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Risultati da 231 a 240 di 825

Discussione: Secessione dall'Italia

  1. #231
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    Predefinito Re: Secessione dall'Italia

    Citazione Originariamente Scritto da dDuck Visualizza Messaggio
    i galli erano tanti, ma di celtico in Francia c'è rimasto poco,
    Ci sono rimasti tanti celti, cioè i discendenti dei celti, che geneticamente rimangono tali, anche se culturalmente “romanizzati”.
    Erano relativamente pochi sia gli uni che gli altri, la differenza è che i Franchi si convertirono al cristianesimo cattolico e furono favoriti dai romani locali.
    Si, religiosamente cattolicizzati, ma geneticamente erano sempre franchi, cioè un popolo di origine germanica, i cui discendenti vivono ancora oggi.
    Le statue degli imperatori romani sarebbero sostituite da quelle dei re longobardi.

    Gli eroi sarebbero i popoli preromani che combatterono Roma.



    Po il nero periodo romano,

    La liberazione ad opera dei prodi barbari, che non sono barbari, ma uomini liberi.

    Il regno longobardo dove celti e nuovi arrivati si fusero nella nazione padana.

    Poi Alberto da Giussano che lottò contro gli imperialisti tedeschi.

    Ludovico il moro, padre della patria.

    Le repubbliche marinare padane di Genova e Venezia.

    Manzoni scrittore padano, che non voleva l'unione dell'Italia, ma della Padania.

    Verdi, musicista padano, autore dell'inno alla Padania.

    Infine Umbertone fondatore della Lega.
    Bravo, ti dimostri un potenziale provetto padano (in effetti, essendo spezzino, fai parte della Padania, sebbene per il pelo del buco del culo….).
    A parte Manzoni e Verdi, che erano unitaristi itagliani (ma di Manzoni si può apprezzare l’edizione ventisettana piena di schietti lombardismi, prima che l’autore andasse a sporcare i suoi panni in Arno; e il coro del Nabucco si attaglia bene all’attuale situazione dei padani sfruttati e colonizzati, che aspirano a una patria bella e perduta) tutti gli altri punti, in un’ottica padana, sono apprezzabili e storicamente plausibili. O comunque più plausibili di certe cose che raccontano tanti liberi di testo itagliani.
    In ogni caso, in una Padania libera e liberale, vi sarebbe una parificazione sostanziale tra istituti scolastici statali e non statali, quindi i genitori potrebbero scegliere per i loro figli la “storia” che più gli aggrada. E i territori della confederazione sarebbero liberi di secedere, quindi una nuova Serenissima Repubblica sarebbe libera di scrivere i suoi libri di storia in un’ottica venetica…

  2. #232
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    Predefinito Re: Secessione dall'Italia

    GIOVANI PADANI, ANCHE A SCUOLA IL SUD MAI STATO IN EUROPA
    PRIMA DELL’INNO SI INSEGNINO ITALIANO E MATEMATICA
    “E’ davvero singolare che questo Governi di incapaci si preoccupi di far studiare l’inno di Mameli a scuola per tenere unito un Paese che agli occhi dei principali analisti mondiali esiste solo sulle cartine geografiche. Il divario Nord-Sud certificato dall’economia, è evidente anche sui banchi di scuola. I recenti test Invalsi dimostrano che in italiano e matematica il Nord primeggia sul Sud fin dalle elementari, con un divario che cresce esponenzialmente alle Superiori dove la media nazionale posta a quota 200, vede i ragazzi padani a quota 211 punti, 197 punti invece per gli studenti del Lazio, 194 per i ragazzi delle regioni meridionali e 185 punti per quelli di Sicilia e Sardegna. Altro che inno, si studino le materie base e si formino gli insegnanti! Il Sud non è mai stato in Europa, ora il Governo Monti vuole allontanare anche il Nord”. Così Lucio Brignoli, coordinatore federale del Movimento giovani padani.





    Euro? No, grazie. In Val Camonica si paga in “camuni”
    di CARLO MELINA
    Si chiama camuno, si legge economia reale. Senza banche centrali, burocrati, parassiti e finanzieri di mezzo. E’ la moneta che si sono inventati Francesco Bonomelli, Stefano Brangi e Marco Contessi, fondatori dell’associazione Camuno.net. Funziona così: ti iscrivi ad un circuito di imprese (basta avere la partita iva, dal 2014 potranno farlo anche i privati) e, come in ogni social barter network, quando paghi qualcuno, lo fai in una percentuale di moneta corrente, e in una di moneta complementare, il camuno, appunto.
    “L’idea è quella di voler dare un aiuto alle aziende che hanno mancanza di liquidità – spiega Bonomelli, raggiunto al telefono – Chi acquista, risparmia, chi vende, non rinuncia a nulla”. Il meccanismo promosso da Camuno.net è semplice, chiarisce Bonomelli: “Se lei vende un prodotto che costa 100 euro, può avere poco appeal sul mercato, in virtù della attuale mancanza di liquidità. Ma se lei lo vende a 80 euro, praticando uno sconto del 20%, ha più chances, e inoltre, non ci perde niente. Perché quei 20 euro si trasformano in 20 camuni, che potrà spendere a proprio piacimento all’interno del circuito monetario immaginato dalla nostra associazione”.
    Come da presentazione sul sito dell’associazione, il camuno, nella singola transazione, “si comporta come un classico buono sconto tramite cui un venditore, a fini commerciali, può accordare un ribasso percentuale sul prezzo d’acquisto all’acquirente”. Il sistema proposto parte da questo concetto e cerca di far evolvere buone prassi interne ad un circuito barter in un’ottica sociale. Non ha fini di lucro – i primi 100 iscritti pagano una quota di 270 euro, scontata del 25% – ed è gestito in forma associativa con il contributo di tutte le imprese aderenti.
    L’obiettivo di Bonomelli è quello di facilitare, attraverso uno strumento tangibile, la circolazione della moneta primaria e l’impresa in genere, dando slancio all’economia del territorio, puntando sull’innesco di fenomeni collaborativi, di reciproco sostegno e di partecipazione condivisa tra gli attori economici e le persone della Valle Camonica. Perché il camuno, sia chiaro, resterà, almeno all’inizio, appannaggio dei 100.000 residenti nei 42 comuni della Valle: “Abbiamo ricevuto richieste di adesione da Milano e Bergamo, ma abbiamo dovuto rifiutare. Il nostro circuito deve partire con un territorio preciso di riferimento. Poi si vedrà”.
    Bonomelli fuga ogni dubbio: il camuno non incoraggia né consente alcuna forma di evasione fiscale: “Abbiamo lavorato a lungo per stilare uno statuto chiaro e con tutti i crismi della legalità. E ci siamo riusciti. Chi usa camuni, aumenta il fatturato della sua azienda (quello in euro), perché vende di più. Quindi paga più tasse. E poi, dal punto di vista fiscale, il cambio in camuni è registrato come uno sconto”. Sconto che verrà tassato, nel caso in cui chi ne possiede, non ne profitti: nel circuito verrà applicato il demurrage, di modo che i camuni circolino: “I camuni non spesi verranno, in percentuale, immessi nel circuito a vantaggio di associazioni di volontariato, che ovviamente abbiano aderito”.
    Euro? No, grazie. In Val Camonica si paga in “camuni” | L'Indipendenza



