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  1. #21
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  2. #22
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    Predefinito re: "Mortuo proprio": quindici anni dopo


  3. #23
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    Predefinito Re: "Mortuo proprio": quindici anni dopo

    Distrutto il «Summorum Pontificum». Esce «Traditionis Custodes»: il testo

    https://www.radiospada.org/2021/07/%...odes-il-testo/


  4. #24
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    Predefinito Re: "Mortuo proprio": quindici anni dopo

    Summorum pontificum: note a margine di un naufragio



    “Pensiamo che la medicina della Verità non possa essere disgiunta dalla benevolenza: per questo vi scriviamo oggi, chiedendo di riflettere sull’attualità ecclesiale e di scegliere la via stretta dell’affermazione della Verità cattolica tutta intera, senza infingimenti e senza manomissioni. Questa scelta comporta una SEPARAZIONE, una DISLOCAZIONE dei cattolici di oggi in piccoli gruppi che si sforzino e combattano per mantenere un cattolico e vandeano “RITORNO AL BOSCO”, nell’attesa di poter tornare nelle Chiese oggi occupate dal culto dell’Uomo e delle sue passioni piuttosto che dal Culto divino”.

    (Dalla “Lettera ai conservatori perplessi” pubblicata su Radio Spada il 23 ottobre 2015)

