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    Predefinito Germania 1945, l' altra faccia dell' orrore

    i liberatori, le liberate





    Germania 1945, l' altra faccia dell' orrore
    di Dario Fertilio
    Fonteorriere.it Germania 1945, l' altra faccia dell' orrore

    Lo storico Knabe: i sovietici deportarono e commisero violenze. Dopo l' 8 maggio centomila cittadini trasferiti in Urss con la forza. E i lager si riempirono di tedeschi


    Fu vera Liberazione? Oggi in Germania c' è chi contesta l' idea dell' allora presidente federale von Weizsäcker, che vent' anni fa proclamò l' 8 maggio (il giorno della resa nazista agli Alleati, con la pace conseguente) giornata di festa per la Germania. Il motivo? Ne esistono molti, e tutti insieme pesano soprattutto sulle coscienze dei tedeschi orientali, che dopo l' arrivo "liberatore" dell' Armata Rossa conobbero gli orrori dell' occupazione sovietica. Una serie di ragioni che si esprimono attraverso le cifre: centomila civili liquidati senza pietà, due milioni di donne e ragazze tedesche violentate, una porzione enorme degli edifici pubblici e privati saccheggiati e devastati. E non è tutto: in scia ai soldati sovietici con i mitra in pugno, comparvero presto gli agenti della polizia segreta di Mosca in guanti di pelle, quelli della famigerata Nkvd staliniana, e allora le sofferenze di un popolo già martoriato sprofondarono definitivamente nella disperazione. Centomila tedeschi, soprattutto donne, ragazzi e anziani, furono caricati su vagoni bestiame e deportati in Unione Sovietica per essere assoggettati in condizioni estreme ai lavori forzati; più di tre milioni di prigionieri di guerra finirono nei gulag sovietici, dove un terzo trovò la morte. Ma anche in Germania, per esempio a Buchenwald, Jamlitz o Sachsenhausen, altri diecimila prigionieri perirono per fame.

    Sicché complessivamente si può affermare che, nell' ambito del territorio occupato dall' Armata Rossa (e qui davvero l' aggettivo "liberato" suona come una beffa atroce per i parenti delle vittime) morirono circa due milioni e mezzo di cittadini tedeschi a causa degli stenti, delle violenze e delle deportazioni. Senza contare i circa centomila russi e ucraini presenti sul territorio germanico al momento della caduta di Hitler: tutti, fra addetti ai lavori forzati e prigionieri di guerra, collaborazionisti ed emigranti, "infettati" agli occhi di Stalin dal morbo tedesco. Sicché finirono deportati nei gulag sovietici, dai quali la grande maggioranza non tornò. Ecco alcune ragioni che inducono a rifiutare, nonostante le indubbie intenzioni pacificatrici di von Weizsäcker, la data dell' 8 maggio quale giorno della Liberazione tedesca. Ne è convinto lo storico Hubertus Knabe, direttore del Museo di Berlino-Hohenschönhausen e autore del libro che oggi divide la Germania, anzi rischia addirittura di accendere una nuova Historikerstreit, una disputa storica sulle responsabilità dei due grandi totalitarismi europei, bolscevismo e nazionalsocialismo.

    Tag der Befreiung?, «Giorno della Liberazione?», intitola Knabe, con un significativo punto interrogativo, il saggio che denuncia quanto nel dopoguerra la maggioranza del popolo tedesco sapeva, ma non aveva mai os ato dichiarare pubblicamente. Come si può considerare giorno di festa, si chiede, l' arrivo sul suolo tedesco di soldati nemici, pronti ad abbandonarsi alla violenza sfrenata? Knabe racconta episodi impressionanti, in testa a tutti le atrocità commesse dall' Armata Rossa a Nemmersdorf, dove donne vecchi e bambini innocenti, o forse colpevoli di appartenere a una "razza" nemica, vennero sterminati con un colpo alla nuca e abbandonati sul margine della strada principale. A Königsberg, l' antica patria di Kant, centinaia di appartamenti furono devastati, lasciando gli inquilini al freddo, alle intemperie e senza cibo, provocando la morte dei più deboli e malati. Un capitolo a parte, particolarmente odioso, è dedicato alle violenze di massa commesse dai soldati sovietici su donne e ragazze, dalle conseguenze fisiche e mentali immaginabili. Probabilmente - afferma Knabe - furono un milione e 400 mila le violenze sessuali commesse nell' area orientale compresa tra i fiumi Oder e N eisse: di donne ne morirono 180 mila.

    In realtà, il libro potrebbe essere letto come un catalogo degli orrori: le storie dei centomila tedeschi orientali periti durante le deportazioni a est, e quelle dei settecentomila semplicemente scomparsi in Unione Sovietica, inghiottiti nel nulla; quelle di altri popoli, romeni ungheresi jugoslavi o slovacchi, sottoposti a simili trattamenti. Senza contare le atrocità meno "spontanee" e più programmate, che gli ufficiali d' occupazione e il servizio segreto sovietico cominciarono a praticare a partire dal 1946.
    E qui si tocca il culmine, perché i nomi dell' immaginario collettivo legati allo sterminio nazista (Auschwitz, Buchenwald, Jaworzno) indicarono nuovi orrori: svuotati dei vecchi prigionieri, si riempirono di nuovi "schiavi", condannati a lavorare in condizioni impossibili fino alla consunzione e alla morte. Corpi rasati, decine di cadaveri gettati di notte nelle fosse comuni (ad esempio vicino al lager di Zgoda), sadismo gratuito sui prigionieri (come quello cui si abbandonava il medico Isidor Cederbaum nel campo di concentramento di Potulitz): nulla fu risparmiato. E ci fu anche del metodo in questa crudeltà. Per un lungo periodo successivo alla "liberazione" della Germania, i soldati dell' Armata Rossa vennero in realtà non solo autorizzati, ma incoraggiati dalle autorità a commettere violenze. Il motivo: odio razziale e di classe, lo stesso che aveva animato la logica dello sterminio dei nemici nell' Unione Sovietica prima di Lenin, poi di Stalin. Ma ci fu anche l' intento di preparare il terreno alla edificazione di una nuova dittatura. Ecco perché, secondo Knabe, celebrare l' 8 maggio significa ignorare la verità. Ma non tutti sono d' accordo. Gli antirevisionisti, e una buona parte dell' opinione pubblica credono o almeno lasciano capire di ritenere che i tedeschi meritassero in fondo una punizione. Altri, all' opposto, fanno rilevare come al momento del crollo del nazismo, gli iscritti al partito della croce uncinata fossero ancora ben otto m ilioni e mezzo: parlare di "liberazione" sarebbe dunque una finzione, anzi un comodo alibi per assegnare ai collaborazionisti la patente di vittime. E non mancano naturalmente gli estremisti di oggi, i neo o post-nazisti, che cavalcano le tesi di Knabe per riaprire i conti con la storia e "relativizzare" le colpe di Hitler. Grande è dunque la polemica sotto il cielo di Germania, tanto da far temere che il polverone ideologico e il disgusto per tante atrocità finiscano per favorire l' oblio delle vittime. Meglio forse ricordare la figura vincente di Anna Schmidt, drammatica protagonista del Terzo uomo di Graham Green (e interpretata da Alida Valli nel film di Orson Welles). In fuga da una spettrale Vienna sovietizzata e strappata in extremis alla deportazione, nell' ultima scena prende sottobraccio il suo salvatore Martins e si avvia con lui da qualche parte, per convincersi che domani è sempre un altro giorno. Il libro: Hubertus Knabe, «Tag der Befreiung?», edizioni Propyläen, pagine 353, 24, Willkommen beim Propylen Verlag

    __________________________________________________ _________________________


    ------------------
    TESTATA:
    REPUBBLICA
    DATA:
    23/2/1992
    PAGINA:
    41
    OCCHIELLO:
    42. INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE BERLIN Il documentario di Helke
    Sander
    TITOLO:
    LO STUPRO? E' UN DIRITTO DEI LIBERATORI
    AUTORE:
    a m m
    TESTO:
    BERLINO - Lo stupro, e la guerra: un documentario in due parti (221 minuti in totale) di Helke Sander, mostrato per la prima volta ieri al Festival, e intitolato, con dolore che vuol fingersi ironico, I Liberatori-Le Liberate. I "liberatori" sono i soldati dell' Armata Rossa, ma anche i francesi e gli americani, e le
    "liberate", le donne tedesche: i liberatori hanno, per così dire,"festeggiato" l' occupazione di Berlino e della Germania,stuprando le liberate. Il documentario si apre sui capelli bianchi e la voce piana di una dottoressa, che prende una serie di cartelle ormai coperte di polvere dall' archivio dell' ospedale presso il quale lavora, e lavorava al tempo: "Il 3,7 per cento delle donne tedesche sono state violentate dai russi; il 2,7 per cento dai francesi e gli americani".
    Il tutto si traduce in milioni: milioni di donne violentate a Berlino, nella Turingia, e in quella che oggi è la Polonia. La prima parte del documentario dà la parola ai russi di Berlino: uomini e donne. Le donne, eroine decorate, con molte medaglie, "non hanno visto, non hanno sentito, non hanno saputo". L' uomo, con tanti denti d' oro che scopre in quel sorriso osceno che hanno sempre gli uomini, specie i più anziani, quando parlano di "certe cose", dice: "L' uomo ha più esigenze sessuali della donna, come si sa: lo si vede anche negli animali. E poi, allora, erano altri tempi: per le donne occidentali di oggi, lo stupro è un problema; per noi, all' epoca,non lo era quasi per niente... I soldati russi hanno violentato per bisogno di sesso, non per vendetta: gli uomini vogliono rimanere uomini, anche in guerra. E quanto alle donne che sono
    andate con loro, anche se costrette, sono state considerate patriote: hanno aiutato i russi...". Helke Sander domanda, seria e severa. Una donna che è nata allora, nel ' 46, figlia di uno stupro su sua madre compiuto, insieme, da due ufficiali francesi,racconta: "Avevo quattordici anni, quando l' ho saputo. Era di Carnevale, volevo uscire, mia madre non voleva, e mi ha inseguito urlando ' sei un maiale, come tuo padre...' ' Ho chiesto, e mi ha raccontato: molto poco però. Non gliela perdono ancora oggi, la
    rabbia con la quale mi ha comunicato quella verità... Quanto a mio padre, me lo immagino francese, ufficiale, imbecille, con tante medaglie...".
    ------------------
    TESTATA:
    REPUBBLICA
    DATA:
    25/2/1992
    PAGINA:
    37
    SEZIONE:
    CULTURA
    TITOLO:
    CENTOMILA FIGLI DELLA VIOLENZA
    SOMMARIO:
    A colloquio con la regista e scrittrice Helke Sander che ha
    presentato un documentario sconvolgente sulle donne berlinesi
    stuprate durante l' occupazione da parte dei russi
    AUTORE:
    di ANNA MARIA MORI
    TESTO:
    Berlino - A raccontare l' orrore, a volte, bastano i numeri: a Berlino, subito dopo la liberazione, sono state stuprate dai "liberatori" centomila donne, vale a dire il 9 per cento di tutta la popolazione femminile berlinese dell' epoca (e i dati sarebbero stati forniti per difetto: ci sono fonti secondo le quali, ad essere stuprate, sarebbero state il 60 per cento delle berlinesi);
    in quella che allora era la Prussia orientale, dal dicembre ' 44,quando è iniziata la ritirata dei tedeschi, fino alla fine della guerra, le violentate da soldati dell' Armata Rossa furono due milioni: di queste, duecentomila sono morte, alcune ammazzate direttamente dai soldati che le violentavano. Altre in conseguenza dello stupro. E ancora: il venti per cento delle violentate, sono rimaste incinte: in Germania ci sono trecentomila figli dello stupro di massa del ' 45 (e anche questi sarebbero dati calcolati per difetto).
    Tutto questo appare nel documentario presentato al Festival di Berlino dalla regista e scrittrice Helke Sander (un suo libro di racconti è stato pubblicato due anni fa anche in Italia) e intitolato I liberatori e le Liberate: quattro ore di documenti ripescati in archivi trascurati da tutti, interviste a protagoniste e vittime, e ai figli delle vittime. Il documentario si apre e si chiude sul volto di una donna, in penombra, in fondo a un tavolo lunghissimo: è stata stuprata cento volte, ed esistono
    certificati d' ospedale che lo provano. E ci sono ancora documenti a proposito di una donna violentata centoventotto volte in una notte, davanti ai familiari: alla quindicesima volta è svenuta, ed è rimasta svenuta fino alla fine. Ci si chiede prima di tutto:
    come mai solo adesso? La Sander racconta i cinque anni di battaglie prima di poter cominciare materialmente il lavoro: non c' era televisione che la volesse finanziare. L' obiezione di tutti era politica: proprio adesso che c' è Gorbaciov, e che i rapporti tra la Germania e l' Unione Sovietica vanno così bene...
    Alla fine è stata una donna, capostruttura di una televisione pubblica, che, contro tutti, ha deciso di investire l' intero budget a sua disposizione nel progetto di Helke Sander: il risultato è qui, a disposizione di chi voglia fare ulteriori pensieri sul passato e sul presente. E, a guardare la platea che ha seguito tutte e quattro le ore del documentario, a Berlino, si direbbe che, sul tema, continuino a riflettere solo le donne: gli uomini erano praticamente assenti. Helke Sander, è stata solo la
    simpatia per Gorbaciov ad ostacolare per cinque anni la realizzazione del suo documentario? "Anche il fatto che la tragedia degli stupri sulle donne tedesche, attuati soprattutto dai russi dell' Armata rossa, e in misura infinitamente minore dagli americani e dai francesi, è sempre stato un argomento usato
    dalla destra contro la sinistra: tutti sapevano, da noi, tutti sussurravano, ma nessuno ne voleva parlare".
    Anche lei ci ha messo del tempo a decidere: anche se ha cominciato a pensarci cinque anni fa, erano comunque passati quarant' anni... "Forse anche a me
    è mancato il coraggio: ci pensavo, lasciavo andare il pensiero,poi dopo un po' di tempo ci tornavo su... Finché mi sono sentita forte: e ho deciso... Devo però anche aggiungere che se non ci fosse stata la caduta del Muro, mi sarebbero venute a mancare molte testimonianze, e molti documenti: per esempio quelli,
    importantissimi, dell' ospedale di Berlino Est, la ' Charité' ,con i certificati di stupro, e le nascite di figli dello stupro".
    Molti suicidi.
    E' sicura che siano duecentomila, i figli della violenza dei russi...? "Non ci sono i documenti per tutti. E,comunque, quelli che abbiamo ci consentono di fare questi numeri... Non c' è neanche da meravigliarsi tanto: a testimoniare tragicamente, al presente, della verità del nostro passato, è di questi giorni la notizia delle donne kuwaitiane: in cinquemila sono rimaste incinte in conseguenza degli stupri dei soldati iracheni, durante l' occupazione e la guerra; a nessuna è stato concesso di abortire; tutte sono state torturate psicologicamente in maniera drammatica; molte sono state mandate a partorire in Svizzera. Tutte hanno avuto un destino tremendo". Che conseguenze porta essere figlio di uno stupro? "Ne ho intervistati tre, ne conosco altri che però non hanno voluto parlare: è più difficile parlare con i figli, che con le madri stuprate. I figli vivono la loro nascita con un oscuro senso di colpa. Molti di loro si sono anche suicidati".
    E le donne? Quali conseguenze hanno subito?
    "Alcune sono impazzite, molte si sono suicidate: abbiamo le cifre dei suicidi a Berlino, e nell' aprile del ' 45 si passa dalla quota massima dei mesi precedenti, che allora era rappresentata da centocinquanta suicidi (era comunque tempo di guerra, e non sono pochi) a tremilaottocento. Normalmente, a suicidarsi, sono più gli
    uomini che le donne. Nell' aprile ' 45 le proporzioni cambiano: a suicidarsi sono state sicuramente di più le donne, come risulta dalla ricerca fatta allora in alcuni quartieri di Berlino". E' atroce, però si sa, è in tutti i libri di testo, a proposito di tutte le guerre: prima si conquista, poi si saccheggia e si stupra. E' la tragica normalità della guerra: che cos' è che l' ha spinta a fare questo documentario, il bisogno di dimostrare che anche quelli che una gran parte dell' umanità credeva migliori, e
    cioè i russi-sovietici, erano uguali o peggiori degli altri? "Io non pensavo che fossero migliori. Volevo solo capire perché tutto quello che si andava dicendo da quarant' anni sugli stupri dei russi, sotto forma di mormorio, non veniva detto pubblicamente. Un voto contro Volevo anche spiegare pubblicamente quello che non si
    è capito per anni: e cioè come mai, subito dopo la fine della guerra, le donne tedesche (perché gli uomini non c' erano più)hanno votato Cdu, anziché i socialisti, anche a Berlino, dove,prima, c' era una forte componente socialista e comunista. Le donne, come si è continuato a dire in quei medesimi mormorii, 'hanno votato contro i loro amanti-violentatori russi' . Questa è la verità". Nel suo documentario, lei ne ha intervistati parecchi di russi: dicono, più o meno, ' l' uomo è cacciatore' , ' le donne
    che si sono fatte violentare dai nostri soldati, noi le abbiamo considerate come patriote...' . "I russi hanno tutti accettato di parlare nella mia inchiesta. E nella loro assoluta ingenuità, si sono anche rivelati simpatici".
    Sempre nel documentario, lei dice che quelli che hanno stuprato di meno, sono gli inglesi... "E' così. Forse perché l' esercito inglese era il più omogeneo. Mentre quello francese aveva una forte componente di marocchini e tunisini, che non tenevano minimamente conto dei regolamenti che vietavano lo stupro, e, a loro volta, non erano assolutamente controllati da chi li doveva controllare. Molti continuano a dire ancora oggi che lo stupro, in guerra, è naturale: non è vero, non tutti gli eserciti lo praticano con tanta naturalezza. Alcune divisioni di cosacchi e dell' esercito prussiano, non hanno mai violentato".
    Cadaveri nudi
    Nel film lei mostra i cadaveri nudi e orrendamente mutilati di donne, con accanto ufficiali della Wehrmacht... "Ci sono stati villaggi della Prussia orientale,
    prima occupati dai tedeschi, poi presi dai russi, e dopo ancora riconquistati dai tedeschi: i tedeschi, a scopi propagandistici,hanno fotografato le donne stuprate e uccise dai russi: ci sono moltissimi documenti fotografici in questo senso. Esistono, in proposito, immagini ben più agghiaccianti di quelle che ho mostrato: non ce la facevo a guardarle... I russi hanno anche crocifisso le donne, inchiodate alle porte delle loro case". Anche i tedeschi, in Russia, non hanno scherzato... "In Russia sappiamo
    solo, dai rapporti della Wehrmacht, che esistono un milione di figli dei tedeschi occupanti: ma sembra che siano figli di un rapporto davvero consensuale. Comunque, le violenze ci sono state,eccome, anche se non abbiamo ancora i dati. Sappiamo solo con certezza che, a violentare, non sono stati quasi mai gli uomini
    della Wehrmacht, bensì i soldati delle Ss". Da una parte la tragedia orribile degli stupri, ancora oggi in Kuwait, e in Jugoslavia. Dall' altra i processi per molestie sessuali in cui ci sono ragazze americane che accusano uomini anche dopo averli scelti, dopo aver accettato di salire in camera con loro... Cosa pensa, in proposito? "Ho seguito poco: stavo lavorando accanitamente per finire il documentario per il Festival. Da quel poco che ho letto, mi pare che adesso ci sia un po' di esagerazione da parte delle donne... Però non fatemi dire di più: non sono documentata a sufficienza". "Tuttavia trovo terribile che gli uomini continuino a non occuparsi del problema degli stupri in
    guerra. Continuano a considerarli ' argomenti femminili' . E andando a scavare, scopri che argomentano: lo stupro è un modo come un altro di sentirsi vivi, di difendersi dalla paura della guerra. La logica, insomma, sarebbe: ' vorrei e dovrei ammazzare,violentare i politici che hanno voluto la guerra; non potendolo fare, mi sfogo sulle donne...' ".
    ------------------
    Non troverai mai la verità se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspetti.
    Eraclito


    VUOI SAPERE COS'E' L'ANTIFASCISMO? E' non avere cura del Creato, disboscando, inquinando, cementificando tutto nel nome dello Sviluppo.

  2. #2
    Canaglia
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    Predefinito Re: Germania 1945, l' altra faccia dell' orrore

    Citazione Originariamente Scritto da Ringhio Visualizza Messaggio
    i liberatori, le liberate





    Germania 1945, l' altra faccia dell' orrore
    di Dario Fertilio
    Fonteorriere.it Germania 1945, l' altra faccia dell' orrore

    Lo storico Knabe: i sovietici deportarono e commisero violenze. Dopo l' 8 maggio centomila cittadini trasferiti in Urss con la forza. E i lager si riempirono di tedeschi
    Poveri nazistelli....
    Volevano distruggere l'Unione Sovietica, ma non essendoci riusciti volevano tornarsene tranquillamente a casa. Troppo comodo. Fu giusto trattenere i tedeschi, visto che erano stati loro ad invadere l'URSS e a distruggerne parte del paese. il minimo che si potesse fare era costringerli a riparare il danno. Ma guarda un pò, sto ringhio....voleva che se ne tornassero a casa dalle mogliettine...

  3. #3
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    Predefinito Re: Germania 1945, l' altra faccia dell' orrore

    Citazione Originariamente Scritto da Raymond la Science Visualizza Messaggio
    Poveri nazistelli....
    Volevano distruggere l'Unione Sovietica, ma non essendoci riusciti volevano tornarsene tranquillamente a casa. Troppo comodo. Fu giusto trattenere i tedeschi, visto che erano stati loro ad invadere l'URSS e a distruggerne parte del paese. il minimo che si potesse fare era costringerli a riparare il danno. Ma guarda un pò, sto ringhio....voleva che se ne tornassero a casa dalle mogliettine...
    PIVELLO, leggiti la discussione inerente l'operazione BARBAROSSA:

    http://politicainrete.it/forum/cultu...arbarossa.html

    e visto che ci sei:


    http://politicainrete.it/forum/cultu...orimberga.html

    Provochi la mia ilarità di continuo, prevedibile bucaniere irriverente della storia.
    Non troverai mai la verità se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspetti.
    Eraclito


    VUOI SAPERE COS'E' L'ANTIFASCISMO? E' non avere cura del Creato, disboscando, inquinando, cementificando tutto nel nome dello Sviluppo.

  4. #4
    Canaglia
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    Predefinito Re: Germania 1945, l' altra faccia dell' orrore

    Citazione Originariamente Scritto da Ringhio Visualizza Messaggio
    PIVELLO, leggiti la discussione inerente l'operazione BARBAROSSA:

    http://politicainrete.it/forum/cultu...arbarossa.html

    e visto che ci sei:


    http://politicainrete.it/forum/cultu...orimberga.html

    Provochi la mia ilarità di continuo, prevedibile bucaniere irriverente della storia.
    Sei patetico. Ho semplicemente scritto che poichè i nazisti avevano invaso l'URSS (devo citare de felice anche in questo caso??? ), era giusto che i sovietici li trattenessero per aiutare nella ricostruzione. Posso esprimere il mio parere oppure ci devi ficcare sempre il dio-storia? Sai esprimere opinioni personali? Continua continua che ce fai ride...

  5. #5
    Anti-taliban
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    Predefinito Re: Germania 1945, l' altra faccia dell' orrore

    Citazione Originariamente Scritto da Raymond la Science Visualizza Messaggio
    Poveri nazistelli....
    Volevano distruggere l'Unione Sovietica, ma non essendoci riusciti volevano tornarsene tranquillamente a casa. Troppo comodo. Fu giusto trattenere i tedeschi, visto che erano stati loro ad invadere l'URSS e a distruggerne parte del paese. il minimo che si potesse fare era costringerli a riparare il danno.
    Quindi era giusto se gli Alleati avessero fatto lo stesso con l'Italia, alleata della Germania?

  6. #6
    Canaglia
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    Predefinito Re: Germania 1945, l' altra faccia dell' orrore

    Citazione Originariamente Scritto da Jared Visualizza Messaggio
    Quindi era giusto se gli Alleati avessero fatto lo stesso con l'Italia, alleata della Germania?
    I paesi che sono stati invasi dall'Italia fascista avrebbero avuto il diritto di farlo.

  7. #7
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    Predefinito Re: Germania 1945, l' altra faccia dell' orrore

    Citazione Originariamente Scritto da Raymond la Science Visualizza Messaggio
    Sei patetico. Ho semplicemente scritto che poichè i nazisti avevano invaso l'URSS (devo citare de felice anche in questo caso??? ), era giusto che i sovietici li trattenessero per aiutare nella ricostruzione. Posso esprimere il mio parere oppure ci devi ficcare sempre il dio-storia? Sai esprimere opinioni personali? Continua continua che ce fai ride...
    Vabbè, vediamo se trattenere è un sinonimo di questa robba qua:

    I prigionieri italiani nei campi di concentramento sovietici

    Ieri alle 16.23
    Tenente medico Enrico Reginato, medaglia d'oro al V.M. Battaglione Sciatori Monte Cervino, Corpo d'Armata Alpino: 'Io non ero presente alla giornata e alla battaglia di Nikolajewka; ero già, da tempo, in prigionia in mano dei russi. Ma appunto per ciò fui testimone delle estreme conseguenze della ritirata degli alpini (e di tutta l'armata italiana) in quell'inverno 1942-43, quando a conclusione della ritirata stessa per molte decine di migliaia di italiani si apri l'appendice e il periodo della prigionia russa. Sono stato testimone delle sofferenze che prolungarono a innumerevoli alpini le sofferenze della ritirata: gli innumerevoli e quasi sempre mortali patimenti di quanti fra gli alpini non riuscirono a varcare il cancello di libertà di Nikolajewka.

    Da allora penso che ritirata e prigionia costituirono un tutt'uno, la completezza di un calvario cosi irto di dolori e cosi prolungato nel tempo e nell'infinita varietà di patimenti da non consentire alla mente umana di concepirlo. Io ho visto soffrire e morire, in modo inenarrabile, e ne do qui inadeguata testimonianza, affinchè il ricordo appassionato almeno permanga e sia di insegnamento al giorno d'oggi, e tutto sia fatto nel campo della dignità e della tutela dell'uomo al fine di tenere lontana la gioventù attuale dal ripetersi dei patimenti allora sofferti dagli alpini, e da quanti ebbero la suprema sventura di cadere in una prigionia quale fu quella che subimmo in mano dei russi. Abbiamo visto colonne di prigionieri sospinti per giorni e settimane da urli, spari e percosse andar sempre più assottigliandosi perché chi non si reggeva per la stanchezza veniva finito con le armi.

    Abbiamo sentito levarsi invocazioni disperate 'dottore aiutami, non ne posso più', ma anche i dottori non ne potevano più; si coprivano le orecchie con le mani per non udire quelle voci e in quell'istante avrebbero voluto morire per non sentire scaricare le armi sul caduto. Abbiamo visto le strade segnate da cadaveri che genti e corvi profanavano: le prime per recuperare le vesti, i secondi per sfamarsi. Abbiamo assistito a spogliazioni di scarpe, di vesti, di oggetti di ogni genere, appartenenti a uomini sfiniti che non potevano reagire di fronte alla violenza. Abbiamo visto uomini disperati per fame tentare di eludere la sorveglianza per cercare del cibo, e venir abbattuti come cani.

    Abbiamo visto esseri umani abbruttirsi per l'infinita stanchezza, un'umanità degradata nella quale pochi si sentivano ancora fratelli al vicino o sentivano ancora pietà per il debole o il morente. Lo spirito di cameratismo che aveva legato, un tempo, i combattenti tra loro, sembrava finito con l'abbandono delle armi. Abbiamo visto entrare in campi di raccolta migliaia di uomini di molteplici nazionalità e uscirne vive poche centinaia nel breve arco di tempo di 30 giorni e, in quei trenta giorni, il dolore toccare il vertice dell'inumano. I ricoveri, esposti ai rigori del clima, erano gremiti fino all'inverosimile di uomini doloranti: l'odore acre della cancrena ristagnava ovunque; la fame distruggeva i corpi, la dissenteria completava l'opera di disfacimento di esseri umani martoriati da fame e sete e da parassiti che brulicavano nelle barbe incolte e sotto le vestì sudice e lacere.

    Un buio tragico e ossessionante scendeva su questi orrori fin dalle prime ore della sera, interrotto ogni tanto da torce agitate da figure umane urlanti che prelevavano uomini per il lavoro; poi tornava un cupo silenzio dì morte interrotto da grida di dolore, da gemiti, da invocazioni pronunciate nelle più diverse lingue, da preghiere elevate al ciclo ad alta voce da qualche cappellano. Abbiamo visto uomini diventare, per fame, feroci come lupi. Alle prime distribuzioni di cibo, come colti da improvvisa follia, spettri umani si levavano e si precipitavano urlando e schiacciandosi, rovesciando a terra ogni cosa, buttandosi al suolo per succhiare il fango impastato con il cibo sparso.

    Guardiani armati di spranghe di ferro dovevano far scorta al pane per difenderlo dai branchi di uomini in agguato che si avventavano per impossessarsene. Finalmente vennero convogli ferroviari a caricare e portare altrove questo resto di umanità carica di dolore e di parassiti: i convogli scaricavano i superstiti in altri campi che li accoglievano per rigettarli in fosse comuni; in essi li attendeva non la salvezza, ma il tifo, la tubercolosi, la difterite, la pellagra e ogni altro male. I lazzaretti (cosi venivano chiamati i luoghi dove si moriva), erano uno spettacolo drammatico e straziante; corpi discesi su pancacci di legno o sulla nuda terra si sfasciavano per morbi sconosciuti.

    La morte passava come un'ombra senza requie: ogni giorno volti nuovi, nuove sofferenze; cervelli sconvolti dalla pazzia, deliri, dissenterie, arti deformati dagli edemi, ferite corrose dalla cancrena. I medici e i sanitari si trascinavano fra quegli infelici fintante che il male portasse via anche loro. Ricorderò per sempre che un giorno, in un campo di concentramento, durante l'infuriare di una epidemia che giorno e notte mieteva innumerevoli vite umane, mi si avvicinò un giovane ufficiale medico austriaco, che parlava correntemente l'italiano.

    Egli mi espresse il desiderio di uscire dalla zona non infetta del campo per assistere gli ammalati, quasi tutti italiani. Lo sconsigliai per il grande pericolo al quale si esponeva; ma insistette con queste parole: 'Collega, la prego, io non voglio perdere questa grande occasione di essere medico e cristiano'. Profuse generosamente la sua arte e le sue energie per i contagiati; contagiato lui stesso, non trovò più in sé la forza di vincere il male che con parole semplici e grandi si era prefisso di combattere. Si spense con la serena dolcezza di chi è consapevole di non aver perduto né di fronte a Dio né di fronte agli uomini la grande occasione.

    Era difficile fare il medico, in quelle circostanze. I medicinali scarseggiavano, le poche fiale di analettici, per lo pili canfora, dovevano essere utilizzate solo nei casi estremi. Bisognava dosare tutti i farmaci con assoluta parsimonia, valutare lo stato di gravita di ciascun malato, decidere chi doveva avere la precedenza, stabilire una inutile graduatoria e talvolta si trattava di scegliere tra un paziente che invocava il medico nella sua stessa lingua e un altro sconosciuto figlio di Dio. I superstiti di tutti questi mali, uscirono dai lazzaretti con passi incerti e vacillanti. Quelli che alcuni mesi prima erano soldati pieni di vitalità e comandanti autorevoli, apparivano scheletri tenuti assieme da pelle ruvida e squamosa.

    Le fisionomie erano irriconoscibili; i capelli aridi, incanutiti; gli occhi immersi nelle occhiaie profonde; la cute del viso raggrinzita in minime rughe, il sorriso una smorfia che lentamente si ricomponeva; i denti vacillanti su gengive brune e sanguinanti, le unghie delle mani e dei piedi segnate da un solco trasversale che pareva segnasse l'inizio della sofferenza. Molti avevano perduto fino al 40-50% del loro peso; attoniti, assenti, dovevano pensare a lungo prima di ricordare il loro nome; sembravano esseri spettrali usciti da un mondo irreale, insofferenti ed indifferenti a tutto che non fosse la distribuzione del cibo.

    I mesi, gli anni di detenzione, non furono che tappe di un lungo calvario di rovina e di morte. Morte per esaurimento fisico, per interminabili marce, per i colpi spietati degli uomini di scorta, per epidemie incontrollabili, per inanizione. I superstiti, smarriti dal crollo repentino di ogni illusione, tormentati dalla fame, dalla miseria, dalla paura, rimasero, costretti ai più duri lavori, per anni in balia del nemico, il quale, con abilità e perseveranza, cercò di catturarne anche l'anima ed imporre la propria ideologia. I detentori che avevano i corpi di quei vinti volevano il trofeo delle loro anime per vincerli due volte usando l'arma della propaganda e del ricatto: 'tu devi cambiare opinione altrimenti non rivedrai né la patria né la madre, né la sposa e i figli'.

    Questo fu l'infame ricatto: cedere dignità, coscienza e fede in cambio di ciò cui i prigionieri avevano diritto senza concessioni e senza compromessi. Finalmente, un giorno arrivò un ordine nei campi: i prigionieri non dovevano più morire; i medici dovevano attenersi ad esso sotto minaccia di gravi punizioni. Che cosa significava questa nuova disposizione? Invero la morte non si lascia impartire comandi. L'ordine voleva dire semplicemente che le restrizioni che determinavano la morte dei prigionieri dovevano cessare. Venne, allora, concesso un miglioramento di vitto, modesto ma pure essenziale; vennero presi provvedimenti che crearono condizioni possibili di vita, la lotta contro i parassiti si fece efficace, i medici trovarono meno arduo il loro lavoro disponendo di una quantità maggiore di mezzi, in ambienti più igienici ed adeguati.

    Ciò bastò per notare nei prigionieri una lenta ripresa delle forze, un miglioramento progressivo dei rapporti sociali, un ritrovamento di dignità e coscienza, un albeggiare di nuove speranze. Si riallacciarono vecchie amicizie, si riprese man mano a pensare, a parlare, a pregare, a confidarsi, a sperare, a credere nella salvezza. Ma ciò fu raggiunto quando già da tempo le fiamme della guerra si erano spente e nel resto del mondo iniziava, con la pace, una lenta resurrezione'.



    Oppure:


    E PENSARE CHE SI CONCEDONO LORO ANCORA TANTI ONORI
    Il lungo calvario del “davai”! (“avanti”!)

    Sì, e pensare che a “loro” sono ancora intestate strade e strutture. Mi riferisco a due fra i mille e mille criminali del secolo trascorso. In un mare di criminali rossi, almeno due, in particolare, emergono: Palmiro Togliatti e Edoardo D’Onofrio. Scrivo queste righe per ricordare quanto è stato dimenticato da personaggi che ancora oggi, tanti di loro ancora in attività politica, si nascondono dietro una maschera di candida ingenuità, corresponsabili di quanto più avanti scriverò. La responsabilità di questa orrenda pagina di storia non va addebitata solo al Migliore (Palmiro Togliatti) e al suo vice, D’Onofrio, ma anche ai vari D’Alema e Occhetto che non hanno sentito il dovere di denunciare i crimini commessi dai vertici del Pci. Descrivere il peregrinare di Togliatti e di D’Onofrio fra l’Italia e l’Urss ci porterebbe molto lontani e, avvalendomi di un lavoro dell’indimenticabile Franz Maria D’Asaro, voglio iniziare il racconto a partire dal 1941, dopo l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Urss, quando cominciano ad affluire nei campi di concentramento sovietici i soldati italiani fatti prigionieri; campi affidati, dai sovietici, al controllo di D’Onofrio. Raccontare i supplizi ai quali furono sottoposti quegli sventurati sarà mia cura accennarlo più avanti. Cominciamo a ricostruire le vicende del sottocapo del Migliore, Edoardo D’Onofrio, quando questi fu sottoposto a processo nel luglio del 1949, processo che mise in luce la sua spietatezza esercitata sui prigionieri italiani in Russia. Nel frattempo D’Onofrio divenuto senatore del Pci e addirittura Vicepresidente del Senato, ebbe l’impudenza di intentare causa contro cinque reduci dall’Urss, accusandoli di averlo diffamato. Ma il querelante subì uno smacco: i cinque reduci furono clamorosamente assolti. Ecco, sommariamente, quali erano le prove che D’Onofrio esibì.
    Nell’aprile del 1948 venne stampato e diffuso, sotto il titolo “Russia”, un numero unico a cura dell’Unione Italiana Reduci di Russia; a pagina sette c’era un articolo dal titolo Edoardo D’Onofrio”, nel quale si poteva leggere: <D’Onofrio durante la sua permanenza nei campi di concentramento di Oranki e Skit, assistito da Flamenghi (evidentemente un altro alto esponente del Pci, nda) e alla presenza di un ufficiale del Mkvd, ha sottoposto ad estenuanti interrogatori prigionieri italiani detenuti in quei campi. Non si trattava di semplici conversazioni politiche, come ipocritamente il D’Onofrio vorrebbe far credere, ma di veri e propri interrogatori di carattere politico che spesso duravano delle ore e durante i quali veniva messo a verbale quanto il prigioniero rispondeva. Immediatamente dopo la visita di D’Onofrio in quei campi, alcuni dei prigionieri italiani che in quei giorni erano stati sottoposti a interrogatori, furono allontanati e rinchiusi in campi di punizione e ancora oggi alcuni sono trattenuti nei campi di concentramento di Kiev. Simili procedimenti avevano il duplice scopo di far crollare, prima con lusinghe e poi con minacce esplicite (“Lei non conosce la Siberia?”) che non risparmiavano nemmeno le famiglie in patria, la resistenza fisica e morale di questi uomini ridotti a cadaveri viventi dalla fame, dai maltrattamenti e dalle malattie, per guadagnare l’adesione degli altri prigionieri intimoriti dall’esempio della sorte toccata a questi>. Scrive ancora Franz Maria D’Asaro che la relazione portava le seguenti firme: Domenico Dal Taso, Luigi Avalli, Ivo Emmett e altri. E ancora a pagina sedici si poteva leggere: <Ottantamila martiri nei campi di concentramento – ottomila scampati – accusano e denunciano D’Onofrio, Robotti (Paolo Robotti, cognato di Togliatti, nda), Ossola, Fiamenghi, Cocchi, Torre (una donna), Roncato. Italiani, questi rinnegati postisi al servizio della polizia sovietica e diretti da Togliatti, furono i commissari politici, gli aguzzini nostri nei campi di concentramento sovietici>.
    Nel corso del dibattito processuale emersero testimonianze disastrose per il senatore comunista. Si appresero, infatti, dettagliate conferme delle sevizie morali che il luogotenente di Togliatti infliggeva ai prigionieri, denunciando senza pietà alla polizia politica sovietica tutti coloro che si rifiutavano di cedere ad un vasto repertorio di lusinghe e di minacce. E questi bravi italiani finivano regolarmente nei campi siberiani dove morivano uccisi dagli stenti, dal freddo ed anche dai maltrattamenti. Per tutti valga la testimonianza del bersagliere Santoro il quale, dopo aver respinto le suadenti profferte di D’Onofrio, subito rinnovate con toni minacciosi, si sentì rispondere: <L’unica differenza che passa fra lei e i suoi bersaglieri è che lei è un criminale vivo, mentre quelli sono dei criminali morti>.
    Appena poterono, i sopravvissuti rilasciarono questo documento: <Testimoni consci di quello che vedemmo e soffrimmo, qualunque possa essere la nostra tendenza politica, ripetiamo ad ogni italiano che il bolscevismo, spoglio dalla sua retorica demagogica, significa regime di polizia e di terrore, significa la tirannia di un partito sulla Nazione, sulla famiglia, sull’individuo. Viva l’Italia>. Il documento, firmato da centinaia di prigionieri, porta la data del 27 luglio 1946.
    La testimonia diretta di coloro che vissero quel dramma è riportata di seguito.
    *****
    Il 7 dicembre 1998 la televisione italiana trasmise un documentario sulle vicende dei prigionieri italiani in Russia. Il filmato ha proposto un “Reportage cinematografico dai fronti della guerra patriottica”, è il titolo di un cinegiornale dell’Armata Rossa con l’intento – propagandistico e a scusante delle atrocità commesse – di presentare al mondo la vita quotidiana dei prigionieri italiani falsando macroscopicamente la verità.
    Il film mostra i nostri prigionieri avviarsi, quasi con allegria, armati di forconi alla raccolta del grano, sotto un sole meraviglioso e circondati da belle contadine russe con le quali scambiano sorrisi e cenni come generalmente si usa fare fra giovani spensierati.
    Alla fine della giornata di lavoro questi nostri (ex) giovanotti come è mostrato nel documentario, siedono in circolo nel kolkotz <mangiando, bevendo e conversando allegramente fra loro> rifocillati abbondantemente e serviti da soldati e donne russe sorridenti
    Questo – e molto di più – quanto mostrato nel documentario da poco rinvenuto negli archivi russi, come attestato dal commentatore.
    E’ questa la verità?
    Certamente no! Le sofferenze sopportate dai nostri infelici soldati caduti prigionieri e appartenenti prima al CSIR (Corpo Spedizione Italiano in Russia), poi all’ARMIR (Armata Militare Italiana in Russia), hanno dell’infernale.
    Per anni, nell’immediato dopoguerra, ci si interrogò su quanti del CSIR e dell’ARMIR fossero i caduti, quanti i dispersi e, di questi, quanti caduti prigionieri.
    Le pressioni dei parenti dei “dispersi” sul nostro Governo per avere notizie dei congiunti non trovarono che annoiata risposta essendo i responsabili dei vari dicasteri occupati a gestire i propri traffici personali o di partito e, quindi, non venivano esercitate sul Governo sovietico quelle sollecitazioni necessarie per ottenere risposte chiare sulla fine dei nostri soldati. Si giunse al punto (era la fine degli anni ’80) che il Presidente di una nostra Commissione, esattamente l’On. Flaminio Piccoli, proprio al cospetto di personalità sovietiche dichiarò che i nostri caduti in Russia non meritavano alcuna sepoltura cristiana perché colpevoli di aver condotto in quella terra una guerra fascista.
    Ci fu, qualche anno dopo, una nuova fiammata che richiamò alla memoria i nostri Caduti dell’ARMIR, quando fu scoperta una lettera, nella quale, l’allora componente del Komintern, Palmiro Togliatti, sollecitava i guardiani dei lager sovietici a non preoccuparsi troppo se i nostri “alpini”, lì “ospitati” morivano di stenti perché più erano i caduti, più l’odio per il fascismo in Italia si sarebbe moltiplicato. Poi tutto si spense sulla bizantinistica interpretazione di un verbo o aggettivo contenuto in quella lettera autografa di Togliatti, che nulla toglieva al senso effettivo che il capo del PCI voleva dare e cioè: “far morire gli alpini” per danneggiare il fascismo.
    ********
    Le leggi internazionali stabiliscono precise norme riguardo al trattamento da riservare ai prigionieri di guerra, tali che a questi possa esser garantita la vita, la salute e l’onore.
    Troppo spesso l’iniquo trattamento riservato ai nostri soldati caduti prigionieri degli inglesi, dei francesi, degli stessi americani, andava ben al di là di quanto prevedevano le su citate Convenzioni Internazionali.
    Infatti nei campi di concentramento degli Alleati, i casi di prigionieri italiani bastonati, incatenati, fucilati o tenuti a regime di fame era, se non la norma, perlomeno frequente. Non è mancato il perverso sistema, anch’esso in contrasto alle già citate norme, di suddividere i prigionieri fra “cooperatori” e “ non cooperatori”, cosa che comportava per questi ultimi ulteriori gravi pene e persecuzioni nel tentativo di spezzarne la resistenza morale e, quindi, la volontà. Vi furono numerosi casi di morti violente, arbitrarie fucilazioni e malattie dovute a un sistematico e programmato cattivo trattamento.
    Ma tutto ciò, se pur grave non trova nessuna analogia con le scelleratezze cui andarono incontro i nostri soldati prigionieri dell’Armata Rossa.
    Quanti furono i morti?
    Ancora oggi non se ne conosce il numero esatto!
    Come non evidenziare, a questo punto, lo scarso impegno (se non addirittura l’indifferenza) del Governo italiano nel pretendere dall’URSS un responsabile contegno nei confronti di un così tragico problema? Molto ottenne, al contrario, il vecchio Cancelliere tedesco, Adenauer che, prima di firmare gli accordi commerciali con quel Paese, pretese come condizione primaria, la risoluzione della questione dei prigionieri di guerra. In un sol colpo vennero restituiti alle loro famiglie ben novemila “criminali di guerra”.
    Nel 1958, per sollecitare un più incisivo impegno del Governo italiano verso quello sovietico, una delegazione dell’Associazione Congiunti Dispersi in Russia fu ricevuta dall’allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi il quale così rispose ai rappresentanti dell’Associazione: “Purtroppo il Vostro problema è stato sacrificato per ragioni di Stato”.
    *********
    Durante le furiose battaglie e il tragico ripiegamento del dicembre 1942 e gennaio 1943, la radio russa comunicò che erano stati catturati circa 80 mila soldati dell’ARMIR. Certamente è una cifra gonfiata in eccesso per ovvi motivi di propaganda. In proposito Aldo Valori, nel volume “La Campagna di Russia; CSIR-ARMIR, 1941-1943”, a pagina 739 scrive: <Se calcoliamo approssimativamente in 30.000 sicuramente morti (cifra minima probabile, tenendo conto dell’accanita battaglia e delle difficoltà del ripiegamento) e vi aggiungiamo i rimpatriati, si può presumere che i russi non abbiano catturato più di 55-60.000 prigionieri e forse meno>.
    Effettivamente la furia della battaglia che divampò fra il 15 dicembre 1942 e il 31 gennaio 1943 divorò interi reparti. A questo proposito è sintomatico il tributo di sangue del reparto lanciafiamme del Comando Corpo d’Armata che lasciò sul campo il 91% della sua forza; infatti su 310 effettivi se ne salvarono 29.
    E’ interessante quanto riportato in merito nella seconda edizione della “Grande Enciclopedia Sovietica”, pubblicata nel 1953 – Volume XIX, pagina 85, dove si stabilisce che le perdite complessive degli italiani nella campagna di Russia assommano a 150 mila unità. I prigionieri sarebbero stati solo 21 mila.
    In questo tragico balletto di cifre, scandalosamente reticente, s’introdusse anche Palmiro Togliatti che, in una trasmissione da Radio Mosca, chiamata “La Voce della Verità”, esasperato perché in Italia si dubitava dell’esattezza delle notizie che venivano dall’URSSS, ribadiva che i prigionieri italiani erano 115 mila.
    Consideriamo come più veritiera la cifra, come sopra indicata di 60 mila prigionieri italiani, dato che di 40 mila se ne è perduta la traccia, si evince che i due terzi risultano “dispersi”; perdite di gran lunga superiore a quelle fornite sui decessi che avvenivano nei famigerati lager tedeschi che raggiungevano il 40% degli internati.
    L’agonia dei nostri soldati iniziava sin dal momento della loro cattura, sospinti e brutalmente malmenati al grido di “davai”.
    Scrive Aldo Valori a pagina 742 del già citato volume: <Le marce di trasferimento dai luoghi della cattura ai campi di concentramento aprirono le prime larghe falle nelle file dei nostri prigionieri. Costretti a marce senza posa per giornate intere, con una temperatura che arrivava ai 40 gradi sotto zero, tra ghiacci e neve, con calzature inadatte, senza cibo, senza fuoco, moltissimi dei nostri soldati cadevano a terra sfiniti, ed erano senza pietà trucidati dal classico colpo alla nuca dai soldati di scorta>.
    Un’agghiacciante testimonianza su queste brutalità ci è fornita da Gabriele Gherardini nel suo volume “La vita si ferma”, dal quale riportiamo ampi stralci: <Non so quanto aspettammo sempre allineati per quattro. Al minimo movimento entravano in ballo i cosacchi con i calci dei mitra (…). Mi ero distaccato dagli altri a causa del piede che aveva cominciato a dolermi, l’oscurità era impenetrabile. Quattro ombre che mi sentii addosso prima di vederle, si precipitarono rabbiosamente su di me cominciando a caricarmi di colpi forsennati. Una mazzata alla testa mi fece barcollare, un’altra poco più su dello stomaco mi rimise in piedi, poi arrivò uno schiaffo così violento che credetti mi avesse rotto una mascella. Uno degli assalitori mirò all’inguine con un calcio; l’atto istintivo che feci per difendermi raddoppiò la loro rabbia, mi colpirono nel petto, nei fianchi, sulla fronte, proprio al disopra degli occhi (…)>. Poi avvenivano le perquisizioni che erano, in effetti, vere e proprie spoliazioni non solo di oggetti, ma addirittura di quel vestiario che, bene o male, riparava i corpi dal terribile inverno russo.
    Una volta giunti al campo, così Gherardini continua: <Quando rientrammo capitò la belva. Era una ragazza dai capelli rossi, corti e arruffati, indossava indumenti maschili (…). Appena balzò dentro, circondata da una turba di ragazzotti dai visi scimmieschi, per prima cosa sventagliò sghignazzando, una raffica di mitra al soffitto>. E iniziò la rapina di quegli indumenti che erano sfuggiti alle prime persecuzioni, furono sottratti perfino i pantaloni. <Uno già mezzo spogliato che indugiò a togliersi camicia e scarpe fu condotto fuori nel mezzo della canea urlante e fu lei a premere il grilletto. Il gran mucchio di stracci su cui il corpo sforacchiato andò ad abbattersi, si macchiò di sangue (…). Ci venne dietro fin quasi a Krinovaja, sempre urlando e uccidendo, implacabile e perversa, anima di tigre in spoglie umane>.
    E la fame, la fame era il supplizio peggiore alla quale erano sottoposti i nostri soldati; si pensi, ricorda Aldo Valori, che durante una marcia di dodici giorni il cibo venne distribuito due sole volte!
    La testimonianza più viva viene fornita da chi quelle vicende le visse di persona; riporta Gherardini a pag. 201: <La fame, dopo l’accasciamento delle prime ore, è tornata aggressiva, lancinante. Si sogna sempre di mangiare, giorno e notte, visioni continue di orge; tavole ricolme, montagne di cibi. Si è ciechi, disperati, la fame fa passare in seconda linea maltrattamenti e umiliazioni, persino il rischio della morte non conta più. Si sopporterebbe tutto per un pezzo di pane, si venderebbe l’anima al demonio per un buon pasto (…). Da diversi giorni non beviamo e all’improvviso (siamo al passaggio del Don, ndr), nel vedere tutto quel liquido ci viene sete (…). Bevono a mani giunte, molti si stendono e tuffano le labbra nei rigagnoli, qualcuno si serve di un recipiente. In un attimo fra lo scricchiolio simile a quello dei vetri spezzati che fende in obliquo il fiume il ghiaccio s’incrina. Tutti quelli che sono sul filone spariscono sotto, senza neppure il tempo di gridare; nel tumulto improvviso la scorta spara, ma sono colpi inutili; gli annegati ormai navigano sotto l’asfalto bianco, già lontani>.
    Finalmente (!) si giunse a destinazione, nei lager russi, in quei luoghi dove le sofferenze e le umiliazioni toccarono il loro apice. Ma dove l’orrore raggiunse il massimo fu nei due campi di Oranski e di Krinovaja.
    Ci è dato citare di nuovo la testimonianza di Gherardini. A questo punto dobbiamo scusarci con il lettore di quanto più avanti dovrà prendere atto. La Storia, ma soprattutto la memoria non può, non deve fermarsi davanti al buon gusto, al ribrezzo, all’orrore. Sono fatti realmente avvenuti e quindi vissuti che hanno reso i carnefici mostri e mostri le stesse vittime.
    Ciò premesso, ecco quanto scrive Gherardini a pag. 221:<A Krinovaja fu il periodo più orrendo della prigionia, l’infero dei vivi. Ci entrammo in trentamila ne uscimmo in tremila; ventisettemila se ne andarono in poco più di quindici giorni. I più morirono di fame, di dissenteria, di tifo esantematico; molti furono divorati ancora caldi dai compagni, di qualcuno di affrettò la fine perché morisse prima e servisse da pasto agli altri. Fu il regno delle sozzure più tremende, l’egoismo e la brutalità umane assunsero forme d’incubo; in due settimane si provò quello che nessuno ha provato mai: la bestia più immonda avrebbe avuto schifo dell’uomo! (…). Il campo era vastissimo: oltre alla stalla in cui vivevamo noi, apparivano qua e là mucchi di costruzioni in muratura; lo spazio che le divideva serviva da latrina, da cimitero, da fogna. Si defecava vicino ai cadaveri nudi, molte volte ce n’erano tanti che non si sapeva dove mettersi (…). Avvennero scene strazianti, anche la fantasia più fervida non riuscirebbe a descriverle nella loro realtà. Un alpino per giorni e giorni difese contro l’accanimento inferocito degli antropofagi il cadavere del fratello, ma finì per morirci (…)>.
    In questo quadro infernale, a causa dell’assoluta mancanza delle più elementari norme igieniche, si scatenò nei campi una violenta dissenteria sanguigna che in pochi giorni si sviluppò in forma violentissima i cui effetti furono letali.
    Il contagio della pestilenza era favorita dalla mancanza d’acqua. Ricorda sempre Gherardini che nel campo di Krinovaja c’era un pozzo sempre affollato che alla fine, per la ressa selvaggia, inghiottì un prigioniero che morì all’istante congelato. Non per questo gli uomini assetati si dissuasero dall’attingere acqua nel luogo dove galleggiava il cadavere. Dopo pochi giorni altri uomini precipitarono nel pozzo e nuovi cadaveri ne ostruivano la bocca. Si attingeva acqua scostando i corpi. Alla fine, quando i prigionieri lasciarono il campo, il pozzo era colmo di cadaveri.
    Queste brevi note non sono che una sintesi di quanto i nostri compatrioti soffrirono in quegli anni e la cui memoria tende ad offuscarsi, oltre che per il tempo anche per la manigolda politica tendente a “che certe storie è bene non ricordarle per non dispiacere a qualcuno”.


