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  1. #91
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    Predefinito Re: [*] Biblioteca Repubblicana [*]

    A. Galante Garrone, “Salvemini e Mazzini”, D’Anna, Messina-Firenze 1981




    Questo non è un vero e compiuto libro su Salvemini, e neanche su Mazzini: due libri che a tutt’oggi mancano. È piuttosto un lavoro che vorrebbe presentare, sulla scorta di documenti inediti, il disegno – sia pure approssimativo e frammentario – di un libro che per tanti anni Salvemini sognò di scrivere: la vita di Mazzini, e specialmente la sua giovinezza. Se non giunse mai a tanto (“i versi che pensai e che non scrissi, le parole d’amor che non ti dissi”, come una volta ebbe a scrivermi, tra scherzoso e malinconico), fu solo per l’appassionato impegno politico che sempre più lo travolse, sviandolo non poco dagli studi. Di questo suo continuo tornare col pensiero a Mazzini, ci resta una traccia: gli appunti per le sue lezioni universitarie, in Italia e in America, e per qualche conferenza. Nell’ordinarli e inquadrarli, ho cercato di mettere in luce l’atmosfera in cui nacquero, i problemi dell’ora che li sollecitarono, e anche le nuove interpretazioni storiche che, di volta in volta, essi sembravano suggerire.

    Che cosa è stato Mazzini per Salvemini? Questo, per dirla breve, è l’oggetto della prima e maggior parte di questo mio lavoro. Sarei felice, se ciò servisse a far conoscere un po’ meglio, su qualche punto particolare, sia Mazzini sia il suo storico. Nella seconda parte, Salveminiana, ho voluto ricordare alcuni aspetti dell’uomo: il suo mestiere di storico, la visione del Risorgimento e dell’unità, la fede illuministica, gli ultimi anni.

    Ringrazio tutti gli amici che mi hanno aiutato.

    Dedico il libro a Ada Rossi, nel ricordo di Ernesto.

    Torino, febbraio 1981


    Alessandro Galante Garrone
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    …bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa

  2. #92
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    Predefinito Re: [*] Biblioteca Repubblicana [*]

    L. Salvatorelli, "Unità d'Italia. Saggi storici", Einaudi, Torino 1961






    A confronto di un’altra mia recente raccolta di saggi risorgimentali, questa odierna è meno abbondante e varia, ma più organica e compatta. Essa è sorta quasi da sé intorno a un nucleo centrale, quello dei “Quattro grandi” disegnati – in serie prestabilita sulle colonne de “La Stampa” nel gennaio-febbraio di quest’anno [1961, ndr] – da un angolo di visuale comune: quello della loro opera nazionale, diversa e perfino contraria, ma tuttavia – o anzi, appunto per ciò – convergente nello stato unitario costituzionale-liberale. E l’unità d’Italia, nella sua formazione prossima e remota, è anche il soggetto degli altri articoli, il filo conduttore della loro riunione.
    Negli articoli raggruppati intorno ai quattro centrali sono state operate modificazioni non soltanto formali: talora, anzi, sono stati fusi più articoli insieme. Anche per questa ragione, è apparso incongruo aggiungere le date originarie.
    Vorrei esprimere il voto che questo modesto libro giovi a persuadere il pubblico italiano e straniero del posto capitale che il nostro Risorgimento occupa nella storia dell’Europa moderna, e della piena attualità posseduta tuttora dai valori politici e morali che in esso trovarono la propria affermazione.

    Roma, 2 giugno 1961

    Luigi Salvatorelli
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  3. #93
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    Predefinito Re: [*] Biblioteca Repubblicana [*]

    G. Galasso, "La democrazia da Cattaneo a Rosselli", Le Monnier, Firenze 1982






    La democrazia da Cattaneo a Rosselli. È l’ideale continuazione di un altro volume fortunato della collana, ormai introvabile, Da Mazzini a Salvemini, pubblicato nel 1974, con quel caratteristico sottotitolo, emblematico di una scelta ideale e culturale: “Il pensiero democratico nell’Italia moderna”.

