Quello che la Chiesa non dice sul conto di San Francesco
Un libro rivelatore a cura di
ANDREA ARMATI
Sicuramente è il santo più popolare della tradizione cristiana.
I suoi eremi da secoli sono meta di una devozione che non ha paragoni nella storia della fede; in ogni angolo del globo a lui sono state intitolate decine di chiese e monumenti, perfino una metropoli negli States porta con orgoglio il suo nome.
Di fronte a questo successo, alimentato per secoli dalla devozione di milioni di fedeli, una domanda viene spontanea: ma come fece un mercante di nome Francesco di Bernardone, nato in una modesta città dell’Umbria alla fine del 1100, a creare così tanto entusiasmo intorno a sé al punto da raggiungere nel giro di appena dieci anni l’immortalità?
Che ci sia puzza di bruciato, certo, non ci vuole molto a capirlo; specie se, come è capitato anche al sottoscritto, si fanno dei sopralluoghi negli eremi francescani, e si scopre con stupore che in questi santuari di cristiano c’è poco o nulla.
Passeggiando per questi luoghi, arroccati sulle rupi dei monti, si scopre invece che i cosiddetti eremi francescani pullulano di tantissimi alberi sacri. A Rivodutri c’è un Faggio secolare, meta di molti pellegrinaggi come fosse una reliquia; a Verucchio, in provincia di Rimini, un Cipresso; allo Speco di Narni, vicino Terni, i cristiani più devoti venerano ancora oggi un castagno, che secondo la leggenda sarebbe nato magicamente dal bastone piantato in terra da Francesco.
Può sembrare assurdo, ma del Poverello di Assisi che incitava i penitenti alla rinuncia degli averi e alla penitenza, in questi eremi non c’è alcuna traccia.
Non solo. La tradizione orale, infatti, è così forte e radicata qui tra i boschi, nelle prime roccaforti della fede francescana, che ci ha tramandato un gran numero di aneddoti sui prodigi compiuti dal santo, aneddoti che altrimenti sarebbero andati persi del tutto. E la cosa che stupisce di più è che questi racconti, anche a chilometri e chilometri di distanza tra un eremo e l’altro, coincidono. Parlano sempre degli stessi prodigi, raccontano di alberi cresciuti per magia, sotto cui Francesco si sarebbe ritirato a pregare, e di decine di uccelli, che sarebbero accorsi sui loro rami per ascoltare la predica del santo.
La Predica agli uccelli, appunto. Si tratta di uno dei miracoli più enigmatici tramandati dalla tradizione sul conto di San Francesco; un episodio su cui gli storici di tutte le epoche si sono arrovellati a lungo, senza trovare una risposta credibile. Che Francesco parlasse agli animali non stupisce, è un classico delle agiografie medioevali; ma perché si intratteneva proprio con gli uccelli? E soprattutto, che senso poteva avere predicare agli uccelli il Vangelo? Molti studiosi, oggi, sono propensi a ritenere questo prodigio un racconto frutto della fantasia popolare; altri storici, come Chiara Frugoni, credono invece che questo portento sia solo un’allegoria del popolo che ascolta in preghiera le esortazioni del santo.
Ma allora perché questo episodio è stato dipinto per così tanto tempo sulle pareti delle chiese, tanto da diventare insieme alle stimmate il segno più tangibile della grandezza di San Francesco?
Le domande non finiscono qui. Come è possibile, infatti, che Francesco sia stato il primo santo ad avere le stimmate, cioè le piaghe dei chiodi di Gesù Crocifisso, dopo più di undici secoli di storia cristiana in cui, a santi ben più importanti di lui, non era mai stato concesso questo privilegio? Ma soprattutto, come è possibile che appena 100 anni dopo la morte di Francesco, in tutta Europa, si segnalino una trentina di uomini stimmatizzati? Forse i cristiani vissuti nel Duecento erano più pii e devoti dei loro predecessori?
In realtà non bisogna meravigliarsi più di tanto se solo un numero ristretto di studiosi è a conoscenza di questi dati, né ci si deve stupire se molti accettano la figura di Francesco senza nutrire alcun sospetto sulla sua vera identità. In realtà ben poche persone, di quelle che ancora oggi reputano Francesco il santo per eccellenza, hanno letto con scrupolo le Fonti. E ancora meno persone si sono chieste per quale motivo nel famoso presepe allestito da Francesco a Greccio, in una caverna distante chilometri dal centro abitato, non solo secondo le fonti non c’era traccia della Sacra Famiglia, cioè di Maria e Giuseppe, ma nella mangiatoia allestita sull’altare mancava addirittura il Gesù bambino.
C’è una risposta plausibile a tutte queste stranezze? Questi episodi così bizzarri sono destinati a rimanere inspiegabili oppure la soluzione è molto più vicina a noi di ciò che sembra? Spesso, si sa, le prove per rispondere ai molti misteri di cui è lastricata la storia sono alla portata di tutti, ma a una condizione: cambiare prospettiva, guardare fatti e persone con un occhio diverso da quello dell’opinione comune.
Se lo facessimo; se cioè, per analizzare la storia del santo più grande del MedioEvo, cominciassimo la nostra indagine non dalle opere di bene ma dai reati, studiando le carte giudiziarie che all’epoca punivano indovini e ciarlatani, stregoni e aspiranti santi, allora scopriremmo cose impensabili su Francesco e sulla Chiesa. Che cioè la prima crociata del nostro MedioEvo non fu indirizzata contro gli arabi o gli eretici, ma contro gli adoratori degli alberi sacri. Scopriremmo anche che parlare agli uccelli era per i preti che vivevano agli inizi del Duecento il più frequente reato di stregoneria di cui si poteva essere accusati. Scopriremmo soprattutto che quella notte di Natale del 1223 i fedeli, che seguirono la messa di Francesco in una piccola grotta persa nel bosco, non ci andarono affatto per adorare Gesù.
È la storia che ho cercato di ricostruire nel mio libro, confrontando i racconti agiografici con le sentenze di giustizia emanate dalla Chiesa dell’epoca; è una storia torbida che parla di politica e giochi di potere. È la storia intorno a cui si è costruita la strategia del consenso in un’epoca, il MedioEvo, che malgrado noi lo rinneghiamo, pesa ancora oggi sulle nostre spalle con i suoi miti e le sue mistificazioni.
È la storia magica di San Francesco, che attraverso l’uso della stregoneria costruì intorno a sé una fama destinata a renderlo immortale.