di Paolo Soddu – In C. Scibilia (a cura di), “Centenario della nascita di Ugo La Malfa. Apertura ufficiale delle celebrazioni. Palermo, 15-16 maggio 2003. Atti”, Roma 2003, pp. 143-157.
La Sicilia degli anni giovanili
Una “giovinezza difficile in un’isola deserta”, riscattata dall’ “evasione verso il Nord” per gli studi universitari, definì Ugo La Malfa, nel libro-intervista con Alberto Ronchey i suoi anni siciliani.
Con Oriana Fallaci, proponeva una comparazione, che costituisce una significativa spia per comprendere i caratteri che nutrirono il suo impegno riformatore, tra la Sicilia e la Russia, entrambe “così depresse, così tristi”: “Mica la capiva il piemontese Togliatti, la Russia. La capivo io, siciliano”. Questa scettica visione della sua regione era in lui davvero molto radicata e illumina, a ben vedere, anche le modalità – così in contrasto con l’immagine di sé sapientemente e lungamente costruita – con le quali si articolò la sua presenza politica nell’Isola.
La tradizionale visione del Sud e della Sicilia depressi e arretrati, tali da delineare una “Questione meridionale” che ha accompagnato l’Italia unita, è stata negli ultimi decenni criticamente rivisitata. Nella rielaborazione della memoria di La Malfa prevaleva però la Sicilia tradizionale, immobile e immodificabile, la cui arretratezza, frutto della sua decadenza, la poneva fuori dei tempi e degli eventi della modernità.
In La Malfa il costante riferimento all’arretratezza meridionale era un richiamo ai limiti della democrazia italiana, alla fragilità della modernizzazione del Paese, sicché gli appariva sinistramente presente il rischio, avvertito negli ultimi anni della sua vita come incombente, di una fuoriuscita del nostro Paese dall’Occidente e dall’Europa. Come nessun altro uomo politico del secondo dopoguerra, La Malfa sentì – si potrebbe dire – il carattere di frontiera del nostro Paese, sospeso tra l’Occidente avanzato e il Mediterraneo levantino.
Primo di tre figli, Ugo Giuseppe Filippo La Malfa nacque a Palermo, nella casa di via Brasa 24, all’una del 16 maggio 1903. Il padre Vincenzo, nato nel 1873, era originario di Piazza Armerina. In una regione in cui, nel 1901 oltre il 70% della popolazione era analfabeta, Vincenzo La Malfa aveva ottenuto la licenza tecnica. Agente prima, appuntato poi delle guardie di pubblica sicurezza, fu promosso maresciallo poco prima del collocamento a riposo. Non ebbe un grande peso nella sua educazione, soprattutto per la presenza predominante della madre, Filomena Imbornone. Ha osservato nel 1982 la nipote Luisa: “Mio padre è stato nelle sue origini un meridionale piuttosto povero, di quella povertà orgogliosa che scaturisce da una tradizione per metà di piccola nobiltà decaduta (la famiglia di mia nonna) e per metà di piccola borghesia con aspirazioni di ascesa sociale. La volontà, l’intelligenza incolta ma acutissima di mia nonna credo che abbiano avuto parte non piccola non soltanto nel suo retaggio genetico ma anche nella formazione di una personalità forte e volitiva”.
“Con grande venerazione La Malfa ricordava la madre”, ha scritto Sergio Telmon, tanto che, rimasta vedova nel 1948, Filomena Imbornone andò a vivere con la famiglia del primogenito, trascorrendovi il resto della lunga esistenza, fino alla morte avvenuta nel 1970. Ci fu forse un solo campo nel quale dovette soccombere: religiosissima, tentò di inculcare al fede al figlio, ma dovette desistere. E nel distacco totale, che risale agli anni giovanili, dall’aspetto trascendente dell’esistenza risiedono le fondamenta anche del suo approccio, fatto di insofferenza, ma anche di incomprensione, almeno negli anni del Partito d’azione, nei riguardi degli aspetti religiosi che pure la politica contiene.
Il fratello minore, Renato, ha definito quella della famiglia La Malfa “una vita modestissima, anche di rinunce, di rigore”, attenuata tuttavia da vestigia di un’educazione superiore, come le lezioni di pianoforte per i maschi e di danza per Olga, voluta da Filomena, perché “simbolo della condizione borghese che era stata degli Imbornone e doveva essere dei La Malfa”.
La figura materna, con la severa, accanita ricerca di una rivincita del misero presente di contro a una condizione se non di floridezza, quantomeno, anche se verosimilmente mitizzata, di agiatezza perduta, non era soltanto un dato biografico destinato a segnare in modo indelebile il primogenito, ma assurse ai suoi occhi a completamento della metafora sul Mezzogiorno: l’arretratezza era solo un aspetto, il più visibile, ma essa era “espressione di una civiltà perduta e non di un paese sottosviluppato”.
Poco dopo la nascita di Ugo, i La Malfa si trasferirono in via Francesco Perez, vicino al fiume Oreto, ove nacquero Renato, nel 1905, e Olga, nel 1908. Le ristrettezza economiche sognarono le scelte scolastiche di Ugo: dopo avere frequentato le scuole elementari di piazza Marmi, frequentò i tre anni della scuola tecnica al Cagini e in seguito passò alla sezione di ragioneria e commercio dell’istituto tecnico Filippo Parlatore. Furono studi regolari.
Dopo il diploma, conseguito nel 1920, optò per l’iscrizione a giurisprudenza all’Università di Palermo e a tal fine studiò privatamente per un anno, conseguendo la maturità classica, indispensabile per accedere a quegli studi. In effetti, nell’autunno 1920 si iscrisse, ma mutò rapidamente progetti, dato che il 30 novembre era registrato a Ca’ Foscari.
La scelta di Venezia fu una decisiva svolta nell’esistenza di La Malfa, e non solo perché poté operare un’importante esperienza formativa fuori dell’Isola. A Venezia, infatti, avvenne la sua maturazione politica. Fino a quel momento, egli aveva profuso il proprio impegno nello studio. Nella città degli anni universitari si confrontò immediatamente con il movimento dei fasci e scelse subito, con istinto, da che parte stare.
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