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    Lightbulb Omaggio al Conte de Gobineau : 14 luglio 1816 - 14 luglio 2009...

    Omaggio al Conte de Gobineau (Ville-d'Avray, 14 luglio 1816 – Torino, 13 ottobre 1882) , grande pensatore e scrittore franco-normanno!
    Proprio il 14 luglio , nel giorno della tragica farsa della presa della bastiglia e della pseudo-rivoluzione anti-francese , nasceva quel grande indimenticabile genio che fu il Conte de Gobineau ; amico e collaboratore di Alexis De Tocqueville , nonché critico e nemico acerrimo del centralismo statalista giacobino , cantore delle libertà locali e dell’individualismo aristocratico ariano ed uno dei più eccelsi uomini di cultura dell’Europa dell’800. A lui dedico questo 3d.
    Il 14 luglio è la data della nascita di Gobineau , punto.
    Sempre da leggere la sua monumentale opera che l’ha reso celebre presso i posteri : “Essai sur l'Inégalité des Races Humaines” (Paris, 1853-1855) , che potete trovare completo nell’originale francese qui :


    Essai sur l'inégalité des races humaines, testo originale liberamente disponibile in rete
    http://classiques.uqac.ca/classiques...ite_races.html

    La traduzione italiana è la seguente , un classico che non può mancare nella vostra biblioteca :

    Joseph-Arthur de Gobineau , Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane , Rizzoli , Milano , 1997.

    Inoltre ci sono altri suoi diversi scritti interessanti che potete trovare : saggi , novelle e romanzi , anche se l'Essai resterà sempre il suo libro monumentale da culto...

    Per citare Lorenzoni :


    “Gobineau rimarrà per sempre , insieme a Nietzsche , uno dei due più grandi pensatori dell’Europa del XIX secolo.”
    Silvio Waldner , La deformazione della natura , Edizioni di Ar , 1997 , p.29

    Dall’introduzione delle edizioni di Ar :

    “De Gobineau - Saggio sull’Ineguaglianza delle Razze Umane - Ristampa anastatica in 300 esemplari numerati dell’edizione del 1964
    Una ricognizione sui casi biologici della forma assoluta. Non un testo razzista, per come si intende il razzismo in seno alla modernità: cioè come singulto xenofobo, espressione di captivitas diaboli personale. Così lontano, quel testo, dalla modernità, non era il grimaldello per alcuna campagna avversativa. Era piuttosto l'occasione per una meditazione profonda intorno ai lineamenti dell'umano. Vi si invocava la purezza: quella purezza che, qualora sia predicata, nelle chiese, dai profeti del cristianesimo, viene accolta dai più come bella e buona. Purezza è gentilezza, gentilezza è appartenenza a una gens: precisione di profili, non meticciato. Le varie genti, diverse come sono diversi animali e piante, gli animali tra loro, le piante tra loro, le razze degli alani e quelle dei setter, avrebbero dovuto adoperarsi a creare l'armonia di una contiguità che non fosse confusione. L'opera di de Gobineau celebrava, implicitamente, le migliori espressioni dell' humanitas: il rispetto, l'attenzione reciproca, la fedeltà, la bellezza del particolare. Di contro al disordine del caotico, dell'informe, del mucchio di sabbia, ecco le sei colonne bianche del tempio, il triangolo del timpano, il fregio non sovrabbondante, non insufficiente: il tempio dove ogni singolo devoto parla a un Dio. Finché l'architettura non sarà detta un sopruso, allo stesso modo, non potrà esserlo la teoria del razzismo, che a ogni tipo vuole riconoscere la propria specificazione – l'impressione della radice.”

    http://www.edizionidiar.com/collanaiperboreietiopi.asp
    “Dal caos alla forma , di Massimo Pacilio
    Il pensiero sulla razza, configuratosi, da de Gobineau a Evola, come ricerca di ciò che potremmo definire il sigillo iperboreo – il deposito spirituale sedimentatosi nell’anima e nel sangue delle popolazioni indoeuropee –, ha rappresentato una delle forme assunte dalla coscienza-di-sé nella civiltà occidentale, tra il XIX e il XX secolo.
    La stesura dell’Essai sur l’inégalité des races humaines (1853-55), di Arthur de Gobineau – la cui versione italiana è stata il testo incipit delle Edizioni di Ar, nel 1964 –, rappresenta il primo tentativo di definire una nuova e organica prospettiva da cui re-interpretare la storia e gettare le fondamenta di una più complessa Weltanschauung. In linea con lo spirito ottocentesco, ancora erede di un mondo fedele al primato della forma , il conte de Gobineau rivisita le epoche della storia alla luce di una nuova dottrina, secondo la quale l’ibridazione viene considerata la causa principale del declino delle razze portatrici di civiltà. La volontà di conservare una propria integrità è l’effetto dell’insopprimibile
    istinto di sopravvivenza e di affermazione di una stirpe, e costituisce, in altri termini, il limite al di là del quale la stessa razza, e con essa la civiltà che ne è derivata, scompare definitivamente dall’orizzonte della storia.
    Il saggio del de Gobineau intendeva rappresentare un punto di vista alternativo alle concezioni illuministiche, che, con forte impronta egualitaristica, dispiegavano sulla ricerca storica il disegno di una definitiva affermazione dell’idea di progresso indefinito. Secondo il saggista francese, invece, la storia è, in sintesi, un conflitto di razze, e i cambiamenti ingenerati nelle vicende umane ne sono la conseguenza diretta. Egli si dimostra, in ciò, immune dall’idea di progresso e dalla credenza, tutta moderna e razionalistica, secondo la quale l’uomo sia perfettibile all’infinito. I giudizi dei suoi contemporanei sulla superiorità delle moderne conoscenze scientifiche, sulle conquiste della tecnica e sullo sviluppo della giurisprudenza e della politica erano da lui reputati come “alte pretese” . Una precisa affermazione delle differenze, dunque, che tiene le distanze dalla superstizione illuministica dell’uguaglianza; un’attestazione della diversità, proprio mentre la praktischen Vernunft imponeva la fissazione concettuale di un astratto essere umano, ipotetico titolare di diritti che non prevedessero variazioni di caso in caso.”


    Personalmente ho pure scritto un saggio di circa 40 pagine che analizza il pensiero di Gobineau , con particolare rilievo alla storia della Grecia e della Persia e relative vicende razziali , analizzando quanto di valido resta nella sua dottrina e cercando di svilupparla ; comunque per ora non lo posso divulgare , probabilmente farà parte di un libro che vorrei provare a pubblicare magari in un prossimo futuro...



    14 Words! - Holuxar
    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
    «Réquiem aetérnam dona ei, Dómine, et lux perpétua lúceat ei. Requiéscat in pace. Amen.»

    SURSUM CORDA - HABEMUS AD DOMINUM!!! A.M.D.G.!!!

  2. #2
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    Arrow Riferimento: Omaggio al Conte de Gobineau : 14 luglio 1816 - 14 luglio 2009...

    Adesso vi riporto questo interessante articolo che analizza , abbastanza bene anche se ci sono per me dei punti di disaccordo , la dottrina di Gobineau integrandola con considerazioni storiche e di più stretta attualità :



    “Di alcuni motivi in Gobineau di Massimo Costa.
    L’esito del secondo conflitto mondiale ha determinato, con la catastrofica sconfitta della Germania nazionalsocialista, anche la fine dell’indipendenza dell’Europa- Inghilterra compresa, malgrado essa fosse uscita vincitrice dalla scellerata guerra fratricida contro la Germania- e, più in generale un fortissimo ridimensionamento del suo ruolo politico internazionale, caratterizzatosi, per molto tempo, in senso egemonico rispetto al resto del mondo.
    Le due potenze vincitrici, Stati Uniti e Unione Sovietica, influenzate, quando non direttamente manovrate entrambe dalla giudeo-plutocrazia (1), hanno instaurato per cinquant’anni un co-dominio sull’Europa, dividendola in due zone politicamente e militarmente separate e frustrandone, attraverso l’illusorio antagonismo della ‘guerra fredda’ (2) le aspirazioni tese alla riconquista della propria autonomia. Ma la subordinazione dell’Europa non si è limitata soltanto alla sfera strettamente politica, ma si è estesa anche a quella ‘culturale’, con il prevalere- sul nostro Continente- di stereotipi comportamentali e di ‘messianiche’ aspettative liberatorie- dall’incredibile superficialità demenziale del cosiddetto american way of life ( modus vivendi molto lontano da quella sorta di weberiano ‘ascetismo intramondano’ proprio dei fondatori degli Stati Uniti d’America, ancora ben presente nella democrazia americana di metà ottocento esaminata da Tocqueville ), agli infernali paradisi promessi dal giudeo-comunismo- che poco o nulla avevano a che vedere con l’asciutto realismo politico e con le più sobrie concezioni morali, tipiche della migliore tradizione culturale indoeuropea.
    A tutto ciò si è aggiunto, fino a sovrapporvisi secondo l’involuzione caratteristica di una sedimentazione cancerogena, quel ‘complesso di colpa’ connesso alla menzogna del genocidio ebraico, che rappresenta- anche e soprattutto dopo la fine della duplice sudditanza dell’Europa sancita a Yalta- non soltanto il più pesante fardello ereditato dalla seconda guerra mondiale, ma anche l’ostacolo maggiore affinché l’Europa torni ad essere se stessa, recuperando la sua indipendenza, i suoi valori fondamentali e, cosa ancora più importante , la propria dignità.
    Infatti attraverso la suggestione del genocidio ebraico- trasformatosi ben presto da evento storico in credenza religiosa prima ( i termini ‘olocausto’ e shoà sono appunto di estrazione religiosa ) e in dogma indiscutibile poi (3)- si è voluto e si vuole ancora oggi mantenere eternamente sotto processo non solo la Germania, ma anche l’intera Europa, instillando nella coscienza dei suoi popoli il veleno corrosivo della vergogna e dell’autodisprezzo, di cui è pervasa l’odierna ‘conoscenza’ dei fondamenti della sua civiltà (4) e che si è patologicamente dilatato fino a diventare, in questi decenni, un vero e proprio complesso di inferiorità nutrito dagli europei nei confronti di tutto ciò che europeo non fosse (5).
    Si è sviluppato così, nel corso degli ultimi sessant’anni- nell’Europa post-bellica- una specie di masochismo etnico (6) caratterizzato da una sindrome autodistruttiva, che conduce in modo inevitabile a considerare in modo fortemente critico, se non addirittura con ribrezzo, tutta la propria storia passata ed a non curare affatto, quindi, la possibilità stessa del prosieguo di tale storia, accettando perciò di buon grado pratiche suicide nei confronti della propria identità etno-culturale, nonché della sussistenza della propria forma politica comunitaria.
    La sudditanza politica dell’Europa si è perciò prolungata in un rinnegamento delle più autentiche radici culturali, fino a diventare una penosissima volontà di ‘espiazione’ delle proprie presunte colpe; e l’accettazione supina di un’immigrazione indiscriminata, rappresenta senz’altro il culmine di questo etno-masochismo, che ha come inevitabile sbocco l’imbastardimento delle popolazioni europee come preludio ad una loro possibile scomparsa definitiva( come dimostrano l’attuale africanizzazione della Francia- fenomeno già denunciato da Rosenberg negli anni ‘30-‘40- l’invecchiamento demografico di importanti paesi europei come Italia, Germania e Spagna e la terzomondizzazione di Stati Uniti e Gran Bretagna).
    Il sistema giudeo-plutocratico ( 7) favorisce così ed alimenta in continuazione le moderne mitologie colpevolizzanti, per raggiungere lo scopo che ormai da tempo si è prefisso: la promozione della formazione, soprattutto nelle due aree geopolitiche- Stati Uniti ed Europa- in cui è storicamente più influente, di una indifferenziata massa di meticci sradicati, cercando di mettere fine, in questo modo, alla storia di quell’etnia- la razza ariana con la sua forza ed i suoi valori fondamentali- che essa sicuramente considera la più pericolosa perché in grado di ostacolare, con maggiore efficacia, l’attuazione del suo dominio su scala mondiale.
    Questo progetto criminale può trovare attuazione inibendo, nelle popolazioni europee e nordamericane bianche ( e che perciò accomuna anche vincitori e vinti dell’ultimo conflitto mondiale), il naturale senso di appartenenza ad un dato paese e ad una ben determinata etnia; un compito che sinora è stato facilitato dalla demonizzazione della questione razziale, derivata direttamente dal complesso olocaustico (8), e che ha trovato quasi esclusivamente in queste due aree del mondo una possibilità di diffusione massiccia, sussistendo invece, in tutte le altre aree del pianeta, ancora una forte coscienza etnica.
    Si commetterebbe perciò un errore a ritenere che oggi, nel cosiddetto ‘mondo occidentale’ vi siano dei paesi dominanti- Stati Uniti e Gran Bretagna- perché usciti vincitori dalla seconda guerra mondiale, che eserciterebbero un predominio ‘talassocratico’ (9) teso al conseguimento del dominio globale: questi paesi sono - e questo è forse il dato nuovo più importante rispetto al termine della seconda guerra mondiale-, al pari degli altri dell’area euro-occidentale, vittime anch’esse della strategia ‘mondialista’ dispiegata dall’oligarchia plutocratica, che piuttosto si è servita di questi due paesi per l’attuazione delle proprie finalità, ma che poi si è già preoccupata di distruggere l’omogeneità del loro tessuto comunitario e razziale ( 10).
    E’ così tutto il mondo ‘bianco’ che viene minacciato nella sua integrità etno-culturale, non solo dal mondialismo plutocratico, ma anche da quelle aree extra-europee che avendo mantenuto una forte omogeneità etnica ed essendo cresciute demograficamente ( anche per il benefico influsso del colonialismo europeo ) rivendicano, proprio contro l’ Occidente- l’adozione di ‘costumi’ e di modi di vivere occidentali non deve trarre in inganno-, spazio vitale e volontà di dominio, contrapponendosi all’Europa nei cui confronti non hanno mai nascosto un atavico rancore.
    Recuperare quindi in Europa una consapevolezza politica, determinabile anzitutto attraverso l’individuazione di nemici ed avversari (11), costituisce l’indispensabile premessa per la rinascita di quella coscienza razziale che rappresenta il più potente antidoto per opporsi al processo di disgregazione politico-culturale ed al progetto di cancellazione delle genti indoeuropee coltivati dalle oligarchie plutocratiche, le quali proprio dell’antirazzismo – fondato su un’idea completamente distorta del ‘razzismo’- hanno fatto il principale strumento culturale della loro prassi distruttiva (12).
    In seguito a tutto quanto si è fin qui rilevato, non può allora meravigliare che la questione razziale sia divenuto il più importante tabù dei nostri tempi- e relativamente alla quale sussiste la più grande confusione pregiudiziale ( come, ad esempio, quella che porta ad identificare il razzismo con l’odio dell’altro invece che con una naturale autostima )- e che perciò necessita non solo di essere ‘sfatata’, quanto soprattutto di essere riproposta nella maniera più corretta ed adeguata alla sua reale consistenza teorica e ricollocata nella sua attualità pratico-politica.
    Non è quindi del tutto inutile, in questo tentativo di rifondazione di una cultura razziale, cominciare a ritrovare nel pensiero di Arthur Gobineau alcuni tratti fondamentali , necessari ad individuare quelle coordinate essenziali utili ad orientare la concretezza dell’azione.
    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
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    "Sarebbe sicuramente limitativo credere che la cultura italiana sia stata e continui ad essere quantomeno refrattaria o poco sensibile al problema razziale, soltanto perché i temi ad esso legati hanno avuto, nel nostro paese, una minore diffusione che non nella storia culturale tedesca del novecento : certo , il nazionalsocialismo, a differenza del fascismo italiano, fece della questione razziale il cardine stesso della sua prassi politica, ma nel fascismo essa è comunque presente in ampi suoi settori ben prima delle leggi del 1938 (13) ed ha continuato a far sentire l’urgenza dei suoi problemi, anche all’interno della cultura non ‘ufficiale’ dell’Italia repubblicana ( 14).
    Vero è piuttosto che il razzismo italiano, fascista, meno sistematico di quello tedesco, strutturandosi, sul finire degli anni trenta, sostanzialmente nei termini di una impostazione scientista e biologista, oppure formandosi sulla base di un’alternativa spesso artificiosa tra materialismo e spiritualismo, senza lo sviluppo di organiche visioni d’insieme del problema, che facessero riferimento anche ai maggiori rappresentanti ‘storici’ del razzismo europeo ( Gobineau, Vacher de Lapouge, Chamberlain ) (15), ed il razzismo post-bellico, caratterizzatosi prevalentemente per la ripresa della dottrina evoliana, e quindi ‘spiritualistico’ nella sua ispirazione fondamentale, non hanno offerto, di questo problema, una visione del tutto esauriente e del tutto equilibrata (16).
    Infatti la questione razziale si presenta, se non in tutti, certamente in alcuni dei suoi principali esponenti- come ad esempio Gobineau- che può essere considerato il suo padre fondatore- in modo unitario ( tratto che poi si ritroverà nelle principali teorie razziste nazionalsocialiste, a torto tacciate di essere meramente biologistiche), cioè non segnata da quel dualismo spirito-materia che invece è stata una tipica prerogativa della nostrana cultura razzista , fascista e post-fascista.
    Nello studio di Gobineau dedicato al problema della razza, il punto di partenza è costituito dal problema della decadenza di una civiltà : civiltà e razza fanno tutt’uno, perché se vi è un declino delle caratteristiche razziali di un popolo, vi è anche - inevitabilmente- la certezza della decadenza di una civiltà ; ed una civiltà- e quindi una razza- è per Gobineau sempre una sintesi tra un aspetto materiale ed uno spirituale : “ …La civiltà non è un fatto, è una serie, un concatenamento di fatti più o meno logicamente uniti gli uni agli altri, generati spesso da un molteplice concorso di idee; idee e fatti si fecondano incessantemente (…) in tutti i casi, la civiltà non è un fatto , è un’insieme di fatti e idee, è uno stato in cui si trova posta una società umana, un ambiente…” (17).
    La corretta definizione del problema razziale presuppone inoltre una considerazione antropologica- anche se non antropocentrica- dell’essere umano, inteso come sintesi di forma e materia, fisico e morale e che lo concepisce come parte di una realtà più vasta- la Natura come ‘piano di immanenza’- entro la quale esso occupa un ruolo importante ma non privilegiato : per cui la considerazione ‘morale’ non assume le connotazioni tipiche che tale termine ha avuto nella tradizione culturale giudaico-cristiana ; la morale non è una manifestazione ‘reattiva’ ( per usare il lessico nietzscheano ) della debolezza umana, è invece un’espressione dell’ordinamento naturale rispetto al quale l’uomo non rappresenta una realtà particolare o una eccezione : “…Faccio-scrive Gobineau- in una parola della Geologia morale. Parlo raramente dell’uomo, ancora più raramente del cittadino o del suddito; sovente, sempre delle differenti frazioni etniche…” (18).
    La ricerca morale o intellettuale è relativa all’analisi del problema della decadenza delle civiltà, ma lo svolgimento concreto di tale analisi si sviluppa secondo le modalità proprie a quello di qualsiasi altro fenomeno naturale : l’aspetto ‘culturale’ o ‘spirituale’ è sempre strettamente connesso con quello naturale, ad esso ‘parallelo’, cioè collocato in una posizione di assoluta equivalenza ; è una ‘chimica storica’ -per usare un’altra definizione gobiniana- che consente la lucida disamina delle cause che stanno all’origine dell’ascesa e del declino delle differenti civiltà umane.
    La teoria razziale di Gobineau nasce dunque per individuare le ragioni che stanno alla base della decadenza delle civiltà ( e non è certamente, quindi, il sintomo o la fonte di un atteggiamento di odio e di ostilità della civiltà europea verso i popoli extraeuropei ): è questo il tema principale del Saggio gobiniano; e la causa fondamentale di tale processo involutivo viene individuata nel misconoscimento o nel progressivo abbandono di un principio basilare, valido tanto in natura quanto nella storia umana, caratteristico sia della reale conoscenza che della costituzione dell’essere- la differenza e la differenziazione del molteplice- al quale viene sostituita l’esangue astrazione, perseguita attraverso il mélange razziale, dell’eguaglianza.
    Il razzismo è così, nella sua più essenziale natura, antiuniversalista e perciò relativista (19) perché comporta sempre una visione pluralistica e differenziata della storia del genere umano che, in Gobineau, può coesistere anche con il riferimento ad una componente religiosa come il cattolicesimo (20), dal momento che sia nel relativismo razziale ‘pagano’ che nella tradizione cattolica è possibile reperire una analoga attenzione per il mantenimento e la tutela delle differenze : se è infatti il tradizionalismo cattolico il cristianesimo cui si riferisce Gobineau, l’antitesi con l’idea pagana dell’antiuniversalismo non ha ragion d’essere, perché in entrambi i casi, è il concetto astratto di uguaglianza, caratteristico invece del cristianesimo primitivo, semitico, ad essere superato (21).
    Il ‘cattolico’ Gobineau non solo fa propria una visione ‘relativista’, che esclude l’astrazione ‘umanità’ a vantaggio appunto della suddivisione pluralista delle differenti razze, ma stabilisce anche una precisa gerarchia tra di esse, individuando come prioritarie – attraverso la concreta ricerca storica- la funzione e l’azione civilizzatrici svolte dalla razza bianca nei confronti delle altre due, quella gialla e quella nera : “…La varietà nera è la più umile e giace al fondo della scala. Il carattere di animalità impresso nella forma del suo bacino le impone il suo destino, sin dal momento del suo concepimento. Essa non abbandonerà mai la più limitata condizione intellettuale…La razza gialla si presenta come l’antitesi di questo tipo…In tutto, tendenza alla mediocrità, comprensione assai facile di ciò che non è né troppo elevato, né troppo profondo, amore dell’utile, rispetto della regola…I gialli sono pratici nel senso stretto del termine…Inventano poco ma sono capaci di apprezzare e di adottare ciò che serve…” (22).
    La ‘superiorità’ dei popoli bianchi- e, al loro interno degli ariani- si definisce ( ed anche qui possiamo vedere quanto infondata ed unilaterale sia stata l’accusa di ‘biologismo’ rivolta a questa teoria razziale ) anzitutto e prevalentemente sulla base di caratteristiche di ordine morale e spirituale (23): l’idea di libertà, la forza del carattere, l’innato senso dell’ordine, le grandi capacità inventive e creative e - soprattutto- il senso dell’onore, sono qualità scarsamente reperibili, quando non del tutto assenti, secondo lo studioso francese, nei popoli gialli e neri (24); affermazioni sicuramente sconcertanti, per noi europei odierni, educati e cresciuti nella cultura dell’autodisprezzo, ma che invece- come vedremo più avanti- sono di una precisione e veridicità ancora straordinariamente attuali.
    E’ dunque questa una concezione che- a differenza di alcune recenti riformulazioni della teoria razziale (25)- pur essendo marcatamente ‘relativista’, cioè critica nei confronti di un’idea astratta ed universalista dell’’umanità’, rifugge comunque da ogni sorta di egualitarismo formalistico ed antiqualitativo tra le differenti etnie, per affermare con forza una strutturazione gerarchica delle stesse, che tuttavia non comporta affatto un atteggiamento di ostilità o di gratuita aggressività verso i popoli non bianchi o non ariani (26).
    Stabilire e determinare una superiorità- di ordine eminentemente morale, intellettuale e spirituale (27), nonché di carattere materiale- dei popoli ariani su quelli semiti, neri e gialli, era trarre- per l’epoca in cui Gobineau è vissuto- una conclusione del tutto evidente, che comunque l’aristocratico francese si premura di documentare e di dimostrare ampiamente con dovizia di particolari eruditi, concernenti le diverse civiltà di cui tratta (28): la razza bianca- tra cui eccelle il tipo ariano- si distingue per il suo impulso civilizzatore : laddove vi è civiltà ( intesa come insieme di valori spirituali e materiali) anche fuori dello spazio occupato dai popoli bianchi- ad esempio in estremo oriente- è perché vi è stato l’influsso e la presenza degli ariani.
    Mentre infatti i popoli neri hanno sviluppato oltre misura quel senso dell’immaginazione, che li rende del tutto incapaci a costruire degli ordinamenti di carattere comunitario e che li mantiene succubi nei confronti della loro costituzione naturale ( l’immaginazione che essi possiedono così abbondantemente, è l’elemento indispensabile per l’arte, ma essa diviene creazione artistica duratura solo a contatto con popolazioni bianche, come nella civiltà ellenica ), nei popoli gialli prevale, al contrario, l’atteggiamento opposto: il senso dell’utile e del vantaggio personale, con la totale assenza di spirito immaginativo; a questo proposito vale la pena evidenziare il giudizio gobiniano sulle popolazioni del lontano oriente, espresso dopo una descrizione sommaria dei loro caratteri somatici (29) . “ … Un’assoluta mancanza di immaginazione, una tendenza unica alla soddisfazione dei bisogni naturali, molta tenacia e buon senso applicati a idee banali o ridicole…Poca o nessuna attività nessuna curiosità di spirito…Di qui il loro orgoglio profondamente convinto e la loro mediocrità non meno caratteristica , dato che non avvertono null’altro che lo stimolo materiale….” (30).
    E’ una rappresentazione delle qualità interiori dei popoli dell’estremo oriente, forse per noi sorprendente o addirittura caricaturale, ma che però ricorda e si avvicina troppo alla ‘morale da schiavi’ tipica di quella ‘cineseria’ tante volte stigmatizzata da Nietzsche pochi decenni dopo, per essere menzognera, e che comunque individua con assoluta sicurezza il carattere ‘servile’ di queste popolazioni che al pari di quelle nere- prigioniere di una rozza e primitiva immaginazione- non possiedono quella qualità che per Gobineau è prerogativa esclusiva degli ariani: l’idea della libertà e del dominio di sé derivate dal senso dell’onore.
    Relativamente poi agli altri popoli non ariani - cioè i semiti- che pure lo studioso francese raggruppa tra i popoli bianchi- le sue considerazioni e i giudizi che espone sono senz’altro più benevoli- è bene ribadire che non v’è traccia di ‘antisemitismo’ nel Saggio - e tuttavia è all’influsso del sangue semitico che egli addebita il declino della civiltà romana ( come di quello della civiltà greca), nei cui confronti tuttavia, - e questa può essere, sotto certi aspetti, una sorpresa- non esprime, nel complesso, una grandissima ammirazione, come testimonia la scarsa considerazione rivolta ad una delle manifestazioni più tipiche di tale civiltà : il diritto romano (31).
    E’ infatti nota la concezione della storia presentata da Gobineau nel Saggio : il processo di civilizzazione che si sviluppa con l’estendersi dell’influenza dei popoli bianchi , o meglio di quelli ariani, a contatto delle altre popolazioni, se in un primo tempo può anche comportare effetti benefici (32), può , se lasciato a se stesso, far degenerare, indebolire ed alla fine distruggere la componente superiore della mescolanza: “ Ogni grado di mescolanza perfetta, infatti, produce, oltre ad una alleanza di elementi diversi, un tipo nuovo, uno sviluppo di facoltà particolari. Appena a una serie di creazioni di questo genere vengono ad aggiungersi ancora altri elementi, la difficoltà di armonizzare il tutto crea l’anarchia, e più questa anarchia aumenta, più gli apporti migliori, più ricchi, più fecondi perdono il loro valore, con la sola loro presenza, aumentano un male che non possono sedare “ (33); è dunque un estendersi della sola mescolanza scriteriata (34) che secondo Gobineau può portare verso quella ‘suprema unità’ ( l’’era dell’unità’ di cui parla al termine del Saggio ) che rappresenta una sorta di ‘inizio della fine’, per l’impossibilità, da parte dell’uomo, di dare origine a nuove forme di civiltà.
    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
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    Arrow Riferimento: Omaggio al Conte de Gobineau : 14 luglio 1816 - 14 luglio 2009...

    Tuttavia il finale cupo del Saggio non deve farci trarre delle affrettate conclusioni, relativamente alla concezione complessiva prospettata da Gobineau: l’aristocratico francese non fa proprie le teorie pessimistiche e rinunciatarie di Schopenhauer, ma si avvicina, almeno in parte - è un aspetto importante che si può rilevare più esplicitamente nell’opera letteraria- alla concezione wagneriana della civiltà medievale e soprattutto al tragicismo nietzscheano : “ Quand la vie n’est pas una bataille, elle n’est rien…Autrefois la bataille avec les autres n’est pas moins vive; mais nous y avons ajouté avec nous-memes une lutte et une guerre plus permanente encore et plus avivée…La gymnastique corporelle a fait place à une gymnastique morale qui ne cesse jamais…” (35); la concezione che dell’uomo ha Gobineau, infatti, non è di tipo ‘adamitico’, perché non presuppone l’idea ( tipica del giudeo-cristianesimo, ma condivisa anche da certo ‘platonismo’) di una condizione paradisiaca di perfezione da cui l’uomo sarebbe- nel corso del tempo storico- decaduto, quanto piuttosto si avvicina a quella spengleriana del raubtier, per una sorta di (sana) ‘cattiveria’ insita nel suo essere, in virtù di una forza che lo porta ad essere un dominatore , un combattente, e che perciò trova soprattutto nella nietzscheana ‘volontà di potenza’ la sua più profonda ragion d’essere.
    Il riferimento a questo come ad altri passi dell’opera gobiniana, che si potrebbero fare- qualora volessimo approfondire sia l’aspetto più propriamente letterario-artistico che quello etnologico del pensiero di Gobineau- rivela come la riflessione gobiniana non si riduca per intero alla pur vasta ricerca rappresentata dal Saggio, ma debba anche essere integrata con l’analisi di altre opere che in parte riprendono alcuni temi già trattati nell’opera principale.
    Ad esempio è stato rilevato (37) come in un romanzo come Le Pleiadi, Gobineau oltrepassi la prospettiva ‘pessimistica’ che almeno di primo acchito sembrerebbe caratterizzare la conclusione del Saggio, per individuare anche in un’epoca segnata dal prevalere della massificazione democratica , la possibilità di superare tale processo di degradazione attraverso lo svilupparsi di personalità eccezionali- les fils du roi- che per molti aspetti richiamano gli uebermenschen nietzscheani: e considerazioni analoghe, sempre concernenti il tema dell’antipessimismo nietzscheano, si potrebbero reperire in altre opere dello studioso francese ( Il Rinascimento, Amadis).
    E così altri importanti approfondimenti , utili per comprendere appieno il Saggio , sono contenute nelle opere dedicate alla lingua e civiltà semitiche ( Trattato delle scritture cuneiformi; Religioni e filosofie dell’Asia centrale), in cui si insiste, tra l’altro, sul carattere profeticamente anarchico, trascendente e negatore della realtà, caratteristico di molta spiritualità araba, contrapposta alla disciplina logica - ma anche intuitiva- tipica invece del pensiero occidentale (38).
    Un discorso a parte poi, meriterebbe anche un tema- quello riguardante alcuni tratti della civiltà cinese- che nel Saggio viene particolarmente approfondito e che mette in luce oltre ad una buona preparazione etnologica ( nel delineare dei risultati che poi sono stati confermati successivamente dalla ricerca scientifica del novecento), anche discrete doti di ‘ preveggenza’ circa la predilezione di questo popolo per quelle forme politiche comunistiche che infatti avrebbero contraddistinto la storia della Cina nel ventesimo secolo.
    Quanto poi al giudizio gobiniano sul pensiero cinese, definito utilitario e formalistico, perché privo di un reale spessore speculativo, se è vero che è forse eccessivamente drastico nella sua unilateralità categorica, è altrettanto vero che probabilmente laddove una originale spiritualità cinese ha avuto luogo, essa si è sviluppata all’interno di una ristretta cerchia intellettuale, e che quindi non rappresenta adeguatamente le caratteristiche strutturali del popolo cinese- formatosi soprattutto nel confucianesimo-, ma solo di una élite, e che comunque tale corrente speculativa si definisce ancora, sostanzialmente in base a quei criteri utilitaristici e pragmatici, seppur formulati in maniera raffinata, evidenziati da Gobineau (39).
    In conclusione il finale agghiacciante con cui si chiude il Saggio, va considerato, quindi, più un monito, un avvertimento, che una apodittica certezza: la visione gobiniana della storia non comporta la decadenza inarrestabile a partire da un ideale origine trascendente, perché essa non si definisce in maniera antitetica rispetto ad un Eden, concepito come luogo di Origine onnicomprensiva; non c’è in Gobineau l’adesione ad una concezione di - teologica - derivazione giudaico-cristiana , fondata sul dualismo essere-divenire, perché la storia gobiniana è anzitutto storia naturale e come non comporta una escatologia non ammette neppure il ritorno verso gli aurorali paradisi dell’età dell’oro.
    E’ questo ciò che vuole dire Gobineau quando presenta la propria indagine come una ricerca di carattere ‘geologico’ o riguardante l’’anatomia delle razze’; è però un naturalismo che non si limita solo ad una asettica descrizione ; dai risultati cui esso conduce è possibile trarre una lezione di ordine morale e politico volta a stimolare una implicazione nella prassi , essendo stato accertato e diagnosticato l’origine del ‘male’: il diffondersi di un meticciato indiscriminato. Non per risalire a ritroso, comunque verso una ‘purezza’ originaria (40) della razza ariana, dal momento che la sua quasi bimillenaria scomparsa non ha tuttavia impedito la nascita e lo svilupparsi di importanti civiltà attraverso una avveduta combinazione dei suoi ( e di altri) popoli; quanto piuttosto per stabilire fino a che punto ed in che misura, una mescolanza può essere ammessa evitando che si crei una sintesi che indebolisca l’elemento più forte e che degeneri infine in quella ‘suprema unità’ , che il pagano ( e cattolico) Gobineau considera un equivalente della fine del genere umano (41).


