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    Exclamation Comunicato del CPE sulle “rivolte in Cina”

    07.07.2009 - Comunicato del CPE sulle “rivolte in Cina”

    di CPE - Coordinamento Progetto Eurasia.

    La posizione del CPE sulle "rivolte uigure" nella regione nord-occidentale cinese dello Xinjiang.



    Mentre prosegue la visita del presidente cinese Hu Jintao in Italia, giungono - puntuali come una bomba ad orologeria - le notizie di gravi tumulti nella regione nord-occidentale dello Xinjiang, dove elementi dell’etnia uigura, di religione musulmana, si sono sollevati contro il governo della Repubblica Popolare e i cinesi di etnia han, maggioranza nel resto del Paese e ben rappresentati nella stessa regione. Il CPE esprime solidarietà al governo della R.P.C., vittima di quella che, usando un ossimoro caro al «neocon» americano Michael Ledeen, potremmo definire «distruzione creativa», ovvero una vera e propria manovra sovversiva eterodiretta, ai danni di uno Stato sovrano, come si è recentemente visto in Iran.


    Il CPE inoltre denuncia come l'evidente disegno eversivo in atto per mano degli Stati Uniti, che attraverso la strategia delineata da Zbigniew Brzezinski mirano a destabilizzare e frammentare il pianeta, è il frutto di un lavoro sotterraneo in atto ormai da anni in vista di un’azione di disturbo e pressione verso la Cina, la Russia, l’India ed alcuni governi dell’America indiolatina (vedasi, in questi giorni, l’Honduras). A parere del CPE, infatti, proprio in tale ottica si possono efficacemente interpretare alcune situazioni critiche poste, con particolare enfasi, all’attenzione della pubblica opinione occidentale dai principali organi di informazione, come le cosiddette questioni della minoranza del popolo Karen e della «rivolta» color zafferano nel Myanmar, la destabilizzazione del Pakistan, il mantenimento di una crisi endemica nella regione afgana e, in ultimo, le questioni del Tibet (esplosa anche questa ‘casualmente’ in contemporanea con le Olimpiadi, per darle ancor maggiore risalto mediatico) e della minoranza uigura nella Repubblica Popolare Cinese oggetto di questo comunicato.


    Strumentalizzando le tensioni locali di alcune aree geostrategiche, gli USA, insieme ai loro alleati occidentali, hanno avviato un processo di destabilizzazione - di lungo periodo - dell’intero arco himalayano, vera e propria cerniera continentale, che coinvolgerà otto paesi dello spazio eurasiatico (Nepal, Pakistan, Afghanistan, Myanmar, Bangladesh, Tibet, Bhutan, India). Il CPE considera a questo punto intollerabile un tale stato di cose e auspica che le nazioni eurasiatiche e dell'America indiolatina si uniscano per mettere fine una volta per tutte alle manovre sovversive statunitensi e sioniste.


    Per quanto riguarda il caso specifico dello Xinjiang, è bene sapere che i principali gruppi che si battono per la “libertà del popolo uiguro” sono basati in Occidente, lo stesso Occidente che è sordo, muto e cieco di fronte alla tragedia del popolo palestinese e che considera «terrorista» il suo legittimo governo espresso da libere e regolari consultazioni elettorali. Inoltre, è da rilevare che l'islamofobia, uno strumento propagandistico che abbiamo visto utilizzare a piene mani in questi anni, questa volta finisce in soffitta perché stavolta è più importante insidiare la Cina, per cui, come si è già visto in Cecenia (o in un recente passato, quando gli afgani anti-russi erano i “combattenti per la libertà”), anche degli insorti musulmani rappresentano una “giusta causa” pur di raggiungere lo scopo della sovversione e della destabilizzazione di una potenza del calibro della Cina. Si invitano dunque i musulmani a non cadere in questa trappola e a non prendere le parti, per partigianeria, di questa “causa” solo perché gli uiguri sono musulmani.


    Sta dunque emergendo la nuova «strategia del caos» che il «serpente» Obama sta attuando per isolare l'Iran, chiedendo esplicitamente aiuto in questo a Medvedev e alla Cina (usando anche qualche valletto di lungo corso della politica italiana). Non vanno perciò sottovalutati i pericolosi colpi di coda dell'imperialismo statunitense che mirano, a parere del CPE, ad inasprire la pressione, compresa quella di tipo armato, sull’Iran, chiave di volta degli equilibri eurasiatici e per questo oggetto d’una ossessiva campagna diffamatoria in occasione delle recenti elezioni presidenziali. Sola ricetta, quindi, per invertire il precipitare degli eventi è quella delle integrazioni continentali, auspicata dalle maggiori Potenze eurasiatiche e da alcuni governi del subcontinente indiolatino. Che l'Europa si risvegli e ritrovi il suo posto in mezzo a queste nazioni desiderose di cambiamento. Altrimenti vincerà la strategia del caos e della frammentazione del Pianeta, perseguita dagli USA e dal sionismo.



