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    Predefinito Le macerie del riformismo porteranno i lavoratori alla rivoluzione e al Comunismo

    La “soluzione borghese” alla crisi del Capitale

    Il capitalismo affonda nella crisi ogni giorno di più. I proclami dei governi borghesi d’ogni colore, di destra come di sinistra, che vagheggiano un superamento della crisi, più o meno remoto, sono mera propaganda per convincere i lavoratori ad accettare i sacrifici secondo la formuletta “stare peggio oggi per star meglio domani”. La crisi, al contrario, non farà che aggravarsi, avvitandosi in una spirale di cause ed effetti sempre più drammatici, fino al tracollo mondiale dell’economia capitalistica, perché ad essa non esiste soluzione.

    Il capitalismo ha già attraversato nella sua storia crisi analoghe a quella odierna. L’ultima fu la Grande Depressione degli anni Trenta. Oggi, la cosiddetta politica economica keynesiana, ossia l’intervento dello Stato a sostegno dell’economia capitalistica, è invocata dalla sinistra borghese, sia moderata sia “radicale”. Allora, questa politica economica fu praticata indifferentemente da tutti i regimi borghesi, dai democratici come da quelli fascisti e nazisti, e non risolse affatto la crisi. Ciò che permise al capitalismo di tornare alla “crescita” – obiettivo, allora e oggi, spacciato come “bene comune” a borghesi e lavoratori – fu la Seconda Guerra mondiale. Il rimpianto dai borghesi “boom economico” degli anni ’50-‘60 fu figlio del sacrificio di 55 milioni di vite, quasi tutti proletari e contadini. Questo è il prezzo da pagare al Capitale per la sua “crescita!”

    Fino al 1929 nessun “grande” economista o politico borghese aveva previsto che il capitalismo sarebbe precipitato nella crisi. Poi, in questo dopoguerra, affermavano che il capitale aveva ormai imparato ad indefinitivamente governarsi senza scosse tramite la programmazione e con i consumi “di massa”. Solo il marxismo rivoluzionario ha mantenuto la sua originaria previsione scientifica: le vere cause della crisi, indicate dal comunismo fin dal Manifesto del 1848 e nel Capitale di Marx, sono la sovrapproduzione e il calo del saggio del profitto, due fenomeni ineliminabili e inarrestabili dell’economia capitalistica perché impliciti nelle sue fondamentali leggi di funzionamento.

    Queste leggi sono ormai a tutti evidenti, valide per tutti i paesi capitalistici maturi ed inevitabile destino anche dei nuovi giovani potenti capitalismi.

    La borghesia non può fermare la crisi, ma al più frenarne l’avanzata. Questo è avvenuto, dalla crisi del 1973-’74, che segnò la fine del ciclo trentennale di forte crescita del secondo dopoguerra e l’inizio della crisi generale, agendo su tre leve: l’aumento del debito, l’allargamento del mercato mondiale, l’aumento dello sfruttamento della classe lavoratrice. Il capitalismo è riuscito così a dilazionare e rallentare il precipitare della crisi, permettendo altri 35 anni di crescita debole, ma non ha potuto fermarla: è esplosa quattro anni fa e continuerà fino al completo tracollo.

    Non esiste dunque una soluzione economica alla crisi del capitalismo ma per la borghesia un’unica soluzione politica: una nuova guerra mondiale, per distruggere l’enorme massa di merci in eccesso, fra cui la merce forza-lavoro, e sottomettere la classe lavoratrice internazionale al massimo sfruttamento. Ed esiste un’unica soluzione politica proletaria: la Rivoluzione, per superare questo modo di produzione inumano e antistorico.