    Gli Stati nazionali non esistono. Padani, meditate…
    di SERGIO SALVI
    Politici e giornalisti confondono spesso le nazioni con gli stati che pretendono di “incarnarle”. Questo equivoco è stato creato, in perfetta buona fede, da un manipolo (o una coorte?) di studiosi, anche di fama, i quali hanno diffuso, soprattutto in Italia, la nozione chiave degli “stati nazionali”: tali sarebbero apparsi, già alla fine del medio evo, la Francia, la Spagna, l’Inghilterra. Il destino storico di ogni nazione sarebbe così quello di trasformarsi in stato, appunto, nazionale, ispirandosi a questi esempi.
    È seguendo questa strada obbligatoria che l’Italia e la Germania avrebbero avuto, in quanto nazioni (anche se soltanto supposte), il dovere di uniformare il loro percorso storico, che avrebbero disatteso per secoli, istituendo anche se appena nel XIX secolo, uno stato nazionale proprio. Per fortuna, altri studiosi di uguale fama, hanno provvidamente negato la qualifica di “nazionali” agli stati europei di più antica istituzione. Ma quasi nessuno ha posto loro ascolto. Sentiamone due, molto autorevoli.
    Ha scritto in proposito Ruggiero Romeo, che ha insegnato alla Scuola di Alti Studi in Scienze Sociali di Parigi: «Di quale storia “nazionale” di Francia si può parlare prima del 1789? Di una storia in cui v’è, sí, un regno di Francia, ma vi sono anche i ducati di Aquitania, di Borgogna e di Provenza, e in cui l’idea di frontiera “naturale” al Reno non si manifesta prima del secolo XVIII? Di quale storia “nazionale” della Spagna parliamo se i suoi sovrani mai si sono dichiarati “re di Spagna” ma sempre “re delle Spagne”? E quale mai sarebbe una storia “nazionale” della Gran Bretagna» (estensione dell’Inghilterra, che già conteneva il Galles, alla Scozia e all’Irlanda)?
    Un altro studioso illustre, il medievista Giuseppe Sergi, dell’Università di Torino, ha dimostrato come, nell’alto medio evo, si sia delineato in Europa “il ritagliarsi di alcune aree linguistico-culturali (che sarebbero poi le nazioni) e insieme l’emergere di formazioni politiche, per lo più con quelle aeree poco coincidenti, di prevalente impianto dinastico” (che sarebbero invece gli stati) rilevando che, a proposito degli stati moderni, derivati in maggioranza da queste “formazioni” dinastiche, nel loro “disegno non c’era nulla di precostituito in presunte identità di lunga durata dei popoli che in prevalenza le abitavano”. Gli stati contro le nazioni, dunque.
    Ecco perché la Francia ha inglobato nel proprio stato presunto nazionale nazioni sicuramente non francesi (occitani, bretoni, baschi….), la Spagna nazioni non spagnole (catalani, galeghi, ancora baschi…) e così via. È di qui che nascono le varie questioni nazionali che agitano gli stati medesimi e le rivendicazioni di autodeterminazione da parte di molti popoli europei.
    L’Italia ha dunque seguito, per giunta tardivamente (cinque secoli dopo), esempi improponibili: esempi però ritenuti cogenti anche ai giorni nostri dalla scuola di stato, dalla cultura di stato, dalla politica di stato, dalla comunicazione di stato. Diciamocela, allora, tutta.
    La repubblica italiana non è uno stato nazionale, così come non lo sono la Francia, la Spagna, la Gran Bretagna, perfino la ugualmente tardiva Germania.
    L’Italia è uno stato che ha inglobato e incastrato nazioni vere come la Padania, la Toscana, l’Appenninia, la Sardegna, impedendo loro l’istituzione di uno stato moderno, questa volta sí “nazionale”, al quale affidare la sovranità globale dei popoli che le abitano. Una cosa, che in Europa è accaduta soltanto all’Islanda, l’unico stato davvero nazionale esistente oggi nel nostro continente. Ci sarebbe anche il Portogallo, che ingloba però tre villaggi castigliani di confine, lasciando alla Spagna tre villaggi di lingua portoghese. Ma lascia alla Spagna molto di più: l’intera regione della Galizia che il movimento “reintegrazionista” vorrebbe raggiungesse la madre patria portoghese (meglio: si tratta di figlia patria perché furono proprio i galeghi, con la “reconquista”, a creare il Portogallo).
    Meditate, padani, meditate. E assaporate la storia, magari anche la geografia e la linguistica (ma non quelle offerte sul desco di stato), per capire finalmente chi siete, di là dai miti e dai luoghi comuni che vi attanagliano, gran parte dei quali sono stati inventati dallo stato medesimo per fregarvi.
    Gli Stati nazionali non esistono. Padani, meditate… | L'Indipendenza