    Galasso, da quello storico di razza che è, riprende il discorso al punto in cui lo aveva interrotto allora. Il volume è dedicato esattamente alla genesi e ai successivi sviluppi del pensiero democratico italiano. Una convinzione di fondo anima l’autore: “partendo dai giorni del giacobinismo, e in forma sempre riconoscibile e piena, la posizione democratica rappresenta una linea autonoma e specifica nel pensiero e nella vita politica del mondo contemporaneo: irriducibile al modulo liberale (come voleva il Croce) o a quello socialista (come vogliono coloro per i quali il socialismo supera e assorbe in sé tutto quanto vi è stato prima in fatto di aspirazioni al binomio ‘giustizia e libertà’)”.

    Galasso parte dalla “ ‘Sfortuna’ di Cattaneo”; è un saggio che originariamente comparve sulla Nuova Antologia, la rivista che ha seguito il corso del pensiero liberal-democratico nei centocinquant’anni della vita italiana, volendo partire dalla prima espressione del gabinetto di Giovan Pietro Vieusseux, cioè l’Antologia nata nel 1821 a Firenze. “Cattaneo e Mazzini”: è il secondo capitolo dell’opera. Una serie di saggi su “i rapporti di Garibaldi con la democrazia”, ivi compreso uno stimolante colloquio con Rosario Romeo, completano il panorama dell’indagine condotta da Galasso sui filoni prevalenti nella sinistra democratica italiana. Non senza una serie di pagine illuminanti dedicate a sinistra storica e democrazia e a sinistra storica e Mezzogiorno.

    La seconda parte del volume è dedicata al secondo Risorgimento, cioè alla lotta al fascismo. Protagonista di queste pagine è Giovanni Amendola, indagato nella sua vocazione alla libertà, ricostruito come campione dell’antifascismo, frugato e penetrato come ideatore di quella “terza via” democratica che alimenterà poi i sogni generosi del partito d’azione e si rifletterà nell’esperienza di Ugo La Malfa, punto di sintesi della storia del partito d’azione e della dialettica secolare del partito repubblicano.

    “Fra Croce e Rosselli”: ecco la terza parte dei saggi raccolti, riordinati o riscritti da Galasso in questo volume. Croce – si ricordi il bellissimo volume su Croce e Gramsci – ha costituito un punto costante e inalterabile di riferimento nel pensiero di Giuseppe Galasso. E qui Croce rivive nella sua dialettica con Salvemini, nella su influenza sulla scuola meridionale, nel suo rapporto coi giovani del gruppo di Nord e Sud di Francesco Compagna cui lo stesso Galasso è stato così legato (si guardino le pagine esemplari su Vittorio De Caprariis), fino al capitolo ricco di riferimenti e di annotazioni originali su politica e analisi economica nel pensiero di Carlo Rosselli.

    Il fondatore di “Giustizia e Libertà” aveva per conto suo rivissuto la lezione crociana ma attraverso la diretta ispirazione repubblicana e mazziniana, che proveniva in lui dalle stesse ascendenze familiari (non a caso il precedente volume Da Mazzini a Salvemini recava una sovraccoperta con una rara immagine di Salvemini affiancato da Carlo e Nello Rosselli).

    La quarta parte del volume si intitola “Le tappe della Repubblica”. Parte dal governo laico di Ferruccio Parri nel 1945 per arrivare a quello che è stato il travaglio delle esperienze repubblicane in questo trentennio, lo sfondo economico-sociale, lo spirito degli anni cinquanta, il passaggio dal centrismo al centro-sinistra. E tutto il volume costituisce un omaggio al filone di democrazia illuministica e riformatrice che comprende insieme Amendola, Gobetti, Rosselli e La Malfa, in una strada tutt’altro che rettilinea e continua.

    “Ma chi vede e intende le cose nelle loro reali dimensioni e nei loro significati più autentici, vede e intende – ecco le conclusioni di Giuseppe Galasso – e può salutare con commosso sentire il filo della democrazia che corre nel pensiero e nello spirito dell’Italia e del mondo contemporaneo; e ne riconosce la robustezza, la forza di resistenza e di espansione, il ruolo di grande componente creativa, ispiratrice, determinante – fra le altre – del nostro orizzonte storiografico e storico. E forse in pochissimi altri paesi l’autonomia e il vigore, oltre che la continuità, del pensiero democratico si impongono all’attenzione dello storico come in Italia”.

