odisseo o con Orfeo; ed è, soprattutto, incompatibile con le Argonautiche orfiche. Tutt'al più potremmo sottolineare un elemento in comune con quello che abbiamo chiamato il racconto autobiografico di Orfeo: la metamorfosi in rocce. C'è, invece, un notevole contrasto motivazionale tra questo suicidio e quello conseguente al passaggio indenne di una nave, sia esso di Orfeo o di Odisseo: la vergogna per la spennatura da parte delle Muse non ha certo la drammatica nobiltà del tragico rifiuto della vita per aver visto vanificata una prerogativa essenziale della propria identità. Le Sirene di Aptera lasciano, invece, il ricordo della stizzita autopunizione per una arroganza mal riposta.

    Gli altri due racconti della morte, il suicidio dopo il passaggio di Orfeo, il suicidio dopo il passaggio di Odisseo, sono alternativi al precedente cosi come lo sono fra di loro, per il motivo che abbiamo già chiarito: anteriorità relativa della saga degli Argonauti, ma priorità letteraria dell'Odissea. Nascono, evidentemente, solo dopo i poemi di Omero e di Apollonio Rodio, nei quali, infatti, le Sirene non muoiono. La soluzione proposta dal poeta delle Argonautiche orfiche è l'unica coerente e consonante col mondo dell'erudizione mitografica, anche se, nello stesso tempo, taglia fuori le Sirene dal percorso odissiaco, in quanto già trasformate in pietra dopo il passaggio della nave Argo; d'altra parte, dobbiamo convenire che la presenza di quel tipo di profezia sulla morte delle Sirene - la morte dopo il passaggio indenne di una nave - poteva candidare a realizzarla solo la nave degli Argonauti, il primo equipaggio che aveva resistito al fascino del canto. Eppure, questo racconto convive pacificamente con gli altri, nessun mitografo o poeta smentisce decisamente l'altro nel momento in cui formula la propria versione: la ricchezza del mito si riconferma come dovuta proprio alle diverse possibilità di accadere di un qualsiasi evento, alle diverse possibilità di essere di un qualsiasi personaggio.



    NOTE

    [1] Igino, Fabula 125, 13.
    [2] Nella breve fabula 141 di Igino, dedicata esclusivamente alle Sirene, dalla nascita (figlie di Acheloo e di Melpomene) alla morte, viene ripetuto lo stesso responsum, secondo il quale Ulisse diventa, appunto, fatalis (141, 2).
    [3] Licofrone, Alessandra 712-16. I versi successivi riguardano il capitolo importante del culto post mortem delle Sirene, collegato soprattutto alla localizzazione tirrenica. Le Sirene appaiono anche in altre parti dell'opera.

    Il Mito delle Sirene, Maurizio Bettini e Luigi Spina (Einaudi, pag. 87 e seguenti)

  5. #25
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    Predefinito Re: Le sirene tra archetipo e mito

    Sulla morte delle Sirene non esistono solo racconti verbali. Uno stámnos attico a figure rosse, trovato a Vulci, e datato circa 475-460 a. C, opera del cosiddetto Pittore delle Sirene, sembra immortalare il suicidio delle Sirene.



    Pittore delle sirene, stámnos attico a figure rosse (particolare) - 480-470 a. C. circa
    British Museum



    Sono esseri ibridi, con testa di donna e corpo di uccello fornito di ali. Sono in numero di tre, ma si potrebbe ipotizzare - come è stato fatto - che la Sirena di destra, simmetrica a quella di sinistra, entrambe appoggiate su scogli o rocce, sia duplicata nella Sirena centrale, dipinta nell'atto di tuffarsi. Una raffigurazione narrativa, cioè, in cui sarebbero riprodotte due fasi temporalmente diverse. Ovviamente, questa ipotesi nasce solo dal rispetto per la presenza di due sole Sirene nel testo dell'Odissea. In caso contrario, le Sirene sarebbero tre, colte in due atteggiamenti diversi: le due laterali, in posizione vigile, forse ancora intente al canto; quella centrale, che sembra avere ancora la bocca aperta per il canto, ha però gli occhi chiusi e si getta a capofitto sulla nave o, forse con diversa prospettiva, in mare, col gesto tipico dei suicidi.

    La nave di Odisseo, con la vela raccolta e fornita di un occhio apotropaico, si muove verso destra. L'eroe è nudo, legato all'albero, ma con la testa rivolta verso l'alto, in direzione della fonte del canto; i quattro marinai e il pilota timoniere, che li incita con un gesto deciso, mostrano chiaramente di non essere coinvolti dal canto, ma neanche dalla vista delle Sirene. In ogni caso, il tratto iconografico serve a differenziare Odisseo dai suoi compagni. Se, com'è probabile, questo vaso testimonia la diffusione, già a metà del v secolo a. C, del mitema relativo alla morte delle Sirene in seguito al passaggio della nave di Odisseo, possiamo ipotizzare che il particolare della profezia sia nato in ambiente erudito solo più tardi, e successivamente al poema di Apollonio Rodio, magari per influenza della struttura dell'Alessandra di Licofrone, tutta incentrata sulla comunicazione profetica.

  6. #26
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    Predefinito Re: Riferimento: Le sirene tra archetipo e mito

    Citazione Originariamente Scritto da Eric Draven Visualizza Messaggio
    San Bernardo di Clairvaux così si esprime: ”La donna è lo strumento di Satana. Questa ti incanta con allettamenti mondani e ti indica la scorciatoia del diavolo… È simile alla sirena marina; bellissima, dall’ombelico in su ha l’aspetto di una vergine formosa; dall’ombelico in giù è simile ad un pesce… canta dolcemente. Come la sirena inganna i marinai con dolci melodie, così la donna che vive nel mondo, con i suoi inganni trascina alla perdizione i servi di Cristo.”

    passano i secoli,ma la tendenza a demonizzare la sensualità della donna resta....:234:
    Le affermazioni di San Bernardo di Clairvaux vanno interpretate quali non oggettive, cioè non essendo le donne in sé stesse occasione di peccato, inoltre vanno considerate riferite a uno scontro sociale tra un certo mondo femminile, appunto anticristiano, ed il cristianesimo.

    MAURO PASTORE

  7. #27
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    Predefinito Re: Riferimento: Le sirene tra archetipo e mito

    Citazione Originariamente Scritto da PhyroSphera Visualizza Messaggio
    Le affermazioni di San Bernardo di Clairvaux vanno interpretate quali non oggettive, cioè non essendo le donne in sé stesse occasione di peccato, inoltre vanno considerate riferite a uno scontro sociale tra un certo mondo femminile, appunto anticristiano, ed il cristianesimo.

    MAURO PASTORE
    Vanno interpretate? Tutte scuse, questo il cristianesimo e spesso, come ora, si adegua come i camaleonti. Cosa vuoi interpretare, ma cosa scrivi?

 

 
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