Ci sono cose nella vita che sono relativamente facili da imparare e cose che ci risultano più difficili.

Fra le cose facili elencherei l’imparare a leggere, scrivere, far di conto, preparare un tiramisù, guidare un’automobile.

Anche la fisica quantistica appartiene alla categoria delle cose facili da imparare.

Indubbiamente richiede più tempo che per il tiramisù, ma non è né impossibile, né irraggiungibile.

Le cose facili da imparare sono spesso scritte in un libro.

Leggiamo il libro e le abbiamo imparate.

Se il tema è complesso, rileggiamo più volte e chiediamo spiegazioni a chi ha già affrontato l’argomento. Di solito aiuta.

Il punto cruciale di questo tipo di apprendimento non è la qualità, ma la quantità del sapere.

La ricetta del tiramisù la risolviamo in un quarto di pagina, la fisica quantistica in quattro pesanti volumi. Se l’interesse per la fisica quantistica è lo stesso che per la ricetta del tiramisù e il tempo a disposizione sufficiente, arriviamo all’obiettivo con lo stesso slancio.

Allora, quali sono le cose difficili da imparare?

Le cose difficili da imparare sono quelle che hanno punti di riferimento indefiniti o indefinibili e che non si misurano in quantità ma in qualità.

Il Bene e il Male.

La Giustizia e l’Ingiustizia.

La Verità e l’Illusione.

Il Bene e il Male non si misurano in quantità. Chi uccide una volta o cento volte è un omicida.

Chi ha salvato un amico o cento sconosciuti dall’oscurità è un santo.

Il punto cruciale della conoscenza del bene e del male è un problema di qualità: o siamo consapevoli del Bene e del Male o no.

Ma la conoscenza del Bene e de Male presuppone un punto di riferimento difficile da definire.

Se tengo una pianta di papiro e una di rose immerse nell’acqua, il papiro crescerà rigoglioso e sano, la rosa appassirà e morirà in pochi giorni.

Difficile dare una definizione assoluta del Bene o del Male.

Un pellegrino incauto attraversa un fiume senza saper nuotare, arrivato nel mezzo, è trascinato dai vortici della corrente e chiede ad alta voce aiuto a chi sta al sicuro sulla riva.

Il derviscio comincia a sgranare il suo rosario mentre il barcaiolo si tuffa senza indugi e salva il pellegrino. Chi ha agito con giustizia e chi è stato indotto nell’errore?

Arrivato sulla riva del fiume, il pellegrino, travolto dalle e mozioni e dalla follia, uccide il barcaiolo. Il derviscio scuote la testa e mormora alle persone accorse: “ Ho visto il demone della follia prendere possesso del pellegrino nel momento in cui ha messo il piede nell’acqua e ho pregato Allah perché riprendesse a sé quel povero disgraziato prima che il demone potesse avere il sopravvento, ma quel folle qui vicino a me si è buttato in acqua e ha trascinato a riva entrambi”.

Il Bene, il Male, la Giustizia, l’Ingiustizia.

Chi può dare una definizione esatta?

Basta leggere un libro, anche ripetutamente?

Basta un punto di riferimento? Un paradigma? Una fede?

6 Guidaci sulla retta via,

7 la via di coloro che hai colmato di grazia, non di coloro che [sono incorsi] nella [Tua] ira , né degli sviati. [Corano, Sura I].

Fino a quando non avremo la visione del derviscio in grado di vedere la realtà con gli occhi della Verità, l’unico rifugio dalla follia è l’invocazione all’Essere Superiore di mantenerci nella schiera dei guidati e dei colmi di grazia.

Al di fuori di questa schiera, un pezzo di corda su un sentiero poco illuminato sarà un serpente che ci riempie di terrore e un mulino a vento un gigante spaventoso intenzionato a ucciderci.

Difficile distinguere l’Illusione dalla Verità quando l’unico mezzo di paragone è la nostra mente di cui non sappiamo nulla.

Paradossalmente potremmo passare tutta la vita a scrivere il logaritmo della nostra realtà per poi accorgerci alla fine di aver percorso una strada assolutamente falsa.

Ho sentito una volta questa storia.

Dopo settimane di preparativi, la carovana lascia l’oasi per attraversare il deserto.

In prima fila, marciano due cammelli che non sono mai stati assieme in viaggi precedenti.

Per gentilezza, il cammello di destra chiede al suo compagno notizie della famiglia e dei suoi viaggi precedenti ottenendo per risposta solo un grugnito sgarbato.

“Pazienza” pensa il malcapitato” oggi è il primo giorno di marcia, siamo tutti un po’ nervosi, domani le cose andranno sicuramente meglio”.

Anche il secondo e il terzo giorno, la situazione non cambia.

Alquanto infastidito, il cammello di destro sbotta in un rimprovero: “ Senti un po’ amico, ognuno ha i suoi problemi ma noi marceremo fianco a fianco per oltre trenta giorni! Non pretendo molto, ma una conversazione collegiale di tanto in tanto aiuta ad affrontare meglio il viaggio. Se hai un problema, faresti meglio a dirmelo adesso”.

“ Caro compagno, risponde il vicino con un tono cupo, a me non importa quello che dicono e scrivono gli altri al nostro proposito: io ho sete!”

È un passo minimo ma indispensabile.

Senza confessare a noi stessi la nostra impotenza non ci è possibile fare nessun passo in nessuna direzione.

Solo quando sappiamo che non riusciremo a far funzionare il nostro nuovo strumento elettronico, apriamo il libretto delle istruzioni e chiediamo agli amici. Se non siamo disposti ad ammettere la nostra ignoranza, non riusciremo mai ad utilizzare al massimo il nostro strumento.

“So di non sapere nulla” sono le parole che hanno fatto di Socrate un grande della Storia del pensiero umano.

Senza questa ammissione non potremo muovere un solo passo.

Nan-in, un maestro giapponese dell’era Meiji (1868-1912), ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo Zen.

Nan-in servì il tè. Colmò la tazza del suo ospite, e poi continuò a versare.

Il professore guardò traboccare il tè, poi non riuscì più a contenersi. «È ricolma. Non ce n’entra più!».

«Come questa tazza,» disse Nan-in «tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?».[da: 101 Storie Zen]

Se non siamo disposti a guardare il mondo con gli occhi della nostra infanzia e seguitiamo ad aggrapparci disperatamente a “verità “ che fino ad oggi non ci hanno aiutato, il cane continuerà a mordersi la coda e la possibilità di sperimentare la Verità rimarrà preclusa.

“Chi mi vuol seguire, rinunci a se stesso” significa rinunciare alla nostra sapienza acquisita artificialmente con la quale abbiamo forgiato la nostra personalità fasulla e costruito l’Illusione.

Anche la pena del distacco e della rinuncia è un’Illusione.

La scoperta della Verità è la Libertà.

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