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Discussione: Letture consigliate

  1. #11
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    Predefinito Re: Letture consigliate

    Citazione Originariamente Scritto da Avanguardia Visualizza Messaggio
    Allora inizio. Io inizio prendendo i testi storici che avevo già recensito.
    Vi avverto le postare le copertine è un immenso casino, per cui perdonatemi se non troverete le copertine: ci provai, ma ...
    Se le recensioni le facciamo noi, firmiamole con i nostri nomi utente.

    Mi sono permesso di aggiungerle io le immagini delle copertine.
    ████████

    ████████

    Gli umori corrodono il marmo

  2. #12
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    Predefinito Re: Letture consigliate

    Citazione Originariamente Scritto da Majorana Visualizza Messaggio
    Mi sono permesso di aggiungerle io le immagini delle copertine.
    Fatto bene.

  3. #13
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    Predefinito Re: Letture consigliate

    Il Fascio e la Mezzaluna
    Manfredi Martelli
    Edizioni Settimo Sigillo
    38 euro



    E' un bel saggio dedicato ai rapporti tra mondo arabo e Asse. Il Martelli parte raccontando dettagliattamente la storia ottocentesca dei paesi arabi come Siria, Iraq, Egitto, concentrandosi sui rapporti con l' impero ottomano e poi con le potenze coloniali di Francia e Gran Bretagna. Spiega molto bene come nacque la questione palestinese. Poi tratta la storia dei 2 principali referenti arabi per l' Asse: il Gran Mufti della Palestina Haji Husseini e il politico iraqeno Rashid Galiani. Viene descritta la loro storia di soldati politici, le loro idee e la loro personalità. Se il Mufti della Palestina aveva un orizzonte pan-arabo proteso ad un grande califatto musulmano, Galiani guardava principalmente al suo Iraq, era più pragmatico, più tattico, ma anche più malleabile. Il saggio dimostra come la necessità per l' Asse di allearsi col mondo arabo sia stata compresa per primo dall' Italia fascista. Prosegue con il sostegno dell' Asse alla Palestina, poi all' Iraq nella guerra del 1941, poi con le trattative con i referenti principali del mondo arabo, fatte di attese, illusioni, passi avanti: dagli arabi era attesa una dichiarazione pubblica dell' Asse a favore dell' indipendenza dei paesi arabi, che non arrivava, vuoi perchè la Germania voleva essere sicura di fornire sostegno sufficiente ai paesi arabi prima di promettere, vuoi perchè anche l' Italia era ambigua date le sue aspirazioni semi-coloniali nel nord Africa, vuoi per le rivalità tra Haji Husseini e Galiani. Si arriverà ad uno scambio di lettere in forma riservata, mentre la famosa dichiarazione non si farà in tempo a redarla. Il saggio prosegue con la storia dell' Egitto che trepidava per l' arrivo delle armate croci-uncinnate, la questione tunisina e la collaborazione con Bourghiba, la collaborazione con l' egiziano Nasser (non il famoso Gamal Nasser che comunque sarà anch'egli collaboratore della Germania Nazionalsocialista), l' arruolamento delle truppe bosniache. La storia della collaborazione con l' Asse prosegue fino alla caduta del fascismo regime. Segue la trattazione delle vicende di Galiani e Haji Husseini dopo la seconda guerra mondiale, e un excursus sulla questione palestinese.


    Da "Avanguardia".
    Ultima modifica di Majorana; 04-08-12 alle 17:10

  4. #14
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    Predefinito Re: Letture consigliate

    I legionari della fortezza Europa
    Marzio Gozzoli
    Associazione Arcangelo Michele
    18 euro



    Questo studio racconta la storia dei camerati europei che nella seconda guerra mondiale combatterono sul fronte occidentale del teatro bellico, e più in generale, contro le cosiddette demoplutocrazie occidentali di Regno Unito e Stati Uniti, insomma contro quelle forze militari espressione del capitalismo, del mercato, evidenziando la determinazione di questa lotta, a testimonianza di come l' impegno a combattere il capitalismo e quanto ci giri attorno fosse ben sentito dai camerati di quel periodo storico. Vengono elencati e descritti tutti i reparti militari, le forze di polizie, gli ausiliari, raccontandone in maniera concisa quanto esuriente, la loro storia. Grande spazio è dedicato all' epopea dei sommergibilisti italiani che si distinsero valorosamente nell' Oceano Atlantico nell' affondamento delle navi nemiche, alla situazione nella Francia collaborazionista del Maresciallo Petain, esperimento di un regime di destra radicale improntato alla giustizia sociale e alla tutela della salute morale e fisica del corpo sociale con l' estromissione dei veleni della massoneria, alla figura di Quiesling, il capo di stato che resse la Norvegia in quel periodo collaborando con i tedeschi, dimostrando che non era affatto quell' essere servile che la propaganda di regime antifascista ci presenta, ma un precoce matematico, amante della natura e che lavorò egregiamente nel campo dei diritti umani, abbandonando le simpatie marxiste dopo che vide di persona l' inferno sovietico in Ucraina. La Wermacht arruolò camerati di tutte le nazioni europee, costituendo tra l 'altro molti reparti misti in cui i tedeschi combattevano a fianco di russi, ucraini, olandesi, scandivavi eccettera, altri milioni combatterono in unità non facenti parte delle truppe crociuncinnate ma comunque collaboranti. L' autore dimostra come queste collaborazioni e l' arruolamento di milioni di europei nella Wermacht stesse gettando i semi per una coscienza europea, che superasse i nazionalismi in nome di una comune patria europea. Altre pagine sono dedicate anche ai camerati extraeuropei che a vario titolo collaborarono con l' Asse sul fronte occidentale: neri (nel senso di negri africani e afro-francesi) tra cui un ministro del governo di Petain, asiatici, arabi, nordafricani, persino un aborigeno australiano arruolato nelle SS.
    L' elemento più toccante, più commovente, di questo studio è la descrizione della guerra in se, dei sentimenti dei nostri camerati, che emerge in tutta la sua nitedezza e freschezza, le vicende di cameratismo, l' impegno nella battaglia pur sapendo di morire per proteggere gli altri camerati in ritirata, gli sforzi eroici come quello di quei pochini piloti bulgari che dovettero vedersela con centinaia di aerei anglo-americani sui cieli bulgari (la Bulgaria era con l' Asse).
    Un libro direi obbligatorio da leggere. Il suo difetto è la difficoltà a trovarlo, in quanto è edito da una associazione culturale. Ma frugando su internet lo troverete. Io lo comprai in una libreria specializzata a Gorizia.