    di Piergiorgio Seveso, presidente SQE di Radio Spada

    Lo sapete, scrivo poco su Radio Spada per il semplice e ribadito motivo che la sua redazione è così ricca di talenti e di penne puntute che io posso aggiungere assai poco. Oltretutto la mia posizione teologica (da sempre sedevacantista) mi rende forse poco adatto a commentare, anche perché poco incline ad appassionarmi a queste “terre mediane”, a queste case costruite in mezzo al guado (e al fiume) ma in questi giorni “storici” debbo vergare almeno due righe di commento alla pubblicazione del documento “pontificio” “Traditionis custodes”, aggiungendomi alla saggia intervista al Guelfo Rosa già pubblicata su questo sito il 27 maggio 2021 cui vi rimando. Questi non sono certamente i momenti adatti per le ipocrisie, per le espressioni di circostanza da funerale, delle parole tutte uguali e tutte vuote che spesso si sentono pronunciare attorno ai feretri (siano esse tradizionalisti o modernisti). Radio Spada non è stata mai amica del c.d. “Summorum pontificum”, beninteso è stata sempre amica delle singole persone che erano nate o cresciute in quel mondo, ma non ha mai speso parole di elogio, di stima, di accettazione per questo documento bavaro del 2007. Un documento esiziale e funesto che ha cercato di mescolare, giustapporre, incardinare insieme in maniera subdola e intellettualistica e al contempo fantasiosa, il Sacro e il profano, il diavolo e l’acquasanta, il rito montiniano e la Messa romana, l’opera di mani umane e l’Opus Dei (e non riferisco certamente a quel club di privati fondato da un “santo” spagnolo). L’abbiamo combattuto senza mezzi termini, abbiamo cercato di fare capire ai lettori e ai cattolici ferventi o resistenti, perplessi, incerti che era né la scelta morale, né la strategia e nemmeno la tattica giusta quella di creare piccole cappelle laterali con la Messa romana all’interno della gelida, vuota e aberrante cattedrale modernistica, pregna di ammorbante pulito d’ammoniaca.. In fondo la nostra lettera ai “conservatori perplessi” ai tempi di “Amoris laetitia” era scritta proprio per loro, per questi nostri amici (e mai parola è scritta con maggiore convinzione) che sbagliavano (a fidarsi e a affidarsi) e forse per questo ancora più cari. Siccome non vivo in un mondo parallelo, fatto di ignavia autocefala e autoreferenziale, posso dirvi di aver incrociato sguardi, speranze, pensieri di molto di quel mondo giovanile che gravava intorno al c.d “Summorum pontificum”. Accanto alle pose (fortemente) estetizzanti di alcuni, all’ossequio formale e politico di altri, alla tracotanza insensata da “primi della classe” (partendo dal penultimo banco) di pochi, vi era in molti altri ancora la meraviglia sincera e grata di aver “scoperto” la Messa romana, di aver lambito (magari confusamente e a volte con palesi inserti eterodossi) un mondo di Verità e di Fede cattolica sino ad allora sconosciuto. Ora che la Storia, crudele e giustiziera, pone la parola fine a questa illusoria parentesi, a questo colossale inganno “sotto l’apparenza di bene”, ora che siamo accanto al cadavere sgozzato del “Summorum pontificum” portemmo dire legittiamente “abbiamo vinto”, potremmo ancor più legittimente metterci a danzare ma non riusciamo a provare la gioia pur legittima dell’aver avuto ragione, del veder spazzate via molte delle nebbie dell’equivoco. E non ci riusciamo anche perché vediamo, oltre al sincero dolore e allo stordimento di molti, nuovi rischi appalesarsi. Al popolino confuso e disperso del Summorum Pontificum, possono essere offerte nuove tisane ipnotiche dai volenterosi carnefici del cattolicesimo integrale. Quali? Anzitutto quella della cavillazione giuridica volta a salvaguardare la propria “confort zone” lisergico-liturgica. Si troverà sempre un “buon vescovo” disposto a farsi blandire o ammansire, pronto a tollerare benevolmente, a fornire il mazzo di chiavi di qualche chiesuola, a dischiudere qualche nuova “riserva indiana” magari più raccolta, magari più dimessa, magari più periferica ma, “Vivaddio, la Tradizione è ancora viva” e che lo spettacolo possa continuare, In secondo luogo quella tutta lagrimevole e sospirosa dell’accettazione supina degli eventi, lanciando al cielo ampi lai di “Fino a quando o Signore?” ma sostanzialmente senza combinar nulla: il tutto assistendo ogni domenica col fazzoletto in mano al teatro della morte di Tadeusz Kantor “Montini”. In terzo luogo quella, tutta teoretica (da teoreti da salotto con caminetto crepitante) e intellettualoide (che fa rimpiangere il “culturame” scelbiano) che suggerisce che in realtà non sia cambiato nulla, che il grande totem ratzingeriano sia rimasto inscaldito da così grande procella, dagli assalti, pugnale tra i denti, del bucaniere argentino. Nulla di più falso, di più ingannevole e anestetizzante. Pur non addentrandomi in analisi che compiranno sul “Motu proprio” redattori più dotti di me, è ben evidente che quello che prima era permesso e a suo modo incoraggiato (pur nell’ottica sincretista e relativista che abbiamo sempre stigmatizzato), oggi è puramente tollerato e solo in funzione pedagogica e riabilitativa per i fedeli, non ancora avvezzi al “Nuovo corso”. E’ quindi ora di prendere la bisaccia e partire, senza rimpianti, senza (troppi) timori, senza volgersi indietro per non essere trasformati in pietra, è ora di trasformarsi da Domini canes in Domini lupi, anche se questo può avere costi umani e personali molto elevati. Ovviamente grava su chi (sia esso laico ma ancor più religioso) debba accogliere i figli di questo naufragio un’enorme responsabilità: chi è stato tradito e ingannato ha diritto a non essere nuovamente “venduto”, ha diritto di ricevere non delle indigeste melasse pietistiche ma la Verità tutta intera, un’ecclesiologia cattolico romana, sanata e ri-sanata, dopo tanti anni di Sacrosanctum concilium, Dignitatis humanae e Lumen Gentium ma anche da tante dubbiezze antipapali e antiromane, propalate a piene mani in questi anni per giustificare riserve mentali, laissez faire pratici e strapuntini di mera sopravvivenza ecclesiale. Ha diritto anche a ricevere una liturgia purificata da ogni cascame riformistico bugniniano, da OGNI riduzionismo prodromico alla rivoluzione del 1969. Ha infine diritto a trovare amorevole accoglienza senza dover subire angherie contro i revenants e dover osservare il mesto spettacolo del neotribalismo tradizionalista e/o integrista, oggi abbastanza in voga. Radio Spada, senza tralignare dal suo specifico ambito, svolgerà, indomita, impavida e sprezzante di ogni cautelosità umana e di ogni critica malevola, il suo Proprium, il suo compito, la sua Missio. Statene certi.

  5. #25
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    Predefinito Re: "Mortuo proprio": quindici anni dopo

    Comunicato dell’Istituto Mater Boni Consilii sul “Motu Proprio” Traditionis Custodes


    Come tutti sanno, il 16 luglio 2021 è stata pubblicata la “lettera apostolica sotto forma di motu proprio” Traditionis custodes accompagnata da una lettera dell’attuale occupante della Sede Apostolica ai suoi Vescovi (i “custodi della Tradizione” di cui sopra) con la quale – con inusuale fretta, promulgando immediatamente il documento con la sola pubblicazione sull’Osservatore Romano – vengono revocate le concessioni fatte dal suo predecessore con il “motu proprio” Summorum Pontificum cura del 7 luglio 2007.

