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    Predefinito "Mortuo proprio": quindici anni dopo

    Per ricordare la severa condanna del "Motu Proprio" che "liberalizzò" la "Messa di San Pio V" (versione roncalliana) che arrivò dagli ambienti cattolico integrali (e anche semplicemente cattolico-accorti) raccolgo qui alcuni vecchi interventi tratti da Tradizione Cattolica su Pol.net.
    Buona lettura.

  2. #2
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    Predefinito re: "Mortuo proprio": quindici anni dopo

    Come tutti sanno, il 24 maggio 2003, il "Cardinale" Dario Castrillon Hoyos, presidente della “Pontificia Commissione Ecclesia Dei”, ha celebrato la Santa Messa, secondoil messale promulgato da San Pio V,
    nella Patriarcale Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. La Messa è stata celebrata su iniziativa di Calogero Cammarata, Presidente
    dell’associazione Inter multiplices UNA VOX, a nome di numerosi fedeli, “per manifestare la loro cordiale adesione al Successore
    di Pietro e innalzare per Lui, nel 25° di Pontificato, una corale preghiera a Maria nel contesto dell’anno dedicato al Santo Rosario”
    (Messaggio del "Cardinale" Angelo Sodano, "Segretario di Stato").
    L’omelia del "Card". Castrillon Hoyos Nella sua omelia, il "Card." Castrillon Hoyos ha ribadito l’omaggio a Giovanni Paolo II: “È a Giovanni Paolo II, il nostro amato Papa, che va il nostro pensiero, la nostra preghiera, il nostro profondo e affettuoso senso di comunione ecclesiale. In questi venticinque anni, la sua vita e il suo supremo ministero apostolico sono caratterizzati dall’instancabile
    difesa della Verità, dalla totale dedizione alla causa dell’unità della Chiesa…”. A proposito del rito della Messa, il Presidente
    dell’Ecclesia Dei ha ricordato la “benevola accoglienza” di Giovanni Paolo II verso i fedeli attaccati alla Messa di San Pio V, limita-tamente però a quanti riconoscono “la legittimità del rito rinnovato”. Il rito di Paolo VI e quello di San Pio V manifesterebbero “la stessa fede nel Mistero Eucaristico” per cui –
    conclude il Prelato – “siamo tutti chiamati all’unità nella verità, con rispetto vicendevole per la diversità di opinioni…”. Onestamente,
    non ci si poteva aspettare altro dal Presidente della Commissione Ecclesia Dei.

    La posizione della Fraternità San Pio X

    La posizione della Fraternità San Pio X è espressa dall’abbé Simoulin, superiore del distretto italiano, sulla rivista Roma felix (luglio 2003). Rivolgendosi “al nostro caro amico Calogero Cammarata” l’abbé Simoulin scrive: “Voglio che egli sappia (ma lo sapeva fin
    dall’inizio) che la Fraternità, che non ha voluto intervenire per non creare qualche confusione, ha seguito le cose con interesse e simpa-tia, e lo ringrazia di aver permesso alla Santa Messa di riprendere possesso dell’altare sul quale il nostro fondatore l’aveva offerta il sabato 24 maggio 1975”. L’abbé Simoulin prosegue, sottolineando nuovamente l’imbarazzante parallelo tra Mons. Lefebvre e Castrillon
    Hoyos: “Anche se non era ufficialmente presente nel 2003, questa Messa del 2003 è la vittoria della sua fedeltà a continuare la batta-glia di Mons. Lefebvre all’altare di Santa Maria Maggiore del 1975”. L’abbé Simoulin conclude rivolgendosi con toni patetici al "Cardinale"
    colombiano: “Coraggio Eminenza! Quello che avete fatto è stato bello ma… non basta. (…) Occorre continuare e far vivere la Messa della vostra ordinazione (…). Eminen-za, per carità, fate vivere questa Messa che è stato (sic) la gioia della Vostra giovinezza, aiutate la Messa a far vivere la Messa, e avrete fatto per la Chiesa Cattolica la cosa più grande e la cosa più necessaria”. Nell’editoriale de
    La Tradizione Cattolica (n. 54, 3/2003, p. 6), l’abbé Simoulin cita anche il suo diretto superiore, Mons. Fellay: “La Fraternità sacerdotale San Pio X si rallegra della celebrazione della
    messa di San Pio V da parte di Sua Eminenza il Cardinale Castrillon Hoyos a Santa Maria Maggiore. È la prima volta negli ultimi
    trent’anni. Speriamo vivamente che quest’atto sia seguito da molti altri in vista di una restaurazione della Tradizione nella Chiesa”.

    La nostra posizione

    Il numero di maggio del bollettino NotreDame de la Sainte-Espérance (n. 161), scritto prima della celebrazione del 24 dall’abbé Belmont, esprime invece in poche righe rigorosamente dottrinali quella che è
    anche la nostra posizione al riguardo.
    “La santa Messa – scrive l’abbé Belmont – è il cuore della Chiesa cattolica, il suo tesoro, la sua ragion d’essere. Lo statuto di rito
    cattolico della Messa non può in alcun caso essere quello di un semplice permesso; né quello di una coesistenza pacifica con un rito
    protestante, estraneo alla fede cattolica. La testimonianza della fede non può contentarsi di essere ‘per la messa di san Pio V’;
    essa impera di essere ‘contro il nuovo rito’. Se Paolo VI avesse istituito un rito conforme alla fede cattolica e nello spirito della tradizione (sarebbe stato possibile? È un’altra questione), il problema sarebbe diverso. Ma il rito di Paolo VI è il frutto di false dottrine, è l’espressione di un’altra religione, intera mente
    centrata sull’uomo, interamente preoccupata della vita terrena, interamente dimentica della gloria di Dio e della sua legge imprescrittibile, interamente negatrice della regalità di Nostro Signore Gesù Cristo. Questo spirito è inscritto nel midollo del nuovo rito; è impossibile accettarlo, anche a titolo di vicino provvisorio: è un cancro che deve essere rigettato dalla Chiesa.
    La santa Messa è un rito sacramentale; essa è il sacramento per eccellenza, fonte e sommità di tutti gli altri. Essa occupa il primo
    posto nell’ordine della dignità e dell’effi-cacia. Ma nell’ordine della realizzazione, la Messa dipende dal sacramento del Battesimo
    e dal Sacramento dell’Ordine. Ed ecco una nuova inquietudine, tanto più grave per il fatto di essere inverificabile. (…) Il rito dell’ordinazione sacerdotale è stato modificato nella forma; il rito della consacrazione episcopale ha subito un profondo sconvolgimento [è più esatto il contrario]. E la loro validità? Come minimo non sono garantiti dalla Chiesa, c’è un vero dubbio, il che nella pratica obbliga a considerarli invalidi. Se c’è coesistenza tra i due riti, uno santo e uno dubbiosamente valido, nelle stesse chiese; se c’è coesistenza di due sacerdozi, uno valido e uno dubbio, sugli stessi altari; cosa ci sarà nel tabernacolo? Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, o del semplice pane. Cosa ci permetterà di discernerli? Niente. Avremo confusione, incertezza, idolatria da una parte, sacrilegio dall’altra. È questo il ritorno dello splendore della Chiesa? È per questo che abbiamo combattuto? Ciò che non è concepibile dal punto di vista sacramentale lo è ancor meno dal punto di vista della dottrina. Il santo sacrificio della Messa è il Mistero della fede: è necessaria-mente preceduto, accompagnato e seguito dall’insegnamento della fede cattolica, per essere celebrato degnamente e per produrre un
    frutto salutare e durevole nelle anime. Si può desiderare che prenda posto tra le false dottrine, in mezzo a un insegnamento deleterio,
    a una diserzione generale della fede e del sacramento di penitenza?
    Per l’onore di Dio, per la certezza dei sacramenti, per l’integrità della fede, per la perseveranza nella grazia e nella verità, non bisogna separare la santa Messa dal suo triplice carattere cattolico: cattolicità del rito, cattolicità del ministro, cattolicità della comunione. Anche se si può dire che Dio, nella Sua misericordia, può servirsi di tutto per ricondurre le povere anime smarrite, ci è lecito desiderare o procurare esclusivamente ciò che è integralmente conforme alla fede cattolica e alla santità dei sacramenti”.
    Sodalitium fa proprie queste parole dell’abbé Belmont.