    Da "Avanguardia".
    Ultima modifica di Majorana; 02-09-12 alle 02:22

  5. #15
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    Predefinito Re: Letture consigliate

    L' ordinamento economico nazionalsocialista
    Renè Dubail
    Edizioni all' Insegna del Veltro
    Euro 16,70



    Questo studio analizza, con tanto di tabelle e statistiche volte a dimostrarne i successi, l' ordine economico del Terzo Reich. Il dirigismo, terza via volta a conciliare il meglio dello statalismo e il meglio della proprietà privata, e il controllo dei prezzi affinchè si venisse incontro alle esigenze dei produttori e dei consumatori, sono gli aspetti meglio trattati. Vengono trattati anche l' emissione di moneta statale senza interesse, lo slegamento del marco dall' oro per non dipendere dai fornitori d' oro, la costituzione di una serie di organismi di controllo dell' economia concorrenti, la nazionalizzazione di industrie e settori vitali della nazione, i finanziamenti alle imprese in cambio di investimenti produttivi. La terza via dirigista, condurrà a risultati sorprendenti: la proprietà privata in linea di massima non scompare, ma il libero mercato scompare perchè lo stato assume un forte controllo dei processi economici per indirizzarli all' interesse nazionale. Viene illustrata l' autarchia, che spingeva all' innovazione per inventare surrogati di materiali in modo da non dipendere dagli stranieri, e una politica di scambi commerciali fondata sul baratto per cui le eccedenze di una cosa venivano scambiate con le eccedenze di un' altra cosa che la nazione controparte poteva fornire di più.
    Infine le trasformazioni dell' ordinamento economico in tempo di guerra, improntate ad una trasformazione in senso comunistico: borsa quasi abolita, iniziativa privata praticamente scomparsa, stato che controlla totalmente l' economia salvando giusto la forma di proprietà privata, tassazione che colpisce i redditti alti (cosa praticata anche in periodo di pace).
    Condivido l' opinione finale dell' autore che la riproposizione delle politiche economiche nazionalsocialiste siano l' alternativa a questi sistemi capitalistici finanziarizzati e interdipendenti che stanno rovinando le nostre nazioni.

    Da "Avanguardia".
    Ultima modifica di Majorana; 02-09-12 alle 02:24

  6. #16
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    Predefinito Re: Letture consigliate

    Citazione Originariamente Scritto da Avanguardia Visualizza Messaggio
    L' ordinamento economico nazionalsocialista
    Renè Dubail
    Edizioni all' Insegna del Veltro
    Euro 16,70



    Questo studio analizza, con tanto di tabelle e statistiche volte a dimostrarne i successi, l' ordine economico del Terzo Reich. Il dirigismo, terza via volta a conciliare il meglio dello statalismo e il meglio della proprietà privata, e il controllo dei prezzi affinchè si venisse incontro alle esigenze dei produttori e dei consumatori, sono gli aspetti meglio trattati. Vengono trattati anche l' emissione di moneta statale senza interesse, lo slegamento del marco dall' oro per non dipendere dai fornitori d' oro, la costituzione di una serie di organismi di controllo dell' economia concorrenti, la nazionalizzazione di industrie e settori vitali della nazione, i finanziamenti alle imprese in cambio di investimenti produttivi. La terza via dirigista, condurrà a risultati sorprendenti: la proprietà privata in linea di massima non scompare, ma il libero mercato scompare perchè lo stato assume un forte controllo dei processi economici per indirizzarli all' interesse nazionale. Viene illustrata l' autarchia, che spingeva all' innovazione per inventare surrogati di materiali in modo da non dipendere dagli stranieri, e una politica di scambi commerciali fondata sul baratto per cui le eccedenze di una cosa venivano scambiate con le eccedenze di un' altra cosa che la nazione controparte poteva fornire di più.
    Infine le trasformazioni dell' ordinamento economico in tempo di guerra, improntate ad una trasformazione in senso comunistico: borsa quasi abolita, iniziativa privata praticamente scomparsa, stato che controlla totalmente l' economia salvando giusto la forma di proprietà privata, tassazione che colpisce i redditti alti (cosa praticata anche in periodo di pace).
    Condivido l' opinione finale dell' autore che la riproposizione delle politiche economiche nazionalsocialiste siano l' alternativa a questi sistemi capitalistici finanziarizzati e interdipendenti che stanno rovinando le nostre nazioni.

    Da "Avanguardia".
    PREFAZIONE

    Il costante sviluppo della produzione mondiale, aggiunto alla crescente complessità dei problemi posti dalla produzione, dal consumo e dalla distribuzione dei beni sia sul piano nazionale che internazionale, contribuisce ad attribuire, giorno dopo giorno, una crescente attualità ai problemi economici; le loro ripercussioni sui differenti piani sociali, così come sulle relazioni internazionali, giustificano, d'altra parte, il crescente interesse dei governi nei loro confronti. Se all'osservatore poco attento potrà apparire che le manifestazioni relative al suddetto interesse possano sembrare caratterizzate da un empirismo frammentario - in realtà uno studio più approfondito di tali questioni conduce, al contrario, ad un più esatto apprezzamento della realtà, è allora possibile isolare agevolmente, tra misure apparse a suo tempo come audaci improvvisazioni, diverse tecniche suscettibili di essere enumerate e classificate. Si tratta di tecniche che ci sforzeremo di analizzare nella presente opera: esse, infatti, fino a questi ultimi anni, sono state abbastanza poco conosciute, poiché l'attenzione per le concezioni pianificatrici è sorta in questo stesso secolo.

