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  1. #1
    a.k.a. tolomeo
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    Predefinito Generazione «né-né», niente lavoro, niente studio

    Generazione «né-né»: settecentomila giovani «inattivi convinti»

    Hanno da 15 a 35 anni: niente lavoro, niente studio.

    MILANO — «Mi chiamo Maria Elena Crespi, Malena per i miei quattro amici, ho 23 anni, vivo alle porte di Milano, non studio e non lavoro. Provo vergogna per questo? Io no». Malena è un nome e cognome, un viso acqua e sapone, e una storia di disillusioni e non impegno convinto che gli spagnoli catalogano sotto l'insegna Generación «ni-ni»: ni estudia ni trabaja: generazione «né» studio «né» lavoro. Adolescenti e giovani. Spagnoli e italiani, inglesi e americani. Tanti. Sempre di più. Anche se non la maggioranza. In Italia il fenomeno non ha un'etichetta, non ancora, ma sociologi e psicologi lo conoscono bene. E i dati inediti del Rapporto Giovani 2008, elaborati dal Dipartimento di Studi sociali, economici, attuariali e demografici della Sapienza di Roma per conto del ministro della Gioventù Gorgia Meloni, sembrano certificarlo. Ancor più quando vengono incrociati con le anticipazioni dell'indagine Istat sulla Forza lavoro 2008. Nella fascia di età tra i 15 e i 19 anni ci sono 270 mila ragazzi che non studiano e non lavorano (il 9%): la maggior parte perché un lavoro non lo trova; 50 mila perché della loro inattività ne fanno una scelta; 11 mila, poi, proprio perché di lavorare o studiare non ne vogliono sapere («non mi interessa», «non ne ho bisogno»).

    Stessa tendenza nei dati relativi ai giovani tra i 25 e 35 anni: un milione e 900 non studia e non lavora. Vale a dire: quasi uno su quattro (il 75%). Un milione e 200 mila di questi gravitano nella disoccupazione (ma tra loro c'è chi dice di non cercare bene perché è «scoraggiato» o perché «tanto il lavoro non c'è»). Settecentomila sono invece gli «inattivi convinti»: non cercano un lavoro e non sono disposti a cercarlo. È stato calcolato che se avessimo tassi occupazionali pari a quelli dei Paesi bassi (capolista nella classifica Ue, 81,3% nella fascia d'età tra i 15 e i 39 anni), il nostro Pil guadagnerebbe 1-2 punti in percentuale. Ma il fenomeno «né-né» è qualcosa che va oltre i numeri. In Spagna, dice una recente indagine di Metroscopia pubblicata su El País in occasione del battesimo massmediatico della Generación «ni-ni», il 54% dei giovani tra i 18 e i 35 anni dichiara di «non avere un progetto su cui riversare il proprio interesse o le proprie illusioni».

    Il leitmotiv: «Lo studio? tempo perso, non mi apre le porte al futuro. Il lavoro? Non lo cerco perché tanto non lo trovo». E la crisi sembra aver accentuato la rinuncia a qualsiasi impegno. Soddisfatti della loro vita privata (lo è l'80%), i giovani spagnoli si sentono in preda a una «devastazione lavorativa». E anche chi alla fine sceglie di studiare, lo fa senza prospettive. «Appena si rendono conto di cosa li aspetta continuano a formarsi, viaggiano, lavorano magari come camerieri per pagarsi un master mentre mamma e papà a casa li aspettano». Stesse tonalità per la fotografia scattata ai giovani «né-né» nostrani: coccolati dalla società e iperprotetti in famiglia come i «bamboccioni» ma troppo consapevoli delle loro scelte per finire sotto l'etichetta; apatici e un po' disarmati come i figli della «generazione x» ma anagraficamente troppo giovani per essere loro apparentati; circondati da fratelli e amici icona della «generazione mille euro» ma troppo disillusi per provare a loro volta a infilarsi, prima o dopo, nella stessa realtà. «Non lavorano perché la famiglia li mantiene e un impiego non si trova; non studiano o studiano meno di una volta per i programmi più leggeri, la mancanza di selezione», dice la psicoterapeuta Anna Oliverio Ferraris. «Se poi il modello è quello alla Grande Fratello (basta andare in tv per guadagnare) passa il concetto che per riuscire non serve impegnarsi. E ci si lascia vivere fino a 30 anni senza un progetto. Le motivazioni, invece, si coltivano fin dall'infanzia. Insieme al concetto che la realtà è anche lotta e sacrificio. E per questo è bella».