    Non è certamente solo in riferimento ad una data epoca storica, o più in generale al tempo, che si può giudicare il valore di un’opera, tuttavia quello che colpisce maggiormente nello studio della teoria razziale gobiniana, è proprio la sua ‘attualità’ in relazione a quella che è l’odierna lotta per ristabilire i valori fondamentali della civiltà ariana, e quindi anche la buona dose di ‘preveggenza’ nei confronti dei problemi della realtà contemporanea.
    Quando infatti indica nella possibile ‘suprema unità’, cioè l’unificazione e perciò l’imbastardimento di tutto il genere umano, il pericolo più grande in cui si può incorrere, Gobineau sembra avere previsto, con largo anticipo- anche se l’addebita all’estendersi dell’indiscriminata mescolanza- l’attuazione, da parte dell’oligarchia plutocratica, del progetto mondialista teso appunto all’’omogeneizzazione’ del mondo e centrato sul tentativo di ‘cancellazione’ delle razze umane.
    Allo stesso modo è difficile non riconoscere la giustezza delle riflessioni gobiniane sui popoli non bianchi o non ariani ; soprattutto oggi, dopo che sono crollate anche le ultime utopie terzomondiste, ci si può rendere conto, ad esempio, della incapacità o comunque della grande difficoltà che hanno i popoli neri ad essere padroni del proprio destino, o più semplicemente ad uscire da una situazione di grande disagio materiale pur vivendo in paesi dotati di grandi ricchezze naturali (42), e così altrettanto sicure e calzanti ci sembrano le osservazioni gobiniane sui popoli gialli- visti come un’insieme razziale caratterizzato dalla forte propensione all’utilitarismo e ad un volgare materialismo, in relazione a ciò che esse rappresentano oggi, vale a dire una realtà tanto economicamente esuberante quanto povera sotto il profilo spirituale.
    Come del resto risultano in gran parte condivisibili le considerazioni sulla civiltà araba - per certi versi fanaticamente arrogante , di scarsa inventiva anche se non priva di una intrinseca suggestione estetico-religiosa (43)- e quelle concernenti la cronica inettitudine, da parte degli ebrei, di essere fautori ed artefici di una civiltà originale, limitandosi a svolgere spesso un ruolo quasi esclusivamente parassitario; anche se infatti, gli arabi come gli ebrei ( semiti entrambi) vengono annoverati da Gobineau tra i popoli bianchi ( benché meticci), se ne evidenzia però, con grande acume, la differenza fondamentale rispetto ai popoli ariani: la loro incapacità ad essere fondatori e costruttori di civiltà ed anzi la loro tendenza a rappresentare spesso fattore di corruzione e decadenza proprio per le civiltà ariane ( come accadde nei confronti della civiltà romana e di quella greca).
    Trova oggi quindi ampia conferma la visione ‘leucocentrica’ proposta, a suo tempo, da Gobineau, e la necessità di tornare a ragionare insistendo sulla importanza di valorizzare la storica preminenza politico-culturale dell’Europa ( di un’Europa che abbia recuperato la propria identità etno-culturale ariana)- è forse questa l’indicazione maggiore che si può ricavare per l’immediato, dalle teorie gobiniane- tenendo conto anche di quello che potrebbe essere la probabile prossima ridefinizione dei rapporti politici internazionali, caratterizzati dalla costituzione e dal rafforzamento di blocchi o raggruppamenti etnici molto ben definiti, a seguito di un possibile collasso del progetto mondialista.
    Se è vero infatti che la globalizzazione si struttura anzitutto attraverso il tentativo teso alla creazione di ‘comunità’ multietniche, è anche vero che tale progetto, laddove è già stato messo in pratica ( Stati Uniti, Sudafrica) è andato incontro ad un sostanziale fallimento (44)- rinfocolando anzi antiche conflittualità razziali-e non c’è quindi alcuna ragione- tenendo conto anche della maggiore complessità culturale e storica del nostro Continente- di credere che abbia invece successo il proposito di creare un’Europa multirazziale o imbastardita.
    Si può allora essere sensatamente portati a ipotizzare- nel medio-lungo periodo- un insuccesso della strategia mondialista, proprio in base ai presupposti politici e soprattutto culturali eccessivamente astratti che ne orientano l’attuazione pratica : segnatamente l’idea di un oltrepassamento o di una cancellazione delle distinzioni razziali risulta essere talmente irrealistica ( nella sua assurda pretesa di stravolgere l’ordinamento naturale) per la sua ispirazione mistico-teologica ( cabalistica) (45), da poterla ritenere quantomeno di difficilissima realizzazione.
    Più probabile sembra invece la prospettiva di un mondo suddiviso in molteplici ‘spazi etnici’ - forse proprio come conseguenza del fallimento del progetto mondialista, o parallelamente alla sua sussistenza- che però, se non collocati all’interno di un vero nuovo ordine internazionale, potrebbero costituire la fonte di una conflittualità permanente dai risvolti imprevedibili, il cui luogo di effettuazione potrebbe essere proprio un’Europa ancora priva di una sua ossatura politica e culturale.
    E’ dunque proprio dallo studio dell’opera gobiniana che si possono trarre gli stimoli e gli insegnamenti necessari affinché non soltanto l’Europa non continui ad essere semplice oggetto della volontà di dominio altrui, ma anche perché, una volta riconosciutole nuovamente il suo ruolo centrale nella politica internazionale, cessi di rappresentare una mera ‘espressione geografica’, rischiando addirittura di diventare una semplice appendice afroasiatica, ed invece torni a costituire il perno di quel Nuovo Ordine che dovrebbe impedire, a tutta la civiltà umana, di regredire in quella notte dell’indifferenziato costituita dalla folle utopia giudeo-mondialista, oppure di essere coinvolta in una conflittualità etnica dagli inevitabili esiti distruttivi.
    Tornare a trattare delle teorie gobiniane oggi, non costituisce soltanto un salutare e tonificante esercizio catartico e rigeneratore nei confronti degli pseudovalori di una civiltà, come quella europea odierna, precipitata in un endemico stato depressivo, che la fa sentire perennemente in difetto rispetto a quelle ‘civiltà ‘ che soltanto ieri considerava a sé nettamente inferiori, ma significa anche riproporre una forma particolare di dottrina razziale che pur essendo fondata sulla critica all’astratto universalismo, non esclude una strutturazione gerarchica delle molteplici etnie.
    L’attualità di questa particolare concezione razziale, il suo peculiare significato pratico, risiede nella consapevolezza- nell’Europa odierna ancora quasi del tutto assente- di dover sostenere un confronto, o meglio una sfida, che altri popoli, i quali hanno curato la conservazione di se stessi ed il mantenimento della propria identità tradizionale, stanno già portando- o sono in procinto di portare- ad un’Europa ancora succube delle altrui volontà.
    Il razzismo gobiniano non costituisce, quindi, nel suo eurocentrismo, nel primato assegnato alle virtù civilizzatrici della razza ariana, l’esaltazione di un’aggressività imperialistica progenitrice del ‘mondialismo’ : esso rappresenta , al contrario, una radicale, verrebbe da dire nietzscheana, accettazione di quella differenza strutturale che definisce la natura del genere umano, e che non può esimersi dallo stabilire anche una qualche relazione di priorità egemonica che- evitando gli inconvenienti derivati da una indiscriminata mescolanza- si fonda tuttavia sul riconoscimento di rapporti di forza gerarchicamente definibili.
    L’’egemonia’ ( nell’accezione semantico-teoretica che il concetto di egemonikon possedeva nella filosofia stoica) degli ariani, non deve comportare dunque l’eliminazione delle differenze, bensì la loro corretta ripartizione; ed è perciò una concezione del razzismo che risulta oggi particolarmente importante, dal momento che l’Europa non può sottrarsi al confronto –sfida con gli altri popoli, ma ad esso deve prepararsi, non soltanto delimitando rigorosamente il proprio perimetro politico-culturale, ma ricercando anche una egemonia- vale a dire una tollerante supremazia- sulle altre etnie.
    Il relativismo antiuniversalista diventa compatibile, in questo modo, con un ordinamento verticale dei rapporti tra i popoli , superando così le possibili antinomie insite in concezioni- come ad esempio quella del differenzialismo- che comportano in realtà un pericoloso egualitarismo etnico di tipo neosofistico.
    Nei prossimi tre, quattro decenni si chiarirà e si stabilirà così l’avvenire dell’intero genere umano ( concepito nella sua pluralità differenziata): in questi ‘anni della decisione’ tutti coloro che hanno la possibilità di accedere alla Conoscenza, hanno anche il -dovere di svolgere una attività sensibilizzatrice affinché riprenda vita quello spirito dell’arianesimo, che costituisce l’unico vero, granitico ed insormontabile, baluardo per impedire che la civiltà umana si perda definitivamente negli oscuri gorghi del Maelstroem."
    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
    «Réquiem aetérnam dona ei, Dómine, et lux perpétua lúceat ei. Requiéscat in pace. Amen.»

    SURSUM CORDA - HABEMUS AD DOMINUM!!! A.M.D.G.!!!

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    Arrow Riferimento: Omaggio al Conte de Gobineau : 14 luglio 1816 - 14 luglio 2009...

    "Note.