    Dall inizio del XX secolo, ricordiamolo, la decomposizione della filosofia individualista, la degradazione della democrazia Colitica, la trasformazione del capitalismo, la chiusura delle economie nazionali avevano contribuito, infatti, a frenare il funzionamento del liberalismo storico. Accentuando queste tendenze, la guerra 1914-18, quindi la crisi mondiale del 1929, svilupperanno brutali condizionamenti nei confronti dei pubblici poteri, costringendoli a ricorrere — dopo il fallimento delle misure classiche sul piano economico — a tentativi del tutto nuovi.
    Il successo ottenuto, in taluni settori, da molti di questi metodi, permise ben presto di isolare — nel quadro di un complesso di misure inizialmente disparate — un ventaglio di disposizioni che avrebbero costituito, in numerosi paesi, l'ossatura delle nuove tecniche economiche.
    La seconda guerra mondiale doveva contribuire a generalizzare il ricorso a questi metodi: ma poi, agli occhi di un 'opinione pubblica passionale, legata falsamente alle sofferenze degli anni della guerra, inesattamente confuse con regimi politici crollati — le tecniche dell'economia controllata sembrarono condannate a sparire definitivamente, nel corso dei primi anni del dopoguerra, di fronte ad un neoliberismo artificiosamente associato al successo dei vincitori.

    Confondendo in uno stesso rancore economia pianificata e penuria, immemore dei relativi successi di cui potevano vantarsi, nonostante gli esigui mezzi, le economie di guerra — un'opinione pubblica faziosa condannò in blocco dirigismo, economie di guerra e regimi totalitari.
    Queste illusioni si sarebbero dissipate ben presto. Infatti, si dimostrò subito che il semplice ricorso ai metodi del liberalismo storico non avrebbe risolto gli immensi problemi che assillavano un mondo devastato: mentre le soluzioni neoliberali contribuivano, su alcuni piani, al risanamento dell'economia mondiale, altri problemi richiedevano l'adozione di metodi diversi. La ricostruzione delle economie nazionali, la promozione politica dei paesi sottosviluppati, la frammentazione delle aree

    Dall'inizio del XX secolo, ricordiamolo, la decomposizione della filosofia individualista, la degradazione della democrazia politica, la trasformazione del capitalismo, la chiusura delle ecodi distribuzione, il fantasma permanente della sovrapproduzione, la difesa del pieno impiego e l'instaurazione della giustizia sociale esigono, infatti, in numerose circostanze, il ricorso all'adozione di tecniche pianificatrici. Così, poiché le tecniche di pianificazione, nella presente congiuntura economica, sembrano ridiventare attuali, ci è parso opportuno tentarne un rapido inventario.
    Tuttavia, desiderosi di sfuggire all'errore frequentemente correlato ad analisi del tutto teoriche, noi abbiamo ritenuto preferìbile, al fine di concretizzarne gli aspetti e i meccanismi, illustrare la nostra esposizione con costanti riferimenti ad un'esperienza originale di economia controllata, ossia l'esperienza del Terzo Reich nazionalsocialista.
    Noi studieremo dunque, nella presente opera, le tecniche di controllo dell'economia utilizzate, nel corso della sua breve esistenza, dall'apparato politico del Terzo Reich.

    INDICE

    Nazionalsocialismo ed economia
    Prefazione
    Introduzione

    Prima parte.- CARATTERISTICHE DELL'ECONOMIA TEDESCA NEL 1933
    Capitolo unico: GLI ELEMENTI FONDAMENTALI DELL'ECONOMIA TEDESCA

    Seconda parte: EMPIRISMO ECONOMICO E PIANIFICAZIONE

    Capitolo I: LA LIQUIDAZIONE DELL'ECONOMIA LIBERALE
    Capitolo II: IL GOVERNO NAZIONALSOCIALISTA AL POTERE E LA NUOVA POLITICA ECONOMICA

    Terza parte: L'ECONOMIA ORIENTATA E LE SUE NUOVE TECNICHE
    Capitolo I: L'AZIONE POLITICA NEL SETTORE FINANZIARIO
    Capitolo II: L'AZIONE DEL POTERE POLITICO NEL SETTORE DELLA PRODUZIONE
    Capitolo III: L'AZIONE DEL POTERE POLITICO NELLA FASE DELLA DISTRIBUZIONE
    Capitolo IV: L'AZIONE DEL POTERE POLITICO NELLA FASE DEL CONSUMO
    Capitolo V: L'AZIONE DEL POTERE POLITICO NEL SETTORE SOCIALE
    Capitolo VI: L'AZIONE DEL POTERE POLITICO NEL SETTORE AGRICOLO

    Capitolo VII: LA GERMANIA ALLA VIGILIA DELLA GUERRA: BILANCI E RISULTATI
    Quarta parte: L'ECONOMIA DI GUERRA

    Capitolo I: IL CONTROLLO DELLA PRODUZIONE E LA RIFONDAZIONE DELL'ORGANIZZAZIONE PROFESSIONALE
    Capitolo II: IL FINANZIAMENTO DELLA GUERRA
    Conclusione
    ████████

    ████████

    Gli umori corrodono il marmo

  7. #17
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    Predefinito Re: Letture consigliate