    Caro Giannino, questo è accanimento terapeutico. Lo Stato deve morire
    di GILBERTO ONETO
    Prima di poter adeguatamente commentare il Manifesto attribuito a Oscar Giannino occorre fare una lunga e noiosa premessa – di cui si chiede scusa a chi queste cose ormai le conosce a menadito – che è necessaria per dare un senso logico e consequenziale (quasi scientifico) a tutto il ragionamento.
    Lo Stato italiano è nato da una operazione eterodiretta funzionale a soddisfare esigenze non sempre coincidenti con il bene dei popoli della penisola. È stata una operazione violenta, innaturale e perciò immorale. Ha prodotto una struttura artificiale e oppressiva la cui sopravvivenza ha sempre richiesto interventi pesanti e costosi. In uno straordinario saggio di parecchi anni fa, Sergio Romano ha descritto i due grandi filoni di azioni messe inizialmente in atto per tenere in piedi lo Stato unitario: il “ferro e il fuoco” e il convincimento propagandistico. Del primo fanno parte repressioni, stati d’assedio, violenze interne, dittatura, le avventure coloniali e tutte le guerre che sono servite a deviare le energie che avrebbero potuto essere potenzialmente pericolose per la stabilità interna. Nel secondo rientrano la scuola, la leva obbligatoria, la propaganda a tutti i livelli, la retorica patriottica vecchio stile e quella postmoderna rappresentata dal calcio, dalla televisione e da tutti i mezzi di indottrinamento e distrazione di massa. Nel secondo dopoguerra, quando il conflitto mondiale ha dimostrato l’inutilità di tutti gli sforzi precedenti per solidificare una unità che si è salvata ancora una volta soprattutto grazie alle esigenze degli equilibri internazionali, si sono percorse altre due strade: l’acquisto del consenso e la diluizione del problema nel calderone europeo.
    Il consenso elettorale, divenuto necessario per l’introduzione del suffragio universale, è stato “comperato” con la distribuzione di denaro pubblico (impieghi statali, pensioni, cariche politiche, appalti eccetera), con l’acquisizione della connivenza delle organizzazioni criminali, con le grandi migrazioni interne (che hanno frastornato molte realtà identitarie) e con i massicci trasferimenti di risorse verso il Meridione. L’Europa è invece stata vista come l’occasione di congelare l’unità dello Stato all’interno di un contenitore più grande, smorzando le pulsioni autonomiste dentro una ideologia europeista di comodo.
    Neppure questi espedienti hanno funzionato e oggi c’è un generale rigetto nei confronti sia dello Stato nazionale che del Superstato burocratico europeo.
    Ancora più delle mortifere politiche militaristiche del passato, la necessità di spendere pubblico denaro per acquisire consenso e salvaguardare l’unità dello Stato italiano hanno costruito un debito pubblico enorme e ormai fuori controllo.
    Di fronte all’irreversibilità della crisi vengono tirati fuori tutti i possibili espedienti e le loro combinazioni, così oggi i cittadini sono bombardati di retorica patriottico-calcistica, vengono inventate dissennate avventure militari, si attenta alle autonomie esistenti, si incrementa il livello di repressione centralista, si patteggia con le mafie, si controlla l’economia, si schiaccia il libero mercato e ci si affida alle maldestre illusioni collegate a una superiore autorità europea cui si attribuisce la salvifica funzione di pozione magica.
    Come un malato allo stato terminale che ha esaurito tutte le possibilità della medicina scientifica e che si affida a stregoni, riti magici o a speranze miracolistiche, oggi anche chi vuole salvare lo Stato italiano ricorre a ogni genere di espediente.
    É un accanimento terapeutico su cui si intestardiscono parenti sconfortati ma anche fior di mascalzoni che in questa situazione di malessere perpetuo prosperano e che vivono lucrosamente proprio di Italia, succhiandone ogni energia e facendo finta di curarla. Spiace che a questa comitiva di disperati e di trusoni si possa anche aggregare qualche persona per bene che insegue ancora speranze improbabili. Soprattutto spiace che oggi anche un galantuomo intelligente come Oscar Giannino possa partecipare a questa sciagurata fiera dell’intubamento, del farmaco estremo e della respirazione artificiale per protrarre di qualche ora il coma irreversibile dello Stato italiano, che da anni è solo un corpaccione incancrenito che ammorba tutto quello che ha attorno. Ogni giorno in più di forzata sopravvivenza dell’Italia comporta ulteriori sofferenze dei suoi cittadini, e significa periodi sempre più lunghi per la loro futura disintossicazione.
    La cosa più saggia è lasciare che la morte faccia il suo corso naturale: tutt’al più si può pensare a un aiutino umanitario, a una caritatevole “spintarella” che ne acceleri la fine. Il solo modo per salvare i popoli della penisola italiana è di terminare lo Stato unitario: 151 anni di fallimenti sono tanti, troppi. È ora di chiuderla lì, di staccare la costosissima spina che sta facendo ammalare anche la Padania. É il solo caso di eutanasia cui nessuna persona dabbene potrebbe opporsi.
    Non servono più ricette miracoliste: si deve farla finita con lo Stato italiano! Per quel che ci tocca, dobbiamo cominciare seriamente a pensare a come ricostruire la nostra casa sopra il Fosso del Chiarone e sopra la Linea Gotica. Ogni altra iniziativa è inutile e addirittura dannosa, se serve a far sopravvivere il moribondo e i suoi miasmi pestiferi.
    Non è neppure pensabile di cercare di salvare lo Stato e l’Italia in forma separata. L’Italia non può essere che statalista e centralista, e sono inutili gli sforzi dei liberisti per farne qualcosa di diverso. Lo Stato centralista non può che essere patriottico, non può che attaccarsi all’ideologia italiana. Stato oppressivo e Italia sono nati assieme e devono scomparire assieme. Patriottismo e statalismo sono nell’italico stivale inseparabili fratelli siamesi che possono sopravvivere solo se restano incistati l’uno nell’altro.
    La sola strada davvero percorribile che può dare una speranza alla nostra gente è quella dell’indipendenza della Padania e della sua ricostruzione su base federale e liberale.
    Quella che qui ci viene ancora una volta proposta è una curetta inutile, è un altro tentativo di tirare in là l’inevitabile redde rationem di un esperimento mal riuscito. Non serve più giocare sulle piccole percentuali e sulle buone intenzioni. Non serve più neppure ritirare fuori dal cilindro il federalismo che per funzionare ha bisogno di libertà, autonomie vere, “soci” che si confrontino con pari dignità e poteri, correttezza nei rapporti (non ci devono essere soci che cercano di “fregare” gli altri o di farsi mantenere): tutte cose che nella penisola scarseggiano e che più nessuno può sperare di inventarsi sull’orlo del baratro.
    Non è più tempo di trovare cure per salvare l’unità dello Stato italiano, ladro e moribondo, ma di elaborare con serietà progetti di separazione civili e possibilmente indolori.
    Giannino è uomo troppo intelligente e accorto per non convenire su questo punto essenziale e su questo dobbiamo cominciare a ragionare e a pianificare il nostro avvenire. Per poter avere seguito ed essere accettato, ogni manifesto di intenti non può che mettere al suo primo punto l’indipendenza, sulla base del sacrosanto diritto all’autodeterminazione e del riconoscimento delle identità vere.
    Abbiamo bisogno di tutte le energie migliori e per questo lanciamo noi un appello a Oscar Giannino per scrivere assieme un manifesto di salvezza, sottoscritto dalla gente e non da furbastri che vogliono solo far finta di cambiare per lasciare tutto così com’è. E continuare a vivere allegramente di Italia.
    Non ci sono più alternative all’indipendenza.
    Caro Giannino, questo è accanimento terapeutico. Lo Stato deve morire | L'Indipendenza


  3. #233
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    Predefinito Re: Secessione dall'Italia

    Citazione Originariamente Scritto da Erlembaldo Visualizza Messaggio
    Non è solo questione della prevalenza dell'aplogruppo R1b (che al sud si attesta al 25%, mentre nella valle del Po arriva a picchi oltre il 60%, analoghi a quelli della Scozia, e vicini a quelli dell’Irlanda!) ma pure quella della rilevante presenza di subcladi non solo celtiche, ma pure germaniche, diffuse al Nord, e scarse o praticamente assenti al Sud, quali la R1b-S21, la R1b-S28, la R1b1b2, la R1b1b2a1, la R1b1b2a1b, la R1b1b2a1b4, la R1b1b2a1b4c, e la R1b1b2a1a (R1b1c9)


    Può darsi che abbia inciso nell’aumento genetico….di stampo greco-anatolico, ma le grandi migrazioni dal sud risalgono agli anni ’60 e ‘70, e queste ricerche sono tutte successive, e ancora evidenziano la fortissima componente genetica celtica e la rilevante componente germanica presente nel nord.

    Non metto in dubbio la validità delle ricerche che presenti. Anch'io, per curiosità, avevo letto qualcosa al riguardo. Quello che sotengo è che per quanto interessante il dato ci porta lontano dal discorso dell'identità, perchè mi sembra, che una caratteristica genetica sia l'ultimo degli elementi da tenere in considerazione quando parliamo di etnia.

