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    Predefinito Il Lavoro produttivo é scacciato dall’Italia. I possibili scenari.

    27 maggio 2012 Di Giuseppe Sandro Mela


    Due recenti notizie sul mondo del lavoro danno da pensare. A Taranto 500 dipendenti della Taranto Container Terminal (100 tra impiegati e quadri e 400 operai) sono stati messi in cassa integrazione guadagni per la durata di 24 mesi. D’altro canto, tutti i 5,400 dipendenti degli Enti Centrali di Mirafiori, la maggior parte impiegati, andranno per la prima volta in cassa integrazione ordinaria sei giorni. All’estero la Fiat riesce a produrre e generare utili ed occupazione, in Italia no. Identico management, differenti le condizioni di lavoro.



    Ogni ricorso alla cassa integrazione guadagni é sempre un dramma per l’impresa e per i dipendenti, specialmente quando in tempi di depressione la Cig é il preludio della perdita del posto di lavoro.



    Vi sono certamente motivi contingenti, nei quali però non vorremmo entrare nel merito in questa sede, per affrontare un problema più generale e spesso misconosciuto.



    Il mondo sta vivendo una mutazione epocale, le cui manifestazioni sono ancora scoordinate e, quindi, comprensibili come un tutto unico solo con un certo quale sforzo.



    In estrema sintesi, gli Orientali, quasi due miliardi e mezzo di persone, sono usciti dal loro lungo letargo economico e sono diventati in breve paesi emersi, paesi produttori di beni, prevalentemente industriali.



    A ciò si associa una evidente crisi della Weltanschauung europea: gli Occidentali hanno perso il ricordo delle loro radici culturali, si sono disassuefatti dalla volontà di produrre e non riescono a staccarsi da una visione di gestione statalista dei processi sociale ed economici, cui consegue un welfare ed una struttura pubblica non più a lungo sostenibile in termini anche strettamente economici.

    La differenza con la Grande Depressione del 1929 é stridente.

    Mentre a quell’epoca l’Occidente

    era l’unica realtà industriale produttiva a livello mondiale,

    adesso non lo é più.



    La conseguenza é semplice. Ogni settore di attività produttiva che l’Occidente è costretto a chiudere perché non più a lungo competitivo é immediatamente fatto proprio dagli Orientali. In altri termini, é perso in modo definitivo.



    E’ quasi sarcastico il continuo vociare nostrano di “sviluppo“. Sviluppo significa in poche parole arricchimento e generazione di nuovi posti di lavoro. Ma per arricchirsi, le persone devono essere lasciate libere di farlo, cosa cui non concorrono certo i continui aumenti di imposte e la sempre maggiore severità dei normativi, tutti fattori deprimenti, non certo stimolanti la produzione.



    Si prospettano quindi due scenari macroeconomici.



    Nel primo caso, l’Occidente non muta mentalità di approccio al sociale ed alla produzione: si prospetta cioè un lento, progressivo ed inesorabile trasferimento delle attività produttive in Oriente, fin tanto che il sistema occidentale collasserà. E’ ininfluente che imploda per un crack-up boom oppure scivoli in una depressione sempre più profonda: il suo destino è la scomparsa fisica, complice anche una crisi demografica di portata apocalittica.



    Nel secondo caso, l’Occidente trova la forza interna per ridimensionare nettamente la propria struttura statocentrica e la sua concezione del welfare. In questa evenienza il fenomeno di decrescita dovrebbe rallentare oppure anche fermarsi, ma non è questo il problema vero. Il vero problema é che, lasciando passare il tempo in modo inerte, l’Occidente ne uscirebbe pur sempre nettamente ridimensionato. Talmente ridimensionato che nel volgere di meno di un decennio non sarà più riconoscibile.



    Cosa sopravvivrà dell’Occidente? E’ difficile dirlo.

    Una cosa però è certa.

    Non saranno certo gli Orientali a cambiare ciò che sono ora,

    ma gli Occidentali ad orientalizzarsi.



