Le Nuove Brigate Rosse del Partito comunista politico-militare volevano "colpire l'assetto democratico" del Paese e avevano scelto come "obiettivo" un "uomo di cerniera riformista", il giuslavorista Pietro Ichino, come facevano le vecchie Brigate Rosse. Hanno agito dunque con "metodo e finalità terroristiche" e vanno condannati, "tutti e dodici", a pene fino a 14 anni e un mese di carcere. Proprio mentre il sostituto procuratore generale milanese Laura Barbaini portava avanti la ricostruzione nella sua requisitoria, Alfredo Davanzo, presunto ideologo del gruppo, rifiutava dalla gabbia la definizione di terrorista. "Noi non siamo terroristi, non ammazziamo i bambini come a Brindisi", ha esclamato.
Davanzo però nella scorsa udienza, assieme ad altri due imputati, Claudio Latino e Vincenzo Sisi, aveva incitato alla violenza e all'uso delle "armi" comestrada per la "rivoluzione". Nella stessa udienza aveva risposto a un cronista che gli chiedeva della gambizzazione di Roberto Adinolfi sostenendo che "è il momento buono per la rivoluzione". Davanzo e Sisi, considerato il leader del nucleo torinese, avevano poi revocato come "gesto politico" il mandato al loro legale, Giuseppe Pelazza. Per questo la Corte d'assise d'appello (che ha ricevuto un altro 'documento politico' da un imputato) ne ha dovuti nominare due d'ufficio. Uno di loro, un'avvocatessa di trent'anni, ha rinunciato però a difendere Davanzo per timore della sua incolumità
psicofisica.
Al suo posto è stato nominato l'avvocato Massimiliano Meda. "Io sono tranquillo - ha detto Meda - è mio dovere difenderlo". Difesa confermata anche da Emanuele Di Salvo, avvocato d'ufficio di Sisi ("mi è stato insegnato di difendere gli imputati"). Il quale, però, non appena ha cominciato a parlare è stato attaccato. Dalle gabbie Davanzo e Sisi lo hanno interrotto gridando "lotta armata per la rivoluzione" per dimostrare ancora che non vogliono essere difesi. Tanto che il presidente della Corte li ha fatti allontanare dall'aula.
Poco prima sempre Davanzo dialogava dalla gabbia con Meda dicendogli: "Non vogliamo difensori, ma non è che possiamo minacciare qualcuno: non lo facciamo". E poi alla Corte: "Siamo qui per sovvertire lo Stato borghese". Quando la parola è passata a lui, il sostituto pg ha chiarito cosa la Cassazione abbia chiesto lo scorso febbraio. La Suprema corte aveva annullato le 12 condanne - emesse in secondo grado nel giugno 2010 - fino a 14 anni e sette mesi di carcere, perché - hanno spiegato i giudici - non era stato specificato se il gruppo, smantellato con gli arresti del 2007, volesse esercitare solo una violenza "di tipo comune" o operasse con modalità terroristiche. Il sostituto pg ha sciolto il nodo precisando che le Nuove Br agivano in "un programma più ampio" per "destabilizzare l'ordine democratico". Starebbe in questa volontà la "finalità terroristica" degli imputati, accusati a vario titolo di associazione sovversiva e banda armata.
Lo stesso progetto di attentato a Ichino, ha chiarito Barbaini, era un'azione con cui "si voleva chiudere la bocca al confronto delle idee". L'avvocato Laura Panciroli, legale del giuslavorista, parte civile come la presidenza del consiglio, ha chiesto la conferma del risarcimento di 100mila euro. Poco prima l'accusa aveva letto le 12 richieste di condanna (con lievi riduzioni di pena), tra cui i 14 anni e un mese per Davide Bortolato, presunto capo del nucleo padovano, e per Latino. Dodici anni e 11 mesi chiesti per Sisi, dieci anni e dieci mesi per Davanzo, fino ai tre anni e sei mesi chiesti per Amarilli Caprio, che studiava all'epoca all'Università Statale. Le difese hanno invece sostenuto la mancanza di "elementi concreti e oggettivi" a carico degli imputati, parlando di "reati impossibili". "Gli imputati stessi dicono di volere la rivoluzione - ha detto l'avvocato Pelazza - Dovete riconoscergli uno spessore politico". Il 20 maggio parleranno anche i due avvocati d'ufficio. Poi la camera di consiglio per la sentenza.