    Quanti hanno assistito alla Messa del 24 maggio, quanti l’hanno seguita con “interesse e simpatia”, hanno – coscientemente o no – fatto proprie invece le parole del "cardinale" Castrillon Hoyos: hanno ammesso la legittimità del nuovo rito e di colui che ne ordina la celebrazione, Giovanni Paolo II, nonché il fatto che egli, “in questi 25 anni”, invece di aver diffuso costantemente l’errore come ha fatto in realtà, avrebbe difeso in maniera instancabile la Verità.

    (Maggio 2003)

  3. #3
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    Predefinito re: "Mortuo proprio": quindici anni dopo

    Dalla Mailing list ci permettiamo di prendere questo INVITO, il più importante apparso fino ad adesso, a non firmare l'appello per l'indulto generalizzato della "Messa in latino" lanciato da "Il Foglio" di questi giorni a firma di Socci, Zeffirelli ed altri compari.
    In attesa di altre messe in guardia contro questo appello "neocons", magari da parte dei sacerdoti I.M.B.C., ci sembra DOVEROSO postare questo appello del professor Diano.
    I fora "Tradizione Cattolica" e "Civiltà Cattolica sottoscrivono pienamente la sostanza di questo contro-appello.

    -----------------------------

    Supplico tutti i cattolici di non cadere nella trappola e di NON FIRMARE
    il bieco, pauroso appello scritto da Socci in appoggio al motu proprio
    pseudo-liberalizzatore di Ratzinger, il quale viene colà definito come
    il più grande intellettuale del mondo, anche perché "scrisse lo storico
    discorso con cui venne abolita l'antica Inquisizione".
    Dio ci guardi da questi "difensori" della "Messa in latino", che la
    considerano un oggettino estetico e paragonano la sua "liberalizzazione"
    ad una conquista della civiltà moderna, come - appunto - l'abolizione
    della liberticida Inquisizione!
    Va da sé che alle ragioni teologiche e anche semplicemente di ragione
    che sorreggono non la "scelta" ma la necessità della S. Messa di sempre
    il perfido scritto di Socci non accenna neppure.
    Altro che polically correct: qui abbiamo davvero esemplarmente di fronte
    la vera faccia di questi personaggi: NEMICI (nel senso cristiano,
    ovviamente), ecco che cosa sono.
    Firmare NON SAREBBE IN ALCUN MODO un primo passo per poi orientare al
    meglio il decorso dei fatti, come troppe "anime pie" s'illudono - in
    buona fede o meno, qui non cale - che possa accadere.
    ANZI: invece che un aiuto alla causa sarebbe un contributo forse
    irreparabile all'"ecumenizzazione" della tradizione, giusta l'azione
    delle curie già sin dal "governo" di GPII. Per dirla con Socci, la
    pseudoliberalizzazione sarebbe un trionfo del "libero pensiero": c'è
    poco da scherzare, vedete dove vogliono andare a parare? Sveglia!
    Altrimenti mi debbono spiegare perché Ratzinger ci tiene tanto ad
    emettere questo motu proprio ma si toglie le scarpe in moschea, rilancia
    la libertà religiosa, e così via. Può concepirsi un cattolico che va
    alla "Messa in latino" e poi entra a "pregare" in moschea? Riflettano
    bene i "possibilisti", per carità!
    Credo che ogni concessione a posizioni del genere, anche se mascherato
    da espressioni solo in apparenza più ortodosse, vada combattuto con il
    massimo vigore.
    NON SI TRATTA DI PROPORRE UNA POSIZIONE ESTREMISTA, ma semplicemente di
    evidenziare l'unica lettura possibile dei fatti.
    A tutti gli "innamorati" della tradizione, compresi gli estetizzanti,
    chiedo di riflettere bene: il massimo che potranno ottenere se passa
    questo gioco al massacro sarà un fumoso latinetto steso su un'orgiastico
    e blasfemo cumulo di apostasia ecumenizzante: avranno la Messa in latino
    ma non potranno più esibire la fede, è questo che vogliono? Vogliono che
    in un tempio interconfessionale si celebri la "Messa in latino" (basta
    con questa perifrasi ambigua!) tra una cerimonia giudaica e un rito
    voodoo? Pensateci, in nome di Dio; pensiamoci bene tutti, perché il
    potere massmediatico gioca sul consenso, magari ottenuto - e sarebbe il
    nostro caso - surrettiziamente a fronte di bisogni reali, per
    legittimare il male. Poi potremmo pentirci amaramente di non aver fatto
    quadrato nella difesa della fede, entro la quale solamente scorre
    limpido e meraviglioso il ruscello di grazie della vera Messa.
    Che la Santa Vergine ci protegga: la battaglia sarà ancora lunga, e il
    nemico sempre più insidioso.

    Antonio Diano

    (Luca 19 dicembre 2006)

  4. #4
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    Predefinito re: "Mortuo proprio": quindici anni dopo

    é arrivata la bufera, è arrivato il temporale..." cantava Rascel decadi fa... e direi che la canzone si attaglia perfettamente al periodo che stiamo vivendo o stiamo per vivere.
    Sottoscrivo ovviamente il contro-appello e devo dire che incomincia a delinearsi chiaramente la manovra a tenaglia del conservatorismo ratzingeriano sul variegato mondo "tradizionalista". Si è fatta un po' attendere ma ora finalmente la vediamo, imponente e sottilissima, mortifera e rubizza: la "gioiosa macchina da guerra" ratzingeriana. Fin dal primo giorno del "pontificato" di don Joseph avevo parlato di una forte portata pseudo-restaurazionistica del suo "pontificato". Ebbene ora vedremo la portata dello tsunami e mi raccomando: leghiamoci bene ai legni della Fede per non essere trascinati via...
    Poi faremo un po' la conta dei sopravvissuti e allora, credo e ne sono certo, si vedrà anche il senso e la giustezza delle molte "messe in guardia" che questo forum ha prodotto in questi anni.