    Galasso ha fiducia nello sviluppo della società italiana. “C’è in noi la persuasione, nata e rafforzatasi sul terreno e nella pratica dello studio storico – sono ancora parole della prefazione – che il Risorgimento sia stato e resti la maggiore trasformazione morale e civile dell’Italia moderna; che con esso l’Italia ha acquisito nel mondo contemporaneo – della cui storia la sua è perciò parte integrante e completamente risorta in essa – i titoli e il ruolo di attivo e responsabile comprimario; che, con tutti i suoi aspetti e momenti negativi e i molti vecchi e nuovi nodi irrisolti, la storia dell’Italia unita è quella della formazione e della crescita di una società moderna e progredita in un paese compresso da una stagnazione secolare”.



    Dalle note di copertina
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  4. #94
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    Predefinito Re: [*] Biblioteca Repubblicana [*]

    A. Spinelli, "I repubblicani nel secondo dopoguerra (1943-1953)", Longo, Ravenna 1998






    Nella storia del repubblicanesimo italiano, il 2 giugno 1946 segna il coronamento formale degli ideali risorgimentali e l’inizio di un lungo travaglio. Il delinearsi di una prospettiva riformatrice che per la prima volta nella storia italiana coinvolge sia i fondamenti dello Stato che la definizione di nuovi equilibri economici e sociali, in una fase caratterizzata dal ruolo egemonico assunto dai partiti di massa, coincide per i repubblicani con un ripensamento profondo della propria identità.

    Attraverso un minuzioso e approfondito esame di fonti archivistiche e a stampa assolutamente originali e inedite, l’autore ricostruisce i sofferti passaggi con i quali il Partito Repubblicano Italiano assume una precisa collocazione politica nella nuova realtà istituzionale, individuando nell’immissione della cultura azionista, e in particolare nel contributo di Ugo La Malfa, le radici di una “modernizzazione” che investe i fondamenti ideologici di una forza politica di minoranza, essenziale per cogliere la genesi del sistema politico dell’Italia repubblicana.


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    Predefinito Re: [*] Biblioteca Repubblicana [*]

    C. Fracassi, "La meravigliosa storia della Repubblica dei briganti. Roma 1849. Mazzini-Garibaldi-Mameli", Mursia, Milano 2005




    La notte tra il 24 e il 25 novembre 1848 Pio IX lasciò in incognito Roma e raggiunse Gaeta nel Regno borbonico, dove rimase per più di un anno. La fuga del papa e la conseguente vacanza del potere aprirono nella Città Eterna una stagione straordinaria di lotta politica e di emancipazione civile. Il 9 febbraio 1849 fu proclamata la Repubblica romana che praticava il suffragio universale, promulgava leggi di grande valore sociale e preparava, attraverso aspri dibattiti parlamentari, una Costituzione fortemente innovativa.

    Mentre Giuseppe Mazzini, il pericoloso sovversivo ricercato dalle polizie di mezza Europa, governava al Quirinale e Giuseppe Garibaldi comandava un pittoresco ma disciplinato esercito di volontari, per difendere Roma dall’attacco straniero, arrivò da tutta Italia e dalle principali capitali europee una moltitudine di ragazzi e di ragazze, la “meglio gioventù” di quegli anni febbrili ed esagerati. Furono vinti dalle cannonate dei francesi, corsi in aiuto del papa, ma quei “giovani briganti” scrissero una meravigliosa pagina di storia.

    Con uno stile narrativo incalzante, fresco e avvincente, l’Autore squarcia il velo polveroso che troppo spesso ricopre il nostro Risorgimento e riporta in vita i personaggi e le vicende della Repubblica romana, “uno dei grandi spettacoli della storia”, destinato a concludersi con la sconfitta – che sarebbe durata un secolo – dell’ipotesi di un’Italia repubblicana e democratica.


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    Predefinito Re: [*] Biblioteca Repubblicana [*]

    Arturo Colombo, “Voci e volti della democrazia. Da Gobetti a Bauer”, Le Monnier, Firenze 1990