    Ma qui non stiamo parlando solo dell’identità della Padania, stiamo parlando della non-identità della cosiddetta Italia, e in particolare della impossibile identità comune tra Padania e Sud. Se consideriamo le rilevanti differenze genetiche, e le sommiamo con le rilevanti differenze storiche, geografiche, linguistiche, culturali, comportamentali, artistiche, spirituali, politiche, socio-economiche, alla fine tra Padania e Sud si constata una differenza identitaria enorme…

    Concordo con te. Mi stupisce che ci siano persone che ritengono che - al di là della comune cittadinanza giuridica - ritengano ugualmente italiani gli abitanti di Grado e di Gela (giusto per fare un esempio a caso). Sono tutti gli elementi che hai citato che ci dimostrano il contrario, enfatizzare l'aspetto genetico, a mio avviso, indebolisce, anziché rafforzare, questa visione. Cmq io non sono secessionista, anche perchè si possono ottenere migliori risultati in un sistema confederale, dove centrale sia il concetto di sovranità.

    Io su questo, cioè sul piano individuale, posso essere d’accordo, ma se confrontiamo dei “popoli”, e le loro relazioni reciproche, il dato genetico ha la sua importanza, accanto a tutti gli altri dati identitari.
    Una singola persona è un essere spirituale, che non si riduce al suo codice genetico e alla sua etnia, e può quindi decidere di abbandonare la sua terra e il suo popolo, per assimilarsi all’identità e al destino di un’altra terra e di un altro popolo.
    Chi conosce la base della Lega Nord sa benissimo che esistono diversi militanti meridionali non solo di seconda o di terza generazione, ma anche di prima, che spesso sono più “severi” con il sud dei militanti padani d’origine. Si tratta di persone che conoscono meglio di tutte l’osceno andazzo ausonico, o per esserci cresciute, o per il fatto che vi ritornano periodocamente durante le vacanze, e che hanno letteralmente il dente avvelenato nei confronti dei loro oziosi parenti, e dello Stato itagliano che deruba sistematicamente chi lavora in Padania, per poi distribuire ingenti somme a fondo perduto a clienti, parassiti, approfittatori, falsi invalidi, ecc. quando non direttamente alle varie sud-icie mafie.
    Sì esatto, questa è anche la mia esperienza.
    Riguardo alla Lega Nord - di cui son stato elettore negli anni '90 - invece non l'assocerei nè alla Padania/Cisalpina, nè a qualsiasi altra idea di tutela dei nostri popoli, o di progetto serio sul nostro futuro. La sua storia politica mi pare dimostri a sufficienza che la sua dirigenza (vecchia e attuale, che è la stessa) abbia sempre fatto il contrario.
    Ultima modifica di von Dekken; 03-08-12 alle 07:55

  4. #234
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    Predefinito Re: Secessione dall'Italia

    L’Italia è il Messico d’Europa, in testa al peggio del peggio
    di ROMANO BRACALINI
    “L’Italia è il Messico d’Europa”, ripeteva don Giustino Fortunato, meridionalista onesto, senza tacere che il Sud della penisola, di cui lui stesso era originario, contribuiva da par suo alla realizzazione della profezia. Nella classifica delle qualità peggiori, dei disservizi pubblici, della corruzione, delle tangenti, dei ritardi statali siamo, com’è giusto, in compagnia degli ultimi. Lo dice, se mai ce ne fosse bisogno, il rapporto annuale della Confcommercio: c’è in Italia una eccessiva burocrazia che tratta il cittadino da suddito angariato. Lo Stato che spreme il cittadino e gli manda i carabinieri se ritarda un pagamento, se la prende comoda quando a pagare tocca a lui e nella classifica dei ritardati pagamenti e delle mazzette, su 26 paesi l’Italia occupa i primi posti dopo Slovacchia, Messico e Grecia. Ma ce n’é anche per la magistratura italiana le cui lentezze e incongruenze sono universalmente note al punto che sui giornali americani si scrive “giustizia italiana” tra virgolette, come di un’avvertenza necessaria, come di un’altra curiosità o stranezza del “caso italiano”. Nel 2008 un tribunale siciliano ha finalmente chiuso una causa civile che durava da 192 anni. Gli avvocati, in un paese tradizionalmente litigioso e indisciplinato, pullulano. Nella sola Roma ce ne sono più che nella Francia intera. Napoli è una città di avvocati. Le scaciate e improvvisate università del Sud (sono sorte come funghi in pochi anni) sfornano paglietti e mozzaorecchi più dell’Italia intera. Nel mondo giuridico internazionale le richieste di estradizione italiane sono famose per le motivazioni insufficienti, approssimative e poco chiare dal punto di vista linguistico.
    E’ scaduto il livello culturale delle professioni. Un tempo si accedeva alla facoltà di giurisprudenza unicamente dal liceo classico: era necessario conoscere il latino e il greco per studiare i classici originali e i principi basilari del diritto. Oggi è sufficiente avere un diploma di istituto tecnico. Meraviglia che l’italiano sia un mistero per parecchi magistrati? La lingua si è impoverita, quando non è infarcita di errori elementari, massimo ai livelli della burocrazia di stato. Da Roma in giù non si ha nozione del congiuntivo. Dirigenti che arrivano a scrivere nei documenti ufficiali: ”I parenti della salma”.
    Dal dopoguerra la partitocrazia ha invaso ogni settore dell’amministrazione pubblica nazionale e regionale. Il malcostume è un fatto ancestrale; l’arricchimento attraverso la carica pubblica è un criterio accettato. Dichiara un burocrate siciliano: ”Amministratori incompetenti, autoritari, ignoranti… abbiamo ottanta automobili che servono a portare in giro le cameriere degli assessori”. In Francia c’è la famosa “Ecole nationale d’Administration” dalla quale escono i “commis” (commessi), come si chiamano gli alti funzionari dello Stato. In Inghilterra i funzionari pubblici si chiamano “Civil servant”. Sono al servizio del cittadino. In Italia sono il braccio armato dello stato che vessa i cittadini. Il concorso pubblico non esclude i trucchi e le raccomandazioni politiche,sia per entrare in magistratura che nell’amministrazione statale.
    Il Sud ha invaso lo Stato che forse, proprio per questo, è il più costoso e il peggio amministrato d’Europa. A Napoli c’è un netturbino ogni 375 abitanti; a Milano, più grande e più pulita, il rapporto è di uno ogni 520 abitanti. Più di mille giardinieri a Palermo,250 a Torino (La Stampa,13 ottobre 2008). I tecnici informatici nei tribunali pugliesi sono 32, quanti tutti quelli di tutto il Settentrione. Nel Nord-Est sono solo 9. Più addetti non garantiscono un miglior servizio. Perché le assunzioni al Sud non si fanno per rendere un servizio migliore ma per ripagare un favore,assicurarsi il voto.Nella classifica dei ritardi burocratici l’Italia è al 143° posto su 181 paesi (Corriere della Sera,12 aprile 2010). In Italia per progettare e affidare i lavori di una grande opera occorrono in media 900 giorni: si va dai 583 giorni della Lombardia ai 1.100 della Campania, ai 1.582 della Sicilia. Più di quattro anni. E ancora: 257 per l’autorizzazione a costruire un semplice capannone o un piccolo magazzino. Negli Stati Uniti bastano 40 giorni, in Gran Bretagna 95, in Germania 100, in Francia 137.
    Al Sud è tutto più difficile e precario. L’autostrada Salerno-Reggio Calabria, cominciata nel 1962 non è ancora terminata,dopo mezzo secolo. Si prevede che i lavori finiranno nel 2013. Costo finale previsto: 10 miliardi di euro. Sulle autostrade siciliane Palermo-Messina, Messina-Catania, Siracusa-Gela, in tutto 299 chilometri, vi sono 22 caselli con 348 casellanti: ai quali vanno aggiunti 150-200 casellanti stagionali. Su circa il 40% delle autostrade meridionali non si paga il pedaggio. Doveva essere un incentivo allo sviluppo. Invece ha significato bassi livelli di servizio e di efficienza. Il personale c’è (e anche in soprannumero) ma è come se non ci fosse. L’Italia come il Messico (persino i colori della bandiera sono eguali). Se fai le previsioni peggiori, le azzecchi tutte!