    La politica sociale del III Reich



    Timothy W. Mason
    Bruno Mondadori, pagg.365

    Di recente, la Casa Editrice Bruno Mondadori ha encomiabilmente riproposto questo pregevole saggio dello scomparso Thimothy W. Mason (già docente di Storia moderna al St. Peter's College di Oxford). Esso rappresenta un contributo importante allo studio dei rapporti sociali e delle relazioni fra i ceti nella Germania nazionalsocialista.
    Con l'avvento al potere di Adolf Hitler, a circa due milioni e mezzo di disoccupati venne rapidamente trovata un'occupazione regolare. Secondo i dati riportati dall'Autore, inoltre, "Fra l'inizio del 1933 e l'autunno del 1936 il numero degli occupati aumentò […] di 6,3 milioni, quello dei disoccupati diminuì di circa 4,9 milioni".
    Le efficaci misure adottate dal Governo nazionalsocialista privilegiavano l'assunzione di disoccupati maschi. "Lo strumento più efficace - scrive Mason - si rivelò la concessione di prestiti matrimoniali statali alle operaie che dopo la contrazione del matrimonio abbandonavano il posto di lavoro". A causa della crisi economica internazionale, molte giovani coppie erano state costrette all'inizio degli anni Trenta a rinunciare a sposarsi: da 597.000 nel 1929 il numero dei matrimoni era diminuito a 516.000 nel 1932. "In seguito all'assegnazione da parte dello Stato di 366.000 prestiti matrimoniali - continua l'Autore -, nel 1933 e 1934 il numero dei matrimoni salì rapidamente a 638.600 e 740.200 […]. Il prestito medio ammontava a 600 RM. In tal modo si perseguivano contemporaneamente parecchi obiettivi politici: l'agevolazione a sposarsi in un periodo di gravi difficoltà economiche doveva necessariamente incontrare l'apprezzamento della cerchia di persone che ne traeva beneficio; nello stesso tempo si rendevano liberi posti di lavoro per altri, spesso uomini adulti. Il provvedimento doveva altresì ripercuotersi favorevolmente sulla crescita demografica, in quanto l'ammontare della somma da rimborsare del prestito veniva ridotta di un terzo per ogni figlio".
    Gli uffici del lavoro cercarono anche "di colmare l'ozio coatto dei disoccupati con corsi di qualificazione professionale". Per tale via si preparava l'inserimento nell'industria di un congruo numero di operai specializzati. Nel 1933 i corsi furono frequentati "da 116.000 impiegati e da 169.000 operai dell'industria".
    Per quanto attiene strettamente alla politica sociale nazionalsocialista, bisogna ricordare l'organizzazione del tempo libero denominata "Kraft durch Freude", attraverso la quale si cercò di finalizzare il tempo libero e l'attività ricreativa dei lavoratori al recupero delle energie psichiche e fisiche e quindi all'aumento del rendimento. "Kraft durch Freude" diede il via "alla costruzione di una propria organizzazione di turismo di massa e a una propria industria del divertimento. Vennero presto promossi concerti sinfonici nelle aziende, viaggi in nave fino a Madeira, "serate di varietà", spettacoli teatrali e sport popolare. "Furono costruiti grandi stabilimenti balneari e la distribuzione di una "vettura KDF" fu bloccata solo dalla guerra. Un'operazione organizzativa gigantesca trasformò il paesaggio naturale e la cultura in beni di consumo che rese accessibili a tutti ponendoli al servizio della gioia di vivere politica e dell'incremento produttivo". Ai viaggi turistici presero parte nel 1938 oltre dieci milioni di persone. Nello stesso anno i partecipanti alle attività ricreative furono 54,6 milioni! A testimonianza della popolarità di KDF, Mason ricorda che il volume d'affari della stessa raggiunse alla fine degli anni Trenta i 2,5 miliardi di RM.


    LA POLITICA SOCIALE DEL III REICH

    INDICE
    1. L’eredità della rivoluzione di Novembre per il nazionalsocialismo
    2. Il nazionalsocialismo e la classe operaia fino al maggio 1933
    3. La ridefinizione dei rapporti di classe
    4. Le condizioni della classe operaia in Germania dal 1933 al 1936
    5. Politica sociale e ideologia sociale dal 1934 al 1936
    6. Politica sociale, riarmo e guerra (settembre 1936-dicembre 1939)



    PARTE DEL LIBRO POTETE LEGGERLA QUI:
    La politica sociale del Terzo Reich - Timothy W. Mason - Google Libri
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  8. #18
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    Predefinito Re: Letture consigliate

    Stalin, Hitler, la rivoluzione bolscevica mondiale
    Vladimir Bogdanovic Rezun (Suvorov, Viktor)
    Anno: 2000
    Pagine: 507




    Estratto del libro
    "Quando incontrai per la prima volta Viktor Suvorov, lui era già tutto preso da questo libro, snocciolava cifre e fatti, non era letteralmente in grado di parlare d'altro, e tuttavia per molti anni non si risolse a mettere il tutto nero su bianco, forse perché incapace di credere lui stesso fino in fondo alle sue conclusioni o forse per timore di sciupare il suo progetto, dubitando che gli avrebbero prestato ascolto. L'acquario, che gli avrebbe procurato una fama mondiale, non era ancora stato scritto, era uscita soltanto la sua prima opera, Il liberatore, una serie di racconti autobiografici sulla sua esperienza di soldato sovietico nella Praga del 1968. Fu comunque questo libro che ci fece incontrare. Il "Times" me lo inviò per una recensione, e io fui quasi l'unico a tesserne le lodi sulla stampa.
    Ora è buffo ricordarlo, ma in quegli anni lontani l'anticomunismo, o anche semplicemente un atteggiamento negativo nei confronti dell'Unione Sovietica, appariva quasi una brutta malattia agli occhi dell'intelligencija occidentale, e un onesto scrittore di costume del socialismo avanzato non solo non poteva contare sul riconoscimento del suo talento, ma neppure su una qualsivoglia recensione. A ben pochi di noi fu dato, all'epoca, di aprire una breccia nel muro del silenzio".
    (Dalla prefazione Un monumento alla cecità umana di Vladimir Bukovskij)
    Quarta di copertina
    Primo di una trilogia dedicata all'argomento, questo libro capovolge l'opinione comune diffusa sulla seconda guerra mondiale. Riscrive la storia di questo conflitto e del ruolo che ha avuto Stalin nella sua lunga progettazione e nel suo svolgimento.
    L'Autore fa un esame dettagliato, dal punto di vista militare, della preparazione militare e ideologica della guerra e dell’apparato bellico sovietico. Si avvale non di archivi o di fonti dei servizi segreti ma di pubblicazioni ufficiali, accessibili a ciascuno: manuali diffusi nelle scuole militari, riviste militari, quotidiani, come la "Pravda", periodici e altri scritti, fra cui l'opera omnia di Stalin. Nel libro, Suvorov si chiede come sia accaduto che, di fronte a questa mole di materiali, nessuno abbia capito quale sia stato l'effettivo svolgersi della guerra e quali siano stati il progetto, la tattica e la strategia sovietici.
    L'Autore dimostra come Stalin abbia auspicato e preparato la guerra (addirittura fin dagli anni venti), ritenendola, sulla scia di Lenin, adatta per innescare la rivoluzione proletaria. Rispetto a questa, appunto, Hitler avrebbe fatto da nave rompighiaccio (questo il soprannome attribuito a Hitler dai sovietici). Il progetto di Stalin era d'invadere e di occupare l'Europa. Suvorov spiega, inoltre, come Stalin sia riuscito ad apparire non l'effettivo iniziatore della guerra, ma addirittura una parte lesa, sedendosi, nelle trattative, dalla parte dei vincitori.
    Suvorov scrive con una semplicità e una chiarezza esemplari, senza indulgere alla retorica dei sentimenti, esponendo il materiale senza colorazioni. La sua scrittura risulta convincente e efficace.


    Prefazione, Un monumento alla cecità umana, di Vladimir Bukovskij
    Chi ha dato inizio alla seconda guerra mondiale?

    Capitolo I, Il cammino verso la felicità
    Capitolo II, Il nemico principale
    Capitolo III, Perché armare i comunisti?
    Capitolo IV, Perché Stalin spartì la Polonia?
    Capitolo V, Il patto e le sue conseguenze
    Capitolo VI, Quando entrò in guerra l'Unione Sovietica
    Capitolo VII, "L'estensione della base della guerra"
    Capitolo VIII, Perché i cekisti vennero dotati di obici
    Capitolo IX, Perché la zona di protezione venne distrutta alla vigilia della guerra
    Capitolo X, Perché Stalin distrusse la "Linea Stalin"
    Capitolo XI, Partigiani oppure sabotatori?
    Capitolo XII, Perché Stalin aveva dieci corpi aerotrasportati
    Capitolo XIII, Il carro armato alato
    Capitolo XIV, A Berlino!
    Capitolo XV, La fanteria marittima nei boschi della Bielorussia
    Capitolo XVI, Che cos'è un'armata di copertura
    Capitolo XVII, Divisioni da montagna nelle steppe dell'Ucraina
    Capitolo XVIII, La destinazione del primo scaglione strategico
    Capitolo XIX, Stalin a maggio
    Capitolo XX, Le parole e i fatti
    Capitolo XXI, Un amor di pace con le zanne
    Capitolo XXII, Ancora sul comunicato della Tass
    Capitolo XXIII, I distretti militari abbandonati
    Capitolo XXIV, Le divisioni nere
    Capitolo XXV, A proposito di kombrig e komdiv
    Capitolo XXVI, A che scopo venne formato il secondo scaglione strategico
    Capitolo XXVII, Una guerra non dichiarata
    Capitolo XXVIII, Perché Stalin costituì i fronti
    Capitolo XXIX, Perché Stalin non credeva a Churchill
    Capitolo XXX, Perché Stalin non credeva a Richard Sorge
    Capitolo XXXI, In che modo Hitler compromise la guerra
    Capitolo XXXII, Aveva Stalin un piano di guerra?
    Capitolo XXXIII, La guerra che non ci fu

    ████████

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  9. #19
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    Predefinito Re: Letture consigliate

    Il massacro di Katyn? Fu solo l’inizio delle stragi di Stalin

    Mosca si preparava a far guerra al Terzo Reich sognando di giungere sino alle sponde dell’Atlantico. Berlino l’anticipò di un soffio e il disastro che ne seguì fu pagato a caro prezzo da polacchi, baltici, ucraini e finlandesi

    Nei nostri libri storiograficamente corretti – in primis nei testi scolastici – domina ancora la tesi di una pacifica Unione Sovietica proditoriamente aggredita dalla Germania nazionalsocialista. Solo dopo l’implosione del regime di Mosca e l’apertura, parziale, dei suoi archivi, è risultato evidente come anche l’URSS fosse pronta alla guerra. Diversi storici russi e tedeschi – Valerij Danilov, Juri Gorkov, Viktor Suvorov con il suo Stalin, Hitler. La rivoluzione bolscevica mondiale (trad. it. Spirali, Milano 2000), Joachim Hoffmann (1930-2002) e Werner Maser (1922-2007) – documentano infatti che, attaccando di sorpresa Mosca il 22 giugno 1941, Adolf Hitler anticipò semplicemente di alcune settimane le mosse del rivale. Che le forze sovietiche non fossero attestate sulla difensiva, ma positivamente proiettate a occidente, lo rivelano del resto la catastrofe a cui andarono incontro nei primi giorni di guerra e la politica di sterminio attuata durante il ripiegamento caotico e repentino che ne seguì.

    Stalin, Berija e pure Kruscëv
    Infatti, dopo l’attacco tedesco scattato il 22 giugno 1941, l’NKVD (Il Commissariato del popolo per gli affari interni) e l’NKGB (il Commissariato del popolo per la sicurezza dello Stato) decisero di eliminare tutti i “nemici del popolo”: e cioè i delinquenti comuni, i lavoratori coatti e i prigionieri politici accusati di “deviazionismo trotzkista” o di “sciovinismo”. Con l’NKVD di Lavrentij P. Berija che si distinse per solerzia, fu in questo quadro che si consumò il tragico crimine perpetrato nella foresta di Katyn e falsamente attribuito ai nazisti.
    Chi fosse il vero responsabile dei massacri di prigionieri, lavoratori coatti o semplici civili nonché della distruzione di città intere come Chisinau, capitale della Moldovia data alla fiamme il 18 luglio, o Harkov, in Ucraina, era un interrogativo che si posero addirittura gli stessi comandi tedeschi, perplessi di fronte alle dimensioni di quei fenomeni. Per esempio, in un perplesso rapporto del comando tedesco (citato da Alfred-Maurice de Zayas nell’oramai classico The Wehrmacht War Crimes Bureau, 1939-1945, pubblicato originariamente nel 1979, quindi uscito in sette edizioni rivedute tedesche e quattro statunitensi) si legge: «Non risulta che l’ordine provenga da Stalin».

    Del resto, il disfacimento dell’Armata Rossa comportò pure la disgregazione dell’intera struttura socio-economica militarizzata sovietica così che solo il terrore di massa e il controllo ferreo di ogni canale d’informazione impedì il collasso completo del regime. In questo scenario, tutto il potere si concentrò di fatto nei servizi segreti di polizia, ma, anche di principio, le responsabilità politiche degli eccidi ricaddero sull’intera nomenklatura, ivi compreso il Nikita S. Kruscëv; infatti, il futuro “destalinizzatore” prima definì «macellaio dell’Ucraina» il generale Ivan Serov, braccio destro di Berija, poi, dopo la morte di Stalin, ne approvò la nomina alla guida del KGB nel 1954.
    Nella Polonia occupata dai sovietici il terrore era pratica corrente; tra il 1939 e il 1941 circa 1,5 milioni di persone vennero arrestate e deportate, e di loro quasi il 90% morì. Inoltre, secondo lo storico statunitense Carroll Quigley (1910-1977), venne ucciso un terzo dei 320mila polacchi catturati come prigionieri di guerra dall’Armata Rossa nel 1939.

    Fu poi la volta dei Paesi baltici. Il 24 giugno 1941, a Vilekya, cittadina lettone reinquadrata dai sovietici nella Repubblica di Bielorussia, caddero sotto i colpi dell’NKVD diverse decine di prigionieri politici e molti ufficiali lettoni. Il 9 luglio a Tartu, in Estonia, Paese dove addirittura un terzo della popolazione finì eliminato o deportato, furono uccisi 250 detenuti, poi gettati in fosse comuni. Particolare attenzione venne del resto riservata alla Lituania, a grande maggioranza cattolica: sempre nel giugno 1941, nel carcere di Lukisˇke˙s, costruito nel 1904 dallo zar al centro della capitale Vilnius, gran parte dei detenuti fu liquidata, e tra il 24 e il 25 il “massacro di Rainiai” (dal nome della foresta nei pressi della cittadina di Telsˇiai) costò la vita a una ottantina di prigionieri politici. In quel giugno disgraziato, la prigione di Pravienisˇke˙s, presso Kaunas, vide consumarsi anche il massacro di 260 persone, detenuti politici, certo, ma anche tutto il personale del carcere.

    Un’autentica ecatombe
    Né il terrore rosso risparmiò la Finlandia, in guerra con l’URSS dal 1941 al 1944: i reparti sovietici entravano infatti regolarmente nel Paese scandinavo e ne massacravano i civili con una efferatezza documentata dalle fotografie rese pubbliche dal governo di Helsinki solo nel novembre 2006.
    Più a sud, in Bielorussia, le carneficine assunsero dimensioni ancora maggiori: il 22 giugno 1941 a Grodno si contarono oltre 1700 vittime, il 24 a Berezwecz, nei pressi della cittadina di Vitebsk, i morti furono 800 (tra cui numerosi polacchi), altre migliaia di persone perirono durante le marce forzate verso est e la medesima sorte toccò alle migliaia che tra il 24 e il 27 del mese furono ancora oggetto della repressione sovietica a Chervyen, nei pressi di Minsk.

    In Ucraina lo sterminio colpì soprattutto le regioni occidentali, dove forte era la presenza della Chiesa cattolica di rito greco: tra il 23 e il 30 giugno a Leopoli vennero uccisi 4mila prigionieri, epperò ancora il 5 settembre 1959 il giornale comunista locale, Radianska Ukraina, attribuiva il massacro ai “fascisti hitleriani”. Altre numerose vittime (tra le 1500 e le 4mila) furono mietute a Lutsk, quindi a Berezhany, presso Tarnopoli, tra il 22 giugno e il 1° luglio caddero 300 polacchi e molti ucraini, quindi a Vinnitsa, dove i massacrati furono 9mila. A Dubno furono uccisi tutti i prigionieri compresi donne e bambini, a Sambir si contarono 570 morti, a Simferopol, in Crimea, il 31 ottobre 1941 decine di persone vennero massacrate nella locale prigione o nei locali dell’NKVD e così avvenne pure a Jalta il 4 novembre.
    Molte delle fosse comuni in cui i sovietici gettarono sommariamente i prigionieri assassinati furono scoperte dai tedeschi nel 1943, i quali invitarono immediatamente una commissione internazionale a visitarle per fare luce. Eppure quanto accadde in Ucraina venne reso noto solo dopo il 1988.
    In generale, gli stermini erano motivati dal timore che le popolazioni non russe, una volta liberate dal giogo di Mosca, si schierassero con i tedeschi, cosa che peraltro spesso avvenne e spesso in mera funzione anticomunista e patriottica. Vi erano però, da parte sovietica, anche motivazioni squisitamente ideologiche. Nei pressi di Orel, per esempio, una città della Russia sud-occidentale, nel settembre 1941 vennero fucilati oltre 150 prigionieri politici e tra questi alcuni bolscevichi della prima ora poi considerati “antipartito”.

    La memoria, cortissima
    Eppure la verità sulle stragi rosse “dimenticate” fu nota prestissimo.Tra i primi a parlarne vi fu infatti nientemeno che Victor Kravcenko, alto funzionario sovietico riparato negli Stati Uniti nel 1944, il quale nel libro Ho scelto la libertà (trad. it., Longanesi, Milano 1948) scrisse: «Eravamo in parecchi al Sovnarkom [Consiglio dei ministri] a sapere che, più volte, i prigionieri (dei gulag e campi di lavoro ) che non si potevano evacuare venivano fucilati in massa. Ciò avvenne per esempio a Minsk, a Smolensk, a Kiev, a Karkov, nella mia città natale di Dniepropetrovsk e a Zaparozhe […]. Nel kombinat per lavorare il molibdeno, a Nalcik nella Kabardino-Balkaria, Nord-Caucaso, tutti i lavoratori coatti uomini e donne furono uccisi dal NKVD prima dell’arrivo dei tedeschi». Com’è possibile che di tutto questo sangue innocente non vi sia sostanzialmente più memoria?

    Augusto Zuliani

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    Predefinito Re: Letture consigliate

    Un estratto relativo a Jünger tratto dal libro di Luca Leonello Rimbotti “La Profezia del Terzo Regno: dalla Rivoluzione Conservatrice al Nazionalsocialismo”. La scelta di questo stralcio non è casuale, giacché tocca un tasto dolente su come vengano travisate secondo le convenienze figure come quella di questo scrittore (e filosofo).

    Il libro – un fondamentale – è disponibile presso la Thule Italia Editrice



    La storia della Germania divenne con tutto ciò la storia della rivolta dello spirito tedesco contro i suoi oppressori. Che si trattasse di papato o Inquisizione cattolici, oppure più tardi di capitalismo, di ebraismo o di marxismo, in tutto questo gli intellettuali della Rivoluzione Conservatrice non videro che un costante moto di liberazione agire dall’interno: è in questo senso che, da Arminio alla Riforma, dalla Guerra dei Trent’anni fino al re Federico II di Prussia, dalla guerra anti-napoleonica al Secondo Reich e alla Prima Guerra Mondiale, ciò che si vede è lo spirito in rivolta, l’ordine tedesco che si restaura ogni volta contro il disordine anti-tedesco.

    È in questo senso, allo stesso modo, che Jünger, nel suo pamphlet del 1922 Der Kampfals innerer Erlebnis (“La battaglia come esperienza interiore”), tracciò un parallelo tra i Landsknechte, i lanzichenecchi della Guerra dei Trent’anni, e i militanti dei Freikorps e delle altre formazioni del nazionalismo radicale, “induriti” dalla lotta, freddamente risoluti a passare a metodi cruenti all’antica maniera; come, con parole diradicale e vergine brutalità, ripetè nell’Arbeiter:

    Proprio questo fa capire che la Germania dispone ancora di una stirpe d’uomini su cui si può fare assegnamento, e che è capace di fronteggiare l’anarchia. L’incredibile rinascita degli antichi lanzichenecchi in quei reparti che dopo quattro anni di guerra combattevano ancora la loro campagna contro l’Est, la difesa della Slesia, il medievale massacro dei separatisti compiuto con randelli e asce, la protesta contro le sanzioni sottolineata da attentati dinamitardi e da spargimento di sangue, e altre azioni in cui si rivela l’infallibilità e la sicurezza di tiro di un istinto segreto, sono segni lasciati in eredità a una futura storiografia come pietre di paragone.

    Come si vede, la “futura storiografia”, nel nostro caso, sta appunto raccogliendo questo paragone di Jünger, e – diversamente da quanti pensano di disinnescare l’autore tedesco, cercando di farne l’improbabile apostolo “antinazista” di un semplice sistema di simboli – lo sta raccogliendo proprio nel senso da lui voluto: come segno che le attese delle élites rivoluzionario-conservatrici andavano nel senso di una voluta, attesa, auspicata e concreta catastrofe della modernità, dalla quale far nascere il futuro Stato nazionale di rango imperiale: «È l’atmosfera del pantano. Può essere purificata soltanto da esplosioni». Così sintetizzava Jünger la società egualitario-progressista del suo tempo, di fronte alla volontà rivoluzionaria di disintegrarla dalle fondamenta. E lo faceva dal punto di vista di una concezione pienamente escatologica, che dava alla potenza futura, percepita come imminente, i contorni precisi del nazionalismo e del socialismo più oltranzisti: «In tale contesto il socialismo appare come la premessa di una struttura più aspramente autoritaria e il nazionalismo come la premessa di compiti degni di un rango imperiale».

    Al centro di tale ferma, diremmo spietata volontà di realismo, c’è in Jünger, puntuale, immancabile, comune alla stragrande maggioranza degli esponenti della Rivoluzione Conservatrice, la prospettiva millenarista che profetizza un avvenire di certezze assolute: «Attraverso le falle e le giunture di questa torre di Babele, il nostro sguardo scopre già oggi un mondo apocalittico la cui vista gelerebbe il cuore dell’uomo più intrepido». Il disgusto per «l’era del progresso» ingenera in Jünger una frenesia di lotta, al cui sommo siede l’immagine della Germania redenta, collocata nel futuro che viene, e nel quale tutte le storture del passato troveranno giustizia:

    La nostra guerra, nelle profondità del suo cratere, aveva un senso che nessun prodigio di delucidazione è riuscito a dominare. Se ne avvicina l’entusiasmo dei volontari in cui risuonò potentemente la voce del daimon tedesco e si allearono il disgusto dei vecchi valori e il desiderio incosciente di una nuova vita [...] il risultato di questa guerra non è altro che l’accessione ad una Germania più profonda. Che sia proprio così, è un segno che viene a confermare l’instabilità attuale, perché è esattamente la caratteristica di una nuova razza, i cui desideri superano le idee presenti e non si soddisfano ad alcuna immagine del passato.

    In ogni caso, che Jünger non fosse quell’innocente che credono certi suoi attuali estimatori, ma piuttosto un raffinato e insieme rude esponente del nazionalismo rivoluzionario, un esteta della guerra e un teorico della funzione positiva della distruzione attraverso l’uso della violenza, con molti aspetti affini al Nazionalsocialismo, è cosa che cade sotto gli occhi di chiunque voglia vedere. Dal razzismo schietto e radicale all’ideologia della lotta come permanente condizione di una società di guerrieri, fino all’ordine pangermanico e alla rigida gerarchia. Non si tratta di sciocchezzuole. Le bordate antisemite che Jünger sparava ad esempio dalle colonne della “Süddeutsche Monatschefte” verso il 1930, quando si intratteneva sulla «soluzione più propria e rigorosa della questione ebraica», proponendo pure e semplici soluzioni di apartheid, non abbisognano di tante esplicitazioni.

    Jünger occupa in quegli anni posizioni di insuperato oltranzismo, veicola l’ala estremista volkisch unendola alla nuova realtà nazionalsocialista, di cui è uno dei Mitkämpfer, incondizionato compagno d’arme: «Egli si illude di poter realizzare nella realtà la vagheggiata vera rivoluzione dello spirito attraverso l’interazione della tradizionale idea volkisch di nazione abbinata al simbolismo della croce uncinata, ammirata per il suo rivoluzionario attivismo». Egli è favorevole alla lotta violenta, alla dittatura, e dissemina queste sue tendenze con una schietta mistica del sangue: «Derni nicht das Geld wird in ihr die bewegende Kraft darstellen, sondern das Blut», “non è il denaro a rappresentare la forza in movimento, ma il sangue”. E non occorre andare a setacciare più di tanto gli scritti di Jünger sulla stampa combattentistica radicale degli anni Venti e dei primi anni Trenta, per trovare gli argomenti, le parole, i concetti di politica estremista, che maneggiò con la medesima intensità intransigente dei suoi camerati di lotta dell’epoca, nazionalsocialisti compresi. Come si legge nella sua scrittura, a Hitler scampato alle prigioni di Weimar andava la sua ammirazione e alla NSDAP la sua simpatia in quanto movimento fratello del generico nazionalismo, ma schierato su posizioni d’avanguardia socialista e razziale. Un esempio a caso? Questo:

    E anche nel movimento nazionalista nel quale più tardi si sarebbe iniziato a intravedere il primo, assolutamente puro, ma anche molto vago, tentativo della razza, di elevare cioè la questione della razza e del sangue a coloro che dominavano nello Stato, emerge dal buio la figura dello Hitler liberato, una figura che indubbiamente, come quella di Mussolini, risveglia un tipo di comandante del tutto nuovo, e nelle sue file si trovano lavoratori e ufficiali, spalla contro spalla.