    La storia è piena di esempi del genere. Due secoli or sono i paesi europei dovettero seguire l’esempio dell’Inghilterra industrializzata, lo stesso fece il Giappone. Più recentemente, gli Orientali si sono evoluti economicamente proprio nel momento in cui si sono deideologizzati e sono entrati nella logica del mercato. Non si vede per quale motivo ciò non debba toccare all’Europa, volente o nolente.







    Cassa Integrazione. 2012-05-22 . Taranto: 500 dipendenti della Tct in cassa integrazione



    TARANTO – Cinquecento dipendenti del Porto di Taranto sono finiti in cassa integrazione: è stato sottoscritto all’Ufficio provinciale del lavoro di Taranto l’accordo tra sindacati e azienda per la revoca della mobilità nei confronti di 160 dipendenti della Taranto Container Terminal (Tct), società satellite del gruppo Evergreen-Hurchinson, che gestisce il molo polisettoriale di Taranto, e la contestuale cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione aziendale per la durata di 24 mesi nei confronti di un massimo di 500 lavoratori (100 tra impiegati e quadri e 400 operai).



    L’intesa, che prevede interventi di sospensione settimanale generalizzata di attività, fa seguito alla sottoscrizione dell’Accordo generale per lo sviluppo dei traffici containerizzati. La cassa integrazione straordinaria partirà dal 28 maggio prossimo.







    Trasporto Europa. 2012-05-17. Gioia Tauro punta al raddoppio.



    Nei giorni scorsi il Gruppo Contship Italia, azionista al 33% del Medcenter Container Terminal, ha riconfermato la propria volontà di investire sullo scalo calabrese, precisando però che “le misure chieste da anni devono diventare operative con urgenza”.



    La controllata del Gruppo tedesco Eurokai ha aggiunto che Gioia Tauro è l’unico porto italiano veramente pronto per il futuro: il terminal Mct ha già disponibilità di mezzi e banchine per movimentare il doppio dei 2,3 milioni di teu movimentati nel 2011. “Gioia Tauro non ha bisogno di ulteriori mezzi e banchine, ma ha bisogno di traffico” è scritto in una nota della società terminalistica che prosegue così: “Contship ininterrottamente pubblicizza i 18-16 metri di fondali e gru capaci di operare sino a 23 file di contenitori, ovvero l’unico porto nel Mediterraneo in grado di operare già oggi tre navi da 14mila teu in contemporanea. Il porto di Gioia Tauro non è in concorrenza con altri porti italiani, ma con i porti della sponda sud del Mediterraneo. Il gruppo da anni chiede senza successo misure di supporto che permettano di attrarre nuovi clienti in un contesto di concorrenza distorta, che vede i porti del Nord-Africa avvantaggiarsi di un costo del lavoro molto inferiore e regimi fiscali molto più vantaggiosi”.



    Intanto, lo scalo calabrese si attrezza per funzioni di gateway e logistica ed ha compiuto un passo in avanti verso l’intermodalità ferroviaria. Dopo anni di discussioni e convegni, si è finalmente arrivati alla decisione di potenziare il collegamento alla rete ferroviaria nazionale dello scalo hub di transhipment più importante d’Italia. Uno studio di fattibilità appena reso pubblico prevede la creazione di nuove aree autonome per le attività di terminal ferroviario, la realizzazione di piazzali, di nuove strutture (uffici e capannoni) e di quattro nuovi binari da utilizzare per la formazione dei convogli e per la movimentazione delle unità di carico. Un unico soggetto dovrà accentrare alcune funzioni base come la gestione dell’infrastruttura e delle attività operative.



    Secondo lo studio elaborato da ECBA Project, il mercato potenziale del terminal intermodale in base ai traffici del 2010 (1,028 milioni di teu) si fonda su una stima della domanda di poco superiore ai 100mila teu. Per quanto riguarda le tempistiche per la realizzazione dell’opera, secondo lo scenario pessimistico (con un tasso di crescita del mercato pari all’1,75%) l’entrata a regime dell’infrastruttura si avrebbe tra 20 anni, mentre quello più ottimistico (un tasso di crescita pari al 4,75%) ridurrebbe il termine a 10 anni.