    Malena, nella sua stanza tappezzata di libri, annuisce: «Vero. Ma io lotto per quello che va a me. E per ora sto bene così. Forse un po' meno i miei genitori, la mia vecchia prof di lettere che ha sempre visto per me un futuro "promettente" (che parolaccia). E forse anche la società che non accetta quelli che cercano una strada diversa dai mille e 120 euro al mese di mia sorella laureata-dottorata». «Ci fosse però quella strada — aggiunge Daniele, dietro un nome di fantasia — me l'hanno rubata. Mio fratello ha fatto di tutto per fare contento il mondo e s'è trovato senza un lavoro e senza se stesso. Io a me non rinuncio, ma così sto male». Enrico B., 26 anni, non studia, non lavora, ma ha una compagna e un figlioletto a cui badare: «Il mio lavoro? Per mesi è stato cercare un lavoro. Adesso prendo quello che viene». E al bimbo chi pensa? «Mia madre e mio padre. Per ora viviamo con loro, poi si vedrà».

    Generazione «né-né»: settecentomila giovani «inattivi convinti» - Corriere della Sera
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  2. #2
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    Predefinito Riferimento: Generazione «né-né», niente lavoro, niente studio

    Storie di ordinaria modernità: famiglie benestanti, figli con futuro color marrone che galleggiano (è proprio il caso di dirlo) solo perchè hanno una famiglia alle spalle. Io non li biasimo.. uan volta ci si spaccava la schiena per migliorare la condizione sociale e per un progetto di vita. Oggi lo si fa per peggiorlarla e per venire sbattuti da un progetto all'altro. C'è da dire però che oggi rispetto a ieri le strade sono di più e più facili da percorrere
    "Quante persone ci sono in questa strada, un centinaio? Quante sono le persone intelligenti, sette, otto? Bene, io lavoro per le altre novantadue" Phineas Taylor Barnum

    UE, mondo, futuro Michio Kaku:
    https://www.youtube.com/watch?v=7NPC47qMJVg

  3. #3
    a.k.a. tolomeo
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    Predefinito Riferimento: Generazione «né-né», niente lavoro, niente studio

    Citazione Originariamente Scritto da Razionalista Visualizza Messaggio
    Storie di ordinaria modernità: famiglie benestanti, figli con futuro color marrone che galleggiano (è proprio il caso di dirlo) solo perchè hanno una famiglia alle spalle. Io non li biasimo.. uan volta ci si spaccava la schiena per migliorare la condizione sociale e per un progetto di vita. Oggi lo si fa per peggiorlarla e per venire sbattuti da un progetto all'altro. C'è da dire però che oggi rispetto a ieri le strade sono di più e più facili da percorrere
    non sono d'accordo sulla tua diagnosi (la prima parte), frettolosa e approssimativa.

    credo che le cause del fenomento vadano piuttosto ricercate nella cultura del relativismo che e' dominante. questo porta ad ammettere anche il fancazzismo come un "valore".

    certo, dalla scuola, dagli insegnanti e dalle universita' che abbiamo non possono certamente venire delle motivazioni a vivere o a pensare altrimenti.

    e neanche dalle famiglie post sessantottine, devastate dall'incongruenza tra le idee che sono state trasmesse loro e i risultati che si trovano ogni giorno davanti agli occhi.
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  4. #4
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    supporto totale a questi fannulloni... a cosa serve studiare per guadagnare 900-1000 euro al mese con contratti precario? molto meglio fare i fannulloni o i barboni od uscire dalla società e andare a vivere in ecovillaggi e comuni hippie

  5. #5
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    Predefinito Riferimento: Generazione «né-né», niente lavoro, niente studio

    Sì vabbè, se in questa statistica ci infila anche i giovani che lavorano in nero e risultano disoccupati, trova che il tempo che trova eh.

