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<b>10 lug. - da La Stampa di M. Sorgi -</b> Il «Partito del Sud», una sorta di Lega alla rovescia, ormai sta per nascere. Non è più solo una chiacchiera da Transatlantico (anche se nei corridoi di Camera e Senato se ne parla molto). E’ un cantiere in cui si lavora alacremente, pur nel tradizionale riserbo siciliano di un’iniziativa che ha nell’isola «granaio» dei voti di centrodestra la sua incubatrice. La crisi dei due partiti «a vocazione maggioritaria», fondati per le politiche del 2008 e ripiegati sul modesto risultato delle Europee 2009.
L’insofferenza ormai evidente in molti strati del Pdl e nel personale politico di provenienza An per la stretta alleanza tra Berlusconi e Bossi. Il Pd che va al congresso dilaniato dalle correnti e incapace, al momento, di ritrovare una sintesi interna. Il successo uscito dalle urne per le terze e quarte forze di Casini e Di Pietro, insieme con il fallimento del referendum che ha seppellito ogni ipotesi di sviluppo bipartitico del sistema italiano. Sono diventati tutti fattori di accelerazione per la nascita della Lega del Sud.
E funziona da detonatore, nell’isola che ha fatto spesso da laboratorio alla sperimentazione di nuove formule nazionali, la soluzione della crisi regionale siciliana - <b>con l’Udc escluso dalla giunta e il nuovo governo locale costruito sull’asse tra Lombardo, i ribelli dell’ex Forza Italia che erano stati sospesi dai coordinatori nazionali del Pdl, e un sotterraneo appoggio di una parte del Pd</b>. C’è un argomento inconfessabile, per un partito che si prepara a nascere da una costola del centrodestra: la crisi del berlusconismo che, anche fuori dai tentativi di travolgerlo con le rivelazioni sulle feste a Villa Certosa e a Palazzo Grazioli, sembra ormai arrivato all’ultimo giro.
La convinzione che presto o tardi - nell’arco di una legislatura che potrebbe arrivare a compimento, ma anche interrompersi prima - il ciclo del Cavaliere si stia esaurendo. E poiché Berlusconi è stato, nel bene o nel male, nei quindici anni della Seconda Repubblica, il collante attorno al quale il centrodestra e il centrosinistra si sono aggregati, una sua uscita di scena porterebbe l’attuale consunzione dei due poli a una definitiva frammentazione.
Di qui appunto, la scommessa dei fondatori del Partito del Sud di accelerare i tempi e farsi trovare pronti, sia per le prossime elezioni regionali del 2010, sia per l’eventuale precipitare della situazione in un nuovo scioglimento anticipato delle Camere. Sono scenari completamente diversi. Nel primo caso, si tratta di concentrare gli sforzi nelle tre grandi regioni (Campania, Calabria e Puglia) attualmente amministrate dal centrosinistra, contendibili fino all’ultimo voto e strategiche per lo spostamento degli attuali equilibri politici nazionali. Nel secondo, invece, la partita si allargherebbe alle otto regioni (oltre alle tre già citate, Abruzzo, Molise, Basilicata, Sicilia e Sardegna) dell’intero Sud, senza escludere incursioni anche al Centro e al Nord, dove ancora vivono moltissimi emigrati meridionali.
<b>Al lavoro sul programma c’è Antonio Martino, uno dei fondatori di Forza Italia, ministro con Berlusconi in tutti i suoi governi, economista della scuola dei “Chicago boys”: starà a lui coniugare localismo, liberismo e recupero dell’intervento statale nelle aree sottosviluppate ridotto, e in alcuni casi cancellato, dall’attuale governo. </b> <b>
In sala macchine c’è Miccichè, che è uscito allo scoperto in una recente intervista al Corriere, e lavora sui singoli parlamentari, stufi di fare i pigia bottoni sui banchi del Parlamento e in cerca di una nuova collocazione.
Con Lombardo si discute, anche se i progetti sul nuovo partito non sono del tutto coincidenti: perché il governatore siciliano vuole un’apertura anche a personaggi importanti (ma usurati) del centrosinistra come Bassolino a Napoli o il presidente della Calabria Loiero, ormai in rotta con il Pd e privi di prospettiva di fronte a un congresso democratico tutto giocato sullo scontro nuovi-vecchi. </b>
Mentre Miccichè e Martino pensano a un’operazione costruita sul versante del centrodestra. Con i gruppi parlamentari del PSud alla Camera e al Senato che nascono, già in autunno, «senza scindersi, semmai proponendo una federazione con il Pdl». <b>E una carta segreta come la ministra Stefania Prestigiacomo, da presentare come leader: lei lo sa ma nega, ovviamente, come fanno sempre i siciliani. Nella fase fondativa il modello dovrebbe essere quello della “valanga azzurra” con cui Berlusconi sfondò nel 1994: facce nuove, giovani, professionisti, manager e imprenditori.</b> Quarantenni, trentenni e politici locali di successo (tipo l’ultima generazione della Lega Nord arrivata al governo), come l’assessore siciliano Cimino, che ha fatto tutta l’ultima campagna elettorale da reietto, perché sospeso dagli organi dirigenti nazionali del suo partito, e da solo ha preso 125000 preferenze e il 7 per cento dei voti siciliani; o come il sindaco di Reggio Calabria Scopelliti, o quello di Crotone Vallone. Ma una volta preso il largo, i programmi, il ruolo da esercitare nelle singole realtà locali, le alleanze e le rotture del PSud saranno sempre improntate al pragmatismo, così come il voto nelle aule parlamentari sui singoli provvedimenti dell’esecutivo.
Un partito agile e nervoso, in continua trattativa con il governo e le amministrazioni locali di cui farà parte. E in perenne gioco di sbarramento contro l’asse con la Lega, che ha spostato il baricentro politico verso le Alpi. Con una continua azione di lobbing, inoltre, volta a fare emergere che è al Sud che la frammentazione può diventare endemica e la stabilità di un assetto politico post-bipolare al contrario può consolidarsi, insieme con un progetto politico di sviluppo economico, sostenuto dai fondi europei, dalle idee innovative e dalla capacità d’iniziativa, fin qui frenate dalle pretese pregiudiziali del governo a favore del Nord. Malgrado l’accelerazione degli ultimi tempi, i piani del PSud sono ancora in via di definizione.
E chi ci sta lavorando sostiene che, quando tutto sarà più chiaro, anche l’accusa di voler rilanciare l’assistenzialismo della spesa facile, stile Cassa del Mezzogiorno, non starà in piedi. Resta solo da capire se il partito che sta per nascere, e lo scontro, senza esclusione di colpi, che si prepara, tra Nord e Sud, oltre a incarnare una novità densa di incognite, e a porsi in modo esplicito e un po’ garibaldino il problema del dopo-Berlusconi, non finiranno con il rappresentare un altro segno di crisi, nella già martoriata e infinita transizione italiana.