    Guelfo nero (20 dicembre 2006)

  5. #5
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    Predefinito re: "Mortuo proprio": quindici anni dopo

    MI scuserete ma mi sono permesso di unificare il thread aperto da Adsum ad un vecchio thread che riguardava le manovre indultiste (dalla Messa del 2003 ad oggi) in modo tale da mantenere una generale unità tematica.
    Ovviamente il titolo è fedele (e polemica) testimonianza della posizione di questo forum sul tanto dibattuto tema.
    Non ci abbiamo perso troppo tempo finora per un semplice motivo: la rilevanza del "Mortuo proprio" non è ecclesiologica (non proveniendo in nessun modo dalla Chiesa) ma meramente sociologica e statistica.
    Quanti fedeli toglierà alla Messa sia essa gallicana (Fspx) o cattolica (sedevacantista)? Che impatto mediatico avrà sulla percezione dell'attuale "tradizionalismo"? Che genere di contraccolpi avrà sul "clero" vaticanosecondista? Bisognerà tenere gli occhi aperti sulla "fortezze nemiche" e sapersi regolare con oculatezza e forza. Bisognerà saper COMUNICARE a tutti e bene la distanza, la differenza, l'impossibilità della convergenza. Bisognerà pregare e molto perchè questo ennesimo (abbiamo perso il conto) "colpo da maestro di satana" possa essere sventato. Senza ovviamente inviare "bouquet" di rosari, cosa che lasciamo molto più volentieri ai fiorai di Econe.
    Se l'estate sarà calda, noi staremo all'ombra del Triregno cattolico: lì non si sbaglia mai.

    Guelfo Nero (30 giugno 2007)

  6. #6
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    Predefinito re: "Mortuo proprio": quindici anni dopo

    Centro studi Giuseppe Federici - Per una nuova insorgenza
    Comunicato n. 76/07 del 2 luglio 2007, Visitazione della B.V. Maria

    Messa Romana e trappola bavarese

    E’ ormai imminente la pubblicazione del documento di Benedetto XVI sull’inserimento del rito tridentino nel contesto dottrinale del concilio Vaticano II.
    Sull’argomento pubblichiamo un articolo scritto nel 1998 da don Davide Pagliarani, attuale superiore della FSSPX in Italia. Qualche mese fa la stessa FSSPX ha consegnato in Vaticano una supplica di preghiere rivolta a Benedetto XVI per ottenere la pretesa liberalizzazione del rito tridentino.
    E’ l’occasione per ricordare che i testi che segnaliamo come documentazione non implicano la condivisione totale dei contenuti o delle posizioni degli autori.

    Messa tridentina e dinamica conciliare, di don Davide Pagliarani
    “Erat autem Barabbas latro” (Giovanni, 18, 40)