    Coordinamento Progetto Eurasia
    www.cpeurasia.org

  2. #2
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    Predefinito Riferimento: Comunicato del CPE sulle “rivolte in Cina”

    Quella spina islamica nel fianco di Pechino
    di FEDERICO RAMPINI

    LA REGIONE dello Xinjiang è in fiamme. E il presidente cinese Hu Jintao decide all'improvviso di tornare a Pechino, abbandonando i lavori del G8 in programma a L'Aquila proprio alla vigilia dell'apertura. Hu Jintao deve rientrare in Cina perché la situazione nella provincia dove divampa la rivolta degli uiguri è diventata critica.

    Dopo la strage compiuta dalle forze dell'ordine, con i 156 morti di domenica, ieri nella provincia dello Xinjiang è scattata la "caccia al musulmano". Per vendicarsi contro gli attacchi degli uiguri - la popolazione locale di religione islamica - centinaia di cinesi etnici (gli han), sono scesi in piazza armati di bastoni e machete. A Urumqi, il "ghetto islamico" dove il ceppo originario della popolazione turcomanna ora in stato di assedio, i protagonisti della spedizione punitiva sono stati a stento trattenuti dalla polizia. La rabbiosa manifestazione ha dato un assaggio di quel che potrebbe accadere se lo Xinjiang si trasformasse in un campo di battaglia tra le due etnie. I cinesi marciavano cantando l'inno nazionale, un'esibizione di orgoglio raramente così visibile nelle provincie periferiche, dove la supremazia cinese è già ben rappresentata dall'autorità politica. Per riprendere il controllo di Urumqi il governo locale ha decretato il coprifuoco, ogni giorno dalle 9 di sera alle 8 del mattino. In precedenza duecento donne uigure erano scese in strada per chiedere notizie dei congiunti, arrestati dopo i moti di domenica. Nelle retate sarebbero scomparse più di 1.500 persone.

    È un salto di pericolosità la manifestazione di ieri, quelle centinaia di cinesi decisi a farsi giustizia. Una mobilitazione che può degenerare in guerra civile. A Urumqi i rapporti numerici sono già in favore degli han. Grazie alla massiccia immigrazione degli ultimi anni ormai l'etnìa turcomanna è solo il 30% nella capitale provinciale (2,5 milioni di abitanti). È proprio questa una causa dell'esasperazione degli uiguri. Attraverso l'immigrazione la Repubblica Popolare li diluisce fino a emarginarli. Una "provincia autonoma" che per Pechino ha valore strategico. Lo Xinjiang è grande 5 volte l'Italia. Nel sottosuolo è custodito un quarto del gas e petrolio cinese, il 40% di tutto il carbone.

    Colpisce la differenza con quanto accaduto in Tibet nel marzo del 2008. Dopo quella rivolta anti-cinese gli han di Lhasa non scesero in piazza, a riprendere il controllo della città furono i corpi paramilitari. La reazione degli han a Urumqi ha diverse spiegazioni: il carattere ancora più radicale della contrapposizione con i musulmani, che non hanno un leader pacifista come il Dalai Lama; la superiorità numerica ancora più schiacciante degli han a Urumqi. Anche il governo di Pechino ha svolto un ruolo, con l'uso delle immagini della rivolta da parte dei mass media. L'anno scorso sui moti di Lhasa all'inizio ci fu imbarazzo, solo lentamente filtrarono notizie sulle morti di alcuni cinesi. A Urumqi invece la tv di Stato ha diffuso subito immagini terribili, di cinesi coperti di sangue, alimentando la sete di vendetta.

