«Preferisco non parlare, altrimenti dovrei dire solo brutte parole. Abbiate pazienza». E poi: «Sono ancora dibattuto tra l'ansia di spiegare la verità e non voler turbare il Santo Padre con dette spiegazioni. Il mio amore per il Papa oggi prevale su ogni altro sentimento, persino di difesa della mia reputazione che vilmente viene messa in discussione».






La sfiducia che ha portato all’uscita di scena di Ettore Gotti Tedeschi dallo Ior dopo neanche tre anni di presidenza, è giunta improvvisa ma erano mesi che il banchiere aveva preso in considerazione la possibilità delle dimissioni. Fin dai giorni dell’inchiesta della magistratura romana sulla movimentazione di denaro in alcuni conti dello Ior da banche italiane a banche tedesche, Gotti aveva scelto di collaborare direttamente con i magistrati. Quella vicenda era stata l’inizio delle incomprensioni con il direttore generale dell’Istituto, Paolo Cipriani. In quella occasione Gotti, sottoposto a indagine dai Pm, ricevette un pubblico sostegno da parte di Benedetto XVI che lo salutò dopo un Angelus a Castel Gandolfo ricevendolo insieme alla moglie. «Dobbiamo essere esemplari» aveva ripetuto il Pontefice. E il nuovo presidente, scelto dal Segretario di Stato Tarcisio Bertone, aveva continuato il processo di rinnovamento e trasparenza già in atto, chiudendo i conti correnti «in sonno» intestati a prestanome.

Tra le persone con le quali si era scontrato Gotti Tedeschi c’era Marco Simeon, l’attuale direttore di Rai Vaticano legato al faccendiere Luigi Bisignani. L’estate scorsa lo Ior era stato coinvolto nell’operazione di salvataggio dell’ospedale San Raffaele di Milano, voluta dal cardinale Bertone e auspicata da diversi uomini della finanza e della politica milanese. Gotti Tedeschi, inizialmente favorevole, si era poi convinto del contrario ritenendola un’avventura pericolosa, e si era scontrato con Giuseppe Profiti, manager dell’ospedale Bambin Gesù e uomo di Bertone nel mondo della sanità. Pure rapporti con il cardinale Segretario di Stato si erano progressivamente raffreddati, anche se negli ultimi tempi si è registrato un miglioramento.



Ma il punto di non ritorno per Gotti Tedeschi è stata la nuova legge sulla trasparenza che doveva portare il Vaticano nella «white list» dei Paesi virtuosi in materia di antiricilaggio. Il presidente dello Ior, d’accordo in questo con il cardinale Attilio Nicora, riteneva che le modifiche apportate fossero troppe e soprattutto che venisse ridimensionato il ruolo dell’Aif, l’organismo di controllo istituito con la precedente normativa. Dove stia la ragione saranno gli esperti di Moneal a sancirlo il prossimo luglio, quando si conoscerà il rapporto finale sull’adeguamento della Santa Sede alle normative internazionali. Dietro la sfiducia di ieri, Gotti Tedeschi vede una sorta di regolamento di conti. Motivato dalle sue posizioni prese nel corso dell’ultimo anno da un uomo sempre più isolato Oltretevere, che aveva però mantenuto sempre aperto un collegamento con il segretario particolare del Pontefice, don Georg Gänswein.



Di segno totalmente opposta la spiegazione della «sfiducia» messa nero su bianco dalla Santa Sede, e le successive autorevoli chiose fatte filtrare dai palazzi vaticani. «La decisione del board dello IOR è stata presa in autonomia», ribadiscono fonti della Segreteria di Stato, che smentiscono una regia di Bertone nella dimissione di Gotti, facendo notare che il momento non era certo dei più adatti per un’operazione del genere, nel pieno dello scandalo «vatileaks», la fuga di documenti, alcuni dei quali riguardanti proprio corrispondenze di Gotti Tedeschi. Tra le motivazioni addotte da coloro che hanno sfiduciato il presidente della banca vaticana c’è il fatto che Gotti non sarebbe riuscito a fare squadra con i collaboratori e alla fine ne avrebbe risentito la gestione dell’Istituto. In ogni caso, il risultato è lo stesso: la governance della Santa Sede appare ancor più nel caos.

Gotti Tedeschi: