ELZEVIRO
Il conservatore che è in tutti noi
Un pamphlet di Armando Torno
di Giulio Giorello
Narra il Vangelo secondo Matteo (27, 52-53) che quando Gesù spirò in croce «i sepolcri si aprirono e molti corpi dei Santi, che dormivano, risuscitarono». Sarà forse per questo che «sino a qualche anno fa i certificati di morte nel Belpaese avevano una scadenza», si chiede tra il serio e il faceto Armando Torno nel suo Paradosso dei conservatori (Bompiani, pp. 102, € 14). Burocrazia è ormai sinonimo di paura di cambiare, di conservatorismo, dunque, sterile e ottuso: che ora minaccia, con la rivoluzione informatica, di sostituire alla «gestione delle carte» un nuovo tipo di controllo capillare.
Lo storico romano Tacito aveva già capito: i burocrati esercitano «poteri di re con animo di schiavi». Ci sentiremmo tutti dei virtuosi rivoluzionari se potessimo sperare di «spazzar via tutti i mostri», come incitava il «Quotidiano del Popolo» di Pechino il 1° giugno del 1966, agli esordi della Rivoluzione culturale voluta dal presidente Mao. Peccato però che anche chi spazza via i mostri possa rivelarsi mostro lui stesso. Meglio allora guardarsi allo specchio e riconoscere che, se non lo si nasce, «si diventa conservatori o ci si ritrova tali senza accorgersene» e ciò soprattutto perché ogni individuo tende il più possibile a conservare se stesso e le sue proprietà.
Migliore di quella di Mao Zedong pare la lezione sull’«egoismo» impartita da Thomas Hobbes o da Baruch Spinoza o magari da Max Stirner: al contrario che nei momenti eroici dell’Occidente, quando «con entusiasmo si correva verso gli anni a venire», oggi «noi cerchiamo di conservare il nostro passato». E infatti vogliamo salvare la Terra, risparmiare nell’uso delle fonti di energia, proteggere l’ambiente, tutelare il patrimonio artistico, immunizzare la scuola (di ogni ordine e grado) da riforme affrettate o cattive, per non dire della ostinata difesa del proprio corpo dagli urti del tempo o la tenace protezione del posto di lavoro fisso nell’epoca della flessibilità globalizzata.
«Conservatore» resta ancora una parolaccia in certi ambienti politici; ma pare sempre di più denotare non una scelta ideologica, bensì una condizione esistenziale, frutto magari perverso della stessa crescita tecnico-scientifica. Il pamphlet di Torno non è indirizzato a una particolare fazione o partito (a differenza di un piccolo classico del genere, il Manifesto dei conservatori del filosofo britannico Roger Scruton, edito in Italia da Raffaello Cortina nel 2007). Costituisce piuttosto una «modesta proposta» alla Jonathan Swift: convivere con quel conservatore che è in noi e spesso si esprime più a livello d’istinto che di ragione, non solo nel contesto sempre più offuscato di quella che una volta si chiamava la bella politica ma anche dell’economia, dell’ecologia, dell’estetica e della morale.
Il conservatore non è necessariamente un reazionario quanto un disincantato osservatore della storia, come annotava nel secolo scorso un rivoluzionario come György Lukács: «L’unica strada "onesta" nella vita non consiste forse nel lasciare appassire le cose e seppellire poi i morti?». Eppure, come insegna il Vangelo, «quante volte risorge dalla propria morte chi è stato sepolto?».
Il paradosso è proprio questo: quando mette in pratica la propria «onestà», il conservatore si trova a innovare, persino controvoglia. Quante rivoluzioni conservatrici ha conosciuto l’Occidente (tra le ultime, quelle di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan)! Ma si è trattato a modo loro sempre di rivoluzioni. Così, nella questione ecologica chi per garantire uno sviluppo sostenibile cerca fonti di energia alternativa si trova ad alterare il paesaggio con pale eoliche o pannelli solari. E chi, nelle grandi tradizioni religiose, vuole «fermare il tempo» contro il dilagare di inquietanti novità, finisce lui stesso col cambiare il dogma e il rito. Armando Torno, insieme musicologo e cultore di scienze esatte, sa bene che la tensione tra innovazione e conservazione innerva sia l’armonia delle note sia quella che lega gli astri. Si tratti di Keplero o di Newton piuttosto che di Händel o di Haydn o magari di Einstein o di Schönberg, l’importante è però che il pensiero resti «deliziosamente permeato di prudenza».
Giulio Giorello
Il conservatore che è in tutti noi - Corriere della Sera