I critici sfoderano due argomentazioni contro il capitalismo. Innanzitutto dicono che il possesso di un’automobile, di un televisore o di un frigorifero non fa felice un uomo; secondariamente aggiungono che ci sono ancora persone che non possiedono nessuno di questi beni. Tutte e due le affermazioni sono corrette, ma non riversano realmente la colpa sul sistema capitalistico di cooperazione sociale.
Le persone non lavorano sodo, faticando, per raggiungere la più completa felicità, ma per rimuovere il maggior numero possibile di disagi e così facendo essere un po’ più felici di prima. Un uomo che compra un televisore mostra in questo modo di pensare che possederne uno possa aumentare il suo benessere, e renderlo più contento. Se le cose non stessero così, non lo comprerebbe nemmeno. Il compito del medico non è rendere felice il paziente, ma liberarlo dal suo malore e restituirgli la buona salute per il conseguimento del più alto obiettivo di ogni essere vivente, la lotta contro tutti i fattori che danneggino la vita e il benessere.
Potrebbe essere vero che, tra i mendicanti buddisti, che vivono di carità nella sporcizia e nella povertà, c’è chi si sente perfettamente felice e che non prova invidia per nessun nababbo. Ad ogni modo, è un dato di fatto che per la stragrande maggioranza delle persone una vita simile sarebbe insopportabile. In tutti costoro l’impulso a migliorare costantemente la proprie condizioni materiali di vita è innato. Chi potrebbe indicare un mendicante asiatico come esempio per un americano medio? Uno dei più rilevanti successi del capitalismo è il netto abbassamento della mortalità infantile. Chi negherebbe che anche solo questo fenomeno ha eliminato una delle cause dell’infelicità di molte persone?
Non meno assurda è la seconda critica mossa al capitalismo: ossia che le innovazioni tecnologiche e terapeutiche non beneficiano tutte le persone. I cambiamenti nelle condizioni umane sono il frutto del lavoro pionieristico degli individui più intelligenti ed energici. Questi uomini sono in testa, e il resto dell’umanità li segue piano piano. L’innovazione è prima un lusso per pochi, per poi diventare alla portata di tutti. Non è ragionevole criticare l’uso delle scarpe e delle forchette perché questi oggetti si sono diffusi lentamente o perché anche oggi molte persone non ne fanno uso. Le dame e i signori raffinati che per primi iniziarono a usare il sapone erano prodromi della produzione su larga scala del sapone per l’uomo della strada. Se coloro che oggi possono comprare un televisore dovessero astenersi dall’acquistarlo perché alcuni non se lo possono permettere, non favorirebbero ma ostacolerebbero la diffusione di quest’invenzione.
Ci sono poi dei critici che si lamentano del capitalismo perché secondo loro equivale a materialismo. Non possono fare a meno di ammettere che il capitalismo ha la tendenza di migliorare le condizioni materiali dell’umanità. Ma, sostengono, ha allontanato l’uomo dagli slanci più elevati e nobili. Soddisfa il corpo, ma non nutre le anime e le menti. Ha portato al decadimento delle arti; sono lontani i tempi dei grandi poeti, dei pittori, degli scultori, degli architetti… La nostra epoca ha prodotto solo robaccia.
Il giudizio riguardo alle opere d’arte è completamente soggettivo. Alcuni amano quello che altri detestano. Non c’è un metro adatto a misurare il valore artistico-estetico di una poesia o di un’infrastruttura. Coloro che rimangono estasiati dinanzi alla cattedrale di Chartres o a Las Meninas di Velasquez potrebbero pensare che tutti quelli a cui non piacciono queste meraviglie siano rozzi. Molti studenti si annoiano a morte quando a scuola sono costretti a leggere Amleto. Solo le persone dotate di una certa sensibilità artistica sono in grado di apprezzare il lavoro di un artista.
Tra coloro che si pongono come persone colte c’è molta ipocrisia. Si danno arie da intenditori, e fingono entusiasmo per opere del passato, e apprezzamento per artisti deceduti molto tempo fa. Non mostrano tanto trasporto per gli artisti contemporanei, che ancora cercano di farsi un nome. L’adorazione superficiale per i maestri del passato non è per loro che un mezzo con cui screditare e ridicolizzare i nuovi artisti che hanno il coraggio di rompere gli schemi tradizionali e delinearne altri innovativi.
John Ruskin sarà ricordato- con Carlyle, gli Webb, Bernard Shaw e altri ancora- come uno di coloro che hanno seppellito la libertà, la civiltà e la ricchezza britanniche. Personaggio squallido in privato quanto in pubblico, ha tessuto le lodi della guerra e dei massacri, e ha fanaticamente calunniato dottrine di economia politica che non ha mai compreso. Era un intollerante detrattore dell’economia di mercato, un romantico apologo delle gilde. Ha reso omaggio alle opere d’arte più antiche. Ma quando si è trovato dinanzi al lavoro di un grande artista vivente, Whistler, lo ha apostrofato con un linguaggio tanto osceno e violento che è stato denunciato per diffamazione, ed è stato giudicato colpevole dalla corte. Il pregiudizio secondo cui il capitalismo, oltre ad essere un pessimo sistema economico, ha sostituito la bellezza con l’orrido, la grandezza con la meschinità, l’arte con la spazzatura è diventato di moda grazie agli scritti di Ruskin.
Dato che la gente è largamente in disaccordo riguardo all’arte, non è possibile confutare la tesi sull’inferiorità dell’arte al tempo del capitalismo alla stessa stringente maniera con cui si possono smascherare errori in un ragionamento logico o nell’esposizione di fatti o esperienze vissute. Eppure nessun uomo sano di mente sarebbe tanto sfacciato da sminuire la grandezza delle manifestazioni artistiche all’epoca del capitalismo.