    Patto di stabilità: in Veneto solo il 4% dei Comuni ha sforato
    Nel 2011, in Veneto solo 11 Comuni su 268 non hanno rispettato il patto di stabilità (erano 8 nel 2010), il 4,1% del totale. Un valore ben inferiore rispetto alla media nazionale (5,3%) e di quella del Molise (33,3%), della Calabria (18.8%) e della Campania (10,4%) ed in linea col dato del Nord (4%). Queste cifre, pubblicate martedì scorso in Gazzetta ufficiale, certificano la virtuosità dei nostri Enti locali, che però, nel recente decreto sulla Spending review, pagheranno esattamente come gli altri, cioè 8 euro a cittadino.
    “Come al solito – dichiara il capogruppo leghista e vicesegretario federale Federico Caner -, nella bilancia del Governo l’equità nei ‘pesi’ è l’ultimo dei problemi. La Spending review infatti non tiene in alcun conto del fatto che nel 2011 solo il 4% dei municipi del Nord abbia sforato il Patto, mentre al Sud si registrano percentuali più che doppie (9%). In entrambi i casi, gli Enti locali ci rimettono 8 euro a residente, cioè, per il Veneto, 34 milioni di euro . Dal 2010, sono più che raddoppiati i Comuni che non ce l’hanno fatta a rispettare il Patto, e ho buona ragione di credere che la mannaia della Spending review darà il colpo di grazia a municipi che rappresentano, per i cittadini, il primo baluardo nell’erogazione dei servizi. Di fronte a questa cecità dello Stato centrale, che impone tagli alla periferia senza ridurre la spesa del pachidermico apparato ministeriale, credo non sia un tabù accogliere l’avvertimento del presidente dell’ANCI Graziano Delrio e le parole dei sindaci dei capoluoghi veneti: uscire tutti dai vincoli di finanza pubblica, mettendo in pericolo il saldo della Spending review che proprio sui conti locali fonda una buona fetta della previsione di risparmio”.



    Le Regioni del Sud piangono miseria: “Urge solidarietà nazionale”
    MARIETTO CERNEAZ
    Se uno ha letto il “Sacco del Nord” sa bene come funzionano le dinamiche redistributive in questo paese. Per citare due dati, Lombardia e Veneto hanno circa 60 miliardi di euro di crediti nei confronti dello Stato, insomma pagano più di quello che ricevono. Si tratta di numeri, non di opinioni. Poi, basta leggere notizie come quelle pubblicate su questo giornale che accorgersi che ormai la corda è troppo tirata; se in Calabria spendono 12.000 euro per dieci bandiere tricolori e in Sicilia più di un cittadino su due vive di soldi pubblici, beh allora gli alti lai dei presidenti delle regioni meridionali contro i tagli sanno molto di barzelletta.
    Cosa hanno detto? Ecco qua: “Il Sud ha tante giovani potenzialità sulle quali puntare per creare sviluppo e ricchezza ma occorre che il Governo eviti, con la spending review, di fare altri tagli alle Regioni”. E’ questo in sintesi il messaggio rivolto da cinque Governatori del Sud al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Antonio Catricalà, nel corso degli stati generali delle Regioni del Mezzogiorno. I Presidenti di Basilicata, Campania, Calabria e Molise, si sono ritrovati sul palco del teatro Politeama di Catanzaro per confrontarsi sulle iniziative da adottare per affrontare la crisi e creare nuova occupazione e sviluppo.
    Lo spauracchio dei tagli della spending review è stato uno dei temi affrontati anche dal Presidente della Campania, Stefano Caldoro, secondo il quale bisogna stare attenti che le ”istituzioni non colpiscano le nostre capacità e la nostra possibilità di investire sulle nuove generazioni”. Parole degne del manuale della demagogia ritrita, al punto che è con la frase successiva che si ripete la solita “tiritera” dei questuanti meridionali: “E’ necessario che ci sia un ‘sistema di solidarietà nazionale – ha proseguito Caldoro – altrimenti non regge l’Italia”. Capito? Prima parla di potenzialità immaginarie, un secondo dopo fa capire che vogliono i soldi degli altri. Nulla di nuovo…
    Il Presidente della Calabria, Giuseppe Scopelliti: l’Italia è ”piegata su se stessa e non ha la forza di reagire. Dal sud può partire un messaggio forte e dirompente attraverso i giovani e le risorse dei nostri territori”. Quello della Basilicata, Vito De Filippo: il lavoro del Governo Monti è molto ”difficile e complicato. Nella piazza del mondo ogni Paese sta misurando le proprie difficoltà, serve unità, due Italie non esistono”. Già probabilmente ne esistono quattro o cinque. Con la strizza addosso, ne fa dei loro portafogli di assistiti in eterno, pensa all’unita’ anche il Presidente del Molise, Michele Iorio, “perchè tutte le Regioni del Mezzogiorno ‘insieme possono individuare una prospettiva di sviluppo”.
    Mentre i Governatori chiedono che non ci siano ulteriori tagli alle Regioni, il sottosegretario Catricalà – con un colpo alla botte ed uno al cerchio – ha ricordato che il provvedimento che sarà adottato non riguarda i ”tagli ai servizi ma ai surplus di spesa. Noi abbiamo il dovere di colpire alcuni sprechi. In particolare tutti quei costi che si pagano al di sopra della media”. Sai che banalità…
    Quello che non han capito da quelle parti è che, per parafrasare Margareth Thatcher – i soldi degli altri sono finiti, ga né minga….
    Le Regioni del Sud piangono miseria: “Urge solidarietà nazionale” | L'Indipendenza

    La Catalogna vuole la secessione: 2 milioni in piazza contro Madrid
    Imponente manifestazione a Barcellona.
    Il 51,1 % dei catalani voterebbe a favore dell’indipendenza.
    Quasi due milioni di persone hanno manifestato ieri, martedì 11 settembre, a Barcellona per l’indipendenza della Catalogna, secondo le stime della polizia locale. "Catalogna, nuovo stato per l’Europa", era il tema della marcia che si è snodata pacificamente lungo un percorso di tre chilometri nel giorno della festa nazionale catalana.
    Questione di Fisco - Al centro delle rivendicazioni indipendentiste vi è, non a caso, proprio la questione fiscale. La Catalogna gode di ampia autonomia, ma questa non si estende alle imposte che vengono girate tutte a Madrid. Il governo regionale di Barcellona versa ogni anno oltre 16 miliardi di euro alle altre regioni spagnole. Se non vi sarà un nuovo accordo in materia di tasse con il governo centrale, avverte il presidente della regione catalana Artur Mas, si aprirà "il cammino della Catalogna verso la libertà". Mas non ha partecipato alla marcia, ma erano presenti nove dei suoi 11 consiglieri e la moglie. "E' la manifestazione più importante della nostra storia", ha commentato Carme Forcadell, presidente dell’assemblea regionale, che era alla manifestazione assieme a membri del parlamento, il sindaco di Barcellona, Xavier Trias, e l’ex presidente della Catalogna Jordi Pujol.
    Secondo un sondaggio del Centro de Estudios de Opiniòn (CEO), il 51,1 % dei catalani voterebbe a favore dell’indipendenza.