    In tutto lo Xinjiang cinesi e musulmani vivono in mondi a tenuta stagna. L'apartheid è visibile nella geografia dei quartieri: i centri sono islamici, le periferie moderne sono cinesi. Le comunità convivono fra diffidenze reciproche, razzismi, diseguaglianze socio-economiche stridenti. Il governo di Pechino nega perfino che il separatismo abbia un fondamento storico. Secondo la storia raccontata dai cinesi, l'imperatore Wudi spinse il suo dominio sulla regione già nel secondo secolo prima di Cristo, per le spedizioni lungo la Via della Seta verso i regni di Samarcanda e Bucchara, l'India e la Persia. In realtà lo Xinjiang - che gli uiguri continuano a chiamare Turkestan orientale - ha alternato secoli di indipendenza sotto khanati buddisti o islamici, periodi di sottomissione ai mongoli o al Tibet, all'impero ottomano o alla Cina. L'ultima indipendenza, goduta a sprazzi negli anni Trenta e Quaranta, fu conquistata da un movimento pan-turco. Dopo l'annessione alla Cina le turbolenze sono state costanti. Nel 1986 lo Xinjiang fu il teatro della prima e unica protesta anti-nucleare della Cina, una manifestazione contro i test delle bombe atomiche nel deserto di Lop Nor. L'anno scorso diversi attentati sono avvenuti poco prima delle Olimpiadi. Rebiya Kadeer, nota imprenditrice locale, vive da esule politica negli Stati Uniti ed è la portavoce più celebre della causa degli uiguri. La metà dei detenuti nei campi di lavoro dello Xinjiang, denuncia la Kadeer, sono stati condannati per le loro pratiche religiose.

    Il governo sperimenta da anni nello Xinjiang la stessa "cura" del Tibet: diluire l'identità locale portando modernizzazione, ricchezze e tecnologie. Lo sviluppo è ben visibile nella parte moderna di Urumqi, i suoi frutti però arrivano solo in parte ai musulmani. "Per gli uiguri mancano le abitazioni - dice la Kadeer - mentre continuano a entrare immigranti dal resto della Cina". I lavori più qualificati finiscono ai giovani tecnici affluiti dal resto della Cina. È stata costruita una nuova linea ferroviaria per favorire l'immigrazione. Per gli han che accettano di trasferirsi, la vasta regione semidesertica ai confini dell'Asia centrale fino a ieri è stata la Nuova Frontiera del boom.
    (8 luglio 2009)
    I cinesi se la cercano: perchè colonizzare con milioni di han territori come il Tibet e lo Hinjiang che di cinese non hanno nulla? Credo che qualunque altro popolo si ribellerebbe.
    Bazooka!!!

  3. #3
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    Predefinito Riferimento: Comunicato del CPE sulle “rivolte in Cina”

    E quindi?

  4. #4
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    Predefinito Riferimento: Comunicato del CPE sulle “rivolte in Cina”

    Io solidarizzo con gli Iuguri. Hanno ragione perchè un popolo sano non può subire un' invasione così rapace e violenta, una distruzione livellatrice dei suoi modi sani di vita. Gli Iuguri sono una popolazione molto legata ai modi di vita ancestrali.
    La Cina tecnocapitalista, apprezzata dalla famiglia Rockefeller già quando era ancora comunista, pur in competizione con gli USA tenuti alle palle dalla Cina, non rappresenta una valida alternativa all' occidente, rappresenta invece una versione del modello occidentale più palesemente autoritaria. Per cui, i popoli tradizionali che si ribellano alla tirannia cinese si collocano sulla stessa trincea di quelli che combattono l' imperialismo anglo-statunitense e ebraico (finanziato con soldi cinesi).

  5. #5
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    Predefinito Riferimento: Comunicato del CPE sulle “rivolte in Cina”

    Citazione Originariamente Scritto da Avanguardia Visualizza Messaggio
    Io solidarizzo con gli Iuguri. Hanno ragione perchè un popolo sano non può subire un' invasione così rapace e violenta, una distruzione livellatrice dei suoi modi sani di vita. Gli Iuguri sono una popolazione molto legata ai modi di vita ancestrali.
    La Cina tecnocapitalista, apprezzata dalla famiglia Rockefeller già quando era ancora comunista, pur in competizione con gli USA tenuti alle palle dalla Cina, non rappresenta una valida alternativa all' occidente, rappresenta invece una versione del modello occidentale più palesemente autoritaria. Per cui, i popoli tradizionali che si ribellano alla tirannia cinese si collocano sulla stessa trincea di quelli che combattono l' imperialismo anglo-statunitense e ebraico (finanziato con soldi cinesi).
    Certo, credo che siamo per l'"autodeterminazione dei popoli";
    Ma il problema, a mio avviso, sta a monte: chi vuole la balcanizzazione del pianeta? Chi è che fomenta il narcisismo identitario delle comunità etniche? La Cina è una nazione che ha al proprio interno una forte componente di odio inter-etnico. Ma siamo certi che una formale indipendenza possa garantire pace e stabilità, anziché essere causa di ulteriori conflitti?
    Con tutta propbabilità, la frammentazione geopolitica del pianeta è la fase avanzata della mondializzazione, funzionale ad una strategia di dominio imperialista.
    Rispetto alla cinquantina di Stati esistenti nel 1945, oggi, credo superiamo i 200: quadruplicati in soli sessant'anni e poco più!