L’arte preminente di questo periodo di “bieco materialismo e mera ricerca del profitto” era la musica. Wagner, Verdi, Berlioz, Bizet, Brahms, Bruckner, Hugo Wolf, Mahler, Puccini, Richard Strauss, che carrellata di nomi illustri! E che epoca magnifica, quella in cui maestri del calibro di Schumann e Donizetti furono superati da geni ancor più straordinari!
C’erano poi i grandi romanzi di Balzac, Flaubert, Maupassant, Jens Jacobsen, Proust, e le poesie di Victor Hugo, Walt Whitman, Rilke, Yeats. Come sarebbe grigia la nostra esistenza se non potessimo godere delle opere di questi giganti, e di altri autori non meno grandiosi.
Non dimentichiamo i pittori e gli scultori francesi che ci hanno indicato nuovi modi di vedere il mondo e di apprezzare la luce e i colori.
Nessuno ha mai contestato che quest’epoca abbia incoraggiato tutte le branche della scienza. Ma, dicono i critici, essa rimase occupazione di specialisti, e di essa mancava la “sintesi”. Non si potrebbero fraintendere in modo più grossolano gli insegnamenti della matematica, della fisica, della biologia moderne. E che dire dei libri dei filosofi Croce, Bergson, Husserl e Whitehead?
Ogni epoca ha il suo modo di esprimere l’arte. Imitare un capolavoro del passato non è arte: è una montatura. Ciò che dà valore ad un’opera sono quelle caratteristiche che la rendono diversa dalle altre. Questo s’intende per stile di un determinato periodo.
Da un certo punto di vista, i nostalgici sembrano avere delle ragioni. Le ultime generazioni non hanno lasciato in eredità ai posteri monumenti come le piramidi, i templi greci, le cattedrali gotiche e le chiese e i palazzi del Rinascimento e dell’epoca barocca. Nell’ultimo secolo sono state costruite molte chiese e anche varie cattedrali, oltre a un gran numero di palazzi governativi, scuole, biblioteche. Ma nessuna di queste strutture mostra tratti di originalità; riflettono anzi antichi stili, o ne mescolano alcuni. Anche se sarebbe piatta pedanteria non apprezzare la particolare grandezza di qualcosa come la skyline di New York, si può ammettere che l’architettura moderna non è stata in grado di mostrare la sua peculiarità come quella dei secoli passati.
Le ragioni sono parecchie. Per quanto riguarda le strutture religiose, ad arrestare ogni innovazione è stato lo spiccato spirito conservatore delle chiese. La decadenza delle aristocrazie e delle dinastie spense l’impulso a costruire nuovi palazzi. La ricchezza degli imprenditori e dei capitalisti, nonostante tutto ciò che i loro demagogici detrattori sono soliti inventare, è tanto inferiore rispetto a quella dei re e dei principi che essi non possono permettersi costruzioni tanto sontuose. Nessuno, oggi, è abbastanza ricco da progettare una reggia come quella di Versailles o un palazzo come l’Escorial. L’ordine di costruire palazzi governativi non è più emanato da signori, che erano un tempo liberi, noncuranti dell’opinione pubblica, di scegliere maestranze che tenevano molto in considerazione e farsi garanti di un progetto inviso alla stragrande maggioranza. I committenti difficilmente si fidano, oggi, delle idee di coraggiosi pionieri. Preferiscono non rischiare.
Non c’è mai stata un’epoca in cui la maggioranza fosse preparata a guardare con simpatia e imparzialità all’arte a lei contemporanea. La riverenza verso i grandi scrittori e i migliori artisti ha sempre caratterizzato solo piccoli gruppi. Quello che caratterizza il capitalismo non è il cattivo gusto delle masse, ma il fatto che queste masse, rese ricche dal capitalismo stesso, siano divenute “consumatrici” di letteratura- ovviamente, di letteratura di scarso pregio. Il mercato dei libri è inondato da un acquazzone di storie volgari e superficiali adatte a lettori ben poco eruditi. Ma questo non impedisce ai grandi scrittori di creare opere meravigliose.
I critici piangono sul presunto decadimento delle arti industriali. Contrappongono, ad esempio, la vecchia masserizia conservata nei castelli delle famiglie nobili europee e nelle collezioni museali ai prodotti a basso costo diffusi dalla produzione su larga scala. Non capiscono che quegli articoli da collezione erano fatti esclusivamente per le persone più ricche. Le cassapanche intagliate e i tavoli finemente intarsiati non si possono trovare nelle povere abitazioni degli strati sociali meno abbienti. Coloro che cavillano sull’arredamento a basso prezzo dei salariati americani dovrebbero attraversare il Rio Grande del Nord e constatare come le dimore dei peones messicani non abbiano nessun genere di arredamento. Quando l’industria moderna cominciò a fornire alle moltitudini tutto ciò che serve per condurre una vita migliore, il suo intento era produrre al minor costo possibile, senza attardarsi in valutazioni estetiche. Più tardi, quando il progresso del capitalismo migliorò in media le condizioni di vita delle masse, prese piede una fabbricazione non priva di eleganza e raffinatezza. Solamente un pregiudizio romantico può indurre un osservatore a ignorare il fatto che un numero sempre maggiore di cittadini, nelle nazioni capitaliste, vive in un ambiente che non può essere liquidato semplicemente come “orribile”.
Capitalismo, felicità e bellezza - Ludwig von Mises Italia