    1) Relativamente alla notevole influenza esercitata dall’alta finanza ebraica sia sulla rivoluzione bolscevica che sullo sviluppo dello stato sovietico , si veda Henry Coston , Les financiers qui mènent le monde, Publications H. C., Paris, 1989, pp. 123-139; Henry Coston, La haute finance et les révolutions, Publications Henry Coston, Paris, 1995, pp. 38-47; William Guy Carr, Pawns in the game, CPA Book Publisher, pp. 75-82; Emmanuel Malynski, La guerra occulta, Edizioni di Ar, 1989, pp. 143-177; sulla presenza ebraica nella dirigenza politica dell’Unione Sovietica e di alcuni paesi dell’est, interessanti informazioni si trovano in Carlo Alberto Roncioni ( a cura di), Il potere occulto, Ed. Sentinella d’Italia, Monfalcone, 1974, pp. 7-15.Per quanto riguarda gli Stati Uniti, occorre premettere che la loro storia può essere suddivisa in due periodi: nel primo- dall’indipendenza al 1913- si ha lo sviluppo di una nazione la cui classe dirigente, prevalentemente anglo-sassone, riesce a mantenere il paese in condizione di autonomia, mentre a partire dal 1913, l’anno in cui la Banca di emissione centrale ( Federal reserve) passa- dopo non poche resistenze- sotto il controllo della giudeo-plutocrazia, il paese viene governato- in modo più o meno palese- dall’ebraismo. E’ una distinzione che spesso viene trascurata e che era già stata proposta da Ezra Pound, il quale indica però nel 1863- termine della guerra di secessione- l’anno di ‘consegna’ degli Stati Uniti alla plutocrazia ebraica : Cfr. Ezra Pound, Lavoro ed usura, Ed. Scheiwiller, Milano, 1996, p. 34. Sulla creazione del Federal Reserve System si veda Gary Allen, I grandi banchieri, “ L’Antibancor”, 1992, 1, pp. 20-36; per l’influenza ebraica sui governi americani, dalla prima alla seconda guerra mondiale, si può consultare Lello Ragni, Il mondialismo capitalista, Edizioni dell’Uomo Libero, Milano, 1992, pp. 54-59.
    2) Le somiglianze sostanziali- di natura politico-culturale- tra i sistemi sociali degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica ( ad eccezione forse di alcuni aspetti, importanti ma tutto sommato secondari, della storia sovietica, come ad esempio lo zdanovismo), nonché il grande potere dell’ebraismo nella dirigenza politica di entrambi i paesi, portarono queste due nazioni ad allearsi contro la Germania nazionalsocialista, ma la loro ‘collaborazione’ continuò anche dopo la seconda guerra mondiale, ed anzi si intensificò negli anni ’60 e ’70. Per l’impegno americano nell’economia sovietica e per il ruolo delle organizzazioni mondialiste nell’influenzare la politica di questi due paesi, si veda Charles Levinson, Vodka Cola, Vallecchi, Firenze, 1978. Invece sul carattere ‘comunistico’ del capitalismo americano Cfr. Gabriele Adinolfi, Nuovo Ordine Mondiale. Tra Imperialismo e Impero, Società Editrice Barbarossa, Milano, 2002, pp. 46-49 e sgg.
    3) E’ la Francia il paese in cui si è originato il revisionismo storiografico sul genocidio ebraico : Cfr. Paul Rassinier, La menzogna di Ulisse, Ed. Graphos, Genova, 1996; Id., Il dramma degli ebrei europei, Edizioni Europa, Roma, 1967; Robert Faurisson, Mémoire en défense contre ceux qui m’accusent de falsifier l’histoire. La question des chambres à gaz., La Vieille Taupe, Paris, 1980; A. Dibert, Henry Roques , The “ Confessions” of Kurt Gerstein, “ The Journal of historical review”, 1990, 10/2.
    4) Molte delle ideologie e delle correnti culturali che hanno svolto e continuano a svolgere una malefica funzione distruttiva nei confronti della tradizione filosofica, sociologica e scientifica della civiltà euro-occidentale, sono di chiara matrice ebraica, come il marxismo, con la sua teoria dell’antagonismo sociale, l’’infezione’ psicoanalitica che ha contribuito non poco alla diffusione della cultura della ‘colpa’ ed al tentativo di smembramento della famiglia quale base dell’organismo sociale, e quello scetticismo epistemologico che- da Wittgenstein a Popper- oltre ad aver delineato l’affermarsi di una filosofia ‘linguistica’, delle parole senza Idee ( vera arena sine calce, per dirla con Leibniz)determinando il declino della metafisica occidentale intesa anzitutto come ‘meditazione’ ( è questa la fonte anche di altre pratiche intellettuali ‘onanistiche’ come la cosiddetta filosofia ‘analitica’ che si origina dall’’insegnamento’ in Inghilterra del giudeo Wittgenstein, e che ha comportato , tra l’altro, la fine dell’empirismo come espressione della tradizione filosofica nazionale britannica: Cfr., per il ‘neoplatonismo empirico’, Gilles Deleuze- Felix Guattari, Che cos’è la Filosofia?, Einaudi, Torino, 1996, p. 98.) ha tolto alla ricerca scientifica ogni cartesiana volontà di verità, certezza ed evidenza: Cfr., per l’influsso della cultura ebraica nel novecento, Sergio Quinzio, Radici ebraiche del moderno, Adelphi, Milano, 1990. Ma, cosa molto più grave, a tali impostazioni culturalmente ‘disfattiste’ ebraiche, hanno fatto eco altre elaborazioni dottrinali provenienti però dall’interno della stessa cultura europea ariana, le quali denotano quanto diffusa sia stata, nel ventesimo secolo, la patologica propensione all’autoflagellazione da parte di una certa élite intellettuale. Come esempi di tale atteggiamento autolesionistico, si può far menzione della interpretazione heideggeriana della metafisica occidentale che, da Platone a Nietzsche, costituirebbe il fondamento nichilistico di quella volontà di dominio tecnico-scientifico, che si dispiega attraverso l’oblio dell’essere e la sua riduzione ad ente manipolabile - Cfr. Martin Heidegger, Segnavia, Adelphi, Milano, 1987; è una critica a tutta la filosofia occidentale che, originariamente formulata negli anni ‘30-40, è stata ripresa ed ampliata a dismisura - per ovvi motivi- negli ultimi trent’anni, da tutta la cultura accademica, fino a trasformarsi in dogma indiscutibile. Anche se tuttavia non esaurisce la totalità del pensiero del filosofo di Messkirch, in cui è ben presente anche l’importante tematica del ‘radicamento’: Cfr. Martin Heidegger, Costruire Abitare Pensare, in Saggi e Discorsi, Mursia, Milano, 1980, pp. 96-108.-ed il tradizionalismo di René Guenon in base al quale la civiltà occidentale sarebbe ‘spiritualmente’ inferiore nei confronti di quelle orientali : Cfr. René Guenon, La metafisica orientale, Luni Editrice, Milano-Trento, 1998; Id, Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, Adelphi, Milano, 1989.
    5) Come ad esempio l’esaltazione della cultura dei popoli neri- la cosiddetta négritude- sviluppatasi in Europa dopo la seconda guerra mondiale : Cfr. Julius Evola, I testi di Totalità il Borghese la Destra, Edizioni di Ar, Padova, 2003, pp. 98-100; Id, I testi de il Conciliatore, Edizioni di Ar, Padova, 2002, pp. 101-105.
    6) Per il concetto di ‘etnomasochismo’ si veda Guillaume Faye, La colonisation de l’Europe. Discours vrai sur l’immigration et l’Islam, Editions de l’Aencre, Paris, 2000. Sulle teorie di Faye mi soffermerò, più approfonditamente, più avanti ( vedi nota 43).
    7) Mi sembra questa la definizione che, in sintesi, individua meglio le caratteristiche centrali del potere occulto che sta a fondamento del ‘mondialismo’. Con ‘sistema’ si intende una ‘rete ( l’idea di network viene discussa nell’importante testo di Carroll Quigley, Tragedy and hope, MacMillan, New York, 1966) di rapporti economico-politici tesa a sviluppare e ad estendere ulteriormente soltanto il potere del sistema stesso a danno – o sulla pelle- dei popoli; è questo il significato con cui esplicitamente questo termine fu impiegato dai rappresentanti della più importante ‘famiglia’ di tale potere, nella celeberrima lettera a Ikleheiner : “ …pochi comprenderanno questo sistema, coloro che lo comprendono saranno occupati nello sfruttarlo, e il pubblico forse non capirà mai che il sistema è contrario ai suoi interessi “ ( Cfr. Ezra Pound, op. cit., p. 34; si veda anche William Guy Carr, op. cit., p. 55). Una rete ‘omertosa’ tessuta pazientemente , nel corso di tre secoli, dal giudaismo di estrazione askenazita che utilizzando la propria maestria nell’illusionismo creditizio ( con ‘plutocrazia’ si intende appunto l’accumulo di ricchezza proveniente dal prestito di denaro- cioè il capitale ‘speculativo’- una ‘attività’ tipicamente ebraica, sempre condannata, da Aristotele a Weber, da tutta la cultura occidentale ‘ariana’; ma costituisce pure una categoria della sociologia paretiana- si veda Luigi Montini, Vilfredo Pareto e il fascismo, Ed. Volpe, 1974, pp. 80-83- e rappresenta anche e soprattutto una realtà storica che ha una data di fondazione ben precisa : il 1694, anno in cui la Banca di Inghilterra passa sotto il controllo di un gruppo di finanzieri ebreo-olandesi- Cfr. Carroll Quigley, op. cit., pp. 48-49; si veda anche Werner Sombart, Gli Ebrei e la vita economica, Edizioni di Ar, 1980, vol. 1, pp. 137-138) mira all’instaurazione del potere mondiale di Israele e del ‘popolo eletto’- la cui integrità etnico-culturale viene accuratamente mantenuta e conservata- attraverso lo sradicamento degli altri popoli e la cancellazione delle loro specificità razziali. Progetto criminale oltreché immorale dunque- Cfr. Guillaume Faye, Il Sistema per uccidere i popoli, Società Editrice Barbarossa, Milano, 1997; Maurizio Lattanzio, Il Mondialismo, in “ Avanguardia”, Antologia, vol.2, pp. 21-26 - che poco o nulla ha a che vedere con l’idea e la realtà storica di un capitalismo ‘produttivo’ , intriso di valori etici, spesso legato alle sorti di una comunità nazionale ben definita- anche quando connesso ad imprese coloniali ed ‘imperialistiche’- che si è sviluppato all’interno della civiltà europea ( per la distinzione tra un capitalismo industriale, nazionale , e caratterizzato da una propria ‘spiritualità’- simile per molti tratti a quello manniano dei Buddenbrook e di Luebeck als geistige Lebensform- ed un altro puramente speculativo, giudaico- il ‘capitalismo dei paria’- si veda il classico studio di Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni, Firenze, 1977, pp. 278-279, così come il recente studio di Umberto Malafronte, Usurocrazia, “ L’Antibancor”, 2, 1993, pp. 59-86. Molto differente la concezione che del capitalismo ebbe Werner Sombart: egli pur individuando un’essenza ‘metafisica’ del capitalismo- in ciò distaccandosi quindi dalla concezione marxiana, puramente storico-materialistica- tende a concepire tale ‘essenza’ in termini esclusivamente economicistici, escludendo ogni valore etico o ‘spirituale’ nella formazione della cultura capitalistica; questa impostazione- agli antipodi di quella weberiana- lo porta a negare ogni contributo decisivo del cristianesimo riformato- luteranesimo e calvinismo- nello sviluppo del capitalismo, ed a valorizzare invece l’influsso del giudaismo : Cfr. Francesco Fransoni, Processo al capitalismo. Werner Sombart., Editrice il Corallo, Padova, 1982, pp. 82-97). L’idea di ‘sistema’, nell’accezione che abbiamo sopra precisato, sembra anche incompatibile con il concetto spengleriano di Zivilisation : la ‘civilizzazione’ è infatti per Spengler l'’entelechìa’ della Kultur, il suo tramonto- untergang-, visto come compimento, positiva realizzazione pratica, benché prevalentemente ‘temporale’, di una Kultur idealisticamente determinata : in tal senso la Zivilisation romana, fu, nell’età antica, il compimento della Kultur greca- Cfr. Oswald Spengler, Il Tramonto dell’Occidente, Ed. Guanda , Parma, 1991, pp. 57-59.
    8) La relazione tra il complesso olocaustico e la ‘tabuizzazione’ della questione razziale in Europa, quale premessa del progetto teso alla creazione della società multietnica è ben evidenziato da Richard Harwood, Auschwitz o della soluzione finale. Storia di una leggenda, Casa editrice Le Rune, Milano, 1978, pp. 3-4 e da Juergen Graf, L’impatto politico e sociale del dogmatismo olocaustico in Europa, “ L’Uomo Libero”, n° 50, 2000, pp. 34-39; ma già molto tempo prima tale connessione fu intravista da Maurice Bardèche, Norimberga ossia la Terra Promessa, Ed. Effepi, Genova, 2000.
    9) Sulla concezione - a mio modesto avviso erronea, anche perché non fondata sulla precisazione dell’idea generica di “ America”- talassocratica ed ‘americanocentrica’ del mondialismo, si veda Stefano Fabei, Il Reich e l’Afghanistan, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2002, pp. 134-143 ( come discutibile è pure l’idea dell’esistenza di un progetto per il dominio planetario da parte dell’Asse: Cfr. Id, op. cit., p. 128) e anche Gabriele Adinolfi, Nuovo Ordine Mondiale, op. cit.