    Per quanto riguarda i costi, lo studio di fattibilità prevede alcuni investimenti infrastrutturali: il costo della realizzazione di piazzali e reti ammonta a 7,6 milioni di euro, per gli edifici e i capannoni sono stati preventivati 4,9 milioni, mentre le strutture ferroviarie dovrebbero costare circa 7,5 milioni di euro. Complessivamente, l’opera dovrebbe richiedere investimenti pari a circa 20 milioni di euro. Non è ancora chiaro se e quale sarà il contributo pubblico all’opera, che potrebbe essere realizzata anche tramite una collaborazione pubblico-privato. Spetterà all’Autorità Portuale il compito di indire una gara pubblica comunitaria per individuare i soggetti interessati a investire nella realizzazione del progetto.







    Il Messaggero. 2012-05-27. Fiat, tutti i 5,400 lavoratori di Mirafiori in cassa integrazione.



    TORINO – Tutti i 5.400 dipendenti degli Enti Centrali di Mirafiori, la maggior parte impiegati, andranno per la prima volta in cassa integrazione ordinaria sei giorni.«È una pessima notizia: vuol dire che anche a livello della testa di Fiat ci sono forti problemi», commenta Edi Lazzi, responsabile V lega Fiom.



    I giorni di cassa integrazione saranno sei: il 14, 15 e 21 giugno, il 12, 13 e 19 luglio. Questi giorni si sommano a quelli già programmati del 22 giugno e del 20 luglio in cui ci sarà la chiusura dello stabilimento utilizzando i permessi personali dei lavoratori. «I timori riguardo all’indebolimento dell’azienda e al suo disimpegno dal nostro Paese, dopo questa decisione – aggiunge Lazzi – incominciano drammaticamente ad assumere una forma concreta. Ci auguriamo che, a fronte di questo ulteriore pesantissimo segnale, la città, le istituzioni e le forze sociali non voltino ancora una volta lo sguardo da altre parti minimizzando ciò che sta accadendo».







    Panorama. 2012-05-23. Fiat, a Mirafiori la cassa integrazione e in azienda un futuro a tinte fosche.



    Sei giorni di cassa integrazione per gli impiegati di Mirafiori. È questa la notizia che ha messo in allarme tutto il mondo del lavoro che ruota intorno alla Fiat. E la ragione è molto semplice, secondo Edi Lazzi, responsabile Fiom per Mirafiori. “Negli ultimi dieci anni non era mai capitato che venissero messi in cassa integrazione tutti gli impiegati. Ed è una pessima notizia, perché quando si fermano gli uffici di progettazione, allora davanti si comincia a vedere solo il buio”.



    E sì, perché sotto la semplice dicitura “impiegati”, a Mirafiori, si considerano non solo gli addetti all’amministrazione, ma soprattutto i tanti tecnici e ingegneri che rappresentano la testa pensante della Fiat. “Stiamo parlando in totale di circa 5.400 addetti- spiega Lazzi – appartenenti ai cosiddetti enti centrali, uffici dove tra gli altri sono dislocati il Centro stile e il Centro sviluppo e progettazione. I luoghi dove si gettano le basi del futuro produttivo della Fiat, ed è per questo che la notizia della cassa integrazione è davvero allarmante“.



    E la preoccupazione è ancora maggiore se si pensa che allo stop di sei giorni programmato per il 14, 15 e 21 giugno e poi per il 12, 13 e 19 luglio, si aggiungeranno due ulteriori giornate di fermo, per un totale quindi di otto, il 22 giugno e il 20 luglio, che saranno coperte attingendo però ai permessi personali dei dipendenti e non alla cassa integrazione.



    Un quadro dunque poco incoraggiante, che si va a sommare alla situazione già di per sé preoccupante del settore propriamente produttivo di Mirafiori, la Carrozzeria, dove purtroppo il rapporto dei circa 5.500 lavoratori con la cassa integrazione negli ultimi anni è stato continuativo. “E’ dal 2008, quando ci furono due settimane di fermo, che gli operai della catena di montaggio fanno i conti con la cassa integrazione – spiega Lazzi -, con un crescendo sempre più preoccupante. Nel 2009 infatti ci furono 10 settimane di stop, che diventarono 42 nel 2011. Per arrivare al 2011, quando non solo è partita la cassa integrazione straordinaria, ma su 260 giorni di lavoro teorici, i lavoratori ne hanno trascorsi 213 in cassa”.