    Riformismo arnese difensivo borghese

    Nel periodo precedente l’imperialismo, e le guerre imperialiste, epoca che culminò nella proclamazione della giornata di lotta internazionale del 1° Maggio, marxismo rivoluzionario e riformismo si combattevano duramente ma all’interno dello stesso partito – la Seconda Internazionale, e, in Italia, il Partito Socialista – perché condividevano lo stesso obiettivo: la futura società senza classi. Esisteva cioè un riformismo di classe, che prospettava ai lavoratori il superamento graduale, con la lotta di classe ma senza la rivoluzione, del capitalismo: una sua pacifica evoluzione nel socialismo. La stessa CGL, fondata nel 1906, seppur diretta da riformisti, nel suo statuto proclamava obiettivo finale del movimento operaio e sindacale la “emancipazione dal lavoro salariato”.

    La Prima Guerra mondiale segnò il fallimento del riformismo perché dimostrò che il capitalismo non marciava affatto, seppure gradualmente, verso il socialismo, ma portava alla più grande carneficina che la storia avesse mai fino allora conosciuto, e perché tutti i partiti socialisti, guidati dai riformisti, appoggiarono la guerra, abbandonarono in ogni paese la lotta di classe legando i lavoratori alla borghesia, portandoli al massacro fratricida sui fronti, calpestando l’internazionalismo proletario fino al giorno prima falsamente ossequiato. Il riformismo proletario moriva, divenendo da allora e per sempre uno strumento in mano alla borghesia: dal superamento graduale del capitalismo passò al suo “miglioramento”; la abolizione del lavoro salariato fu sostituita con la “difesa della patria” e della “democrazia”.


    Riscossa del marxismo rivoluzionario e nuova degenerazione

    Di fronte al tradimento del riformismo e sull’onda rivoluzionaria che dopo la Prima Guerra mondiale attraversò tutta Europa, riuscendo però a portare al potere la classe operaia solo in Russia, le correnti marxiste rivoluzionarie si staccarono da quelle riformiste. In Italia nel 1921 l’estrema sinistra si scisse dal PSI per fondare a Livorno il Partito Comunista d’Italia. Ma la forza rivoluzionaria fu insufficiente a vincere l’influenza tradizionale dei vecchi partiti riformisti sulla classe operaia, determinante nel far fallire i tentativi insurrezionali in Germania e nell’impedire ai lavoratori di resistere alla reazione borghese, fascista in Italia democratica altrove.

    Il potere comunista in Russia, isolato, privo della necessaria vittoria proletaria nel resto d’Europa, fu travolto dalla controrivoluzione staliniana, che si affermò fin dal 1926 con la teoria anti-comunista della “costruzione del socialismo in un solo paese”, e con la menzogna che da allora e per 60 anni avrebbe spacciato per Comunismo il ”capitalismo di Stato” russo. In pochi anni lo stalinismo liquidò il comunismo rivoluzionario in Russia, nella Terza Internazionale e nei suoi partiti. Anche in Italia la Sinistra Comunista, la corrente di sinistra del PCd’I che aveva fondato e guidato nei suoi primi anni il partito, fu sopraffatta dalla corrente stalinista e il PCd’I fu portato nell’alveo di quel riformismo, ormai borghese, da cui si era staccato nel ’21, sostituendo la parola della rivoluzione di classe per abbattere il capitalismo con quella della lotta interclassista contro il fascismo e per la democrazia.

    Nella Seconda Guerra mondiale i lavoratori di tutto il mondo si trovarono nuovamente privi, come nella prima, di un partito che indicasse loro di trasformare la guerra imperialista nella rivoluzione di classe, volgendo contro i propri governi borghesi quelle armi consegnate loro per sparare sui proletari degli altri paesi. Lo stalinismo spinse i lavoratori al fronte così come aveva fatto il riformismo nella Prima Guerra, nascondendo con le menzogne del falso socialismo russo e della difesa della democrazia le finalità imperialistiche di entrambi i fronti di guerra.


