Troppo spesso una buona notizia viaggia in coppia con una cattiva. È il caso dell’annuncio della nascita del Partito del Sud: la parte cattiva è che non succederà mai.
Eppure sarebbe uno strumento straordinario, che riuscirebbe a portare chiarezza in un quadro politico in cui fingono di contrapporsi una destra che non è destra e una sinistra che non è sinistra. Servirebbe soprattutto a rendere giustizia alla realtà delle diverse esigenze che sono geografiche. Lo sono sempre state, ma da 150 anni le si diluisce, le si tiene nascoste dietro ad altre contrapposizioni. Tutti i partiti sono obliqui, sono metà nordisti e metà sudisti, tutte le coalizioni, le fazioni e le correnti hanno bisogno della loro metà meridionale che, in Parlamento, costituisce una sorta di potente lobby che attraversa tutti gli schieramenti: il Partito Trasversale Meridionale, il PTM (per qualcuno, PTT). Fa eccezione solo la Lega, che ha portato scompiglio in un collaudato castello di equilibri e che costringe oggi a inventare trovate come il Partito del Sud.
Che non può funzionare. Ecco perché.
Di nordisti ce n’è di tutte le sfumature, che vanno dai federalisti più tiepidi fino ai secessionisti. Li unisce il progetto di cambiamento – sia pur a livelli diversi – dell’attuale assetto dello Stato. I paladini del Sud – con la sola minoritaria eccezione dei legittimisti e di alcuni indipendentisti – sono invece tutti centralisti, vogliono che lo Stato resti fortemente unitario nella gestione del potere e – soprattutto – della cassa.
È come un matrimonio in crisi in cui entrambi i coniugi accusano l’altro di farsi mantenere, di non fare abbastanza per la famiglia, di mettere le mani nel cassetto, e pretendono di più. Qui c’è solo uno dei due che è disposto a cambiare: da una “separazione in casa” fino al divorzio. L’altro minaccia sfracelli ma è in realtà abbarbicato al più granitico principio di indissolubilità del matrimonio, fuori dal quale perderebbe – ma non lo ammette – ogni beneficio.
Che poi non è neanche vero perchè, costretto a camminare con le sue gambe, il Sud finirebbe per imparare a correre, come insegna il caso Slovacchia.
Quindi l’idea di un Partito può piacere solo ai sudisti che hanno dignità, che sono stufi di dipendere dalle risorse altrui, di farsi mantenere, che credono davvero nel proprio paese e nelle sue capacità. Una tipologia umana che scarseggia fra gli attuali politici.
Il Partito del Sud piace sicuramente ai nordisti perchè farebbe finalmente chiarezza e porterebbe un potente alleato contro il centralismo romano che è quello che davvero frega tutti.
Ma non piace a certi dirigenti meridionali, a quelli che vivono e fanno la cresta sui trasferimenti, che collaborano allo sfruttamento della Padania e garantiscono la fedeltà elettorale del Meridione. Non piace alla mafie che hanno bisogno di grandi spazi di manovra e amici in ogni partito. Perché tutti costoro dovrebbero per una faticosa gallina domani (un Sud affrancato dall’assistenza, responsabilizzato e autosufficiente) rinunciare a camionate di uova sicure oggi?
La setta della conservazione degli attuali interessi meridionali non deve essere evidente, ha da essere trasversale, ambigua, ha bisogno di incistarsi in tutti i partiti, di poter condizionare tutte le maggioranze, di ricattare tutti con i suoi numeri: i partiti al potere più la metà meridionale dell’opposizione, e i tanti meridionali eletti a Nord. Perché ridursi a sé stessi.
Il Partito del Sud non si farà: non lo vuole il PTM.
Gilberto Oneto
Libero, 14 luglio 2009
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