    “Il Concilio ha riconosciuto le libertà religiose dei non credenti e moltiplicato le forme liturgiche: non può esistere nella Chiesa postconciliare la libertà per la Messa della Tradizione?” Questa domanda se la pone Gianni Baget Bozzo in un suo recente intervento su Il Giornale del 26 Agosto u.s.. Sono trascorsi infatti quattordici anni da quando, attraverso l’”indulto” del 3 ottobre 1984 è stata concessa ai singoli vescovi la facoltà di permettere - in alcuni casi particolari ed a condizioni inaccettabili in quanto vanificano la battaglia in favore della Messa di sempre - l’uso del Messale Romano tradizionale secondo l’edizione del 1962; ricorre inoltre quest’anno il decimo anniversario del motu proprio Ecclesia Dei afflicta, del 2 luglio 1988, attraverso il quale si è inteso concedere “garanzie” a quei cattolici di sensibilità tradizionale che in un modo o nell’altro si sentono legati alla liturgia tridentina.”
    Al di là della considerazione della valenza strettamente “strategica” di questi due documenti tra loro intimamente connessi (cioè della loro funzione di recuperare il maggior numero possibile di fedeli ancora legati alla Tradizione della Chiesa e di inserirli nel nuovo corso ecclesiale), la loro promulgazione induce a porsi una domanda che trascende questi episodi contingenti o comunque legati a situazioni particolari: la Messa di San Pio V può o non può avere pieno diritto di cittadinanza nella Chiesa conciliare?
    In altri termini la Messa Tridentina potrebbe - teoricamente - essere “liberalizzata” senza alcuna restrizione all’interno dell’attuale corso ecclesiale senza che quest’ultimo cambi di direzione? E se la risposta fosse affermativa, quale valore avrebbe questo rito tradizionale inserito nella dinamica conciliare?
    Cercheremo di dare una risposta partendo dalla considerazione di che cosa rappresenti la Santa Messa nella vita della Chiesa e dall’esame di alcuni caratteri propri del modernismo attuale, motore dell’evoluzione interna alla Chiesa conciliare alla quale stiamo assistendo. Speriamo in questo modo di rispondere in modo esauriente anche al quesito di Gianni Baget Bozzo.
    La Santa Messa - non dimentichiamolo mai - è radicata nel dogma di cui costituisce la più alta e sublime espressione. Ogni singola parte del sacro rito, così come l’insieme del medesimo, è sempre riconducibile ad una verità di fede; la preghiera del Kyrie, ad esempio, attraverso la quale invochiamo per tre volte ciascuna delle tre Persone della Santissima Trinità, esprime l’unione di Queste in un solo Dio: invocando una Persona simultaneamente si invocano le altre due ad Essa inseparabilmente unite, perciò si ripete per tre volte la medesima invocazione alla stessa Persona.
    Considerata quindi complessivamente la Santa Messa si presenta come un insieme organico di espressioni esterne del dogma cattolico; l’assistenza ad essa pertanto alimenta la fede, la rinvigorisce e la conferma. Viceversa un’anima profondamente marcata da un autentico spirito di fede, profondamente impregnata del dogma cattolico, riconosce necessariamente nella Santa Messa l’espressione autentica di ciò in cui crede. Potremmo quindi paragonare la Santa Messa ad una quercia rigogliosa, resa tale dal terreno buono in cui è radicata, che esprime esternamente attraverso i rami e le foglie quella vitalità secolare e indefettibile che trova la sua origine nella profondità delle radici che la sostengono e la mantengono in vita.
    Per questo motivo la Santa Messa rappresenta - a giusto titolo - la bandiera di quanti combattono per la Tradizione della Chiesa; ora sappiamo che in una battaglia sottrarre la bandiera al nemico costituisce la più grande umiliazione alla quale questi possa essere sottopo*sto e, generalmente, il segno tangibile dell’imminente sconfitta di lui. Stiamo assistendo forse ad una battaglia in cui questa bandiera, non potendo essere sottratta materialmente, rischia di esserlo moralmente, attraverso misure che di fatto mirano a privarla del suo autentico significato.
    Cercheremo quindi di esaminare in quali termini, consoni all’attuale dinamismo ecclesiale, la Messa Tridentina possa trovare - ed in un certo senso ha già trovato - una sua collocazione nella Chiesa conciliare. È forse superfluo ricordare la centralità assoluta del dialogo e della comunicazione nell’ambito della nuova dinamica spirituale, all’interno della quale le esperienze più disparate possono e devono incontrarsi per arricchirsi e vivificarsi a vicenda; il dialogo è oggi considerato un valore in sé stesso, con una valenza positiva intrinseca, in quanto rappresenta già un elemento di unione tra realtà diverse, unite almeno per il fatto stesso che comunicano tra loro.
    Questa tematica ricorrente non sorprende ormai nessuno, tuttavia la si è quasi esclusivamente presa in considerazione nella sua dimensione ecumenica, cioè come principio di base per le relazioni ad extra, i.e. con le “realtà esterne” alla Chiesa (come i fratelli separati o quelli maggiori), dimenticando forse o comunque trascurando la sua valenza ad intra, “all’interno” della Chiesa stessa.
    Applicata “all’interno” della Chiesa questa sete di dialogo e di scambio fa sì che la comunicazione tra esperienze diverse sia non solo auspicata ma favorita e indotta, dando vita a movimenti diversi, ognuno dei quali possa maturare un’esperienza consona alla propria sensibilità e ai propri carismi; balza infatti anche agli occhi dell’osservatore meno attento l’importanza crescente dei “movimenti” come parte integrante della vita della Chiesa conciliare. La sintesi dell’incontro di queste esperienze costituisce, in un’ottica autenticamente neomodernista, la “fede della Chiesa”.
    Ritornando ora al quesito che ci siamo posti all’inizio: vi è posto in questo incontro per la Messa Tridentina? La risposta è certamente affermativa, a condizione che si accettino le regole del gioco. Da parte di chi “concede” la celebrazione della Messa di sempre si tratta di inserire quest’ultima come nuovo elemento capace di creare dialogo, scambio e quindi arricchimento tra i fedeli; da parte di chi ne richiede la celebrazione e ne usufruisce, si tratta di riconoscere ed accettare che la Messa Tridentina sia una opzione possibile tra altre, manifestazione di una particolare sensibilità liturgica ed esperienza di fede, la quale pertanto non può avere la pretesa di imporsi in modo esclusivo come sola espressione autentica del dogma cattolico.
    Riempite queste condizioni (anche con un semplice silenzio da parte dei fedeli, passivo ma di per sé ugualmente responsabile), non vi sono particolari inconvenienti affinché questa nuova esperienza sia a pieno titolo inserita nel variegato panorama conciliare, dove tutto è relativo, opinabile, tranne l’apertura al dialogo. Ma che valore avrebbe la Messa Tridentina collocata (come in parte lo è già) in questo modo nell’attuale dinamica? Essa sarebbe paragonabile - per tornare all’immagine utilizzata - ad una quercia rigogliosa, ma sradicata questa volta nel modo più brutale e trapiantata artificiosamente in un deserto di sale, poiché verrebbe meno quel legame tra dogma e liturgia sul quale si fondano la grandezza, l’efficacia e il valore del rito tridentino.
    Una Messa così “trapiantata” conserverebbe un apparato estetico senz’anima, foglie secche senza linfa. Ci si troverebbe di fronte ad un albero maestoso ma senza radici, magari bello a vedersi ma all’interno secco e corroso, privato d’un tratto di quella linfa che gli aveva permesso di crescere e di stagliarsi imponente per quasi duemila anni.
    In questo modo sarebbe sottratta moralmente la bandiera a quanti combattono per la Tradizione: essa resterebbe in mano loro ma priva del suo vero significato; resterebbe cioè una Messa Tridentina irrimediabilmente depauperata, privata del suo valore dogmatico, esclusivo, assoluto e quindi della sua efficacia. Forse queste considerazioni possono sembrare eccessive, ma esse possono essere desunte da trasformazioni già avvenute e ormai assimilate. Illustriamo la cosa con un esempio: il valore odierno del Credo, professione di fede. Le parole del Credo sono rimaste materialmente le medesime nell’attuale liturgia, tuttavia il loro senso è radicalmente mutato, in quanto a quella prima parola “credo” si attribuisce un senso tutto nuovo (il quale denatura automaticamente ogni dogma), frutto del soggettivismo, dell’esperienza, della comunione, del relativismo, del sentimento e non della sottomissione dell’intelligenza all’autorità di Dio Rivelante.
    Questo mostra come una medesima realtà possa, pur conservando inalterato un determinato apparato esterno, perdere il proprio significato originario ed acquisirne uno radicalmente nuovo. Il valore assoluto ed esclusivo della Messa Tridentina non è determinato dalla scelta preferenziale di un gruppo - quantunque consistente - di fedeli o di sacerdoti, ma è intrinseco, determinato dalla Tradizione e dal Magistero perenne e costante della Chiesa.
    In coscienza un cattolico non può accettare che la Santa Messa sia ridotta ad una opzione, che sussista assieme ad altre sensibilità liturgiche non più cattoliche; chi crede veramente vuole - poiché è animato dalla carità - che anche gli altri credano ed esige per sé e per gli altri i mezzi per continuare a credere e a crescere nell’unione e nell’amore di Dio; il cattolico non sceglie semplicemente Nostro Signore tra Questi e Barabba, ma non accetta neppure che Nostro Signore Gesù Cristo e Barabba siano messi allo stesso livello!
    Erat autem Barabbas latro, Barabba era ladro! La nuova messa è ladra! Essa è ladra innanzitutto nei confronti di Dio, al Quale sottrae il culto dovutoGli, sminuendo quell’aspetto oblativo e sacrificale che costituisce la prerogativa esclusiva del culto divino e lo distingue inequivocabilmente dal culto reso ad una semplice creatura. Erat autem Barabbas latro! La nuova messa è ladra verso il sacerdozio sacramentale di cui in ultima analisi nega la sacralità e la necessità; eppure la Chiesa di Cristo, la Chiesa Cattolica si fonda su questo sacerdozio! Erat autem Barabbas latro! La nuova messa infine è ladra nei confronti delle anime, le quali hanno il diritto di essere sfamate dal pane della verità e non dal pane avvelenato dell’equivoco; esse hanno il diritto e soprattutto il bisogno più assoluto di lavarsi e di purificarsi nel sangue di Nostro Signore Gesù Cristo e non di ritrovarsi insieme per una cena di sapore protestante! Erat autem Barabbas latro! Barabba era ladro; ci preservi Iddio dal compiere o dall’accettare lo stesso errore di Pilato!

    Note
    In particolare: “Con ogni chiarezza deve constatare anche pubblicamente che questi sacerdoti ed i rispettivi fedeli in nessun modo condividano le posizioni di coloro che mettono in dubbio la legittimità e l’esattezza dottrinale del Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970”. Da L’Osservatore Romano del 17 Ottobre 1984. “Dovrà essere ovunque rispettato l’animo di tutti coloro che si sentono legati alla tradizione liturgica latina, mediante un’ampia e generosa applicazione delle direttive, già da tempo emanate dalla Sede Apostolica, era l’uso del Messale Romano secondo l’edizione tipica del 1962". Da L’Osservatore Romano del 3 Luglio 1988.

    (Da La Tradizione Cattolica, Anno IX, n. 38, 1998, pagg. 46-48)

    ___________________________________

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    E-mail: info@centrostudifederici.org
    Sito Internet: :: Centro Studi Giuseppe Federici - Per una nuova Insorgenza ::
    Archivio dei comunicati:
    Centro Studi Giuseppe Federici

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    Predefinito re: "Mortuo proprio": quindici anni dopo



    Il pugile ratzingeriano in piedi: "Piaciuto il Motu proprio?"