    Da Piero Gobetti a Riccardo Bauer corre un arco storico di oltre mezzo secolo, che va dalla drammatica crisi politico-sociale del primo dopoguerra fino alle tortuose tappe della rinascita e della ricostruzione: e in mezzo c’è l’esperienza, inquietante e devastante, del fascismo, da cui non ci siamo del tutto liberati. Ma Gobetti e Bauer sono solo due dei “volti” e delle “voci”, che riempiono le pagine del nuovo libro di Arturo Colombo, impegnato a “rivisitare” il dibattito, sempre aperto e problematico, sulla democrazia, mettendo a confronto quanti la democrazia la considerano solo come una forma di governo, come un modo di esercizio del potere, e quanti invece la concepiscono nel senso in cui la intendeva già Francesco Saverio Nitti, come “vita”, come ideale e progetto di vita.
    L’analisi del pensiero democratico italiano, colto fin nelle complesse radici che chiamano in causa il travaglio del risorgimento e del post-risorgimento, diventa l’occasione, singolarmente persuasiva, per mettere a fuoco aspetti e momenti della nostra non facile storia contemporanea, e per riproporre una serie di “volti” di spicco. I fratelli Rosselli, per esempio, Eugenio Chiesa, Ivanoe Bonomi, Altiero Spinelli, Adriano Olivetti, Piero Calamandrei – al di là della “concordia discors” dei loro rispettivi atteggiamenti – diventano così altrettante “voci”, che si affiancano (e, talvolta, si alternano) nella comune volontà di contribuire a comporre un simbolico mosaico di quella “terza forza”, sempre minoritaria ma sempre alla ricerca di “un’altra Italia”, meno ingiusta e meno angusta, quale si ritrova anche nelle prospettive di lotta di alcune figure “minori”, riproposte attraverso incisivi profili, da Giovanni Bassanesi a Franco Clerici, a Sante Garibaldi.
    Ecco perché, nell’attuale, e traumatico, crollo di tante sedicenti “certezze”, troppe volte legate alla pretesa superiorità di una democrazia “diversa” (quella “imposta” dagli epigoni di Marx), chi non rinuncia a credere nel primato dei valori etico-politici, avverte la fertile lezione di vita di questi democratici, impavidi e coerenti, che attraverso la stimolante ricostruzione di Arturo Colombo tornano a “parlarci” e ci aiutano a opporci ai ricorrenti mostri della violenza, dell’intolleranza e del fanatismo ideologico.


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    Predefinito Re: [*] Biblioteca Repubblicana [*]

    L. Zeno, “Ritratto di Carlo Sforza”, Le Monnier, Firenze 1975




    Il “Ritratto di Carlo Sforza” è una biografia esauriente e scrupolosa che percorre tutte le tappe della vita politica di uno dei personaggi dominanti dell’antifascismo democratico, dagli anni lontani della prima formazione a Montignoso, in Lunigiana, a quelli delle responsabilità ministeriali: titolare del dicastero degli Affari Esteri con Giolitti nel ’20, due anni prima della marcia su Roma, tornerà ad esserlo nel febbraio del ’47 con De Gasperi. Di quel trentennio rivivono nelle pagine di Livio Zeno l’attività diplomatica a Parigi, la lunga permanenza all’estero trascorsa nel rifiuto costante e intransigente del fascismo, la partecipazione al primo governo Bonomi, all’indomani della liberazione di Roma, la presidenza della Consulta, la nobile milizia nelle file repubblicane.
    L’autore di questo libro fece parte del gabinetto del conte Sforza nella sua ultima esperienza ministeriale, dal ’47 al ’51, e fu negli ultimi due anni segretario particolare. Come tale partecipò a numerosi consigli atlantici, alle prime riunioni del Consiglio d’Europa e alla conferenza di Santa Margherita. Dal marzo del 1951 fu a Londra quale componente della prima delegazione italiana presso il Consiglio atlantico, quindi a Parigi quale membro del segretariato della Nato, funzione che svolgeva alla morte di Sforza nel settembre del 1952.
    Livio Zeno offre dunque un ritratto di Sforza in cui lo storico si fonde col memorialista, affettuoso e sempre partecipe. Il volume si avvale di esperienze dirette e di ricordi personali, arricchito e documentato di una serie di fondamentali carteggi inediti – “in primis” la corrispondenza con Croce e De Gasperi – che gettano fasci di luce rivelatrice su momenti decisivi della ricostruzione post-bellica. L’appendice al volume di Zeno comprende anche un’ampia scelta d lettere ugualmente inedite tratte dall’epistolario e indirizzate a significative personalità del monto politico italiano ed europeo del secondo dopoguerra, da Togliatti e De Nicola, da Eden a Churchill.