    Il fondamentalismo jungeriano utilizzava in quel momento i medesimi registri popolari-razziali di quello nazionalsocialista, se possibile radicalizzandoli. La sua mistica volkisch non si accontenta della politica o dell’ideologia, vuole un “medium” stabilito dal destino fra l’uomo e le forze dell’etere, vuole di più, stabilendo nel sangue questo valore di innalzamento:

    Questo di più è il destino che vincola il singolo a un senso condiviso. Con i sensi percepiamo soltanto i fenomeni manifesti, cresciuti in superficie, ma l’intrico sotterraneo delle radici che ovunque porta alla luce il germoglio, questa trama che è quella realmente vincolante e rispetto alla quale il singolo non significa nulla, perché è da essa che è generato, è il sangue che ce ne dà il presagio: presagio grazie al quale avvertiamo il sentimento lieto di una profonda appartenenza. [...]

    Un popolo senza legami di sangue è una mera massa [...] per una comunità simile non vale la pena di vivere, né di morire, né di generare figli…

    Questa lirica celebrazione delle forze primordiali del sangue, ad un tempo energie telluriche delle radici del popolo e annuncio della luce dell’identità perenne del Volk, ci dimostra che siamo dinanzi ad un vero, piccolo trattato di filosofia razzialista, che si colloca nel più tradizionale dei solchi, quello dei Chamberlain e dei Rosenberg, degli Hauer e dei Gunther.

    La fusione tra uomo e macchina bellica, l’idea di metallizzare lo spirito per elevarlo alle necessità del ruvido combattimento richiesto dall’epoca tecnologica, la filosofia della violenza come mezzo per imporre i nuovi valori di gerarchia eroica, erano tutte opzioni da Jünger innestate sull’assunto secondo il quale la modernità impone le sue leggi impersonali di accettazione serena e coraggiosa degli aspetti più intransigenti e radicali. Per questo motivo «Juünger illustra il grande ideale della guerra, lotta della gioventù contro la stanca sicurezza della vecchia generazione» e sempre per questo motivo «al pari di Spengler, Hitler e molti altri, Jünger è convinto che il ringiovanimento possa attuarsi unicamente mediante la guerra e coloro che cercano di sottrarsi a ‘ questa legge fondamentale della natura sono soltanto “ridicoli”, “peste della civiltà”, responsabili della decadenza della civiltà». Non è possibile equivocare sul posizionamento ultra-bellicista di Jünger, sulla sua vena di fanatico teorico della violenza, se solo se ne leggano alcuni stralci di prosa incitatrice:

    Noi non saremo in nessun luogo al quale non ci abbia spianato la strada la vampata, nel quale il lanciafiamme non abbia eseguito la grande epurazione mediante il nulla. Poiché noi siamo gli autentici, veri ed implacabili nemici del borghese, la sua decomposizione ci diverte. Noi non siamo borghesi. Siamo i figli delle guerre e delle guerre civili, e solo quando sarà spazzato via tutto ciò, questo spettacolo dei circoli ruotanti nel vuoto, potrà dispiegarsi ciò che ancora si cela in noi di naturale, di primordiale, di schiettamente selvatico, di atto a generare realmente col sangue e il seme. Solo allora sarà data la possibilità di nuove forme.

    Non occorre insistere su questo tasto, per comprendere dunque che Jünger è stato tutt’altra cosa da quello oggi dipinto dai divulgatori e prefatori dei suoi romanzi del secondo dopoguerra. Jünger non scriveva sulla stampa liberale e democratica, ma su quella anti-liberale ed anti-democratica dell’oltranzismo nazionalista, dove questi argomenti erano moneta corrente, e quindi ben sapeva cosa stava dicendo e quale ricaduta avrebbero avuto le sue parole.

    Lo Jünger di quel periodo è un più che convinto assertore della lotta estremista contro il sistema democratico, e ricordiamo che nel 1928 entrò in polemica con Hitler, rimproverandone la moderazione nei riguardi del terrorismo rurale della Lanvolksbewegung, da lui invece calorosamente condiviso. E tutto incentrando su un’intransigente ideologia della guerra: «Dal 1923 fino ad almeno il 1934, la scrittura jüngeriana è tutta asservita a un’agitazione politica tendente a ripristinare l’”ordine” e lo stato di guerra e, quindi, la condizione di “guerriero” [...]. Juünger vagheggia una nuova società totale nella quale l’individuo, “guerriero” non solo nella guerra ma in tutta l’esistenza, si realizzi pienamente, costituendo una comunità senza classi, ignara di ogni privilegio di ceto o di casta, regolata dal ritmo del lavoro e retta da un severo ordine gerarchico che integri in sé l’”elementare”, realizzandosi continuamente in un permanente stato di guerra». Le martellanti sollecitazioni jüngeriane circa la necessità di tornare ad essere “barbarici” e di mettere la guerra al centro della società futura sono troppo spesso sottaciute da chi ama fare del romanziere appunto solo un romanziere, dimenticando che egli scriveva sulla stampa pangermanica oltranzista ed era un intellettuale militante dello schieramento nazionalrivoluzionario, e che in ogni caso la sua prosa era prima radicalmente ideologica, e poi magari anche letteraria. Egli offrì un esempio di assoluta intransigenza alla generazione post-bellica, indicò la via della forza e della semplice brutalità. E tale esempio insegnava che «uccidere altri senza esitazione è diventata per lui una consuetudine naturale, e Jünger non nasconde affatto che riuscire a uccidere dei nemici procura anche gioia. Di questo vuol convincere il lettore». Un simile maestro di violenza cruda e senza limiti – un tema assente in questi termini estremi in altri contesti, ad es. in Mein Kampf- trovò i suoi apprendisti, come era altamente probabile che accadesse in quell’epoca rivoluzionaria. E dunque spacciare questo teorico della guerra priva di umanità per un composto, raffinato intellettuale, marchiando chi ne seguì gli insegnamenti come rozzo e primitivo, è un’operazione – penosamente mistificatoria, quanto diffusa fra gli ammiratori odierni del gelido aristòcrate – che falsifica le cose e altera il ruolo storico di un seminatore di princìpi guerreschi di spietata impersonalità.

    Cos’altro occorra ancora, infatti, per chiamare Jünger col suo nome – un nazionalista radicale di orientamento sociale e autoritario, un mistico del germanesimo razziale, un teorico della brutalità necessaria alla lotta, un esaltatore delle virtù militari e belliciste – proprio non sapremmo.
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

 

 
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