    Il pugine lefevriano a terra: "Me ne compiaccio...e ringrazio"

    (7 luglio 2007)

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    Predefinito re: "Mortuo proprio": quindici anni dopo

    Non avevamo capito nulla, ora Ratzinger ci illumina
    (Lettera ad Antonio Socci)

    Fantastico.
    Dopo oltre quarant’anni dal Vaticano II finalmente arriva l’ “interpretazione corretta” del famoso “subsistit in” della Lumen Gentium.
    Scrive Antonio Socci su Libero dell’11 luglio: “Il fatto che la Lumen Gentium usi l’espressione ‘sussiste nella’ anziché la parola ‘è’ - afferma la Santa Sede – ‘non cambia dottrina sulla Chiesa’, ma vuol far capire che fuori della Chiesa non c’è il vuoto ecclesiale, ma ci sono ‘numerosi elementi di santificazione e di verità’ che si trovano in altre Chiese (come quella ortodossa) e comunità separate, elementi che ‘in quanto doni propri della Chiesa di Cristo, spingono all’unità cattolica’ ”.
    Ma allora non era più semplice scrivere che la Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica?
    Gli “elementi di verità” che si trovano fuori di essa, vi si trovano per accidens, involti nell’errore, e di per sé non solo costituiscono “elementi di santificazione” ma sono di ostacolo alla salvezza perché contribuiscono a rendere più credibile l’errore.
    La peggiore menzogna, diceva Jacques Hours, è quella che più contiene di verità.
    Infatti così il maligno riesce a catturare meglio le anime.
    Inoltre la quarantennale prassi dell’ecumenismo vaticanosecondista, contro la quale Ratzinger non ha mosso un dito, ha mostrato chiaramente come questo concetto andasse interpretato secondo la mens dei suoi estensori (il principale dei quali, apprendiamo, fu il teologo Joseph Ratzinger, il quale quindi è parte in causa e ha tutto l’interesse a cercare di far passare la sua come la “corretta interpretazione”): si è agito come se la Chiesa non possedesse già tutti gli “elementi di santificazione e di verità” ma avesse bisogno di andarseli a cercare altrove, con il famoso “dialogo” teso a costruire una “Chiesa di Cristo” fuori e al di sopra di tutte le realtà esistenti, alla maniera del Cristo-Omega teilhardiano.
    Oppure ci siamo sognati tutto?
    No, non siamo diventati tutti, caro Socci, improvvisamente ciechi, sordi e muti e nemmeno abbiamo perso la memoria.
    Non più tardi di otto anni fa assistei personalmente, al centro studi “Germano Pattaro” di Venezia, una delle roccaforti dell’ecumenismo, a una trionfalistica conferenza stampa del cardinal Cé, patriarca di Venezia, con due pastori protestanti, in cui fu annunciato “urbi et orbi” che ad Augusta (!) si era firmata una “dichiarazione congiunta” sulla giustificazione per fede, uno dei principali scogli dottrinali che dividono (o dividevano?) cattolicesimo e protestantesimo.
    Dichiarazione congiunta non nel senso che i protestanti avessero abiurato la loro eresia, ma nel senso che la Chiesa si era accorta che forse l’interpretazione di Lutero non era del tutto sbagliata.
    Il che coinvolgeva una bazzecola come l’importanza delle opere di fede nella vita del cristiano.
    Sempre a Venezia il parroco dei SS. Apostoli invita i fedeli a preferire la funzione protestante del vicino tempio di Strada Nova alla contemporanea Messa parrocchiale.
    Sono ormai frequenti, lo sappiamo benissimo, le “celebrazioni interreligiose”, con pastori (e pastore) che indottrinano i fedeli cattolici.
    Per avere un’idea del “trend” in atto basta ascoltare le trasmissioni RAI, in particolare “Uomini e profeti” di Gabriella Caramore, in cui è abituale la presenza del pastore valdese Paolo Ricca.
    I partecipanti alla GMG di Colonia andarono l’anno scorso in pellegrinaggio alla casa natale del “riformatore” Lutero, il quale, scandalo degli scandali, è stato INVOCATO nelle litanie pasquali di una parrocchia del vicentino durante le recenti festività senza che da Roma si sentisse il più lieve batter di ciglia.
    Chi volete prendere in giro?
    Credete che non lo sappiamo (e con ciò passiamo alla Messa) che il Novus Ordo, che ora volete farci credere esprimere la stessa fede della Messa romana, fu elaborato a tavolino da una commissione di cui facevano parte sei pastori protestanti, e che principale preoccupazione di tale commissione fu quella di espungere dall’ordinario e dal proprio della Messa gli elementi “troppo cattolici”, a partire dalla definizione stessa di Santo Sacrificio sostituita con quella di “sinassi”, di “cena” e di “banchetto”, proprio per renderla accettabile ai protestanti, i quali per bocca di Max Thurian dichiararono che non vi erano più ragioni perché un protestante non potesse assistere a questa “Messa” cattolica?
    Non lo sapete forse (siete sordi, ciechi e muti?) che è in questa maniera che l’ecumenismo viene declinato abitualmente nelle parrocchie, a suon di “presidenti dell’assemblea”, di “popolo con celebrante” e di “comunioni nella mano”?
    E perché se le due Messe esprimono la stessa fede non cominciate con il togliere di mezzo l’orribile “tavola di Lutero” che deturpa i presbiteri delle nostre chiese?
    Adesso che siamo in pieno giulebbe ratzingeriano, credete che ci siamo dimenticati che per la fedeltà a questa Messa un vescovo fedele come monsignor Lefèbvre subì l’umiliazione di morire scomunicato e che migliaia di fedeli, me compreso, hanno dovuto per anni sobbarcarsi (felici, peraltro, e continueremo a farlo) l’onere di viaggiare per ore e ore la domenica e le altre feste comandate per assistere a una Messa cattolica, fuggendo come le peste le “sinassi bugniniane” che la stessa FSSPX, oggi a quanto pare folgorata sulla via dell’abiura, ci diceva essere pericolose per la fede in quanto “faventes haeresim”?
    Credete che ci siamo dimenticati che il patriarca Luciani, poi Papa GIovanni Paolo I e oggi in onore di beatificazione rispondeva nel 1978 a don Siro Cisilino, a Paolo Zolli e agli altri fedeli tradizionalisti veneziani che il “vecchio rito” non era “più ammesso”?
    Che fece addirittura sbarrare le porte della chiesa di San Simon Piccolo per impedire la celebrazione di quella “pericolosa Messa” e che impose all’eroico sacerdote friulano l’umiliazione post mortem di ricevere funerali nel rito da lui aborrito?
    Credete che ci siamo dimenticati di tutti i vecchi preti (don Luigi Cozzi, don Giovanni Cossio, monsignor Vaudagnotti e chissà quanti altri) morti abbandonati e dimenticati perché fedeli a quel rito che voi oggi scoprite “mai abrogato”?
    Perché non scrive, Socci, un articolo su questi martiri?
    Ora vorreste farci credere che era tutto un equivoco, che non avevamo capito bene, che fiumi d’inchiostro (a partire dal magistrale “Iota unum” di Romano Amerio) sono stati versati invano e che tutti attendevano solo la “corretta interpretazione” di Joseph Ratzinger, il quale, dimentico di essere stato proprio lui a definire la Gaudium et Spes “l’anti-Sillabo” vorrebbe ora darci a bere la frottola secondo cui nella Chiesa c’è sempre stata continuità?
    Troppo semplice, cari signori.
    Troppo comodo.
    Cominciate a domandare scusa, a cospargervi il capo di cenere, a riabilitare chi queste cose le ha dette quarant’anni prima di voi, cominciate a fare piazza pulita nelle università pontificie, da dove partono insegnamenti contrari a quanto ora scoprite, nei giornali dei vescovi, nelle varie “Famiglia cristiana”, “Avvenire”, “Vita pastorale” e simili.
    Dite che la dottrina di Trento non è cambiata, e non cercate di far passare per equivoci le eresie che avete seminato per oltre quarant’anni.
    No, caro Socci, non è colpa dei “progressisti” lo sfacelo cui assistiamo: c’era nella Chiesa chi doveva intervenire e non è intervenuto, anzi ha contribuito allo sfascio.
    A quando un suo articolo sulle tremende responsabilità di Paolo VI?
    Ora ditelo, se avete coraggio, che il “Sillabo” è sempre in vigore, che la Messa di San Pio V non poteva essere abrogata perché istituita con indulto perenne e che chi l’ha fatto merita la riprovazione ufficiale.
    Ditelo, se ne avete coraggio, che fuori della Chiesa non c’è salvezza e che tutti i non cattolici, se non si convertono, sono condannati all’inferno.
    Ripristinate la “teologia negativa” (inferno, dannazione, giudizio, peso del peccato, debolezza dell’uomo, sua incapacità a salvarsi da solo, terribilità dell’ira divina) che i novatori espunsero accuratamente dalle orazioni della “nuova messa”.
    Dite che la teologia sul matrimonio è quella della “Casti connubii” e non quella ereticale della “Familiaris consortio”, che tanti danni ha inferto alla famiglia e alla società.
    Ditelo che il corretto ecumenismo cattolico è quello della “Mortalium animos” di Pio XI e non quello ereticale della “Unitatis redintegratio”.
    Ditelo che gli ebrei infedeli sono riprovati da Dio avendone rifiutato e ucciso il Figlio e che sono esclusi dalla salvezza se non si convertiranno (e che quindi la teologia ratzingeriana delle “due promesse” è eretica).
    Dite soprattutto che l’approvazione della libertà religiosa da parte della “Dignitatis Humanae” è in contraddizione con la sua bimillenaria condanna da parte della Chiesa, che unico compito del cattolico è l’edificazione del Regno Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo e che nessuno Stato agnostico può essere approvato ma che al contrario deve essere combattuto, secondo quanto insegnano Gregorio XVI con la “Mirari vos”, Pio IX con la “Quanta cura”, Leone XIII con la “Libertas praestantissimum” e Pio IX con la “Quas primas”.
    Anzi, se vuol essere credibile Benedetto XVI faccia quello che avrebbe fatto San Pio X: scomunichi tutti i governati e i parlamentari che hanno votato e difendono la legge sull’aborto.
    Dopodiché convochi n grande convegno a Roma per celebrare i cent’anni della Pascendi, che a questo punto dovrebbe essere considerata da tutti un’enciclica profetica.
    Poi, caro Socci e tutti voi improvvisati tradizionalisti, se avete ancora un briciolo di onestà intellettuale, guardatevi allo specchio e sputatevi addosso.
    Siete solo dei ciarlatani.
    Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu.
    Viva Cristo Re e Maria Regina.