    La Catalogna mette in guardia Madrid: riforma fiscale o sarà secessione
    Due milioni le persone in piazza per l’indipendenza durante la ‘‘giornata nazionale della Catalogna’’. I sondaggi, per la prima volta nella storia, rivelano che più del 50% dei catalani sarebbe favorevole a un’eventuale separazione dalla Spagna
    Alessandro Proietti
    In passato il “Diada de Catalunya” aveva attirato al massimo 50mila persone, un numero considerevole, ma non paragonabile a quello stimato dalla polizia l’11 settembre scorso. Sono state quasi due milioni le persone scese in piazza con le bandiere della Catalogna per commemorare la caduta di Barcellona nelle mani delle truppe borboniche di Filippo V di Spagna durante la Guerra di Secessione spagnola l’11 settembre del 1714, dopo un assedio durato 14 mesi. “La nostra volontà è stata completamente ignorata – ha detto Soledat Balaguer, uno dei membri della segreteria dell’Assemblea Nazionale della Catalogna –, la Catalogna deve essere uno stato a parte”.
    Una presa di coscienza, da parte dello stato catalano, che non ha precedenti, a differenza dei Paesi Baschi, dove la popolazione non ha fatto mai mancare il proprio appoggio alla causa separatista. Nel 2010, un sondaggio condotto dal “Centro catalano per lo studio delle Opinioni”, rilevava ancora come solo il 25,2% della popolazione fosse favorevole alla secessione. Ma un’altra ricerca, commissionata la scorsa settimana, ha rilevato ora il massimo storico nella percentuale del 51,1.
    Lo stato spagnolo aveva impugnato, dopo il referendum del 2006 che trasferiva alla Catalogna importanti competenze regionali, la pronuncia della più alta Corte spagnola, suscitando le proteste della popolazione.
    Il malcontento è anche strettamente legato alla grave crisi economica in cui versa la Spagna. Sebbene la Catalogna sia la regione più ricca è anche la più pesantemente indebitata, con un disavanzo di bilancio pari all’8%. Con l’attuale sistema fiscale, la regione Catalogna percepisce le tasse dai suoi residenti e il totale viene girato al governo centrale che, successivamente, eroga l’importo designato per ogni regione per pagare gli stipendi pubblici, i servizi sociali, le infrastrutture. Nel 2009, l’ultimo anno del quale si conoscano i dati, a fronte di una raccolta del 19,49% delle entrate fiscali, lo stato ha girato alla Catalogna solo il 14,03%.
    Secondo il presidente catalano Artur Mas, tale discrepanza spiega il deficit della regione. Mas ha chiesto una riforma fiscale che consenta al suo governo di raccogliere le proprie imposte e girare solo un importo designato allo stato centrale (e non viceversa). “Se non riuscissimo a raggiungere un accordo finanziario con Madrid – ha spiegato il presidente catalano alla Bbc – la strada verso la libertà per la Catalogna sarebbe aperta”. Lo storico Enric Ucelay-Da Cal, specializzato in nazionalismo catalano, analizza la “crescita del secessionismo come una risposta all’erosione di alcune funzioni fondamentali e distintive della Catalogna. Come la chiusura di molte piccole imprese, una volta alla base dell’economia catalana”. I giovani, poi, trovano sempre più difficoltà nel lavoro e l’indipendenza è vista come una panacea. “C’è la percezione – ha sottolineato al Time lo storico –che, una volta avuto il proprio sistema fiscale, si potrà tornare ai bei tempi della nostra cultura, e tutto andrà bene”.





    Ancora una volta, in mondovisione, il Movimento giovani padani ha fatto sapere durante la premiazione del Gran Premio di Monza qual è la vera bandiera del Nord. Sotto il podio, come sempre, non sono apparse bandiere tricolori ma solo il Sole delle Alpi della Padania.
    “Oggi più che mai è giusto ribadire al mondo e ai mercati finanziari che qui siamo al Nord, che è una realtà ben diversa dal resto del Paese. Se ne sono accorti i principali quotidiani economici del mondo, prima o poi se ne accorgeranno anche Monti e Napolitano”, spiega Lucio Brignoli, coordinatore federale del Movimento giovani padani.
    “Fosse stato per Roma oggi la gara si sarebbe corsa intorno all’Eur – ricorda Eugenio Zoffili, coordinatore lombardo dell’MGP – Il Gran Premio di Monza è un momento di autentico orgoglio lombardo e padano, momento in cui il Nord fa vedere al mondo come si costruiscono circuiti immortali e come si fabbricano macchine meravigliose. Il Nord, non solo nell’automobilismo, ha una marcia in più e ora, anche istituzionalmente, se ne va”.
    “Non ho visto ragazzi italiani fare a gara per sventolare il tricolore – commenta Andrea Villa, coordinatore provinciale del Movimento giovani padani di Monza e Brianza, responsabile dell’iniziativa all’interno dell’Autodromo – Agli italiani interessa solo il calcio, a noi interessa il destino del nostro popolo, della nostra amata Padania. Noi c’eravamo con le nostre bandiere, gli altri no: è una differenza sostanziale”.



