Il mio ultimo articolo su Libertiamo: Il proibizionismo? Regalo alle mafie, droga letale e comodo rifugio per pessimi governanti. Un'analisi del fallimentare approccio proibizionista, passando attraverso gli insegnamenti di Milton Friedman, Cesare Beccaria e John Stuart Mill. Se ne gradite il contenuto, vi invito a condividere il pezzo sui social network, contribuendo così alla diffusione del pensiero liberale ed antiproibizionista nel web.


"Il proibire una moltitudine di azioni indifferenti non è prevenire i delitti che ne possono nascere, ma è un crearne dei nuovi”.
Lo scriveva, già nel lontano 1763, all’interno dell’opera magna “Dei Delitti e delle pene”, il liberale Cesare Beccaria, artefice e fondatore della moderna concezione del diritto penale.
Sembrano non essersene ancora persuasi, però, nonostante siano trascorsi oltre due secoli dalla morte dell’illuminato giurista ed economista milanese, gli sprovveduti spacciatori di comizi e di promesse elettorali che governano da oltre un sessantennio le sorti di una Repubblica fondata sulla proibizione e sull’ipocrisia, nella quale si ritiene ancora lecito ed addirittura “doveroso” ingabbiare nel ghetto dell’antigiuridicità condotte pacificamente accettate dalla “maggioranza silenziosa” dei consociati e privatamente (ma clandestinamente) praticate da un numero rilevante degli stessi.
Nei giorni scorsi l’ UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime) ha pubblicato il World Drug Report 2012, regalando al Bel Paese, strenuo avamposto delle politiche proibizioniste, un paradossale primato: nonostante i divieti di legge (e con buona pace dei proclami propagandistici dell’ex Ministro Giovanardi), l’Italia detiene il record di consumo di cannabis tra gli stati occidentali. Il 14,6% degli italiani, infatti, stando ai dati della prestigiosa agenzia delle Nazioni Unite, nel corso del 2011 ha consumato almeno una volta una sostanza cannabinoide.
Se ne evince che evidentemente, nell’italico approccio alla lotta alle droghe, qualcosa non quadra: il “business degli stupefacenti”, neppure scalfito da decenni di proibizionismo e dall’inasprimento sanzionatorio introdotto dalla legge 49/2006, è più vivo e prospero che mai, ma soprattutto è più vivo e prospero che in qualsiasi altra nazione dell’Occidente. Sulla scorta di tali clamorose statistiche, allora, è legittimo chiedersi: che senso ha avuto e continua ad avere la logica della proibizione se il consumo delle sostanze “bandite” dall’ordinamento riesce, nonostante le aspre previsioni di legge, ad avere una così ampia diffusione tra i consociati? Chi beneficia di politiche talmente ipocrite, anacronistiche e fallimentari?
Di certo non la collettività, di certo non i singoli individui, minati nella sicurezza e nella libertà da una ......... Continua qui, su Libertiamo