    Professor Franco Damiani

    Dalla rubrica delle lettere del sito EFFEDIEFFE.com Giornale Online

    (14 luglio 2007)

  9. #9
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    Predefinito re: "Mortuo proprio": quindici anni dopo

    Centro studi Giuseppe Federici - Per una nuova insorgenza
    Comunicato n. 77/07 del 24 luglio 2007, Santa Cristina

    IMBC: per la Messa Romana, contro il Novus Ordo

    Pubblichiamo un comunicato e un articolo dell’Istituto Mater Boni Consilii sul Motu proprio Summorum Pontificum cura”.

    Doc. n. 1 - Comunicato dell’Istituto Mater Boni Consilii proprio “Summorum Pontificum cura”

    In seguito al Motu proprio Summorum Pontificum cura sull’uso del Messale Romano (7 luglio 2007), l’Istituto Mater Boni Consilii:
    constata con soddisfazione che il tentativo di sopprimere del tutto l’antico e venerabile Messale Romano per sostituirlo con un nuovo messale riformato, tentativo espresso chiaramente da Paolo VI nel discorso al Concistoro del 24 maggio 1976, è – per implicita ammissione dello stesso Motu Proprio Summorum Pontificum, miseramente fallito;
    non riconosce però “il valore e la santità” del nuovo rito del 1969, applicazione del Concilio Vaticano II;
    fa proprio al contrario il giudizio sul nuovo rito dei cardinali Ottaviani e Bacci, secondo il quale il nuovo messale “rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino”;
    ricorda che un giudizio così severo non può designare un rito della Chiesa, promulgato cioè dalla legittima e suprema autorità ecclesiastica;
    non ammette pertanto che il messale riformato possa essere considerato la forma “ordinaria” del rito romano, del quale il Messale Romano antico sarebbe solo la “forma straordinaria”;
    chiede, coi medesimi cardinali Ottaviani e Bacci, l’abrogazione del nuovo rito e di tutta la riforma liturgica;
    mette in guardia dal progetto di un’ulteriore riforma liturgica che risulterebbe dalla fusione e confusione dei due riti.
    Verrua Savoia, 16 luglio 2007, festa della Madonna del Carmine.


    Doc. n. 2 - Riflessioni sul Motu Proprio “Summorum Pontificum”, di don Francesco Ricossa

    Il 7 luglio 2007, Benedetto XVI ha reso pubblica la lettera apostolica motu proprio data, Summorum Pontificum cura sull’uso del messale romano, preceduta da una lettera ai vescovi di tutto il mondo per presentare questo documento.
    Quei cattolici che, da sempre, si sono opposti alla riforma liturgica conciliare non possono restare indifferenti ad un simile documento che, pur non venendo dalla Chiesa avrà certamente importanti ripercussioni per la vita della Chiesa.
    Per poterne dare un’adeguata valutazione, è però indispensabile ritornare alle origini di tutta la controversia concernente l’uso del messale e del rituale romano e, più in generale, la riforma liturgica.