    Ma se in un momento di crisi, lo stop imposto agli operai, seppur sempre doloroso e amaro per migliaia di famiglie, può essere considerato un elemento quasi naturale, la cassa integrazione per i quadri e per i colletti bianchi fa riflettere sul futuro stesso della Fiat. “Dopo l’annuncio dei vertici del Lingotto – sottolinea Lazzi – non solo noi del sindacato abbiamo espresso forti perplessità, il che può essere considerato fisiologico, ma anche osservatori esterni e autorevoli hanno posto seriamente il problema di quale futuro produttivo abbia in mente la Fiat in Italia”.



    Ed è proprio per questo che ancora una volta dal fronte sindacale si è alzata forte la richiesta affinché i vertici del Lingotto si siedano intorno ad un tavolo con parti sociali e governo per definire quali siano i propri impegni per il futuro. “Finora infatti – attacca Lazzi – troppe volte è accaduto, ad esempio proprio a Mirafiori, che si facessero annunci dell’inizio della produzione di nuovi modelli, che poi puntualmente sono stati spostati in Serbia o altrove”.



    “E’ ora che Sergio Marchionne ci venga a dire quello che ha intenzione di fare, e non, come già avvenuto, con un incontro a quattr’occhi con Mario Monti, che è sembrato più l’appuntamento tra due privati cittadini, ma in un consesso pubblico – conclude il sindacalista della Fiom – che faccia chiarezza e ridia un po’ di speranza ai migliaia di lavoratori Fiat”.







    Corriere. 2012-05-18. Fiat : per la prima volta in cassa integrazione tutti i 5.400 dipendenti di Mirafiori.



    MILANO – Tutti i 5.400 dipendenti degli enti centrali di Mirafiori, la maggior parte impiegati, andranno per la prima volta in cassa integrazione ordinaria contemporaneamente sei giorni tra giugno e luglio. «È una pessima notizia: vuol dire che anche a livello della testa di Fiat ci sono forti problemi» commenta Edi Lazzi, responsabile V lega Fiom.



    GIORNI DI STOP - «E’ l’informazione che è stata comunicata ai sindacati: gli impiegati faranno 3 giorni di cig e 1 di permesso a giugno e poi ancora a luglio» ha riferito un portavoce di Fiat. Nel dettaglio i giorni di cassa integrazione saranno: il 14, 15 e 21 giugno, il 12, 13 e 19 luglio. Questi giorni si sommano a quelli già programmati del 22 giugno e del 20 luglio in cui ci sarà la chiusura dello stabilimento utilizzando i permessi personali dei lavoratori.



    NON MINIMIZZARE- «I timori riguardo all’indebolimento dell’azienda e al suo disimpegno dal nostro Paese, dopo questa decisione – aggiunge Lazzi – incominciano drammaticamente ad assumere una forma concreta. Ci auguriamo che, a fronte di questo ulteriore pesantissimo segnale, la città, le istituzioni e le forze sociali non voltino ancora una volta lo sguardo da altre parti minimizzando ciò che sta accadendo».



    Redazione online







    Panorama. 2012-02-01. Fiat, bene l’America male l’Europa. E Marchionne chiede liquidità per nuovi blitz.

    Risultati in chiaro scuro quelli del Gruppo Fiat-Crhysler presentati oggi dall’amministratore delegato Sergio Marchionne nel corso di una call conference con gli analisti. Continuano infatti a tirare i mercati del Nord e del Sud America, mentre desta sempre maggiore preoccupazione l’Europa. I numeri d’altronde sono emblematici e raccontano di un fatturato che per l’intero gruppo nel 2011 è stato pari a 59,6 miliardi, con un’utile netto a quota 1,7 miliardi di euro, anche se senza Chrysler, Fiat da sola avrebbe chiuso in pareggio.