    Questi sono esempi di prigioneri italiani, hai letto la discussione, ti sei reso conto che il tuo amico Stalin stava attendendo che i tedeschi si fossero indeboliti e lui rinforzato per invadere la Germania, dopo essersi pappato metà della Polonia?
    Dico, ma ci fai o ci sei?

    PIVELLO!!!!!!!!!!!
    Ultima modifica di Ringhio; 23-06-12 alle 18:24
    Non troverai mai la verità se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspetti.
    Eraclito


    VUOI SAPERE COS'E' L'ANTIFASCISMO? E' non avere cura del Creato, disboscando, inquinando, cementificando tutto nel nome dello Sviluppo.

  8. #8
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    Predefinito Re: Germania 1945, l' altra faccia dell' orrore

    Citazione Originariamente Scritto da Raymond la Science Visualizza Messaggio
    I paesi che sono stati invasi dall'Italia fascista avrebbero avuto il diritto di farlo.
    AZZ, stranamente le convenzioni internazionali per i prigionieri fascisti e nazisti non valgono, come non valgono le tutele dei civili, ma stranamente valgono per gli ebrei, gli slavi, gli yenkee i partigiani, ma vatte a fa un giro va......
    Non troverai mai la verità se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspetti.
    Eraclito


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  9. #9
    paracadute zen
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    Predefinito Re: Germania 1945, l' altra faccia dell' orrore

    Citazione Originariamente Scritto da Raymond la Science Visualizza Messaggio
    I paesi che sono stati invasi dall'Italia fascista avrebbero avuto il diritto di farlo.
    Potremmo farlo ora regalandoti, per riparazione, agli zingari albanesi come schiavo. Così siamo tutti contenti. Tu che vieni immerso nel tuo ambiente naturale e noi che smettiamo di leggere le tue minchiate.
    Trollhunter delle 2 Sicilie.

  10. #10
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    Predefinito Re: Germania 1945, l' altra faccia dell' orrore

    Citazione Originariamente Scritto da Ringhio Visualizza Messaggio
    bla bla.
    Non copiare e incollare tediosi articoli. Facci un riassuntino. Ci riesci?Sai esprimere concetti tuoi senza dover copiare ed incollare?

    p.s Se gli italiani non fossero andati in russia nessuno li avrebbe maltrattati.
    Ultima modifica di Josef Scveik; 24-06-12 alle 10:24

 

 
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