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  8. #98
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    S. Fedele, “I repubblicani di fronte al fascismo (1919-1926)”, Le Monnier, Firenze 1983



    Questa collana è strettamente legata alla storiografia sul movimento repubblicano in Italia. È la collana che ha ospitato vent’anni fa la prima edizione documentata del classico di Spadolini su I repubblicani dopo l’unità (un’opera che si avvia alla quinta edizione). È una collana che ha ospitato gli studi di Luigi Lotti sul repubblicanesimo nella “settimana rossa” e sugli intrecci fra i filoni repubblicani romagnoli e toscani. È la collana che ha accolto il volume di Marina Tesoro su I repubblicani nell’età giolittiana.
    A completare il panorama avviato da Spadolini sul periodo 1870-1900 e continuato da Luigi Lotti e da Marina Tesoro sull’età giolittiana giunge oggi questa opera di rigorosa documentazione e di accurata analisi compiuta da Santi Fedele sui “repubblicani di fronte al fascismo” nell’arco di tempo che va dal 1919 al 1926.
    Il libro di Fedele non si ferma davanti ai tabù della stessa tradizione repubblicana. Affronta con chiarezza e precisione il tema di talune commistioni fra repubblicanesimo e fascismo delle origini, cercando di rievocarne le radici (che vanno individuate – a parte il diffondersi del mito della vittoria mutilata – nel processo di radicalizzazione di ampi settori del movimento operaio e contadino sulle posizioni espresse dal socialismo massimalista, non meno che nel crescente favore riscosso, fra la piccola e la media borghesia, dalle suggestioni del nascente fascismo, tendenzialmente “repubblicano”).
    La salda ispirazione mazziniano-risorgimentale in politica estera e la sempre dominante vocazione democratico-progressista nelle questioni di politica interna saranno tuttavia i fattori determinanti del faticoso ma deciso processo di ripresa del PRI: l’avvento alla guida del partito di un nuovo gruppo dirigente, il gruppo di Giovanni Conti, di Oliviero Zuccarini, di Ferdinando Schiavetti, di Egidio Reale, di Cipriano Facchinetti, la pubblicazione di organi di stampa quali La Voce Repubblicana e La Critica Politica; il risveglio di attività in molte zone di tradizionale presenza repubblicana, ecco gli aspetti salienti del processo di rinnovamento e di rilancio politico e organizzativo che investe il PRI a partire dalla seconda metà del 1920.
    Da qui la decisa opposizione al fascismo giunto al governo della nazione, in un costante impegno di lotta che intimidazioni, persecuzioni e violenze non riusciranno a stroncare e che farà del PRI uno dei più energici partiti d’opposizione alla dittatura fino all’epilogo delle leggi eccezionali del 1926.
    La storia del PRI nel primo dopoguerra, spesso trascurata dalla storiografia o relegata in brevi cenni nelle opere generali sull’argomento, viene qui per la prima volta ricostruita nella sua interezza sulla scorta di un’accurata ricognizione archivistica e di una capillare consultazione della stampa repubblicana del periodo.
    L’autore (già noto per i suoi precedenti lavori, fra i quali una Storia della Concentrazione antifascista 1927-1934, Milano 1976) ripercorre la storia del PRI nel periodo compreso tra la fine della prima guerra mondiale e il definitivo consolidamento al potere della dittatura mussoliniana, inserendola nel più generale contesto della storia italiana di quegli anni ma al contempo approfondendo gli aspetti e i caratteri peculiari dell’elaborazione politica dei repubblicani italiani e della lotta da essi condotta in un periodo cruciale della nostra recente storia nazionale, come interprete di una certa idea della democrazia e di una certa idea dell’Italia.


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    G. Galasso, “Italia democratica. Dai giacobini al Partito d’Azione”, Le Monnier, Firenze 1986