    10) Quando non vengono tenute presenti alcune distinzioni, come quella inerente ad una periodizzazione della storia degli Stati Uniti( vedi nota 1), in base alla quale si può stabilire il momento in cui questo paese perde la sua autonomia politica e la sua identità culturale e diviene solo una pedina manovrata principalmente dall’oligarchia plutocratica giudaica- come, più recentemente, dalle potenti lobbies sioniste : Cfr. Mark Weber, La più potente delle lobbies, “ Rinascita”, 1-04-2003, pp. 10-11- si può essere tentati di scambiarlo per il soggetto della realizzazione di quel progetto mondialista di cui è invece solo strumento o addirittura vittima.
    Sulla reale situazione di questo paese non è infatti del tutto inutile ricordare che : “ …già nel 1917 gli ariani non contavano più niente negli Stati Uniti. Ma dopo d’allora la situazione non ha fatto che aggravarsi “ ( Cfr. Pierre-Antoine Cousteau, L’America ebraica, Ed. Effepi, Genova, 2002) e che già dagli anni ’60, quando è iniziata la creazione della società multietnica, gli Stati Uniti sono entrati in una fase di decadenza complessiva ( si veda, su questo tema : Lello Ragni, op. cit., pp. 61-72; Silvio Waldner, Stati Uniti, Iberoamerica, Sud Africa. Tre messe a punto., pp. 5-35), tanto che il loro declino prossimo è già stato previsto da autorevoli esperti e studiosi : Cfr. Zbigniew Brezinski, La grande scacchiera, Longanesi, Milano, 1997; Guillaume Faye, Archeofuturismo, Società Editrice Barbarossa, Milano, 1999, p. 46; e, più recentemente, Emmanuel Todd, Dopo l’Impero, Marco Tropea Editore, Milano, 2003; e di cui anche l’odierno ‘esodo’ ebraico dagli Stati Uniti costituirebbe una prova inequivocabile : Cfr. Enrico Franceschini, Ebrei in fuga da New York, “ La Repubblica”, 18-06-2003, p. 13.
    Sembra opportuno quindi distinguere il Sistema dall’America, come hanno fatto, ad esempio, Guillaume Faye, Il Sistema per uccidere i popoli, op. cit., p. 178 e Mario di Giovanni, Indagine sul mondialismo, Effedieffe, Milano, 2000, pp. 31-37, tenendo presente anche che la loro recente ‘vocazione’ mondialista è in stridente contrasto con il loro tradizionale ‘isolazionismo’ ( yankee)- aspetto caratteristico della politica americana, riconosciuto anche da parte di chi ha creduto, in maniera forse affrettata, di potere individuare negli Stati Uniti, il ‘nemico principale’ : Cfr. Giorgio Locchi, Alain de Benoist, Il Male americano, Libreria Editrice Europa, pp. 89-92.
    Per quanto concerne poi la Gran Bretagna, va rilevato come esso sia stato il paese più penalizzato ( la perdita di un impero prima e l’attuale distruzione dell’omogeneità razziale nella stessa Inghilterra ) dalla politica autolesionista filogiudaica attuata- da un paese già avviatosi sulla strada del declino- nel ventesimo secolo, e che la costruzione dell’ Impero Britannico non possa essere avvicinata al ‘mondialismo’, essendosi caratterizzata anche per il mantenimento delle specificità razziali e culturali, oltre che per un apporto positivo - ‘civilizzatore’- allo sviluppo materiale dei paesi conquistati ( sui tratti specifici dell’Impero Britannico , il cui concetto di ‘universalità’ può essere ricondotto – per alcuni aspetti- all’idea imperiale romana, si veda Umberto Gelmetti, Imperialismo inglese. Esame critico d’una teoria del Pananglicismo, Casa Editrice A. Corticelli, Milano, 1939; Otto Graf, Impero Britannico, Ed. Sansoni, Firenze, 1938; Carlo Giglio, Storia dell’Imperialismo britannico. Il primo Impero, Istituto Fascista dell’Africa Italiana, Roma, 1940). Per una analisi delle caratteristiche politico-culturali dell’Inghilterra quale nazione ‘germanica’ ( anglo-sassone) Cfr. Oswald Spengler, Prussianesimo e Socialismo, Edizioni di Ar, Padova, 1994, pp. 41-84; fu proprio lo studioso tedesco ad avvertire- tra i primi- il processo di decadenza che cominciava a minare la società inglese : Cfr. Oswald Spengler, Anni della decisione, Edizioni di Ar, Padova, 1994, pp. 75-77; differente la prospettiva tradizionalista evoliana, per la quale L’Inghilterra è di per sé invece ‘principio di decadenza’ : si veda Julius Evola, I testi del Corriere Padano, Edizioni di Ar, Padova, 2002, pp. 186-188.
    Va tuttavia rilevato come la degenerazione dell’Inghilterra fosse stata intravista anche da una certa élite della politica e della cultura britanniche- ancora legata al culto delle origini ariane dell’’Isola Bianca’ ( Avalon)- che non fu ostile ad un’alleanza rigeneratrice con la Germania nazionalsocialista : l’indagine dei rapporti anglo-tedeschi è forse l’aspetto più pregevole del libro di Giorgio Galli, Hitler e il nazismo magico. Le componenti esoteriche del Reich millenario, Rizzoli, Milano, 2002, in cui viene ben evidenziato lo sforzo tedesco per evitare la guerra – del tutto priva di reali motivazioni- con la Gran Bretagna e, a fortiori, con gli Stati Uniti; sul concetto di ‘guerra sbagliata’ Cfr. Joachim C. Fest, Hitler. Il Fuehrer e il nazismo, Rizzoli, Milano, 1998, pp. 747-767; tale concetto è stato, benché da tutt’altra prospettiva, recentemente approfondito: si veda Piero Sella, El Alamein, e la “guerra sbagliata”, in “L’Uomo Libero”, n° 55, 2003, pp. 46-54.
    Non è infine inutile rilevare , a fronte della tendenza alquanto diffusa, a rinvenire nazismi esotici ed extraeuropei che, eccezion fatta per alcune concessioni di ordine tattico, da un punto di vista strategico, il nazionalsocialismo vide sempre- anche durante il conflitto- nell’alleanza con l’Impero Britannico- o meglio nella ricerca di tale alleanza, l’asse centrale su cui costruire il nuovo ordine internazionale : si veda , su questo come su altri problemi fondamentali, quello che si può considerare il testo più importante di Adolf Hitler, Idee sul Destino del mondo, Edizioni di Ar, Padova, 1980 ( opera precedentemente edita a cura di Henry Picker, con il titolo in parte fuorviante, di Conversazioni a tavola), in cui l’ammirazione per l’Inghilterra viene ripetutamente manifestata ; su questi temi molto importante è anche il testo di Salvatore de Domenico, Introduzione ad Adolf Hitler, Grafica Federico Editrice, Brescia , 1966.
    11) La politica- quando non vuol ridursi a mera amministrazione- si fonda sempre sulla percezione ( ancora quasi completamente assente nell’Europa odierna) del pericolo, e quindi su una corretta individuazione della distinzione amico-nemico : Cfr. Carl Schmitt, Le categorie del politico, Ed. Il Mulino, Bologna, pp. 108-143. Nel quadro della neutralizzazione della politica, si sono invece diffuse concezioni ( provenienti dalla cultura ebraica europea) basate invece sulla generica esaltazione dell’’altro’: si veda, ad es., Emmanuel Levinas, Totalità e Infinito, Jaca Book, Milano, 1980;e, per il rovescio esatto della posizione schmittiana, Karl Popper, La società aperta e i suoi nemici, Armando, Roma, 1977.
    12) Cfr. Guillaume Faye, La colonisation de l’Europe, Editions de l’Aencre, Paris, 2000, p. 215: “ La pensée raciale sous la forme principale de l’antiracisme- le pivot dogmatique central de l’ideologie hégémonique et de la pensée unique- est présente implicitement ou explicitement dans tous les discours publics “.
    13) Cfr. Roberto Farinacci, La Chiesa e gli Ebrei, Ed. Sentinella d’Italia, Monfalcone, 1987.
    14) Per la presenza- nell’Italia repubblicana- della questione razziale nell’area politica dell’estrema destra Cfr. Chiara Stellati, Una ideologia dell’origine. Franco Freda e la controdecadenza, Edizioni di Ar, Padova, 2002. Va tuttavia precisato che il Sodalizio politico-culturale di Ar, pur esordendo con la pubblicazione di un’edizione parziale del Saggio gobiniano, nell’introduzione alla stessa puntualizzava la propria posizione , riprendendo la critica evoliana al razzismo di Gobineau ; una posizione alla quale -se non erro- tale Sodalizio si è rigorosamente attenuto, nel corso della sua oramai quarantennale attività editoriale . Cfr. Arthur de Gobineau, Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane, Edizioni di Ar, Padova, 1964, pp. 5-15.
    15) Si veda Roberto Maiocchi, Scienza italiana e razzismo fascista, La Nuova Italia, Firenze, 1999, pp. 211-320. Per illustrare la difficoltà, da parte dei fascisti italiani, a concepire in modo unitario - biologico e spirituale- la questione razziale, si può far riferimento a Leone Franzì, Fase attuale del razzismo tedesco, Istituto Nazionale di Cultura Fascista, Roma, 1939-XVII : si crede di individuare infatti nella teoria razziale tedesca una sorta di ‘evoluzione’ che avrebbe condotto all’elaborazione di un razzismo più ‘spirituale’ rispetto a quello primigenio- dei primi anni trenta- esclusivamente biologico. Misconoscendo, in questo modo, la presenza, già all’inizio degli anni trenta, di dottrine, come ad esempio quella rosenberghiana, in cui i due aspetti non erano affatto scissi .
    16) Per molti aspetti ciò è dovuto al fatto che in Italia il razzismo è stato ed è ancora oggi conosciuto attraverso la mediazione ‘spiritualistica’ evoliana, la quale non sempre ha dato ragione della complessità della questione razziale : Cfr., ad es., Julius Evola, Il Mito del sangue, Edizioni di Ar, Padova, 1994; Id, Sintesi di Dottrina della razza, Edizioni di Ar, Padova, 1994 ( anche l’interessante recensione di Adriano Romualdi al Saggio gobiniano delle edizioni di Ar- adesso in “ Margini”, n° 42, 2003, p. 5, si colloca però entro la prospettiva evoliana). Il che ha determinato anche una impasse nell’approfondimento teorico del problema razziale, che ha portato a trascurare anche la pubblicazione delle opere fondamentali di alcuni importanti studiosi di tale questione, come ad esempio, H. S. Chamberlain.
    17) Arthur de Gobineau, Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane, Rizzoli, Milano, 1997, p. 127; e : “ Non esistono popolazioni in uno stato tanto bruto da non avere un doppio istinto : quello dei bisogni materiali, e quello della vita morale. “ (ibid, , p. 134) e anche : “ Questa permanenza dei caratteri generici basta pienamente a produrre gli effetti di radicale dissimiglianza e di disuguaglianza, a dare loro la portata di leggi naturali e ad applicare alla vita fisiologica dei popoli le stesse distinzioni che applicherò più oltre alla loro vita morale.” ( ibid., p. 179). Questa concezione, del ‘parallelismo’ tra fisico e morale risale al naturalista francese Cabanis, Rapports du physique et du moral de l’homme, Paris, 1802; ma ancora prima fu formulato rigorosamente da Benedetto Spinoza, Etica, Boringhieri, Torino, 1959. Ed è proprio all’interno della filosofia spinoziana- centrata sul concetto di Natura- che va ricercata la radice metafisica delle teorie razziste di Gobineau e di altri esponenti del razzismo moderno : per quanto riguarda la dottrina spinoziana del ‘parallelismo’ ( relazione di sintesi ‘ differenziale’- e quindi non di semplice rapporto causale- tra intelletto ed estensione) si veda Pierre Macherey, Introduction à l’Ethique de Spinoza. La deuxième partie. La réalité mentale, Presses universitaires de France, Paris, 1997, pp. 71-81, e Gilles Deleuze, Spinoza e il problema dell’espressione, Ed. Quodlibet, Macerata, 1999.
    18) Ibid., p. 55. L’idea di una ‘storia naturale’ è di origine buffoniana- Cfr. Buffon, Epoche della natura, Boringhieri, Torino, 1960; mi pare anche non senza echi nella teoria schellinghiana delle ‘epoche’- Cfr. Friedrich W. J. Schelling, Sistema dell’idealismo trascendentale, Laterza, Bari, 1990, pp. 67-202, e più in generale sulla concezione del tempo ( Weltalter)- una sorta di tempo naturale pre-storico prospettata dal filosofo tedesco: Cfr. Id, Le età del mondo, Guida, Napoli, 1991. Anche l’idea di una morale ‘naturale’ ha un antecedente nella teoria spinoziana di un’etica naturalistica : per un confronto tra la morale spinoziana e, ad esempio, l’etologia, Cfr. Gilles Deleuze, Spinoza. Filosofia Pratica, Edizioni Guerini e Associati, Milano, 1991, pp. 154-160.
    19) Cfr. Arthur de Gobineau, op. cit., p. 223: “ …Non c’è l’uomo ideale, l’uomo non esiste; e sono persuaso che il caso in cui non possiamo scoprirlo da nessuna parte è soprattutto quello delle lingue. Su questo terreno, io conosco il possessore della lingua finnica, quello del sistema ariano o delle combinazioni semitiche; ma l’uomo assoluto, io non lo conosco.” Ed anche : “ … Nulla , dunque, può apparire più ragionevole del dichiarare che le famiglie di cui si compone l’umanità sono tanto estranei l’una all’altra, quanto lo sono, tra loro, animali di specie differenti. “ (Ibid., p. 155).
    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
    «Réquiem aetérnam dona ei, Dómine, et lux perpétua lúceat ei. Requiéscat in pace. Amen.»