    Democrazia, post-riformismo e post-stalinismo ancora contro la classe operaia e contro il Comunismo

    Sulle macerie della Seconda Guerra il capitalismo ritrovava lo slancio per quella sua orribile “nuova giovinezza” di cui oggi viviamo l’epilogo. Ma tutto ciò che la classe operaia ha conquistato lo ha fatto al prezzo di dure lotte, con scioperi preparati e condotti come autentiche prove di forza per piegare il padronato, costati anche la vita a decine di operai e braccianti uccisi nelle piazze delle forze dell’ordine.

    Il riformismo, in Italia il PCI, favorito dalla crescita economica del secondo dopoguerra, ha invece illuso i lavoratori che quei piccoli miglioramenti erano il frutto di un capitalismo nuovo in quanto democratico; che non erano suscettibili di essere messi in discussione in qualsiasi momento la borghesia lo ritenesse necessario, ma erano ormai acquisiti; che non erano conquiste difendibili solo con la stessa forza che le aveva procurate, ma diritti a cui appellarsi, abbandonati i metodi della lotta di classe, sulla base degli astratti e falsi principi della democrazia e del parlamentarismo.

    Si vede oggi come non esista “diritto” dei lavoratori che non sia brutalmente revocato nell’interesse del capitale. Democrazia e parlamentarismo si stanno dimostrando solo un feroce inganno, in tutto asserviti agli interessi borghesi e giammai utilizzabili dalla classe operaia, come è sempre stato e come il comunismo rivoluzionario ha sempre affermato.

    Pur di sopravvivere il capitalismo porterà i lavoratori alla fame, come si sta già del tutto democraticamente facendo in Grecia. E dopo alla guerra.


    Tornare all’originale programma comunista rivoluzionario

    La borghesia, di fronte all’incombente tracollo del modo di produzione da cui trae i suoi privilegi di classe, ai lavoratori intima: «siamo sull’orlo del baratro: per noi borghesi ma anche per voi lavoratori, o capitalismo o morte!». La sinistra borghese lo ribadisce ognora e là dove è al governo si fa artefice degli stessi provvedimenti messi in atto dai governi di destra. Quando è alla direzione dei sindacati, come in Italia con la CGIL, non organizza vere mobilitazioni per non danneggiare la economia nazionale colpita dalla crisi. Se i lavoratori si oppongono con veri scioperi li accusa di irresponsabilità, perché in questo modo mettono in pericolo quella che sarebbe la loro stessa fonte di vita: il Capitale.

    Ma è vero il contrario: ciò che è un bene per il Capitale è dannoso ai lavoratori, e viceversa! Il riformismo predica da sempre il principio opposto, la conciliabilità degli interessi dei lavoratori con quelli dell’economia capitalistica, che chiamano il bene del paese. In realtà i richiami all’unità nazionale hanno sempre un solo significato: nuovi sacrifici operai per il Capitale. La sopravvivenza della classe lavoratrice non è nella “salvezza del paese” ma oltre questo modo di produzione, cioè contro il “bene del paese”, che altro non è che il bene del Capitale.

    Non si tratta di inventare nulla di nuovo ma di riscoprire e recuperare l’originale programma comunista rivoluzionario sgombrando le macerie dell’ultima e peggiore delle ondate opportuniste, quella dello stalinismo, che ha nascosto e mistificato davanti ai proletari perfino il significato di Comunismo.

    Questo è possibile non certo con un’opera intellettuale ma di lotta politica, militando in quel partito, il Partito Comunista Internazionale che rivendica la tradizione di tre gloriose Internazionali e della sinistra comunista italiana, unica corrente che la degenerazione della Terza combatté dalla prima ora e che da quella sconfitta ha potuto trarre le lezioni per la riscossa proletaria futura.


    PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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    Predefinito Re: Le macerie del riformismo porteranno i lavoratori alla rivoluzione e al Comunismo

    Sono d'accordo con molte di queste tesi ma non sono assolutamente d'accordo sull'internazionalismo.

 

 

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