    Nella prospettiva che emerge da questi studi, l’idea democratica non può essere vista come un più o meno ovvio complemento del liberalismo; né come una forma applicabile, e applicata, senza difficoltà ad altre ispirazioni e forze politiche e sociali, come, ad esempio, quelle cattoliche o quelle socialiste. Si hanno certamente denominazioni corrispondenti a indubbie realtà politiche e culturali, come quelle di “democrazia liberale”, “democrazia cristiana”, “democrazia socialista”; o come quelle di “liberalismo democratico” o “socialismo democratico” o “cattolici democratici” e quelle, ancor più impegnative, di “liberal-democratici o “social-democratici” e dei sostantivi corrispondenti, “liberal-democrazia” e “social-democrazia”, nelle quali il trattino di unione vuole esprimere un pensiero e una realtà di completa integrazione dei termini in questione. Sono denominazioni che rispondono ad esigenze varie, storicamente assai significative, alla cui luce vanno analizzate e apprezzate. Si tratta, essenzialmente, di ciò: la democrazia ha espresso nel mondo contemporaneo tendenze e bisogni (istituzionali, politici, sociali, morali), da cui altre grandi forze dello stesso mondo contemporaneo hanno avvertito di non poter prescindere, e con le quali hanno, quindi, cercato mediazioni di vario genere e di ancor più vario successo.
    … Rientra nella logica complessiva di una vicenda storica così ampia e varia nei suoi svolgimenti l’apparenza secondo la quale le trasformazioni dell’idea democratica sembrano, dopo due secoli, assai più evidenti e consistenti della sua continuità. Che cosa lega fra loro – in Italia, ad esempio – un Vincenzo Russo e un Mazzini? un Cattaneo e un Amendola? un De Sanctis e un Bovio? un Cavallotti e un Carlo Rosselli? un Pisacane e un Olivetti? un Giovanni Conti e un Ugo La Malfa? Giacobinismo, nazione e democrazia o “governo sociale” di Mazzini, autogoverno comunitario e federalistico ed economicismo liberistico di Cattaneo, “Sinistra giovane” di De Sanctis, progressismo massonico e positivistico, democrazia e grande economia moderna di Nitti, “nuova democrazia” di Amendola, “Rivoluzione liberale”, “giustizia e libertà”, “comunità”…; infine, lo Stato sociale. Tappe innumerevoli, e trasformazioni così pregnanti da equivalere a novità irriducibili l’una all’altra (e il quadro è ben più folto di quanto potrebbe far ritenere quel poco che qui si è accennato). Ma – attraverso di esse – la continuità, più o meno latente, della spinta e dell’aspirazione sostanziale alla libertà come democrazia non è meno effettiva. La fiamma che divampò nelle Tredici Colonie e nella Grande Nazione non si è più spenta. Ciò che suggerisce l’osservazione empirica nel mondo del declinante XX secolo è anche l’indicazione imposta da una lettura storica attenta e fedele del mondo contemporaneo.

    (Dalla “Prefazione” di Giuseppe Galasso)
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    Adolfo Omodeo, “L’età del Risorgimento italiano”, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1965