    SURSUM CORDA - HABEMUS AD DOMINUM!!! A.M.D.G.!!!

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    20) Il problema del rapporto del razzismo di Gobineau con il suo cattolicesimo è uno dei temi dibattuti nel carteggio con Tocqueville : Cfr. Tocqueville e Gobineau, Corrispondenza, Longanesi, Milano, 1947, pp. 290-312. Sulla scorta di Tocqueville, anche altri- Cfr. Gyorgy Lukacs ( alias Georg Loewinger ), La distruzione della ragione, Einaudi, Torino, vol. 2, p. 685 ( testo ab-errante nelle sue cadenze inquisitorie, questo del grande intellettuale ebreo, però onesto rispetto agli stravolgimenti di cui sono state oggetto le idee fondamentali di alcuni pensatori antidemocratici, da parte di non pochi saltimbanchi dell’ermeneutica ), e più recentemente Adriano Romualdi ( vedi nota 16), hanno evidenziato l’incompatibilità tra una teoria razzista, basata sull’idea di diseguaglianza e l’idea cristiana dell’eguaglianza tra tutti gli uomini; sarebbe un’obiezione valida- come s’è rilevato- se il cristianesimo di Gobineau fosse quello ‘semitico’, primitivo- come erroneamente sostiene Romualdi-, ma risulta una critica infondata, tenendo conto della predilezione gobiniana per il tradizionalismo cattolico. I rapporti tra paganesimo e cristianesimo sono molto complessi e non si riducono affatto ad una secca antitesi ( sembrerebbe infatti che la cultura ‘pagana’ sia riuscita ad ‘assimilare’-metabolizzandoli- non pochi tratti del cristianesimo): com’è noto fu un altro grande esponente del razzismo europeo ad individuare alcuni elementi in comune tra un certo cristianesimo e l’originaria cultura europea : Cfr. Houston Stewart Chamberlain, Die Grundlagen des XIX Jahrhunderts, Bruckmann, Muenchen, 1938; Ed. franc. Id, La Genèse du XIX siècle,vol. 1, Editions de l’Homme libre, Paris, 1998, pp.257-335. Questo aspetto del pensiero gobiniano contribuì a diffondere le tesi dello studioso francese presso il circolo wagneriano: Cfr. Maurice Lange, Le Comte Arthur de Gobineau. Etude biographique et critique., Publications de la Faculté des Lettres de l’Université de Strasbourg, Strasbourg, 1924, pp. 250-252; Ludwig Schemann, Gobineau und die deutsche kultur, Eckardt Verlag, Leipzig, 1910, pp. 31-39. Per le differenze con la concezione wagneriana della ‘rigenerazione’, Cfr. Houston Stewart Chamberlain, Wagner, Fratelli Bocca Editori, Milano, 1947, p. 259.
    21) Per un esame più approfondito del rapporto Gobineau-Wagner Cfr. Ludwig Schemann, Gobineaus Rassenwerk. Aktenstuecke und Betrachtungen zur Geschichte und kritik des Essai sur l’inegalité des races humaines, Frommans Verlag, Stuttgart, 1910.
    22) Arthur de Gobineau, op. cit., p. 244.
    23) L’idea di razza- e quella ad essa connessa di civiltà- in Gobineau si configura indipendentemente dal riferimento all’ambiente esterno : Cfr. ibid., pp. 107-113; è il tratto più importante che distingue la dottrina di Gobineau dall’evoluzionismo darwiniano. Tuttavia il rapporto con le teorie di Darwin è più articolato, se non altro perché sia in Gobineau che nel naturalista inglese, vi è, più o meno esplicitamente, una critica dell’antropocentrismo tipico del giudeo-cristianesimo: l’uomo è infatti considerato parte della Natura; Cfr. Ludwig Schemann, op. cit., pp. 384-388.
    24) Cfr. Arthur de Gobineau, op. cit., p. 244. Esiste, per contro, il riconoscimento da parte dell’aristocratico francese, dell’importanza dell’immaginazione e quindi dei neri , popoli ricchi di tale facoltà, per lo sviluppo del fatto artistico: Cfr. Léon Deffoux, Trois aspects de Gobineau, Editions G. Crès, Paris, 1929, pp. 66-67.
    25) La critica al progetto mondialista della globalizzazione è avvenuta- nel corso degli ultimi vent’anni circa- strutturandosi sulla base del cosiddetto ‘differenzialismo’, vale a dire sulla rivendicazione del diritto, da parte dei popoli, ad una loro irrinunciabile aspirazione all’indipendenza; esso si specifica in un senso razziale ( razzismo morfologico), oppure soltanto in una direzione politico-culturale. In entrambi i casi esso deve confrontarsi con un pericolo ( o addirittura con una antinomia) : la possibilità di ricadere - con l’idea di assoluta equivalenza di tutte le differenze- in quella mitologia egualitaria che pure è ritenuta la radice ideologica del mondialismo stesso. La posizione che più delle altre sembra racchiudere le maggiori incongruenze- anche perché fondata su un completo misconoscimento della questione razziale - è sicuramente quella di Alain de Benoist, il quale è anche un fervente sostenitore dell’utopia del ‘comunitarismo’ ( l’idea di una ‘pacifica convivenza’ delle diverse etnie sul continente europeo) : Cfr. Francesco Germinario, La Destra degli Dei. Alain de Benoist e la cultura politica della Nouvelle Droite, Bollati Boringhieri, Torino, 2002.
    26) Risulta perciò del tutto inadeguato il titolo di un recente testo italiano su Gobineau- Cfr. Francesca Castradori, Le radici dell’odio, Xenia Edizioni, Milano, 1991- sia perché la cultura razzista che inizia in Europa con Gobineau, è dettata dalla necessità di arrestare un possibile processo di degenerazione della civiltà ariana e non già da un atteggiamento ostile verso l’’altro’, seppur nel quadro di una visione gerarchica del valore delle diverse civiltà, sia anche perché, ad esempio, l’antisemitismo- una delle caratteristiche che comunemente viene associata al ‘razzismo’- è pressoché assente nella sua opera. Al popolo ebraico , infatti, Gobineau riconosce il merito di aver ‘conservato’ se stesso, mantenendo la propria identità nel corso del tempo ( ciò avrebbe fatto sorgere addirittura un ‘gobinismo ebraico’ : Cfr. Léon Deffoux, op. cit., pp. 68-69), pur rilevandone la scarsa attitudine alla formazione di una civiltà propria, nonché un debole senso della coscienza comunitaria ( Cfr. Clément Serpeille de Gobineau, Le gobinisme et la politique moderne, in “ La Nouvelle Revue Française”, n° 245, 1934, pp. 250-256). Va comunque precisato che l’assenza in Gobineau di una ‘questione ebraica’- o meglio una sua ‘sottovalutazione’- dipende forse anche dal ruolo non ancora preponderante che gli ebrei dell’epoca ricoprivano in Francia ed in Europa: una importanza che invece nel ventesimo secolo sarà destinata a crescere a dismisura. Occorre inoltre aggiungere che l’espressione ‘antisemitismo’ necessita di alcuni chiarimenti : il primo relativo al fatto che comunemente, con questa definizione, si intende un atteggiamento di odio nei confronti dei soli ebrei che, invece, dei semiti, costituiscono solo una minima parte; l’altro concerne la correttezza stessa dell’espressione, che presuppone una preconcetta ostilità contro gli ebrei : in realtà , le persecuzioni nei confronti del popolo ebraico sono state spesso l’effetto dell’atteggiamento di forte intolleranza- o di vero e proprio odio- manifestato dagli ebrei nei confronti dei gentili e dei cristiani ( si veda , ad esempio Benedetto Spinoza, Trattato teologico-politico, Bompiani, Milano, 2001 : “ …Infatti, dopo che ebbero trasferito a Dio il loro diritto, e dopo che credettero che il loro regno fosse il regno di Dio, e di essere loro soli figli di Dio e tutte le altre nazioni nemiche di Dio- per le quali, perciò provavano un odio intensissimo…Perciò, da una sorta di riprovazione quotidiana dovette nascere un odio continuo, rispetto al quale nessun altro, poté radicarsi più saldamente negli animi…”). Per quanto riguarda invece, più in particolare l’anticristianesimo del giudaismo talmudico Cfr. I. B. Pranaitis, I segreti della dottrina rabbinica. Cristo e i Cristiani nel Talmud, Stabilimento tip. Dell’Accademia cesarea delle scienze, Pietroburgo, 1892, ( rist. anast.). La concezione spinoziana dell’antigiudaismo come ‘effetto’ dell’odio ebraico è stata riproposta, più o meno indirettamente, sia, nel diciannovesimo secolo, da Bernard Lazare, L’antisemitismo. Storia e cause, Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia, 2000, che, più recentemente da Israel Shahak, Storia ebraica e giudaismo. Il peso di tre millenni, Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia, 1997.
    27) E non certamente di carattere semplicemente ‘estetico’ come sostiene il Bossuel : Cfr. Arthur de Gobineau , op. cit., p. 979.
    28) E’, quella di Gobineau, ancora una razionalità limpida che procede per concatenazioni di dimostrazioni, costantemente riferite all’esperienza; le premesse sono chiare, le conclusioni certe: nessuna analisi interminabile, nessun talmudico ‘delirio’ interpretativo.
    29) Cfr. Arthur de Gobineau, op. cit., pp. 431-432.
    30) ibid., p. 432. Più avanti- Cfr. ibid, p. 449 e sgg., - Gobineau si sofferma su altri aspetti caratteriali dei popoli gialli- l’amore per la legge e le regole, la cortesia come servilismo ecc-; considera inoltre il buddismo come un’espressione della decadenza dell’India ariana. Sul carattere unarisch del buddismo Cfr. Houston Stewart Chamberlain, Arische Weltanschauung, Reprint der Ausgabe von 1912. Arbeitsgemeinschaft fuer Religions und Weltanschauungsfragen, Muenchen, 1997. Differente- com’è noto- la concezione evoliana del buddismo : Cfr. Julius Evola, La Dottrina del Risveglio. Saggio sull’ascesi buddista, Ed. Mediterranee, Roma, 1995.
    31) Cfr. Arthur de Gobineau, op. cit., pp. 740-744. Sulla dubbia arianità del diritto romano si pronunciò anche Julius Evola, Ist das roemische Recht roemisch ?, “ Europaeische Revue”, 1943, pp. 181-186.
    32) Cfr. Arthur de Gobineau, op. cit., pp. 245-246: “ Sarebbe inesatto pretendere che tutti gli incroci siano cattivi e pericolosi…La superiorità relativa, persistendo in maniera più evidente, non sarebbe stata accompagnata, occorre riconoscerlo, da alcuni vantaggi che gli incroci hanno prodotto e che, sebbene non controbilancino la somma dei loro inconvenienti, non sono per questo meno degni di essere, qualche volta, applauditi.”
    33) ibid., p. 247.
    34) E’ dunque, quello di mescolanza, un concetto che in Gobineau, appare alquanto complesso, perché almeno in una certa misura, sembra che lo studioso francese ne riconosca la funzione ‘tonificante’ per lo sviluppo delle civiltà. E allora il problema fondamentale da cui scaturisce la questione razziale non è quello di ritrovare una perduta originaria purezza assoluta, quanto piuttosto quello di stabilire il discrimine tra la giusta mescolanza e quella ingiusta, cioè tra quella che rafforza una stirpe- producendo molteplici livelli di purezza, fino a quella assoluta- e quella che invece la indebolisce. E’ proprio su questo aspetto decisivo, che si può misurare la continuità tra il gobinismo e il nazionalsocialismo : contrariamente a quello che , ancora oggi, rappresenta uno dei maggiori stereotipi sul razzismo- la credenza nell’idea (regressiva) del ritorno ad una preesistente purezza assoluta della razza- già alcune autorevoli personalità e studiosi, avevano evidenziato l’importanza, nella prassi e nella teoria razziali nazionalsocialiste, del problema della mescolanza- ad esempio Leone Franzì, op. cit., p. 10: “ Inoltre, il popolo tedesco non viene considerato come il rappresentante di una razza pura, in quanto si ammette che oggi non esistano più razze pure, ma solo rari individui di razza pura, e viene invece considerato come una comunità risultante dalla fusione di elementi di ben cinque razze diverse…”, Gyorgy Lukacs, op. cit., p. 704 ( anche se superficialmente, è un aspetto del razzismo tedesco che lo studioso ebreo considera in contrasto con il ‘ pessimismo’ di Gobineau), e anche Benito Mussolini, Scritti e Discorsi, Ed. La Fenice, Firenze- Roma, 1984, vol. 14, pp. 23-34. Il tema della mescolanza infra-razziale- che potremmo definire anche come la ricerca di differenti gradi di purezza- definita cioè da una ‘composizione’ tra razze differenti che però facessero tutte riferimento alla stessa eredità genetico-culturale (indo)europea, teorizzata dal nazionalsocialismo, è stata approfondita anche recentemente - Cfr. Edouard Conte, Cornelia Essner, Culti di sangue. Antropologia del nazismo., Carocci Editore, Roma, 2000.
    C’è da aggiungere infine che i temi connessi alla ricerca della differenza, della purezza assoluta o relativa e della giusta mescolanza caratterizzano da sempre i temi fondamentali della filosofia occidentale : dalla distinzione-selezione platonica tra idea e copia, al concetto di essere in Aristotele, dalle dispute scolastiche sull’essere analogico o univoco, al concetto cartesiano di differenza, dalla ragion ‘pura’ di Kant, ai bergsoniani ricordi ‘puri’ ( a partire dai ‘misti’ mal analizzati), ogni volta che si vuole stabilire ed individuare la corretta natura della Conoscenza e dell’Essere, si torna sempre a distinguere – esprimendoci in termini spinoziani- tra una mescolanza ‘segnica’, confusa ‘immaginaria’ ed una composizione differenziale di elementi, le nozioni comuni, fino alla purezza ‘ assoluta’ della scienza intuitiva ( Cfr. Gilles Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica., op. cit., pp. 131-149; Id, Spinoza e le tre Etiche, in Critica e Clinica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1996). Nel panorama deprimente della filosofia novecentesca, la meditazione di Gilles Deleuze, si è contraddistinta, oltre che per una rivalutazione dell’intero patrimonio ideale della metafisica occidentale, per il tentativo di definizione di una ‘ontologia pura’ attraverso lo studio di Nietzsche, Spinoza, Bergson ; ma anche per una riflessione sul concetto ( gobiniano, benché non si abbia il riferimento esplicito al padre del razzismo) di mescolanza : Cfr. Gilles Deleuze, Logica del senso, Feltrinelli, Milano, 1984; Id, Il bergsonismo, Feltrinelli, Milano, 1983; Id, Mille Piani, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma, 2 voll., 1987. Per una seria introduzione al pensiero di Deleuze- una delle filosofie più conservatrici, ma spesso erroneamente intesa e presentata come libertaria e addirittura anarcoide- Cfr. Alain Badiou, Deleuze. La clameur de l’Etre, Ed. Hachette, Paris, 1997.
    35) Per il confronto con Nietzsche, si veda Maurice Lange, op. cit., pp. 275-278; Ludwig Schemann, Gobineaus Rassenwerk, op. cit., pp. 157-158. Più recentemente il rapporto tra le teorie nietzscheane ed il razzismo gobiniano è stato sunteggiato da uno studio che rappresenta un valido strumento per tutti coloro che vogliono tornare a leggere in maniera feconda il filosofo tedesco, dopo gli scempi perpetrati da parte della cultura ‘politicamente corretta’: Cfr. Domenico Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico. Biografia intellettuale e bilancio critico, Bollati Boringhieri, Torino, 2002.
    36) Cfr. Ludwig Schemann, op. cit., p. 149.
    37) Cfr. Clément Serpeille de Gobineau, Le Gobinisme et la politique moderne, “ La Nouvelle Revue Française”, n° 245, 1934, pp. 25-256.
    38) Cfr. Ernst Seillière, La Philosophie Religieuse de Gobineau, “ La Nouvelle Revue Française”, op. cit., pp. 223-228.
    39) Cfr. Jean Louverné, Gobineau sinologue, “ La Nouvelle Revue Française”, op. cit., pp. 233-239. Per l’utilitarismo ed il pragmatismo del pensiero cinese, si veda Pio Filippani Ronconi, Storia del pensiero cinese, Bollati Boringhieri, Torino, 1992.
    40) Gobineau riconosce la scomparsa della razza bianca ‘pura’, già a partire dall’era cristiana : Cfr. Arthur de Gobineau , op. cit., p. 951 : “ …La famiglia ariana e, a maggior ragione, il resto della famiglia bianca, aveva cessato d’essere assolutamente pura all’epoca in cui nacque il Cristo”.
    41) E’ questa l’ambivalenza del concetto gobiniano di mescolanza, precedentemente discussa ( vedi nota 34), e che può essere definita anche come ‘paradosso della mescolanza’- Cfr. Francesca Castradori, op. cit., p. 65-: la Castradori sostiene però, misconoscendo così la reale sostanza teorica del razzismo nazionalsocialista, la differenza tra la teoria gobiniana del mélange, e quella nazista tesa, secondo la studiosa italiana, a ricondurre la razza bianca all’antica perfezione indipendentemente dal ricorso alla mescolanza; si è messo in evidenza come, al contrario, il razzismo tedesco abbia invece sviluppato, ( attraverso ad esempio l’idea degli ‘ incroci selettivi’- rifacendosi anche alle leggi della genetica mendeliana- al fine di produrre e riprodurre una razza più o meno ‘pura’ , attraverso e non contro la mescolanza) proprio la complessità dell’idea di mélange, già, in nuce, prospettata da Gobineau.
    42) Per una critica al ‘mito’ del colonialismo europeo sfruttatore e distruttore delle specificità politico-culturali dei paesi conquistati si veda Lello Ragni, Il mondialismo capitalista, op. cit., pp. 203-212. Per quanto concerne la storia del Sudafrica e la situazione disastrosa in cui questo paese è precipitato dopo l’abrogazione del regime dell’apartheid Cfr. Silvio Waldner, Stati Uniti, Iberoamerica, Sud Africa, op. cit., pp. 59-106 e Ercolina Milanesi, Sudafrica, il paese dell’arcobaleno in una tempesta senza fine, “Rinascita”, 1-05-2003, p. 14.
    43) Alcuni caratteri fondamentali del popolo arabo e più generalmente dell’islamismo, evidenziati da Gobineau, trovano riscontro anche nella odierna aggressività nei confronti dell’Europa e dell’Occidente, proveniente dagli ambienti più estremisti dell’Islam ( che sarebbe riduttivo considerare un atteggiamento di semplice reazione per la questione palestinese o altro ); è un aspetto dell’islamismo questo, che è particolarmente avvertito in quei paesi europei, come la Francia, in cui più numerosa è la presenza degli immigrati nordafricani, e sulla cui pericolosità si è recentemente soffermato Guillaume Faye, La colonisation de l’Europe, op. cit. Si è già fatto cenno ad alcune tesi di Faye, le cui posizioni teoriche più significative- l’importanza attribuita al problema razziale, lo sforzo per combattere in Europa ogni complesso di colpa e di inferiorità, la necessità della riscoperta ‘archeofuturista’ delle radici culturali indoeuropee, la critica alle utopie terzomondiste, e la coraggiosa proposta per un nuovo eurocentrismo basato sulla creazione di uno spazio europeo razzialmente omogeneo ( ‘eurosiberiano’)- sembrano costituire l’esempio più nitido- anche per il vigore con cui si insiste sull’inevitabile carattere ‘autarchico’ della lotta tesa alla ‘riconquista’ dell’Europa- di un moderno neogobinismo ( per l’insieme delle concezioni teorico-politiche di Faye, si veda anche Guillaume Faye, Il Sistema per uccidere i popoli, op. cit; Id, Archeofuturismo, Società Editrice Barbarossa, Milano, 1999; Id, Nouveau discours à la Nation europèenne, Ed. L’Aencre, Paris, 1999; Id, Pourquoi nous combattons. Manifest de la Résistence européenne, Ed. L’Aencre, Paris, 2001; e le interessanti osservazioni di Stefano Vaj, Per l’autodifesa etnica totale, “ L’Uomo Libero”, n° 51, 2001, pp. 11-60). Anche se personalmente non condivido l’idea di Faye secondo cui sarebbe l’Islam il ‘nemico’ principale ( un’idea scandalosa per molta parte di quella ‘destra radicale’ che, partendo dagli assunti teorici di certo tradizionalismo- soprattutto guenoniano- continua a vedere l’Islam come il più importante antagonista, ed addirittura il principale alleato dell’Europa, nei confronti di una onnipotente e ‘satanica’ America : per le critiche a Faye provenienti appunto dagli ambienti tradizionalisti e filoislamici Cfr. Tahir de la Nive, Les Croisés de l’Oncle Sam. Une réponse européenne à Guillaume Faye et aux islamophobes, Avatars Editions, Paris, 2002), perché considero la giudeo-plutocrazia il nemico più pericoloso per l’Europa, le tesi, a volte provocatorie, dell’intellettuale transalpino stimolano tuttavia ad una riflessione sicuramente non peregrina: l’impossibilità per un’Europa che voglia tornare ad essere se stessa , di trovare degli alleati nella propria lotta per l’indipendenza e i limiti di certa xenofilia ‘tradizionalista’, per la crescita, nei paesi extraeuropei di omogenee entità etniche - culturalmente del tutto estranee alla civiltà europea- che vedono l’Europa come un avversario se non come un nemico vero e proprio. L’Europa può infatti ritrovare se stessa, attingendo anche alle sue più ancestrali tradizioni per contrastare i processi- patrocinati dalla giudeoplutocrazia- di colonizzazione e di terzomondizzazione dei propri paesi, senza però dover emulare tradizioni culturali ed istituzioni politiche incompatibili con la propria plurimillenaria storia ( mi pare questo anche il percorso, seppur non del tutto esplicitato, indicato dal Sodalizio di Ar : se in precedenza si era creduto di trovare fuori dell’Europa , gli avversari per combattere il Sistema- Cfr. Franco G. Freda, La disintegrazione del sistema, Edizioni di Ar, Padova, 2000, IV ed., pp. 18-26 e pp. 107-118- più recentemente- Cfr. Franco G. Freda, I lupi azzurri. Documenti del Fronte Nazionale, Edizioni di Ar, 2000- si è tornati a considerare invece fondamentale la difesa della struttura etnica dell’Europa, dall’invasione proveniente dai paesi extraeuropei).
    44) Cfr. Guillaume Faye, La colonisation de l’Europe, op. cit., pp. 93-95; Silvio Waldner, Tre messe a punto, op. cit.
    45) Per quella malsana ed attitudine, sviluppatasi in Europa soprattutto dopo la seconda guerra mondiale ed ancora oggi più che mai diffusa, a considerare la civiltà europea come l’origine ed il ricettacolo di ogni male, vi è una certa tendenza ad individuare anche la radice del mondialismo all’interno della storia dell’occidente : Cfr. Gabriele Adinolfi, Nuovo Ordine Mondiale. Tra imperialismo e Impero, op. cit., pp. 185-195. E’ la stessa propensione all’autoflagellazione che conduceva Heidegger a considerare tipiche espressioni della cultura europea , come la scienza e la tecnica , come esemplari manifestazioni della decadenza dell’Occidente, ed i suoi più rappresentativi esponenti – ad esempio Leibniz e Newton- come ‘ebrei’ : Cfr. Maurizio Ferraris, Il sacrificio di Heidegger, “ Aut Aut”. N° 248-249, 1992, pp. 121-152. Per alcune ragioni precedentemente esposte, sembra invece più sensato ritrovare le radici del progetto mondialista, più che nella incipiente modernità della cultura europea , nella tradizione - talmudico.cabalistica- ebraica; se non altro perché la principale vittima di tale criminale progetto è proprio la civiltà euro-occidentale : Cfr. Gianantonio Valli, Le radici ideologiche dell’invasione, “ L’Uomo Libero”, n° 52, 2001, pp. 31-55; Nesta H. Webster, Secret Societies and Subversive Mouvements, The Book Tree, 2000, pp. 177-195; Olivia Marie O’Grady, The Beasts of the Apocalypse, O’Grady Publications, Benicia, 1959.”
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    Predefinito Riferimento: Omaggio al Conte de Gobineau : 14 luglio 1816 - 14 luglio 2009...

    Citazione Originariamente Scritto da Holuxar Visualizza Messaggio
    “Gobineau rimarrà per sempre , insieme a Nietzsche , uno dei due più grandi pensatori dell’Europa del XIX secolo.”
    Silvio Waldner , La deformazione della natura , Edizioni di Ar , 1997 , p.29
    .

  8. #8
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    Arrow Riferimento: Omaggio al Conte de Gobineau : 14 luglio 1816 - 14 luglio 2009...