    Il Concilio Vaticano II e la riforma liturgica

    Infatti, la riforma liturgica culminata nel 1969 con un nuovo messale, pur andando oltre la lettera della costituzione conciliare Sacrosantum Concilium, è stata applicata e voluta sotto l’ordine ed il controllo di Paolo VI, per esprimere anche in campo liturgico, con una nuova “lex orandi”, la nuova “lex credendi” dell’ecclesiologia conciliare fondata sull’ecumenismo ed il dialogo interreligioso e, genericamente, il nuovo rapporto tra la Chiesa ed il mondo contemporaneo (si vedano in particolare i documenti conciliari Lumen gentium, Unitatis redintegratio, Orientalium ecclesiarum, Dignitatis humanae personae, Nostra Aetate, Gaudium et spes).
    La riforma liturgica, quindi, non può essere dissociata dalla riforma dottrinale del Vaticano II. Non a caso, quasi contemporaneamente al Motu Proprio sulla liturgia, la S.C. per la Dottrina della Fede, in continuità con la Dominus Jesus ed il discorso ai cardinali del 22 dicembre 2005, ha pubblicato un altro documento (Risposta a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa) con il quale si tenta di dare un’interpretazione di Lumen Gentium n. 8 (il famoso passo secondo il quale la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa Cattolica, ma non è la Chiesa Cattolica). Quest’interpretazione si oppone alle ermeneutiche che vanno oltre la lettera del Concilio, ma è perfettamente fedele, però, alla lettera del Concilio stesso, lettera che non è in conformità, come invece si vuole dimostrare, all’insegnamento precedente della Chiesa.
    Se, pertanto, la lettera del Concilio, e non solo il suo “spirito”, è contraria all’insegnamento della Chiesa, se ne deduce che il Concilio stesso non può venire dalla Chiesa e dalla sua suprema autorità divinamente assistita. E che pertanto Benedetto XVI, che al Vaticano II intende restare fedele, e fino a quando avrà questa intenzione, non può essere l’ Autorità della Chiesa. Ecco perché abbiamo scritto che il Motu proprio, promulgato da Benedetto XVI, non è un documento della Chiesa e non viene da essa. Una prima conclusione è dunque la seguente: la crisi che stiamo attraversando non avrà fine fino a quando non saranno corretti, e condannati, gli errori del Vaticano II. La celebrazione del Messale Romano non mette fine, per il fatto stesso, a questa crisi, e non è lecito celebrare la Santa Messa, o assistere a Messe celebrate in comunione (una cum Pontifice nostro Benedicto) con un’autorità che non può essere tale perché e finché professa ed impone la dottrina riformata dal Vaticano II.

    La riforma liturgica nel giudizio del “Breve esame critico del Novus Ordo Missae” e del Motu Proprio

    Quando nel 1969, Paolo VI manifestò l’intenzione di promulgare un nuovo messale, un gruppo di teologi, ed in prima fila il padre domenicano L.-M. Guérard des Lauriers, docente alla Pontificia Università Lateranense, redasse un “breve esame critico del Novus Ordo Missae”. Nel sottoscriverlo e presentarlo a Paolo VI, i cardinali Ottaviani e Bacci espressero questo giudizio sulla riforma del messale: “il Novus Ordo (…) rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino, il quale, fissando definitivamente i ‘canoni’ del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del Mistero”. Il Missale riformato è pertanto “una gravissima frattura”. Tutti coloro che per circa quarant’anni si sono rifiutati di celebrare col nuovo messale montiniano, o di assistere ai riti celebrati con questo messale, tenendo vivo l’antico, lo hanno fatto perché convinti di questo giudizio.
    Tutto diverso il parere espresso da Benedetto XVI nella lettera ai Vescovi e nel Motu proprio. Il messale riformato resta la forma ordinaria del rito romano, mentre il messale cattolico ne è una forma straordinaria (art. 1). Di più si afferma che “non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum” e si conclude pertanto che “ovviamente, per vivere la piena comunione, anche i sacerdoti aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l’esclusione totale dello stesso” (lettera ai Vescovi). La partecipazione al nuovo rito sembra prevista almeno durante il Triduo Sacro (giovedì, venerdì e sabato santo) quando non è permesso l’uso del Messale “antico” (art. 2). Gli istituti che avevano aderito alla Commissione Ecclesia Dei e che cercavano di evitare la celebrazione del nuovo rito potrebbero ora trovarsi, paradossalmente, dopo il Motu proprio, in una situazione peggiore della precedente! Non si vede pertanto come Mons. Fellay, superiore della Fraternità San Pio X, abbia potuto dichiarare che “ Il Motu Proprio pontificio ristabilisce la Messa tridentina nei suoi diritti” (dichiarazione della Fraternità San Pio X, 7 luglio 2007) e che questo “documento è un dono della Grazia (…) non è un passo, è un salto nella buona direzione (…) un atto di giustizia (…)un aiuto soprannaturale straordinario” (intervista di Mons. Fellay a Vittorio Messori, Corriere della Sera, 8 luglio 2007).
    Una seconda conclusione è dunque la seguente: i cattolici non devono contentarsi di veder riconosciuta la liceità di celebrare col Missale Romanum, ma devono pretendere – per la gloria di Dio, la santità della Chiesa, il bene delle anime, l’integrità della Fede – ciò che richiedevano nel 1969 i cardinali Ottaviani e Bacci, ovvero l’abrogazione pura e semplice del nuovo messale (e di tutta la riforma liturgica).

    La questione della validità del Novus Ordo e le conseguenze della dimenticanza di questa questione dopo il Motu Proprio

    Benedetto XVI parla, l’abbiamo visto, dell’ortodossia, del “valore e della santità” della riforma liturgica. La cosa non deve stupirci. Un rito della Chiesa, infatti, non può che essere ortodosso (conforme alla retta dottrina), valido e santo, esattamente come l’insegnamento della Chiesa e del Papa non può contenere errori contro la fede o la morale.
    Se il nuovo messale e, in genere, la riforma liturgica, “rappresenta un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa” ciò è possibile solo perché non viene dalla Chiesa e dalla sua Autorità divinamente assistita.
    Ma se il nuovo messale e, con tutta la riforma liturgica, il nuovo rituale dei sacramenti ed il nuovo pontificale non sono garantiti dalla santità della Chiesa, allora il dubbio sulla validità di questi riti, almeno per alcuni di essi, diventa possibile. Con la nuova situazione creatasi dopo l’indulto del 1984, il Motu proprio del 1988 ed il Motu Proprio del 2007 nascono delle situazioni gravi per la validità ed il rispetto dovuto ai santi sacramenti, ed in particolare per il sacramento dell’eucaristia ed il sacrificio della Messa. Infatti, come terza conclusione dobbiamo ricordare a sacerdoti e fedeli come – a causa dei dubbi sulla validità del nuovo rito di consacrazione episcopale e di ordinazione – i sacerdoti ordinati col nuovo rito, o che hanno ricevuto il sacerdozio da Vescovi consacrati col nuovo rito – sono dubbiosamente ordinati, per cui la loro Messa, anche celebrata con l’antico Missale Romanum potrebbe essere invalida. Che, per i dubbi sulla validità del nuovo messale, le particole consacrate col nuovo rito sono dubbiosamente consacrate, e che pertanto i fedeli che si accostano alla comunione anche durante una messa secondo l’antico messale celebrata da un sacerdote validamente ordinato potrebbero ricevere la santa comunione in maniera invalida se le particole distribuite sono state consacrate durante una celebrazione svoltasi secondo il nuovo messale. Infine, che le particole validamente consacrate durante una messa celebrata con l’antico rito e conservate nel tabernacolo saranno verosimilmente profanate, se saranno distribuite ai fedeli durante riti riformati i quali, a detta dello stesso Benedetto XVI vanno spesso “al limite del sopportabile” (e ben oltre!). Questi motivi, che si aggiungono ai precedenti, impediscono ogni accettazione pratica del Motu Proprio Summorum Pontificum.