    L'Europa fa contento Zaia: dividere l'Italia si può
    Il presidente della Commissione Ue Barroso risponde alla Lega: "Secessione? E' prevista dalle leggi internazionali"
    di Matteo Mion
    Pare che l’Ue non la pensi come l’ufficio legale della regione Veneto secondo il quale a norma di Costituzione italiana la via del referendum consultivo per ottenere la secessione non è praticabile. In questi giorni di fervore autonomista nelle terre di San Marco il governatore Zaia non fa più mistero del fatto che «referendum o non referendum la spinta indipendentista tra i veneti si avverte chiara». L’indipendenza insomma non è più un affare di pochi estremisti, ma una volontà forte e coesa di molti. Un tema di discussione politica che non attecchisce solo tra Venetisti o Serenissimi, ma coinvolge l’intera regione. Una volontà separatista che rinvigorisce e prospera ad ogni provvedimento centralista e tassaiolo del governo centrale abituato a mostrare i muscoli a Nord e le terga calate a Sud. Rimane da superare il problema giuridico-costituzionale e cioè la camicia di forza normativa che costringe obtorto collo il Veneto nella macroregione italiana.
    Tutele per il Sud - L’ordinamento dello stato italiano è stato studiato a tutela del meridione: non consente né la macroregione settentrionale né quella mitteleuropea, ma solo quella sicilian-campana con epicentro a Roma. Zaia ha scaldato il cuore dei veneti con la richiesta al Consiglio regionale di approfondire la tematica del referendum per raggiungere lo stato sovrano indipendente. La sinistra veneta ne ha chiesto immediatamente le dimissioni e questo è un’ulteriore conferma della bontà della strategia politica del governatore leghista. Scontata, però, è arrivata la bocciatura degli azzeccagarbugli di Palazzo Balbi incapaci di non essere proni a Roma. E non ne dubitavamo. I manuali di diritto pubblico su cui vengono eruditi i giuristi patrii sono a dir poco romanocentrici. E proprio mentre molti veneti accusavano la tegola della bocciatura del referendum, è arrivata una notizia ancor più ghiotta a firma niente meno che Barroso. Il Presidente della Commissione Ue, rispondendo a un’interrogazione dell’europarlamentare leghista Mara Bizzotto ha affermato che «nel caso ipotetico di una secessione in uno stato membro, si dovrà trovare e negoziare una soluzione avendo riguardo all’ordinamento giuridico internazionale». Se Zaia può essere apostrofato dai soliti epiteti progressisti razzista, leghista e bla bla, cosa possono rispondere la sinistra e il Capo dello Stato alle affermazioni di Barroso che ammette la secessione? L’Ue ammette una via giuridica per la secessione, ma l’Italia no.
    Doppiopesismo - Il governo è europeista a intermittenza: ciò che non garba a lorsignori della Bocconi fan finta di non vederlo. Così la vicentina Bizzotto è diventata un eroe in tutti i media di Catalogna e Scozia, ma nella penisola tutto tace. Da quelle parti rendono onore alla nostra parlamentare che ha sollevato un tema quanto mai d’attualità in quelle regioni che da anni si affannano alla ricerca di una via democratica per staccarsi rispettivamente da Spagna e Gran Bretagna. Il comunicato di Barroso è stato significativo: la secessione in Ue non è più un tabù né uno spauracchio. Per l’Ue Veneto-Stato è possibile: Roma è avvertita. O il governo centrale allenta la morsa fiscale, la depredazione sistematica del Pil e dei risparmi veneti che ha condotto a decine di suicidi imprenditori locali oppure da oggi l’alternativa sta sulla carta intestata dell’Unione europea. Alla morte per italianità, meglio gli Stati Uniti del Nord o la Serenissima repubblica: firmato Barroso!
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    Scozia e Catalogna «Grazie Bizzotto: l'Ue apre un varco»
    SECESSIONI. C'è un atto: apre il caso anche qui
    Piero Erle
    Ha appena ottenuto una risposta dal presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso che rischia di creare una svolta epocale sul fronte delle spinte autonomiste in Europa. E così in questi giorni Mara Bizzotto, europarlamentare vicentina della Lega, è diventata una vera e propria star per i giornali della Catalogna e della Scozia che stanno alzando di brutto i toni sulla questione “indipendenza” (da Spagna e Gran Bretagna) e la citano in una raffica di articoli. E dato che il suo Veneto in questi giorni ha vissuto la richiesta di referendum presentata da “Indipendenza veneta”, e il parere legale negativo della Regione, la vicenda diventa ancora più interessante.
    LE PAROLE DI BARROSO. All'interrogazione Bizzotto, il presidente della Commissione Ue ha risposto che la cittadinanza europea si aggiunge alla cittadinanza nazionale di cui si gode in uno degli Stati membri: non c'è l'una senza l'altra. Ma Barroso ha anche scritto che «nel caso ipotetico di una secessione in uno Stato membro, si dovrà trovare e negoziare la soluzione ricorrendo all'ordinamento giuridico internazionale».
    CATALOGNA E SCOZIA IN AGITAZIONE. Come detto, si sono poi scatenati i giornali catalani e scozzesi, citando di continuo il carteggio Barroso-Bizzotto. Motivo? Per gli indipendentisti (soprattutto gli scozzesi che hanno in ballo un vero e proprio referendum per il 2014) per la prima volta il vertice dell'Ue apre un varco che mai c'era stato. E cioè: nelle questioni di secessione-indipendenza l'Ue riconosce che non contano solo le leggi del singolo Paese, ma viceversa il riferimento è all'“ordinamento giuridico internazionale”. Significa ad esempio, spiegano gli esperti degli indipendentisti, la sentenza della Corte internazionale di giustizia dell'Onu sul caso Kosovo. Oppure le convenzioni di Vienna (1978 e 1983). Insomma, una via per un'autonomia che sia poi riconosciuta dall'Ue c'è.
    E IL VENETO? Come noto, proprio in queste ore la Regione ha sentenziato che è legalmente impossibile un referendum per l'indipendenza del Veneto: lo vieta la Costituzione. Ma ad esempio il governatore Luca Zaia (Lega) ha ribadito che «in ogni caso la spinta indipendentista tra i veneti la si avverte chiara», e Mara Bizzotto sa che le parole di Barroso aprono un varco. «La questione interessa soprattutto la Scozia, che voterà, è ovvio. Ma l'aver stabilito che in Ue per le secessioni vale il diritto internazionale, ad esempio anche rispetto alla Costituzione italiana, è un passo importante. In Veneto le spinte ci sono - conclude Bizzotto - l'obiettivo nostro c'è, e si apre uno spazio istituzionale per agire».