    Personalmente di persone di quella età che non lavorano e non studiano non ne conosco, ne conosco molte che non studiano e lavorano in nero invece.
    I vincenti hanno sempre una soluzione ad ogni problema, i no(n)euro hanno sempre una scusa.

  6. #6
    a.k.a. tolomeo
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    Citazione Originariamente Scritto da dedelind Visualizza Messaggio
    supporto totale a questi fannulloni... a cosa serve studiare per guadagnare 900-1000 euro al mese con contratti precario? molto meglio fare i fannulloni o i barboni od uscire dalla società e andare a vivere in ecovillaggi e comuni hippie
    beh, perlomeno che non vadano in giro a spaccare le vetrine quando non hanno un cazzo da fare o a frignare perche' sono "precari" e vogliono essere mantenuti nel loro fancazzismo.
    .

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  7. #7
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    Citazione Originariamente Scritto da tolomeo Visualizza Messaggio
    beh, perlomeno che non vadano in giro a spaccare le vetrine quando non hanno un cazzo da fare o a frignare perche' sono "precari" e vogliono essere mantenuti nel loro fancazzismo.
    il testosterone in qualche modo lo devono utilizzare... non ci sono più guerre, non c'è più la caccia per procacciarsi il cibo, molti non fanno neanche sport, le donne italiane se la tirano, dagli almeno la posisbilità di spaccare qualcosa

  8. #8
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    Citazione Originariamente Scritto da tolomeo Visualizza Messaggio
    non sono d'accordo sulla tua diagnosi (la prima parte), frettolosa e approssimativa.

    credo che le cause del fenomento vadano piuttosto ricercate nella cultura del relativismo che e' dominante. questo porta ad ammettere anche il fancazzismo come un "valore".

    certo, dalla scuola, dagli insegnanti e dalle universita' che abbiamo non possono certamente venire delle motivazioni a vivere o a pensare altrimenti.

    e neanche dalle famiglie post sessantottine, devastate dall'incongruenza tra le idee che sono state trasmesse loro e i risultati che si trovano ogni giorno davanti agli occhi.
    Quando hai la quasi certezza di non ottenere uno straccio di lavoro con prospettive salvo particolari rapporti di parentela o grande creatività per lavori autonomi è normale che ci sia sfiducia. E non si tratta di relativismo ma di puro e semplice realismo. Se hai il portafoglio gonfio o quasi cosa vai a fare di pulire i cessi?

    Il lavoro non è un valore di per sè. Lo è nell'autodeterminazione e nell'autosostentamento. Oggi per molti (fortunati, eh!) non è nè l'uno nè l'altro.
    La determinazione post seconda guerra veniva da ben semplici condizioni: fame e un'intera economia da ricostruire.

    Anche il tempo libero è un valore.
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  9. #9
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    Enrico B., 26 anni, non studia, non lavora, ma ha una compagna e un figlioletto a cui badare: «Il mio lavoro? Per mesi è stato cercare un lavoro. Adesso prendo quello che viene». E al bimbo chi pensa? «Mia madre e mio padre. Per ora viviamo con loro, poi si vedrà».
    Fino a quando qualcuno dei loro parenti se li campa non vedo alcun problema.
    Ma che non si pretenda che io con il mio lavoro debba mantenergli il loro figlio.
    Lo mandino a cucire palloni.
    Figliolo, lei è un asino...
    (D.Pastorelli, cit.)


  10. #10
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    MA chi spacca le vetrine saranno meno di mille su 3 milioni, dai tolo, non ci mettiamo a generalizzare...
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