    La situazione della Chiesa dopo il Motu Proprio: speranze e timori.

    Non spetta a noi giudicare le intenzioni soggettive di Benedetto XVI nel promulgare il Motu Proprio, benché egli stesso le abbia, almeno in parte, manifestate adducendo non il motivo della difesa della fede ma il motivo ecumenico di questo provvedimento, giungendo persino a criticare la Chiesa stessa ed i suoi “predecessori” in maniera inaccettabile (“Guardando al passato, alle divisioni che nei corsi dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per riconquistare la conciliazione e l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare” ).
    Possiamo però chiederci se – al di là delle intenzioni – il Motu Proprio è un passo avanti nella soluzione della crisi che stiamo attraversando o se, al contrario, si tratta di un grave pericolo. Poiché passiamo dal campo dei principi a quello dei fatti contingenti, è più facile errare. Vediamo assieme quelli che mi sembrano i motivi di speranza o di timore per il futuro, fermo restando che le porte dell’inferno non trionferanno sulla Chiesa di Cristo.
    Non mancano i motivi di soddisfazione, come hanno fatto notare anche i commentatori più critici del Motu Proprio. Il più importante mi sembra il fallimento, – ormai ufficialmente riconosciuto – del tentativo di sopprimere per sempre il Messale Romano ed il Sacrificio della Messa. Nella sua lettera ai Vescovi, Benedetto XVI afferma che, con l’introduzione del nuovo Messale, l’antico “non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso”. Con queste parole Benedetto XVI sconfessa non solo l’artefice della Riforma Liturgica, Mons. Annibale Bugnini, che sostenne esattamente il contrario (cf A. Bugnini, La riforma liturgica 1948-1975, CLV Edizioni Liturgiche, Roma, 1983, pp. 297-299) ma lo stesso Paolo VI che in occasione del Concistoro del 24 maggio 1976 dichiarò espressamente: “È nel nome della Tradizione che noi domandiamo a tutti i nostri figli, a tutte le comunità cattoliche, di celebrare, in dignità e fervore la Liturgia rinnovata. L'adozione del nuovo Ordo Missae non è lasciata certo all'arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l'Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell'antica forma, con l'autorizzazione dell'ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo. Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all'antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio Tridentino.
    La stessa disponibilità noi esigiamo, con la stessa autorità suprema che ci viene da Cristo Gesù, a tutte le altre riforme liturgiche, disciplinari, pastorali, maturate in questi anni in applicazione ai decreti conciliari”
    Chi è stato testimone di quei giorni ricorda con tristezza il caso di sacerdoti che fino ad allora avevano celebrato col rito “antico” e che lo abbandonarono per obbedienza a Paolo VI, e di altri che, continuando a celebrare col Missale Romanum subirono ogni sorte di persecuzione. Oggi, possiamo dire che il tentativo di Paolo VI di distruggere totalmente e vietare la celebrazione della Messa è, anche ufficialmente, fallito. Questa evidente contraddizione (per chi ha memoria) tra Paolo e Benedetto non può che seminare la divisione nel campo di coloro che sostengono il Concilio e le sue riforme. Esemplare, a questo proposito, la dichiarazione rilasciata al quotidiano Repubblica dal vescovo di Sora, Aquino e Pontecorvo, nonché membro della commissione liturgica della conferenza episcopale italiana: “Non riesco a trattenere le lacrime – ha detto – sto vivendo il momento più triste della mia vita di vescovo e di uomo. È un giorno di lutto non solo per me, ma per i tanti che hanno vissuto e lavorato per il Concilio Vaticano II. È stata cancellata una riforma per la quale lavorarono in tanti, al prezzo di grandi sacrifici, animati solo dal desiderio di rinnovare la Chiesa”. Da questo punto di vista il M.P. è un punto a nostro favore, giacché dimostrerà abbondantemente lo spirito di disobbedienza dei più convinti fautori del Vaticano II. Col M.P. poi i battezzati avranno qualche possibilità di più di vedere nuovamente, o per la prima volta, la liturgia della Chiesa, e riabituarvisi: un passaggio graduale ma umanamente necessario per uscire dalla malattia spirituale che ci ha colpito da quarant’anni.
    Questi benefici saranno però vanificati se i cattolici che sono rimasti fedeli finora alla dottrina e alla liturgia cattolica accetteranno, col M.P., la “validità e santità” del nuovo messale, e la dottrina del Vaticano II. In questo caso, il M.P., lungi dall’essere un passo (o un balzo!) verso la guarigione, sarà – come oggettivamente è – un inganno fatale per riassorbire i cattolici refrattari alla riforma neo-modernista. Abbiamo sotto gli occhi i ripetuti esempi di coloro i quali hanno di già, negli anni e decenni passati, accettato un compromesso tra la verità e l’errore: la fede o è integra, o non è.
    Il M.P. infine preconizza una contaminazione tra i due riti, secondo l’intenzione più volte manifestata dal cardinal Ratzinger di giungere, in un futuro, ad un solo rito romano frutto dell’evoluzione di quello romano e di quello riformato. In effetti, benché il M.P. affermi ripetutamente che il Messale “antico” e quello di Paolo VI possono coesistere come due forme (straordinaria e ordinaria) del rito romano, si avverte in realtà che i due rituali non possono coesistere, poiché uno è nato per soppiantare l’altro. L’unico modo così di salvare la Riforma sarebbe quello di operare una “riforma della riforma”, che avrebbe però l’effetto di distruggere – se mai fosse possibile – la millenaria liturgia romana che neppure Paolo VI riuscì ad estirpare. Di già il messale “liberato” dal M.P. è quello riformato da Giovanni XXIII; di già Benedetto XVI vuole alterarlo ulteriormente con l’inserimento del volgare, di nuovi prefazi, di nuove messe proprie: ben presto l’abbraccio del M.P. si rivelerà più pericoloso, per la Messa, che il persecutorio discorso del 24 maggio 1976, giacché rischierà di scomparire per alterazione e non più per soppressione.
    L’ultima conclusione sarà dunque quella di non mutare minimamente la nostra attitudine d’intransigente opposizione a tutte le dottrine e le riforme moderniste. La nostra intransigenza non mira ad ottenere onori o riconoscimenti; essa mira invece, e ne abbiamo il dovere, ad ottenere un’integra professione di fede, ed una santa amministrazione dei sacramenti, senza alcun compromesso con l’errore, per la gloria di Dio, la salvezza delle anime ed il trionfo della Chiesa.


    www.sodalitium.it
    Casa San Pio X

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    http://www.traditionalmass.org/image...le%2007-07.pdf

    Articolo di Don Anthony Cekada sulla trappola del "Motu Proprio" in inglese

    http://www.traditionalmass.org/image...0707French.pdf

    e in francese

    Per salvare sul proprio computer: clicca col tasto destro del mouse e salvare come oggetto.

    (Guelfo nero 13 agosto 2007)

 

 
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