L'Inghilterra rischia di trasformarsi da modello a baratro dell'Occidente
di Claudio Siniscalchi
l'Occidentale, 29 Luglio 2012
«Uno spettro si aggira per l’Europa». Con queste parole si apre il “Manifesto del partito comunista”, scritto da Karl Marx (nella stesura concorse anche Engels, ma è un mero dettaglio) e pubblicato nel 1848. Parole attuali. Attualissime. Vedremo però di che spettro stiamo parlando, poiché Marx parlava della rivoluzione comunista. Marx è stato giustamente considerato filosofo, economista, ideologo. Ma soprattutto è stato scrittore, un magnifico scrittore dell’Ottocento. Più che pescare oggi nella sua monumentale opera preveggenze ed errori, analisi giuste o sbagliate sul destino del proletariato o su quello della borghesia, bisognerebbe analizzarne lo stile. E lo stile è sublime. Potente e corrosivo. Asciutto e incendiario. Marx andrebbe letto come Balzac o Tolstoj. Non un classico dell’economia: un classico della letteratura, e talvolta del giornalismo. Fra i pensieri di Marx, uno ha il sorprendente dono dell’attualità: la società produce sempre più ricchezza che finisce nelle mani di un’élite ristretta. La prosa limpida di Marx sbalordisce. Descriveva i capitalisti delle antiche industrie del vapore e del carbone, che stavano facendo la fortuna dell’Inghilterra, madre della rivoluzione capitalista.
Leggendo le prime pagine del nuovo saggio del Lord inglese Ferdinand Mount, “The New Few. Or a Very British Oligarchy” (Simon & Schuster), riecheggia lo spettro di Marx. Certo Mount è tutt’altro che un marxista. Consigliere e ideologo della “lady di ferro” Margaret Thatcher, Mount è un conservatore britannico a tutto tondo, col vezzo di alternare la scrittura di saggi di impegno intellettuale con romanzi. Il nuovo libro di Mount è la continuazione di un precedente saggio del 2004, “Mind the Gap”, arrivato alla terza edizione nel 2010. La copertina dell’ultima edizione sintetizza al meglio la tesi allarmista (“attenzione alle distanze sociali”). Una bella casa aristocratica, con un elicottero sul tetto, protetta da un cancello e da una telecamera di sicurezza, puntata sul muro di recinzione, dove un ragazzo con la felpa e il cappuccio sta scrivendo con una bomboletta spray “The New Class Divide in Britain” (sottotitolo del saggio). Mount ricorda come l’Inghilterra abbia avuto una oligarchia imperiale. E la fine dell’impero, seguita dalla società di massa nel dopoguerra, guidata da leaders politici di differenti formazioni, competenze e capacità, aveva ridotto il “gap” delle differenze sociali.
Parlare di oligarchie, scrive Mount nella presentazione di “The New Few”, fino a qualche anno, aveva un sapore datato, buono per un seminario su Aristotele o Erodoto, o per descrivere il passaggio dalla vecchia Unione Sovietica (dominata da oligarchie politico-economiche) alla nuova Russia (dominata da oligarchie economico-politiche). George Orwell era ossessionato dal potere delle oligarchie, che gli sembravano la logica conseguenza del totalitarismo. Invece il capitalismo nella sua fase turbolenta (nel senso del turbo-capitalismo) ha prodotto l’oligarchia dei “nuovi pochi”. Ricchi che arricchendosi in maniera vertiginosa si separano dal resto del mondo. Pochi e straricchi. Ora, che il conservatore Mount possa essere accusato di trafficare ideologicamente con il marxismo, è improbabile.
La vecchia Gran Bretagna, dice Mount, non era così. Il turbo-capitalismo ha reciso la giugulare alla classe media. Questa è la condizione dell’Inghilterra postmoderna, tirata a lucido per ospitare i giochi olimpici, capace di stupire tutti in mondovisione, tra l’intramontabile Elisabetta II, James Bond e David Beckham.
L’Inghilterra è stata il modello per l’Occidente. Il laboratorio più avanzato della società capitalista, del parlamentarismo liberale, della democrazia, della resistenza ai peggiori mali ideologici del Novecento (comunismo e fascismo), delle politiche del welfare state, della perfetta alternanza tra differenti ipotesi governative entrambe moderate. Poi l’Inghilterra è diventata il laboratorio della secolarizzazione e successivamente del multiculturalismo. E per diventarlo ha dovuto divorare se stessa, la propria storia, la propria identità cristiana.
L’Inghilterra di oggi conserva i contorni pacifici e attraenti della bellezza dei monumenti londinesi, dei bei palazzi e dei giardini perfettamente curati, ma in realtà è un incubo. E parafrasando nuovamente Marx, potremmo aggiungere allo spettro dell’oligarchia anche quello della solitudine. La condizione dell’uomo postmoderno nel Regno Unito è l’abbandono: uomini soli, donne sole, bambini soli, anziani soli. La solitudine è il tratto saliente della crisi di identità che l’Inghilterra, dagli anni Sessanta ad oggi, sta vivendo. Il processo di “desocializzazione” è cominciato con l’arrivo del benessere diffuso, col trionfo della società dei consumi. Lo forze della tradizione britanniche sono andate in mille pezzi. Il negativo negli ultimi tre decenni nel Regno Unito ha preso quota. Consumo di alcolici, droghe, tranquillanti. La criminalità e la violenza giovanile hanno fatto registrare preoccupanti impennate. La disaffezione degli inglesi verso la politica, l’associazionismo, la filantropia, è crescente. La famiglia e la scuola non hanno retto l’urto. L’abbandono della fede anglicana, e il depotenziamento dei suoi insegnamenti morali, hanno ulteriormente indebolito l’Inghilterra.
Dalle macerie della disgregazione sociale è affiorata una piccola élite, politica e finanziaria, imprenditoriale e manageriale, delle nuove professioni della comunicazione e delle tecnologie, élite trasversale e priva di saldi legami sociali. I “nuovi pochi”. Ora, per concludere, se il laboratorio dell’Occidente è caduto nella rete dell’ampliamento della forbice sociale, perché non dovrebbe caderci l’intero Occidente europeo? “Mind the Gap”.
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