La condanna dell’ebreicidio non può essere dissociata dalla condanna delle infamie coloniali del Terzo Reich. Vera e falsa critica del negazionismo
di Domenico Losurdo (In corso di pubblicazione sulla rivista "l'ernesto")
«Giammai Hitler ha ordinato o permesso di uccidere una persona in ragione della razza o della religione»: questa difesa dell’onore del Führer e del Terzo Reich si può leggere nel più recente intervento di Robert Faurisson. Dopo aver criminalizzato la vicenda iniziata con la rivoluzione d’Ottobre e aver proceduto alla riabilitazione più o meno esplicita di Mussolini, di Franco, dei «ragazzi di Salò», il revisonismo storico che infuria da decenni giunge alle sue logiche conlusioni.
1. Negazionismo anti-ebraico e negazionismo filo-colonialista
Per comprendere l’assurdità della presa di posizione di Faurisson, basta metterla a confronto con la descrizione che della guerra condotta dalla Germania nazista in Europa orientale fa un altro esponente di spicco del revsionismo storico, e cioè David Irving. Nonostante le sue reticenze e le sue piroette, questi non riesce a occultare l’essenziale: accenna ai «barbari massacri di ebrei sovietici» e riconosce che, pur «coperta da eufemismi sottili», l’«intera attività omicida dei nazisti» era comunque chiamata a uccidere «senza distinzioni di classe sociale, di sesso o di età»; le stesse squadre speciali riuscivano a portare a termine il loro compito «soltanto sotto l’effetto dell’alcool». Tali ammissioni sono però gravemente indebolite dalla tesi secondo cui Hitler era forse all’oscuro di tutto! Eppure, è lo stesso Irving ad osservare che il Führer considerava «eccellente» e meritevole della più ampia diffusione il proclama con cui il generale W. von Reichenau chiariva ai suoi soldati un punto essenziale: occorreva esigere «un duro ma giusto tributo dai subumani ebrei». La de-umanizzazione delle vittime, degradate a Untermenschen, apre le porte alla «soluzione finale». Se ridicole sono le contorsioni di Irving, un vero e proprio insulto alla verità storica e alla memoria delle vittime si può leggere nelle parole di Faurisson.
Come contrastare la deriva revisionista, più o meno radicale, che si manifesta in settori non trascurabili della cultura occidentale? Poniamoci un’ulteriore domanda: sono soltanto gli ebrei ad essere insultati dalla riabilitazione più o meno esplicita del fascismo e persino del Terzo Reich? Riflettiamo sulla dichiarazione di Faurisson da me riportata all’inizio: «Giammai Hitler ha ordinato o permesso di uccidere una persona in ragione della razza o della religione». Abbiamo visto la sorte riservata agli ebrei nel corso della guerra contro l’Unione Sovietica. Ma ora leggiamo le diposizioni impartite dal Führer alla vigilia dell’aggressione contro la Polonia: s’impone l’«eliminazione delle forze vitali» del popolo polacco; occorre «procedere in modo brutale» senza lasciarsi inceppare dalla «compassione»; «il diritto è dalla parte del più forte». Analoghe o forse ancora più drastiche sono le direttive che presiedono all’operazione Barbarossa: una volta catturati, occorre eliminare immediatamente i commissari politici, i quadri dell’Armata Rossa, dello Stato sovietico e del partito comunista; in Oriente s’impone una «durezza» estrema e gli ufficiali e i soldati tedeschi sono chiamati a «superare le loro riserve» e i loro scrupoli morali. Nell’ambito del suo progetto di edificazione di un grande impero continentale in Europa orientale, Hitler per un verso assimila gli abitanti di quest’area ai pellorossa: essi devono essere espropriati e decimati in modo da consentire l’espansione coloniale della razza bianca e ariana; per un altro verso la popolazione residua è destinata ad erogare lavoro servile al servizio della razza dei signori. Ma perché popoli di antica civiltà possano essere ricondotti alla condizione di pellerossa (da espropriare e decimare) e di neri (da schiavizzare), «tutti i rappresentanti dell’intellettualità polacca» e russa – sottolinea il Führer – «devono essere annientati»; «ciò può suonare duro ma è pur sempre una legge della vita». Si spiega così la sorte riservata in Polonia al clero cattolico, in Urss ai quadri comunisti, in entrambi i casi agli ebrei, ben presenti tra i ceti intellettuali e sospettati di ispirare e alimentare il bolscevismo. Come si vede, il negazionismo di Faurisson è un insulto alla memoria sì degli ebrei, ma anche dei polacchi, dei russi ecc: siamo in presenza di «razze» a cui la hitleriana «razza dei signori» è chiamata ad imporre, con modalità diverse, un destino tragico.
Non mancano però le critiche che da alcuni ambienti vengono rivolte a queste considerazioni. Argomentare in tal modo, dicono costoro, significherebbe procedere ad un’intollerabile moltiplicazione del numero dei negazionismi. E’ l’obiezione classica dei dogmatici, che rifiutano di riflettere sulle categorie da loro utilizzate: nella formulazione di regole generali del discorso essi vedono una minaccia alla loro pretesa di atteggiarsi a giudici sovrani e inappellabili. Resta il fatto che la denuncia a senso unico del negazionismo di Faurisson risulta affetta essa stessa da negazionismo. Ed è proprio quest’ultimo negazionismo quello oggi più diffuso e più pericoloso.
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