    Macroregione del Nord, strade diverse portano allo stesso obiettivo?
    di GIANLUCA MARCHI
    Macroregione o Euroregione, insieme a un eventuale referendum per l’indipendenza del Veneto, sono argomenti venuti alla ribalta delle cronache politiche, soprattutto nelle regioni del Nord, in queste ultime settimane. Della questione del referendum veneto ho parlato ieri e oggi ne parla diffusamente, qui a fianco, l’amico Fabrizio Dal Col, ben più ferrato di me. Io devo solo registrare che Indipendenza Veneta ha spedito un dossier giuridico di 120 pagine al presidente della Commissione Ue Barroso, dossier che dovrebbe inoltre rassicurare i consiglieri regionali veneti circa la copertura della comunità internazionale nell’eventuale indizione di un referendum consultivo.
    Veniamo invece al tema della Macroregionale padano-alpina. Qualche giorno fa a Brescia ho moderato un dibattito sull’argomento fra i governatori Formigoni, Zaia e Cota e il vicepresidente della Lombardia Andrea Gibelli. Lo scopo del dibattito era di confrontare il progetto della Lega e quello formigoniano e sviscerare se perseguono lo stesso obiettivo e attraverso quale strada intendono arrivarci. Diciamo in sintesi che l’obiettivo finale potrebbe essere anche coincidente, ma i percorsi suggeriti dalle due parti sono assai diversi. Almeno al momento, anche se l’abile governatore lombardo è pronto a cambiare in corso d’opera strategia pur di trovare alleati sul percorso e ritagliarsi un ruolo per il prossimo futuro.
    Partiamo dal progetto leghista: il Carroccio ha depositato in Cassazione un progetto di legge costituzionale di iniziativa popolare che punta a una modifica della Costituzione al fine di consentire la federazione di più regioni in un’Euroregione e che modifichi un punto fondamentale dell’attuale ordinamento statale, cioè la destinazione delle tasse. Oggi, del monte totale di tasse pagate dai cittadini, ciò che rimane sul territorio varia dal 34% del Veneto per arrivare al 37% del Piemonte: il resto, cioè il grosso, va tutto a Roma. Il progetto leghista prevede che il 75% del gettito fiscale resti dove viene prodotto. Se prendiamo i dati del 2010, ad esempio in Lombardia sono stati pagati 108,2 miliardi di tributi e ne sono sono rimasti sul territorio 38,5 miliardi; nell’ipotesi della Lega si salirebbe a 81,2 miliardi, più del doppio. Il Veneto paga 47 miliardi di tasse, ne riceve indietro 15,8 miliardi, mentre ne potrebbe avere 35,2 miliardi. Infine il Piemonte: oggi paga 40,5 miliardi di tributi, ne trattiene 15,5 miliardi mentre ne potrebbe ottenere 30,4 miliardi. Siamo in sostanza nell’ottica di almeno un raddoppio delle risorse disponibili, che i vari governi regionali potrebbero in parte utilizzare per abbassare le tasse e in parte per migliorare i servizi e l’impulso all’economia. E’ chiaro che in un caso del genere allo Stato centrale verrebbero a mancare, solo dalle tre regioni in oggetto, circa 130 miliardi di euro all’anno, di conseguenza sarebbe costretto a rivedere la propria organizzazione e il flusso delle risorse verso le regioni in deficit.
    Roberto Formigoni fa invece un discorso di opportunità immediata. Dice: “se mi venite a proporre che il 75% delle tasse rimanga sul territorio, non solo vi dico che sono d’accordo, ma addirittura vi supero proponendo il 100%. Solo che un discorso come questo richiede una modifica costituzionale e oggi come oggi, ma anche nel prossimo futuro, la vedo difficile andare in Parlamento a trovare una maggioranza che approvi una riforma del genere”. Ecco dunque che lui propone un percorso a Costituzione vigente dove, lavorando sugli articoli 116, 117 e 132, si possano ottenere competenze e funzioni che alla Macroregione di ottenere autonomia, competenze e risorse in materie che oggi sono ancora gestite dallo Stato. Il sospetto che il progetto del governatore lombardo solleva immediatamente è però che a Costituzione vigente è consentita solo la fusione fra le Regioni oggi esistenti e che dunque lui, sotto sotto, persegua l’idea di una sorta di Grande Lombardia.
    C’è poi un nodo prettamente politico che Formigoni in questo momento non è in grado di chiarire: in questa sua accelerazione verso l’idea di Macroregione del Nord il Celeste ha coinvolto il governatore del Friuli Tondo e i coordinatori regionali del Pdl, ma nella Lega si nutre molto scetticismo sul fatto che, una volta incardinato in Parlamento il processo di riforma, il Pdl possa veramente appoggiare il progetto formigoniano. “Non ci piace – è stato detto a Brescia – che uno come La Russa dica che la Macroregione del Nord serve per salvare l’Italia. Noi invece pensiamo che più Nord oggi significhi inevitabilmente meno Sud. Questa è l’ultima possibilità che abbiamo per il Nord: non ci sarà un secondo tempo e tantomeno i tempi supplementari”.
    Macroregione del Nord, strade diverse portano allo stesso obiettivo? | L'Indipendenza


  5. #235
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    Predefinito Re: Secessione dall'Italia

    A questo punto è bene rammentare che la LOMBARDIA non è padania.

  6. #236
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    Predefinito Re: Secessione dall'Italia

    Citazione Originariamente Scritto da von Dekken Visualizza Messaggio
    Ritengo che se lo Stato Italiano mutasse il suo assetto territoriale ed istituzionale trasformandosi in una confederazioni delle sue Regioni storiche ne guadagnerebbe in efficienza e libertà. Quindi voto "no".
    Certo che se una popolazione territorialmente omogenea vuol secedere per forza che lo faccia.
    Quà c'è un errore di fatto, dato che è un dato di fatto che il Principato di Monaco e la Repubblica di San Marino, territori Italiani, de facto garantiscono un miglior stile di vita e molta più libertà, nonchè vicinanza e partecipazione alle istituzioni.
    Tu ne cede malis, sed contra audentior ito, quam tua te Fortuna sinet.


  7. #237
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    Predefinito Re: Secessione dall'Italia

    Citazione Originariamente Scritto da JohnPollock Visualizza Messaggio
    Quà c'è un errore di fatto, dato che è un dato di fatto che il Principato di Monaco e la Repubblica di San Marino, territori Italiani, de facto garantiscono un miglior stile di vita e molta più libertà, nonchè vicinanza e partecipazione alle istituzioni.
    Questo è senz'altro vero. Sono realtà territoriali molto piccole, il che favorisce la vincinanza alle istituzioni. Su scala maggiore non sarebbe credo possibile replicare la stessa situazione, anche se bisognerebbe ispirarsi al loro esempio.

  8. #238
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    Predefinito Re: Secessione dall'Italia

    Citazione Originariamente Scritto da Erlembaldo Visualizza Messaggio
    O Signur di puaret!
    Le cartine genetiche vengono elaborate sulla base degli studi….di genetica!
    Mai sentito parlare del DNA?
    Dal DNA si possono ricavare molti dati relativi ai caratteri somatici e fisici degli esseri umani, quindi anche il colore dei capelli.
    Il colore dei capelli, comunque, è stato già oggetto in passato di studi non genetici, ad esempio da parte dell’etnologo Biasutti, che, sulla base di statistiche raccolte relativamente ai soldati di leva in tutta Italia ha elaborato questa mappa.


    Noto con piacere che Calabria e Sardegna sono molto omogenee e pronte alla secessione...ma anche Abruzzo e Toscana....e pure la Sicilia non è male...
    Ultima modifica di John Orr; 20-09-12 alle 08:40
    Tu ne cede malis, sed contra audentior ito, quam tua te Fortuna sinet.


  9. #239
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    Predefinito Re: Secessione dall'Italia

    Citazione Originariamente Scritto da JohnPollock Visualizza Messaggio
    Noto con piacere che Calabria e Sardegna sono molto omogenee e pronte alla secessione...ma anche Abruzzo e Toscana....e pure la Sicilia non è male...
    Non ho mai sentito parlare di movimenti secessionisti calabresi. Onestamente, per la mia esperienza, le popolazioni meridionali sono le più "ferocemente" unitariste che ci siano (esclusi i duosiciliani del forum)

  10. #240
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    Predefinito Re: Secessione dall'Italia

    Citazione Originariamente Scritto da von Dekken Visualizza Messaggio
    Non ho mai sentito parlare di movimenti secessionisti calabresi. Onestamente, per la mia esperienza, le popolazioni meridionali sono le più "ferocemente" unitariste che ci siano (esclusi i duosiciliani del forum)

    Si. Forse. Per ora. Ma dopo le prime secessioni potrebbe succedere di tutto.
    Tu ne cede malis, sed contra audentior ito, quam tua te Fortuna sinet.


 

 
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