    Non a caso è stato lo stesso Marchionne a sottolineare che il 2011 è stato un anno eccezionale per Chrysler.

    In questo senso il marchio di Auburn Hill archivia l’anno con un utile netto di 183 milioni di dollari a fronte di una perdita di 652 milioni nel 2010: è la prima volta dal 1997 che Chrysler chiude un anno in utile netto. Il fatturato del 2011 è poi cresciuto del 31% a 55 miliardi di dollari, con le vendite che sono schizzate del 22% a 1.855.000 unità.

    Il tutto a fronte di una Fiat invece che complice come detto, il calo di vendite in Europa e soprattutto in Italia, nel quarto trimestre del 2011 ha fatto registrare un utile della gestione ordinaria di 126 milioni di euro a fronte dei 319 milioni fatti segnare nello stesso periodo del 2010. Infine un dato significativo riguarda la liquidità disponibile di Fiat-Chrysler fissata a 3 miliardi di euro.

    A questo proposito Marchionne ha annunciato che non sarà distribuito il dividendo alla azioni ordinarie proprio “per mantenere la liquidità”. Ed è proprio da questa significativa affermazione che prende avvio il commento ai dati che Giuseppe Berta, esperto di questioni Fiat, rilascia a Panorama.it. “Sono colpito dall’attenzione che Marchionne ha posto sul tema della liquidità – esordisce Berta -. Significa avere in mano una potente leva finanziaria da utilizzare se si vogliono fare delle operazioni di mercato. Insomma sembra quasi che Marchionne voglia avere mano libera per tentare qualche nuovo blitz, staremo a vedere”.

    D’altronde le situazioni diverse con cui la Fiat si trova a confrontarsi nel mondo, impongono su alcuni mercati delle scelte operative di questo tipo. “I numeri di Fiat-Chrysler – spiega infatti Berta – sono buoni grazie ai risultati di vendite ottenuti in America. Emerge quindi una netta differenza tra Stati Uniti ed Europa, dove le cose non vanno bene. Proprio su questo fronte Marchionne da qualche tempo ha annunciato un cambio di strategia che poggia su due pilastri: da una parte la ricerca di un’alleanza che molto plausibilmente dovrebbe svilupparsi in Francia. Dall’altra una maggiore valorizzazione della produzione in Serbia, dove è attivo uno stabilimento che ha una capacità potenziale di circa 300mila vetture all’anno”.

    In questo valzer di gioie e dolori, altro mercato che continua a dare soddisfazioni è quello sud americano e in particolare il Brasile. “Dove però – fa notare Berta – aumenta la concorrenza, soprattutto quella della General Motors, che è passata davanti alla Fiat nelle vendite, un fattore di cui Marchionne dovrà tenere conto”.

    Infine c’è la pratica Asia, dove in sostanza Fiat ancora non è riuscita a penetrare in maniera significativa.

    “Anche qui sarà fondamentale trovare un’alleanza, una joint venture – dice Berta – che possa permettere di aggredire un mercato con potenzialità straordinarie. Marchionne deve però decidere se entrare in Asia dalla Cina, oppure, come sembrano confermare i contatti con la Maruti, dall’India. In ogni caso scelte decisive che dovranno avvenire nei prossimi mesi”. E chissà dunque che quella liquidità tanto invocata da Marchionne non possa servire proprio a questo.


    Il Lavoro produttivo é scacciato dall’Italia. I possibili scenari. | Rischio Calcolato

  2. #2
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    Predefinito Re: Il Lavoro produttivo é scacciato dall’Italia. I possibili scenari.

    Voi andreste a mangiare in un ristorarente dove il cibo è globalmente di scarsa qualità, il servizio è lento e il prezzo esorbitante? Credo di no. Ebbene, le imprese che operano a livello globale cercano di non avere nulla a che fare con l'Italia, e se possono evitano di investirvi e di farvi affari. Le eccezioni sono ormai poche, concentrate in alcuni distretti produttivi del Nord a cui è affidato il compito di tenere aperta la "cucina".

 

 

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