    A proposito di questo nuovo “motu proprio” valgono da parte nostra le riflessioni e le conclusioni già da noi espresse in occasione del precedente ora parzialmente revocato: https://www.sodalitium.biz/comunicato-riflessioni-sul-motu-summorum-pontificum-2/

    I due documenti sono in evidente opposizione, e forse non solo nelle scelte pastorali (uno revoca le concessioni dell’altro) ma anche su di una questione di principio: sapere cioè se il Rito Romano avrebbe due forme liturgiche (quella ordinaria e quelle straordinaria, per utilizzare l’espressione del documento del 2007) o se la sua unica espressione è quella del rito riformato (come afferma l’attuale documento riprendendo le dichiarazioni di Paolo VI nel concistoro del 24 maggio 1976).

    Essi hanno tuttavia un fondamentale punto comune:

    sia il m.p. Summorum Pontificum sia il m.p. Traditionis custodes impongono a chi utilizzasse il messale romano del 1962 (di Giovanni XXIII) il riconoscimento della legittimità, della validità e della santità della riforma liturgica in applicazione del Concilio Vaticano II. Su questo punto i due documenti differiscono solo in questo: il m. p. del 2007 presume l’accettazione del Concilio e della Riforma liturgica da parte di chi si avvarrà delle sue concessioni, mentre il m. p. del 2021 revoca dette concessioni perché pretende constatare una diffusa non accettazione di quanto sopra.

    Ora, di due cose l’una: o coloro che si avvalgono del messale romano (del 1962) riconoscono l’autorità degli occupanti della Sede Apostolica dal 1965 in poi, e conseguentemente la legittimità, la validità e la santità del messale riformato, ed il valore magisteriale dei documenti del Vaticano II, oppure no.

    Nel primo caso, non si vede perché essi provino delle difficoltà a celebrare con il rito riformato, o ad assistere al medesimo, in spirito d’obbedienza a colui che reputano essere Vicario di Cristo e Successore di Pietro, il quale ha tra l’altro espresso il voto che tutti finiscano con l’adottare il messale di Paolo VI: un rito della Chiesa, promulgato dall’autorità della Chiesa, d’altronde, non può essere che legittimo, valido e santo. Nel secondo caso, il m.p. Traditionis custodes avrebbe ragione in questo (l’inconciliabilità dei due riti) ed i sacerdoti e fedeli alla tradizione cattolica dovrebbero coerentemente rifiutare ogni concessione fondata sull’accettazione del Vaticano II e dei nuovi riti, e non dovrebbero avvalersi dei due motu proprio, né quello del 2007 né quello attuale.

    Ora, il nuovo rito della messa (e dei sacramenti) è stato redatto esplicitamente nello spirito del movimento ecumenista avallato dal Vaticano II: si propone cioè non di difendere le verità della Fede, specie il sacrificio della Messa, il sacerdozio, la Transustanziazione, quanto piuttosto di andare incontro a chi queste verità di fede rigetta, al seguito di Martin Lutero (l’eresiarca omaggiato dagli ultimi occupanti della Sede Apostolica, in particolare dall’autore di Traditionis custodes); non può quindi essere un rito della Chiesa, né pertanto venire da una legittima autorità della Chiesa.

    Insomma: la chiave di tutto consiste nel riconoscere la legittimità di Paolo VI che ha promulgato la “costituzione apostolica” Missale romanum, riconosciuta la quale (come fa la stessa Fraternità San Pio X, beneficiata come mai prima, paradossalmente, proprio dall’autore di Traditionis custodes) ne segue inevitabilmente il dover riconoscere la legittimità, la validità e la santità della riforma liturgica nel suo insieme, e la necessità, al di là delle astuzie dei canonisti, di uniformarsi alle disposizioni del m. p. Traditionis custodes.

    In base a queste considerazioni, concludiamo:

    Il m. p. Traditionis custodes – come pure il m. p. Summorum Pontificum e la “costituzione apostolica” Missale Romanum non sono documenti della Chiesa. Non si deve loro pertanto obbedienza o disobbedienza, né devono essere aggirati, ma ignorati.
    Il m. p. Traditionis custodes, pur non essendo espressione del diritto e della dottrina della Chiesa, è però insigne testimonianza dell’avversione profonda dei neo-modernisti e degli ecumenisti filo-luterani contro la liturgia immemoriale della Chiesa Romana, manifestando così l’incompatibilità dei due riti: i riformatori vogliono far scomparire il rito cattolico, i cattolici devono ottenere da Dio e da un legittimo Pontefice che quello riformato sia cacciato dalle nostre chiese e dai nostri altari.
    “Non si può servire a due padroni”. Il m. p. Traditionis custodes conferma l’impossibilità di essere e di celebrare in comunione con colui che ha come scopo dichiarato la soppressione della messa e dei sacramenti della Chiesa.
    “Non si può servire a due padroni”. Il m. p. Traditionis custodes potrà avere l’involontario benefico effetto di aprire gli occhi ai dubbiosi, e di far cessare delle celebrazioni “tradizionali” spesso dubbiosamente valide e comunque sempre oggettivamente ingannatrici dato il presupposto dell’accettazione del Vaticano II e della riforma liturgica.
    I sacerdoti dell’Istituto Mater Boni Consilii continueranno pertanto tranquillamente a celebrare il Santo Sacrificio della Messa e ad amministrare i santi Sacramenti senza essere in comunione con gli occupanti materiali ma non formali della Sede Apostolica, seguendo i venerati libri liturgici della Chiesa Cattolica Romana promulgati da Papa San Pio V e dai suoi successori, e secondo le rubriche di San Pio X.

    Verrua Savoia, 21 luglio 2021.

  6. #26
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    Predefinito Re: "Mortuo proprio": quindici anni dopo

    La variante Vaticana. Ovvero: su Traditionis Custodes non facciamola troppo complicata



    Chiacchierata col Guelfo Rosa.

    RS: È facile immaginare ciò di cui parleremo oggi.

    GR: Della variante vaticana. Traditionis Custodes, come preannunciato è arrivata.

    RS: Che ne dice?

    GR: Le reazioni mi sembrano tutto sommato prevedibili. Anche se devo dire che a molte analisi manca la questione di fondo. Cioè: è la fine provvisoria dell’ennesimo equivoco post-conciliare, perché nel post-concilio tutto è provvisorio. Ratzinger col suo motu proprio aveva messo in campo qualcosa che sul piano pratico ha dato anche (e accidentalmente) buoni frutti ma che nella sostanza dottrinale era aberrante, assurdo, mescolava elementi incompatibili, riduceva cose sante a varianti di errori liturgici, metteva in campo forme straordinarie inesistenti.

    RS: Sta facendo un paragone col virus?

    GR: Senza dubbio. Vedete, il fallimento del Concilio è sotto gli occhi di tutti quelli che vogliono guardare. L’ultima prova è che a oltre 50 anni dalla “nuova messa”, i modernisti – tra mille contraddizioni e cambi di direzione – non sono ancora riusciti ad arginare la non accettazione della liturgia montiniana. Il virus è lì e non potendo uccidere il paziente ha fatto mille mutazioni. Prima ci ha provato con l’indulto woitiliano, poi con la scomunica del 1988, poi con il tentativo di normalizzazione del 2007, ora con la variante aggressiva del motu proprio bergogliano.

    RS: Le varianti sono imparentate.

    GR: Ovvio: se Traditionis Custodes può superare Summorum Pontificum è perché già in esso c’erano le premesse della sua fine: la confusione sulla natura profonda dei due riti, una forma erronea definita ordinaria, ecc. Il modernismo di Ratzinger sembrava quasi cercare la sintesi tra opposti inconciliabili, col risultato di un fragile equilibrio pratico che ora esplode.

    RS: E la variante Vaticano-argentina?

    GR: Bergoglio è argentino, appunto: degli inconcludenti sofismi di un modernismo a marcia lenta, che postula forme ordinarie e straordinarie, non sa che farsene. Nel male è chiaro e distrugge gli equivoci, le elucubrazioni, le mezze misure. Non credo sopporti – e in parte è difficile dargli torto – quel mondo di mezzo, né carne né pesce, che si balocca con la messa della Tradizione e si attovaglia alle mense curiali, che vive di pizzi e di chiacchiere, che è contro il modernismo ma a favore della gerarchia modernista, insomma le tiepide soluzioni di chi vuol la botte piena e la moglie ubriaca, forse non fanno parte della mens bergogliana. Sia chiaro: non voglio generalizzare, perché quello del motu proprio è un mondo vasto e pieno di persone buone e di grande valore, ma c’è anche altro. Nell’altro si trova pure anche chi nell’equivoco ratzingeriano ha ampiamente pascolato. Ora l’equivoco ha ricevuto uno stop.

    RS: La fine di un equivoco, d’accordo. Ma un po’ brutale.