    INTRODUZIONE


    Per intendere il Risorgimento, cioè il moto per cui le diverse popolazioni italiane suddivise da milletrecento anni in stati diversi e fra loro contrastanti si riconobbero e si affermarono popolo unico e unito e rivendicarono l’indipendenza dallo straniero e l’interna libertà, bisogna cogliere il processo, non soltanto italiano ma anche di tutto lo spirito europeo, che rese possibile il risorgere e l’affermarsi degli ideali degli avi nostri, e simultaneamente bisogna intendere e seguire la situazione politica europea dalla quale, a volta a volta, scaturivano le possibilità di azione e le difficoltà opposte ai conati della sorgente nazione italiana. Cioè, questo momento storico del popolo italiano, come del resto ogni particolare storia, non è pensabile, né ricostruibile se non come storia universale scrutata da un determinato punto prospettico, in funzione di un problema, nel caso nostro della formazione morale del popolo d’Italia e della sua affermazione politica nel mondo. In questo nesso è il significato della recente storia italiana: la nazionalità italiana nacque da tutto il moto della moderna civiltà europea (nulla lo mostra quanto la vittoria del Risorgimento sul papato i cui interessi eran congiunti alla servitù d’Italia) ed ebbe una significazione universale, e per molti rispetti fu la più elevata e nobile forma dello spirito moderno attuato da italiani in terra d’Italia. Se invece fosse vero l’autoctonismo sterile, che taluno fantastica per un artificioso risveglio del giobertismo, se fosse vero il primato concesso per diritto divino al popolo d’Italia, svanirebbe l’universalità del valore di questa storia; essa sarebbe chiusa, particolare storia di fronte agli altri popoli di diversa struttura e razza; oltre di che rimarrebbe il problema, pur sempre insolubile, di spiegare con questo retaggio di primato, i secoli della servitù italiana. La vera grandezza umana invece si afferma in discrimine rerum, nella possibilità di perdere e di trionfare, di fallire e di riuscire.
    Si sminuisce un popolo quando lo si faccia simile al principe azzurro cui tutto concorre per il meglio, per un sovrannaturale aiuto; si disconosce la vera grandezza, la quale altro non è se non incremento della storia, che vale per tutti gli uomini e per tutti i paesi, anche quando si afferma la propria patria e si combatte e si muore per essa. E tutti gli uomini del Risorgimento, dal Mazzini al Cavour, dal Garibaldi al Settembrini avevan coscienza di lavorare e di soffrire oltre che per l’Italia per un ideale universalmente umano, che valeva per tutti i popoli. E questa fede palpitava ancora nei migliori combattenti italiani della grande guerra: perché, se per certi riguardi la guerra mondiale rappresenta un altro spirito e nuovi problemi, per certi aspetti e in non pochi animi d’italiani essa era la conclusione del Risorgimento[1].
    Per queste considerazioni ritengo di dover insistere nell’includere ampie sezioni di storia europea, come momento ideale del Risorgimento.
    I primi sintomi di risveglio italiano nel secolo XVIII sono in istretta connessione con la cultura di tutta l’Europa: nel desiderio di rinnovamento razionale, di liberazione da antichi pregiudizi, nello studio di nuove forme di vita e di nuova legislazione. Gli italiani concorrono a questo movimento con le forze migliori: ma si tratta di individui isolati, che non sanno o non possono ancora assumer la direzione degli affari ed avere ascendente sulle moltitudini. Mancando la possibilità di immediata azione, la rivoluzione francese e l’opera rinnovatrice e riordinatrice di Napoleone divengon momenti essenziali della storia del Risorgimento; alla rivoluzione e a Napoleone si appoggiano i riformatori italiani. La società italiana ricostituita dai princìpi rivoluzionari consacrati nel codice napoleonico, l’educazione militare ed amministrativa data dalla rivoluzione e da Napoleone agli italiani, la non sanabile ferita inflitta e dal Direttorio e dall’Impero al potere temporale dei papi sono i presupposti stessi del Risorgimento. Per questo legame l’Italia non può partecipare all’insurrezione delle nazioni contro il primo Impero: troppo essa era legata all’opera napoleonica, e alla nuova civiltà. Il Risorgimento si svolge perciò in unione col moto liberale europeo che difendeva la civiltà rivoluzionaria dai ritorni offensivi dei superstiti seguaci dell’ancien régime, e che ne voleva il compimento sia nei liberi ordinamenti interni, sia nella ricostituzione della nazionalità che Napoleone, all’apice della sua potenza, aveva il torto d’offendere.
    E gli uomini del nostro Risorgimento, che furono nella massima parte uomini aperti allo spirito della moderna civiltà europea (a renderli tali non poco influirono i lunghi esili) attuarono questo sviluppo armonico dell’indipendenza nazionale con le libere istituzioni nella penisola. E lottarono spesso contro la volontà di ristarsi da parte dei popoli che per sé avevan conseguito la libertà e temevano la formazione di nuove nazioni; impiegarono ai propri fini la revisione e il completamento del programma napoleonico propostisi dal fondatore del secondo impero; si sforzarono di render reale una collaborazione e un’armonia dei liberi popoli, colla funzione europea di Mazzini, di Cavour e di Garibaldi.
    Sicché, quando nuove formazioni storiche che negavano i princìpi che avevano costituito l’Italia, scatenarono la guerra mondiale, la risorta nazione fu condotta dalla coscienza della propria origine a schierarsi contro gl’imperi centrali, non ostante l’alleanza, che per lunghi anni aveva mantenuto con essi, per attuare la pace europea.
    Queste considerazioni esigono che non poca parte della storia d’Europa, cioè in sostanza dell’umana civiltà, sia assimilata come ineliminabile momento della nuova storia d’Italia, e che la storia d’Italia s’inserisca nella storia d’Europa del secolo XIX come culmine d’un grande processo. Nel nesso organico della storia umana è il significato e la grandezza del Risorgimento.
    Questa è, a parer mio, l’unica via per cui si possa tendere ad un adeguato concetto del Risorgimento.


    Adolfo Omodeo


    [1] Se ne vedano i documenti da me raccolti nell’opera Momenti della vita di guerra, Laterza, Bari, 1934.
    Il mio stile è vecchio...come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore...

    …bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa

 

 
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