  6. #6
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    Predefinito Riferimento: Comunicato del CPE sulle “rivolte in Cina”

    riporto anche qui:

    http://www.youtube.com/watch?v=n1ZdecQGTVg
    questa è la prima parte (di due) di un intervista a Webster Tarpley di poco precedente l'elezione di Obama... verso la fine cita chiaramente gli Iuguri e il piano di Brzezinsky di far scatenare una rivolta contro il potere centrale.
    :gluglu::gluglu::gluglu:

  7. #7
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    Bisogna dividere i due piani: da una parte c'è sicuramente uno scontro etnico durissimo tra una maggioranza Han e una minoranza Huguri, probabilmente sobillata dall'esterno, e repressa duramente dal governo cinese. Difficile, quasi impossibile, dire chi tra i due "è pi... Visualizza altroù giusto" dell'altro. Entrambe le etnie non stanno avendo un comportamento "imperiale". Dal potere centrale cinese dovremmo aspettarci, da un punto di vista etico, di più, non lo nascondo. Se davvero punta a diventare quel potere "imperial-maoista-confuciano", quindi intrinsecamente eurasiatista, deve necessariamente ripensare ai rapporti interni con le minoranze (eguale discorso vale per il Myanmar, ad esempio).
    Ma questo è un discorso etico. Tutt'altro discorso è quello geopolitico! La geopolitica è pragmatismo, in alcuni casi anche cinismo. Una massima dice: "Fare un piccolo male per eliminarne uno più grande". Noi eurasiatisti siamo tutt'altro che omologatori, amiamo fino alla più minima e insignificante minoranza
    etnica, culturale e religiosa presente sul continente euroasiatico.
    Ma siamo in uno scontro che non da spazio a moralismi, romanticismi o sofismi. Lo scontro è tra una visione Unipolare e una Multipolare, tra la globalizzazione americanocentrica e l'Universalit... Visualizza altroà euroasiatica.
    La Cina rappresenta oggi una possibilità. Così come l'India, il Pakistan, la Russia, l'Iran. Probabilmente nessuna tra queste potenze rappresenta un "modello" di civiltà (personalmente ritengo tale solo l'Iran, ma "a pelle"), ma sono tutti possibili "centri" per uno sviluppo multipolare.
    L'Eurasia non sarà HuJintao, Putin o Zardari. Ma se Eurasia sarà, sarà perchè, oggi, Cina, Russia, Iran, ecc..hanno la possibilità di scardinare il sistema mondialista semplicemente applicando alla politica estera le necessità di stati sovrani e geopoliticamente di cooperazione.
    Questa è una "fase di passaggio", se così si può chiamare.

  8. #8
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  9. #9
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    Predefinito Riferimento: Comunicato del CPE sulle “rivolte in Cina”

    Did China finance the Iraq war?

    By United Fools in United Fools' Diary
    Sun Jan 06, 2008 at 051:11 PM EST
    Tags: war crime, Iraq (all tags)
    According to this article, the cost of the Iraq war is mostly paid by the Chinese. Since the invasion of Iraq, China clearly has received the most benefit from the international environment resulted from the war, not to mention becoming the largest debt holder of the US. So is the Chinese ultimately behind the invasion and responsible for starting the war and killing Saddam?

    http://www.washingtonpost.com/wp-dyn...404308_pf.html

  10. #10
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    La Cina tecnocapitalista, apprezzata dalla famiglia Rockefeller già quando era ancora comunista, pur in competizione con gli USA tenuti alle palle dalla Cina, non rappresenta una valida alternativa all' occidente, rappresenta invece una versione del modello occidentale più palesemente autoritaria. Per cui, i popoli tradizionali che si ribellano alla tirannia cinese si collocano sulla stessa trincea di quelli che combattono l' imperialismo anglo-statunitense e ebraico (finanziato con soldi cinesi).
    Non farti ingannare,le rivolte degli uiguri,come quelle dei tibetani,dei ceceni e dei karen,per quanto
    sacrosante non vanno sostenute.
    Dietro di loro ci sono gli americani e sionisti,anche i tibetani sono più tradizionali rispetto ai cinesi ma
    poi vedi il dalai merda con Bush



    con il golem Alemanno e coi massacratori sionisti
    e capisci che popoli a parte,la loro lotta tanto pulita non è



    Sugli uiguri ho ancora poco,ma qualcosa salterà fuori vedrai,sui karen basti sapere che tutte le loro associazioni sono negli USA(senza contare che chi gli passa le armi sono loro),sui ceceni infine sono sostenuti dai radicali.

 

 
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