    GR: I modi sono spicci, certo. Gente, parliamoci chiaro: l’era delle riserve indiane è finita. Dopo il Concilio sono nate le riserve per recintare e proteggere – alla maniera dei parchi africani – ciò che rimaneva del “prima”. C’è stata la grande riserva dei prolifi, che stavano nel serraglio conciliare garantiti sul fatto che si potessero mandare a monte i primi tre comandamenti con l’ecumenismo, la liturgia e tutto il resto, ma – cribbio! – la vita e la famiglia non sarebbero state negoziabili. Bergoglio ha raso al suolo il recinto con Amoris Laetitia. Ora distrugge quello del Summorum Pontificum. Le riserve però crollano non solo “perché Bergoglio è cattivo, gnè gnè”, ma perché erano fondate sull’accettazione del fatto che si potesse cedere sulle stesse questioni che oggi vengono usate come mezzo per radere al suolo tutto. Accettare il Concilio, sperando di essere gli ultimi a esser fatti fuori non è mai una grande idea. Su Radio Spada è stato detto mille volte: ora qualcuno capirà nella realtà cosa si intendeva su queste pagine. Sono concetti ripetuti allo sfinimento: ma c’è sempre stato qualcuno che là fuori per rassicurare sé stesso o gli altri, voleva abbassare il volume quando si parlava troppo forte su Ratzinger e sui suoi pasticci, quando si spiegavano queste dinamiche, quando si era “troppo netti” a dire come stavano le cose. A furia di mediare, di lenire e di dormire si sono svegliati in mezzo ai botti, con Bergoglio che pilota il caterpillar.

    RS: Che fare?

    GR: Pregare, carità verso tutti (ma nella verità) e tanta, tanta formazione.

  7. #27
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    Predefinito Re: "Mortuo proprio": quindici anni dopo

    Il Vaticano rende più esplicito il piano di progressiva estirpazione della Messa di sempre: analisi



    Se già lo scandaloso (ma, a modo suo, coerente) documento Traditionis Custodes lo aveva detto in maniera chiara, ora arrivano esplicite conferme: il piano di progressiva estirpazione della Messa di sempre è lì da vedere.

    Facciamo però un passo indietro, per capire di cosa parliamo. Il 28 luglio scorso l’arcivescovo di Westminster, card. Nichols, mandava al prefetto della congregazione per il culto divino (Mons. Arthur Roche), una lettera per avere chiarimenti sull’applicazione di Traditionis Custodes. La risposta arrivava il 4 agosto e – pur essendo un mix di ridicole contraddizioni e imbarazzate ammissioni – risulta molto diretta quanto agli obiettivi (potete trovare qui una traduzione).

    L’autorità vaticana scrive ondeggiando ma ribadisce quale sia il porto in cui vuole approdare. Non si prefigge, almeno per ora, di arrivare ad una soppressione completa (“l’uso dei testi liturgici antecedenti è stato regolato, non soppresso”, scrive il prefetto Roche) ma allo stesso tempo afferma che la liturgia precedente “di fatto fu abrogata” da Paolo VI. Ora al netto del fatto che la bolla Quo Primum Tempore di San Pio V, rende perpetua e inabrogabile la Messa di sempre, al netto pure delle contraddizioni interne al fronte neomodernista (Ratzinger dovette riconoscere che la liturgia cattolica non fu abrogata), a certificare che quella Messa non è stata tolta di mezzo ci sono i cocciutissimi fatti, per cui ancora oggi non si riesce a cavarla dal dibattito, nonostante scomuniche, blandizie, chiacchiere e minacce.

    Del resto già nel primo capoverso della lettera non si vuol lasciare spazio a dubbi: “Tutto questo nella nuova legislazione è orientato al ritorno e alla stabilizzazione della liturgia stabilita dal Concilio Vaticano II”.

    Ovviamente la deroga alla linea tracciata è riservata a chi è disponibile ad accendere il granello d’incenso: “È evidente altresì che queste concessioni eccezionali devono essere permesse solo per coloro che accettano la validità e legittimità della riforma liturgica del Concilio Vaticano II e il magistero del Sommo Pontefice”. Come ci possa essere un magistero (che è intrinsecamente fondato sul principio del vincolo) da quando si propone la libertà religiosa e l’indifferentismo, un giorno ce lo spiegheranno. Ma al momento sorvolano su questi “dettagli” e vanno al sodo: libertà per tutti tranne che per i cattolici e la loro Messa.

    Ci sono poi ammissioni che rendono quasi divertente la missiva. Mons. Roche, cadendo dal pero vaticano, scopre che “ci sono stati considerevoli fraintendimenti delle precedenti misure con l’aumento di pratiche, sviluppo e promozione, che in non piccola parte hanno incoraggiato una crescita che non era stata prevista o sancita dai precedenti pontefici”. Insomma non avevano previsto che ai cattolici piacesse la Messa cattolica, non male.

    Sipario.

 

 
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