    L'articolo molto interessante su Gobineau da me sopra riportato é introvabile su internet da diversi anni , comunque era tratto da qui :

    http://www.nuoviorizzontieuropei.com/opere/opere_11.htm
    "INIZIATIVE EDITORIALI “NUOVI ORIZZONTI EUROPEI”
    Opere pubblicate dal n° 801 al n° 880 ...
    0821 Di alcuni motivi in De Gobineau - Massimo Costa"



    2 belle canzoni sulla Vandea :

    Contea-La Vandeana
    http://www.youtube.com/watch?v=DcfHNx7LDRw
    Ordine Nuovo - La Vandeana
    http://www.youtube.com/watch?v=D1Nd075a2sg



    Miei post sulla "Rivoluzione Francese" con molti articoli riportati :


    14 LUGLIO 1789 : l'INIZIO del DEMOTOTALITARISMO - Forum Studenti.it
    http://forum.studenti.it/forum-unive...litarismo.html
    La "RIVOLUZIONE FRANCESE" : Tragica FARSA
    http://forum.studenti.it/lettere-fil...ica-farsa.html
    CONTRO la RIVOLUZIONE FRANCESE - Giovani.it - Forum
    http://forum.giovani.it/politica/206...-francese.html

    14 LUGLIO 1789 : l'INIZIO del DEMOTOTALITARISMO
    La "RIVOLUZIONE FRANCESE" : Tragica FARSA!!
    Oggi è il triste - nonché ormai patetico e ridicolo - anniversario della "presa della bastiglia"…una vera presa…per i fondelli!! QUEL GIORNO i PRIGIONIERI ERANO SOLO 7!! 4 FALSARI , 2 MALATI MENTALI e 1 LIBERTINO!! Furono poi COSTORO a far nascere il FALSO MITO della “GRANDE RIVOLTA ANTITIRANNICA”.
    Da qui si sviluppò la tragica sovversione antifrancese (scatenata dalla massoneria borghese ,dalla pseudonobiltà degenerata e guidata occultamente dall'internazionale giudaica). Vi riporto qualche articolo per fare chiarezza su questo periodo buio della storia francese ed europea. Basta balle giacobine!! Basta menzogne oscurantiste/pseudoilluministe e illiberaldemocratiche!! La realtà è che proprio dal 14 LUGLIO 1789 sono derivate le successive violenze totalitarie , logica prosecuzione dell’allucinazione messianica sovversiva… Vorrei ricordare questa infausta data, che ha dato il via all'avvento delle forze telluriche che hanno sradicato tradizioni europee, massacrando aristocratici e contadini, in nome di una falsa libertà, che in verità non fu altro che l'inizio di un lunghissimo periodo di massacri ed assassini di massa. Al di là della retorica , appare certo che è stata una SOVVERSIONE NON DEL e PER il POPOLO MA CONTRO IL POPOLO , NELL’INTERESSE della CLASSE dei DEMAGOGHI!! INFATTI GRAN PARTE dei CONTADINI e dei NOBILI ERANO UNITI nel COSTRASTARLA! AD ES. i VANDEANI! Quelli scaturiti dal giacobinismo (nazionalismo sciovinista , guerre napoleoniche ed altre catastrofi) furono i peggiori "secoli bui"!! Va precisato che cmq l’Ancient Regime era già marcio di suo…La Tradizione era già in coma profondo, la Rivoluzione Francese fu una semplice conseguenza della già spinta degenerazione precedente. Ritengo che la Rivoluzione Francese sia stata solo l'estremizzazione del nefasto centralismo statale del re sole e dei suoi successori, contro la piccola aristocrazia e i contadini – uniti nella reazione eroica. Praticamente la monarchia è stata travolta dalla stessa brutale macchina modernizzatrice che aveva costruito. La classica tesi sulla rivoluzione francese , tipo quella di Tocqueville , spiega la continuità 'statocentrica' e statolatria tra antico regime e rivoluzione. E' quindi una spiegazione forse molto parziale e molto circoscritta , però efficace.
    La rivoluzione inglese è invece a mio parere una rivoluzione conservatrice. In ogni caso ha caratteristiche assolutamente peculiari che la isolano dallo schema della rivoluzione come accelerazione della decadenza.
    Quella americana è una mera e rispettabile guerra d'indipendenza che oltretutto non va affibbiata in toto al puritanesimo, essendo, tanto per fare un esempio, fortissime le differenze tra Massachussets e Virginia.
    Sulle FONDAMENTALI DIFFERENZE fra FRANCIA e USA :


    "Russell Kirk Due Rivoluzioni molto diverse: l'americana e la francese
    http://www.stefanoborselli.elios.net...ca_francia.htm "
    "Intervista con Russel Kirk Le due anime dell'America
    http://www.alleanzacattolica.org/ind...i/kirkr170.htm "
    "Peter J. Stanlis Rivoluzione francese, democrazia moderna e Repubblica nordamericana
    http://www.alleanzacattolica.org/ind...tanlisp269.htm "

    Una parte : "Gentz sostiene l'esistenza di quattro grandi differenze fra la Rivoluzione francese e quella americana. La prima di queste è che la Rivoluzione americana si fondava principalmente su chiari princîpi: cioè che le lamentele degli americani erano autentiche, ed essi si appellavano giustamente alla legge e alla tradizione inglese. La Rivoluzione francese, al contrario, era fondata su princîpi fallaci e passò di errore in errore."

    INVECE La rivoluzione francese é l'origine del totalitarismo moderno. Ha sperimentato per la prima volta la dittatura terroristica, il genocidio politico, il culto e la liturgia ideologica (la "dea ragione"), ed ha generato un fanatismo assassino tra i suoi seguaci (i famigerati sanculotti).
    Qui si vuol porre in evidenza l'aspetto oscuro e tremendo della rivoluzione, il fanatismo assassino, la sete di sangue che invade i militanti della nuova fede. Diversi studiosi tra cui Domenico Fisichella, hanno indicato nella rivoluzione francese la "madre" dei totalitarismi moderni. Nella Vandea c'é già l'embrione del gulag, nel terrore giacobino c'é giá il terrore staliniano. Se dalla sovversione giacobina é scaturito anche il lato cruento delle moderne democrazie illiberali, ebbene questo deve farci riflettere proprio sulle ambiguitá e sulle radici di sangue dei nostri sistemi politici. I giacobini compirono in varie regioni stragi e saccheggi analoghi a quelli comunisti. L’intolleranza dei tolleranti, di cui naturalmente nei nostri manuali di storia e filosofia non c’è traccia , perché la vulgata demoliberticida deve essere mantenuta come dogma.
    Il genocidio della Vandea può essere considerato come un esempio di protoComunismo, ovvero del totalitarismo che ha insanguinato la storia di mezzo secolo di Europa ; infatti non dimentichiamo che i cattolici Vandeani combatterono al fianco dei Nobili e quindi vennero visti dagli antenati delle ideologie del XX° secolo come razza e classe sociale da eliminare. È palese il legame esistente fra protestantesimo e Rivoluzione Francese. Entrambi avevano lo stesso obiettivo finale e lo stesso spirito sovversivo. Inoltre pure gli errori/orrori comunisti hanno la loro origine nei principi della Rivoluzione Francese , essendo il comunismo nient’altro che neogiacobinismo terrorista all’ennesima potenza , dittatura liberticida scaturita dalla negazione della libertà. A voi questi articoli , il cui contenuto di alcuni non condivido del tutto (avendo una chiara impronta cattotradizionalista o altro),ma che sono validi per chiarezza espositiva e giustezza interpretativa aristocraticamente “liberale” e "reazionaria" in senso positivo. Degni di parecchio interesse quelli sulla VANDEA , sui FUEROS , su VON HALLER , ma anche gli ALTRI. Concludo ricordando che l’opposizione antigiacobina è stata una sana RIVOLTA CONTADINA ANTIMODERNA in Francia.
    ONORE quindi alla FIEREZZA CONTADINA , RIVOLUZIONARIA e CONSERVATRICE : sempre in LOTTA IRRIDUCIBILE Contro l’Oro usuraio e corruttore della finanza dissanguatrice , Contro lo Stato della tirannia centralista e contro il collettivismo massificante…BALUARDO INESPUGNABILE votato alla TUTELA della Proprietà Privata , del SANGUE e del SUOLO delle STIRPI EUROPEE! - Holux





    Concludo con la citazione di Lapouge che criticava la rivoluzione francese , interpretandola come la rivincita del tipo alpino brachicefalo sul dolicocefalo biondo che portò all’ascesa degli inferiori e alla decadenza e denordizzazione della Francia , con tale motto :


    "A la formule célèbre qui résume le christianisme laïcisé de la Révolution : Liberté, Egalité, Fraternité, nous répondrons : Déterminisme, Inégalité, Sélection !" - (Georges Vacher de Lapouge. Préface à Ernst Haeckel. Le Monisme. Lien entre la religion et la science
    -profession de foi d'un naturaliste. Traduction française G. Vacher de Lapouge, Paris, Schleicher, 1897)


    Anche Lapouge é stato un grande autore , pur ben diverso dal suo illustre predecessore in quanto fautore del darwinismo sociale e del razzismo biologico su base scientifica , ma il letterato e filosofo Gobineau fu il pioniere sistematico dell'interpretazione della storia in chiave razziale...
    Gobineau fu un vero ariano dei tempi moderni , un individualista aristocratico fiero e solitario...



    "Non ho l'aria nè le idee di un plebeo" - J.A.de Gobineau


    14 Words! - Holuxar
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  9. #9
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    Omaggio al Conte de Gobineau anche su Stormfront Italia :


    Omaggio al Conte de Gobineau : 14 luglio 1816 - 14 luglio 2009...Holuxar
    Omaggio al Conte de Gobineau : 14 luglio 1816 - 14 luglio 2009... - Stormfront




    Gobineau aveva intuito che la razza bianca originaria aveva creato o contribuito a sviluppare tutte le più grandi civiltà , le quali poi decaddero in seguito alla mescolanza le élites aristocratiche e le masse assoggettate , fin dall'antichità :


    “A poco a poco mi son convinto che la razza oscura tutti gli altri problemi della storia, dei quali essa detiene la chiave. L'ineguaglianza delle genti dalla cui fusione si è formato un popolo sufficiente a spiegare l'intero corso del suo destino. Da ultimo mi sono convinto che tutto quanto esiste di grande, di nobile, di produttivo nelle opere
    dell'uomo su questa terra nel campo della scienza, dell'arte e della civiltà, deriva da un unico punto di partenza. Esso appartiene ad un'unica famiglia, i differenti rami della quale hanno regnato in tutti i paesi civili dell'universo.”


    Vi riporto lo splendido inizio e la agghiacciante fine del libro :


    “La chute des civilisations est le plus frappant et en même temps le plus
    obscur de tous les phénomènes de l'histoire. En effrayant l'esprit, ce malheur réserve quelque chose de si mystérieux et de si grandiose, que le penseur ne se lasse pas de le considérer, de l'étudier, de tourner autour de son secret.
    Sans nul doute, la naissance et la formation des peuples proposent à l'examen des observations très remarquables : le développement successif des sociétés, leurs succès, leurs conquêtes, leurs triomphes, ont de quoi frapper bien vivement l'imagination et l'attacher ; mais tous ces faits, si grands qu'on les suppose, paraissent s'expliquer aisément ; on les accepte comme les simples conséquences des dons intellectuels de l'homme ; une fois ces dons reconnus, on ne s'étonne pas de leurs résultats ; ils expliquent, par le fait seul de leur existence, les grandes choses dont ils sont la source. Ainsi, pas de difficultés, pas d'hésitations de ce côté. Mais quand, après un temps de force et de gloire, on s'aperçoit que toutes les sociétés humaines ont leur déclin et leur chute, toutes, dis-je, et non pas telle ou telle ; quand on remarque avec quelle taciturnité terrible le globe nous montre, épars sur sa surface, les débris des civilisations qui ont précédé la nôtre, et non seulement des civilisations connues, mais encore de plusieurs autres dont on ne sait que les noms, et de quelques-unes qui, gisant en squelettes de pierre au fond de forêts presque contemporaines du monde , ne nous ont pas même transmis cette ombre de souvenir ; lorsque l'esprit, faisant un retour sur nos États modernes, se rend compte de leur jeunesse extrême, s'avoue qu'ils ont commencé d'hier et que certains d'entre eux sont déjà caducs : alors on reconnaît, non sans une certaine épouvante philosophique, avec combien de rigueur la parole des prophètes sur l'instabilité des choses s'applique aux civilisations comme aux peuples, aux peuples comme aux États, aux États comme aux individus, et l'on est contraint de constater que toute agglomération humaine, même protégée par la complication la plus ingénieuse de liens sociaux, contracte, au jour même où elle se forme, et caché parmi les éléments de sa vie, le principe d'une mort inévitable.
    Mais quel est ce principe ? Est-il uniforme ainsi que le résultat qu'il amène, et toutes les civilisations périssent-elles par une cause identique? Au premier aspect, on est tenté de répondre négativement ; car on a vu tomber bien des empires, l'Assyrie, l'Égypte, la Grèce, Rome, dans des conflits de circonstances qui ne se ressemblaient pas. Toutefois, en creusant plus loin que l'écorce, on trouve bientôt, dans cette nécessité même de finir qui pèse impérieusement sur toutes les sociétés sans exception, l'existence irrécusable, bien que latente, d'une cause générale, et, partant de ce principe certain de mort naturelle indépendant de tous les cas de mort violente, on s'aperçoit que toutes les civilisations, après avoir duré quelque peu, accusent à l'observation des troubles intimes, difficiles à définir, mais non moins difficiles à nier, qui portent dans tous les lieux et dans tous les temps un caractère analogue ; enfin, en relevant une différence évidente entre la ruine des États et celle des civilisations, en voyant la même espèce de culture tantôt persister dans un pays sous une domination étrangère, braver les événements les plus calamiteux, et tantôt, au contraire, en présence de malheurs médiocres, disparaître ou se transformer, on s'arrête de plus en plus à cette idée, que le principe de mort, visible au fond de toutes les sociétés, est non seulement adhérent à leur vie, mais encore uniforme et le même pour toutes. J'ai consacré les études dont je donne ici les résultats à l'examen de ce
    grand fait.(...)"


    "(...) La prévision attristante, ce n'est pas la mort, c'est la certitude de n'y arriver que
    degradés; et peut-être même cette honte reservée à nos descendents nous pourrait-elle laisser insensibles, si nous n'éprouvïons, par une secrète horreur, que les mains rapaces de la destinée sont déja posées sur nous".
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  10. #10
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    Thumbs up Riferimento: Omaggio al Conte de Gobineau : 14 luglio 1816 - 14 luglio 2009...

    L'introduzione che scrisse il grande e compianto Adriano Romualdi (1940-1973) ad un'altra versione della traduzione italiana dell'Essai...Quella del 1964 delle Edizioni di AR di Franco Freda e successivamente la seguente :

    Introduzione a A. De Gobineau, L’ineguaglianza delle razze, Edizioni del Solstizio, Roma 1972.

    Romualdi era sempre stato un convinto ammiratore e seguace delle idee di Gobineau , come si nota nella sua opera principale cioé "Gli Indoeuropei" dove lo cita come pioniere della sistematica interpretazione razziale della storia , infatti anche in "Perché non esiste una cultura di destra" aveva scritto su di lui :

    "Gobineau pubblica nel 1853 il memorabile Essai sur l'inegalité des races humaines fondando l'idea di aristocrazia sui suoi fondamenti razziali. L'opera di Gobineau troverà una continuazione negli scritti dei tedeschi Clauss , Günther , Rosenberg, del francese Vacher de Lapouge, dell'inglese H.S. Chamberlain. Attraverso di essa il concetto di "stirpe" , fondamentale per il nazionalismo , viene strappato all'arbitrarietà dei diversi miti nazionali e ricondotto all'ideale nordico-indoeuropeo come misura oggettiva dell'ideale europeo."
    Adriano Romualdi , Una cultura per l'Europa , Edizioni Settimo Sigillo , Roma 1986

    Queste sono le tre edizioni de "Gli Indoeuropei" (la prima e la seconda ormai sono introvabili , anche se io ho letto quelle ; per la cronaca , il libro apparve in origine come una assai lunga introduzione al libro di Günther "Religiosità indoeuropea" tradotto dallo stesso Romualdi , furono pubblicati insieme ed io li ho trovati in biblioteca...La seconda edizione , postuma , me la prestò anni fa un mio amico professore che la comprò nel 1979 ; dato che era già introvabile gli chiesi di prestarmela ed appena letta mi entusiasmò!) :

    H.F.K Günther , Religiosità indoeuropea, trad. di A. Romualdi e C. Minutoli, Edizioni di Ar, Padova 1970 (s.l. 1934).
    Adriano Romualdi, Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni , Edizioni di Ar , Padova 1978 (1^ ed.)
    Adriano Romualdi , Gli Indoeuropei. Origini e migrazioni , Edizioni di Ar, Padova 2004 (2^ ed.)


    Ora vi riporto la sua recensione. C'è solo in spagnolo su internet e non é disponibile in italiano purtroppo , ma é abbastanza comprensibile e vale la pena di leggerla :



    La desigualdad de las razas de Gobineau | Adriano Romualdi
    http://adrianoromualdi.blogia.com/20...as-razas-e.php


    "Adriano Romualdi, Introducción a: Arthur de Gobineau, La desigualdad de las razas , Edizioni del Solstizio, Roma 1972.

    Hay libros que actúan sobre la realidad de muchos de los hechos políticos y que, saliendo del círculo estrecho de la discusión, se convierten en idea-fuerza, mitos, sangre que alimenta los procesos históricos. El más típico es indudablemente El Capital de Marx, un estudio histórico-económico que se ha convertido en dogma religioso, arma de batalla, evangelio del vuelco mundial de todos los valores cumplimentado por la casta servil. A estos libros pertenece el Ensayo sobre la desigualdad de las razas humanas del conde de Gobineau, ignorado durante el tiempo que el autor vivió pero que - difundido en Alemania después de su muerte - fue destinado a transformarse en un de las más poderosas idea-fuerza del siglo XX: el mito de la sangre del nacionalsocialismo alemán.

    Arturo de Gobineau nace en Ville d’Avray en el 1816 de una familia de antiguo origen normando. Poco antes de morir, en el Histoire d’Ottar Jara él revivirá los hechos del conquistador vikingo que arribó a las costas de Francia dando origen a su familia. El padre de Gobineau fue capitán en el Guardia Real de Carlo X. Después de la revolución del 1830 se apartó a vivir en Bretaña mientras el hijo fue a estudiar a Suiza. Aquí Gobineau aprendió el alemán y tuvo modo de asomarse a las vastas perspectivas que la filología germánica abrió en aquellos años. Ya Federico Schlegel en su Ueber die Sprache und Weisheit der Inder enseñó la afinidad entre las lenguas europeas y el sánscrito planteando una migración aria de Asia a Europa; en 1816, Bopp con su gramática comparada del griego, sánscrito, persa, griego, latino y gótico fundó la filología indoeuropea; por su parte, los hermanos Grimm redescubrieron el Edda y poesía germánica haciendo revivir el antiguo heroísmo y la primordial mitología germánica mientras Kart O. Müller halló en los dorios (Die Dorier, 1824) el alma nórdica de la antigua Grecia. Así, Gobineau tuvo modo que familiarizarse desde la adolescencia con un mundo que la cultura europea iba lentamente asimilado.

    En 1834 Gobineau va a París. No es rico, y trata de hacerse paso como escritor y periodista. De sus obras literarias de entonces, Le prisionnier chancheux, Ternote, Mademoiselle Irnois, Les aventures de Nicolas Belavoir, E’Abbaye de Thyphanes, muchas páginas han resistido la usura del tiempo.

    Un artículo aparecido en la Revue de deux mondes lo puso en contacto con Alexis de Tocqueville, el famoso autor de La democracia en América, también él de antigua estirpe normanda. Esta amistad les unió toda la vida a pesar de las fuertes diferencias de opinión entre los dos hombres: Tocqueville, el aristócrata que se resigna, y - sea incluso con melancolía - acepta la democracia como una realidad del mundo moderno y Gobineau, el aristócrata que se rebela e identifica la civilización con la obra de una raza de señores.

    Fue Tocqueville, nombrado Ministro de Exteriores, quien llamó al amigo como jefe de gabinete. En vísperas del golpe de estado napoleónico Tocqueville dimitió; En cambio Gobineau hizo buen cara al cesarismo que - si bien no le reportaba a la predilecta monarquía feudal - al menos colocaba las esposas a la democracia y al parlamentarismo. Entró en diplomacia y fue como primer secretario a tomar la delegación de Berna. Es en Berna que escribió el Essai sur el inégalité des races humaines, cuyos dos primeros volúmenes aparecieron en el 1853, los segundos en 1855.

    El ensayo retoma los movimientos del gran descubrimiento de la unidad indoeuropea, es decir de una gran familia aria extendida desde Islandia hasta la India. La palabra latina pater, el gótico fadar, el griego patér, los sánscritos pitar se revelan como derivaciones de un único vocablo originario. Pero si ha existido una lengua primordial de la que se han ramificado varios lenguajes, también habrá existido un estirpe primordial que - moviendose desde su patria originaria - difundirá este lengua en el vasto espacio existente entre Escandinavia y el Ganges. Es el pueblo que se dio el nombre de ario, término con el que los dominadores se designaban a sí mismos en contraposición a los indígenas de las tierras conquistadas (compara el persa y el sánscrito arya = noble, puro; el griego àristos = el mejor; el latino herus = dueño; el tudesco Ehre = honor).


    Es aquí donde se encauza el razonamiento de Gobineau, movilizando a favor de sus tesis los antiguos textos indios nos muestra a estos arios prehistóricos - altos, rubios y con los ojos azules - penetrando en la India, en Persia, en Grecia, en Italia para hacer florecer las grandes civilizaciones antiguas. Con una demostración muy forzada también las civilizaciones egipcia, babilonia y china son explicadas con el recurso de la sangre aria. Cada civilización surge de una conquista aria, de la organización impuesta por una elite de señores nórdicos sobre una masa.

    Si comparamos entre si a las tres grandes familias raciales del mundo la superioridad del ario nos aparecerá evidente. El negro de frente huidiza lleva en el cráneo "los índices de energías groseramente potentes". "Si sus facultades intelectuales son mediocres - Gobineau escribe - o hasta nulas, él posee en el deseo… una intensidad a menudo terrible". Consecuentemente, la raza negra es una raza intensamente sensual, radicalmente emotiva, pero falta de voluntad y de claridad organizadora. El amarillo se distingue intensamente del negro. Aquí los rasgos de la cara son endulzados, redondeados, y expresan una vocación a la paciencia, a la resignación, a una tenacidad fanática, pero que él diferencia de la verdadera voluntad creadora. También aquí tenemos que ver a una raza de segundo orden, una especie infinitamente menos vulgar que la negra, pero falta de aquella osadía, de aquella dureza, de aquella cortante, heroica, inteligencia que se expresan en el rostro fino y afilado del ario.

    La civilización es pues un legado de sangre y se pierde con el mezcolanza de la sangre. Ésta es la explicación que Gobineau nos ofrece de la tragedia de la historia del mundo.

    Su clave es el concepto de la degeneración, en el sentido propio de esta palabra, que se expresa en el alejamiento un género de su tipo originario (los alemanes hablarán de Entnordung, de desnorcización). Los pueblos antiguos han desaparecido porque han perdido su integridad nórdica, e igualmente puede ocurrir a los modernos. "Si el imperio de Darío todavía hubiera podido poner en campo a la batalla de Arbela persas auténticos, a verdaderos arios; si los romanos del basto Impero hubieran tenido un senado y una milicia formadas por elementos raciales iguales a los que existieron al tiempo de los Fabios, su dominación no habría tenido nunca fin."

    Pero la suerte que ha arrollado las antiguas culturas también nos amenaza. La democratización de Europa, iniciada con la revolución francesa, representa la revuelta de las masas serviles, con sus valores hedonísticos y pacifistas, contra los ideales heroicos de las aristocracias nórdicas de origen germánico. La igualdad, que un tiempo era sólo un mito, amenaza de convertirse en realidad en el infernal caldero donde lo superior se mezcla con lo inferior y lo que es noble se empantana en lo innoble.

    El Essai sur el inégalité des races humaines, si en muchos rasgos aparece hoy envejecido, conserva una sustancial validez. Gobineau tiene el gran mérito de haber afrontado por primera vez el problema de la crisis de la civilización en general, y de la occidental en particular. En un siglo atontado por el mito plebeyo del progreso, él osó proclamar el fatal ocaso de cada cultura y la naturaleza senil y crepuscular de la civilización ciudadana y racionalista. Sin el libro de Gobineau, sin los graves, solemnes golpes que repican en el preludio del Ensayo sobre la desigualdad de las razas humanas, y en aquellas páginas en que se contempla la ruina de las civilizaciones, toda la moderna literatura de las crisis de Spengler, a Huizinga, a Evola resulta inimaginable.

    Falta valorar la solución que Gobineau ha ofrecido problema de la decadencia de la civilización. A menudo es simplista. El mito ario, queda como indispensable instrumento para la comprensión de la civilización occidental, no se puede explicar mecánicamente el nacimiento de las varias civilizaciones del globo. Gobineau se encarama sobre los espejos para encontrar un origen ario a las civilizaciones egipcia, babilona, chino. Aunque muchos recientes estudios ayudarían a sus tesis (piénsese en la hipótesis de un Heine-Geldern sobre una migración indo-europea de la región póntica a China, o a la comprobación de un elemento ario en el seno a los casitas que invadieron Babilonia y a los hyksos que dominaron Egipto), queda el simplismo de los métodos demostrativos gobinianos. Además, los materiales arqueológicos y filológicos de que él se servirá son completamente inadecuados frente a la masa de los datos de que disponemos hoy (1).

    Y sin embargo, la idea de un diferente origen de las razas está demostrada por los estudios más recientes en la materia (Véase Coon. L’origene delle razze, Bombiani 1970), mientras que las estadísticas sobre los cocientes de inteligencia asignan un valor cuantitativo inferior a los negros con respecto de los blancos y a los amarillos. Mientras la civilización blanca arrastra en su movimiento a los pueblos de color, ellos se revelan en su mayor parte imitadores y parásitos, de lo que no hay duda que de que el mestizaje de la humanidad blanca conduciría a un estancamiento, si no a un retroceso. La crisis de las cepas germánicas y anglosajonas, a cuya voluntad e iniciativa se debe el dominio euro-americano sobre el mundo, y que en el tipo blanco representan el elemento más puro, es seguro la más dramática situación desde los principios de la historia.

    La gran obra del Ensayo sobre la desigualdad de la razas fue terminada. Pero la cultura francesa no se dio cuenta.

    Tocqueville intentó consolar a Gobineau profetizando que este libro sería introducido en Francia desde Alemania: fue en efecto una respuesta a un problema surgido en la cultura alemana, y de ella habría regresado a Francia, desde Alemania: fue en efecto una respuesta a problemas surgidos en la cultura alemana, y en ella habría sido discutida. De Berna, Gobineau pasó a Fráncfort, luego - como ministro plenipotenciario - a Teherán, Atenas, Rio de Janeiro y Estocolmo. El tiempo que estuvo en Persia le permitió dedicarse a sus predilectos estudios orientalísticos. El Traité des écritures cuneiformes, La Historie des Perses, Réligions et philosophie dans l’Asia centrale. También escribió las Nouvelles Asiatiques y, siempre en literatura, la novela Adelaida, el poema Amadis, el fresco histórico sobre La Renassance y la que es quizás su novela mejor lograda: Les Pleiades.

    La guerra franco-prusiana le sorprende en el castillo de Trye que formaba parte del antiguo dominio de Ottar Jara y que él adquirió. No se hacía graciosas ilusiones (un biógrafo suyo cuenta: "El canto de la Marsellesa, los gritos: a Berlín!, repugnaron a su naturaleza. No le dio el nombre de patriotismo a esas sobreexcitaciones peligrosas, demasiado ayuntamientos con las razas latinas. Donde divisó síntomas funestos"), pero en su calidad de alcalde organizó la resistencia civil contra el invasor. Sobrevenidos los prusianos, se comporta con gran dignidad y, aunque se valiera de la lengua alemana como la suya propia, nunca quiso hablar con ellos otra que el francés.

    El desastre del los años 70 y la suspensión de su candidatura a la Academia de Francia le disgustaron completamente. La misión a Estocolmo, en aquella Escandinavia que quiso como a una segunda patria, le fue de algún consuelo, hasta que en el 1877 fue jubilado anticipadamente. Para Gobineau transcurrieron los últimos años de su vida entre Francia e Italia. En Venecia conoció a Richard Wagner el cual dijo de él: "Gobineau es mi único contemporáneo". Un reconocimiento basado en una recíproca afinidad. Ambos advirtieron el atractivo romántico de los orígenes primordiales: los tonos profundos que se vislumbran en los abismos del caudal de El oro del Rin son los mismos que repican en el Essai sur el inégalité des races humaines. Fue Wagner quien presentó a Gobineau al profesor Schemann de Freiburg, el cual fundaría el Gobineau-Archiv.

    Gobineau murió de repente en Turín en el octubre de 1882. Nadie pareció darse cuenta de su desaparición. Fue universalmente admirado como un hombre de espíritu y como brillante conversador. Años después, fue cuando en la universidad comenzaron a haber cursos sobre de él, Anatole France dijo: " Je el ai connu. El venait chez el princesse Matilde. Ello était un grand diable, parfaitement simple et très spirituel. On savait qu'il écrivait des livres, maíz personne de ello les avait lus. ¿Alors, el avait du génie? Comme c’est curieux."

    Fueron los alemanes los que lo valorizaron. Wagner le abrió las columnas del Bayreuther Blätter: ahora el wagneriano Hans von Wolzogen, Ludwig Schemann, Houston Stewart Chamberlain anunciaron su obra. Fue Ludwig Schemann quien fundó el culto a Gobineau instituyendo un archivo cerca de la universidad de Estrasburgo, entonces alemana. En el 1896 Schemann fundó el Gobineau-Vereinigung que difundiría el gobinismo en toda Alemania. En el 1914 pudo contar con una red influyente de protectores y amistades; el Kaiser mismo la subvencionó y buena parte del cuerpo enseñante fue influido por sus ideas.

    Sobre la estela de la obra de Gobineau nació el racismo: Vacher de Lapouge, Penka, Pösche, Wilser, Woltmann, H. S. Chamberlain y luego - después de la guerra - Rosenberg, Hans F. K. Günther, Clauss retomaron las intuiciones gobinianas y las amplificaron en un vasto organismo doctrinal. En el 1933 el Nacionalsocialismo - asumiendo el poder en Alemania - reconoció oficialmente la ideología de la raza. Se realizó así lo que Wittgenstein había profetizado a Gobineau: "Vos os decís un hombre del pasado, pero en realidad sois un hombre del futuro."

    El batalla de Gobineau no fue en vano. Él escribió: "Quand la vie n'est pas un bataille, ell n'est rien."



    Las citas aquí indicadas están sacadas del primer libro del Ensayo sobre la desigualdad de las razas humanas, Ediciones de Ar, Padua 1964.

    (1) Una exposición moderna de las migraciones arias y su importancia para la civilización he tratado de exponerla en mi "Introduzzione al problema indoeuropeo" en el prólogo al libro de Hans F. K. Günther, Religiosità indoeuropea, Edizioni de Ar, Padua 1970. A ella me remito para quién de este ensayo sobre Gobineau le llevara el deseo de conocer los puntos de vista más recientes en arqueología, filología y antropología. "




    14 Words! - Holuxar
    ADDIO GIUSEPPE, amico mio, sono LUCA e nel mio CUORE sarai sempre PRESENTE!
    «Réquiem aetérnam dona ei, Dómine, et lux perpétua lúceat ei. Requiéscat in pace. Amen.»

    SURSUM CORDA - HABEMUS AD DOMINUM!!! A.M.D.G.!!!

 

 
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