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    Predefinito La politica clientelare? Nata col Risorgimento

    Paolo Macry pubblica «Unità a Mezzogiorno»:
    «Oggi è il Sud a pesare sull'intero paese»

    Ma è il Nord che ha fatto male al Sud, o è vero il contrario? Il dilemma divide tradizionalmente l'opinione pubblica, riflettendo i simmetrici pregiudizi dell'antimeridionalismo nordista e del sudismo rivendicativo. Ed è proprio ai molti tabù tuttora presenti nella lettura culturale e politica della storia italiana che Paolo Macry dedica il suo ultimo libro (Unità a Mezzogiorno. Come l'Italia ha messo assieme i pezzi, il Mulino 2012).

    Leggendo «Unità a Mezzogiorno», la prima impressione è che sia un libro revisionista, l'ennesimo processo al Risorgimento.
    «Non è così, né credo che gli storici abbiano il compito di istruire processi. Però è vero che il Risorgimento è stato spesso edulcorato dalla retorica nazionale, mettendo la sordina ai conflitti aspri e alle criticità che lo lacerano. Ed è vero, in particolare, che ad essere sottovalutati sono i gravi problemi che il Mezzogiorno porta in dote al Risorgimento, quasi che riflettere su questo punto fosse una minaccia per l'unità del paese e il buon nome del Sud».

    Ma perché il Mezzogiorno del 1860 sarebbe così problematico?
    «Perché già allora si tratta di territori profondamente diversi sul piano strutturale, civile e politico dal resto del paese. Quello del 1860, per intenderci, è il Sud dei contadini affamati di terra, dei galantuomini usurpatori di demani, dei municipi monopolizzati da notabili prepotenti. Presenta fenomeni di conflittualità sociale, violenza individuale, malgoverno locale sconosciuti nel resto della penisola e per i ‘‘piemontesi'' non sarà affatto facile normalizzarlo, come dimostra quella grande ribellione nei confronti del Nord che è il brigantaggio».

    Il Risorgimento nel Mezzogiorno, però, è anche Garibaldi e la sconfitta dei Borbone.
    «In verità, andrebbe sgombrato il campo da ricostruzioni agiografiche. Ad esempio, senza nulla togliere alle doti dell'Eroe dei Due Mondi, il suo travolgente successo risulta inspiegabile, se non si ricorda l'appoggio che riceve dai siciliani. È dai siciliani che l'esercito di Francesco II viene sconfitto, dalle bande armate dei contadini, dalla guerriglia urbana, dall'anarchia violenta che sbriciola le istituzioni borboniche. Un miscuglio micidiale di indipendentismo e criminalità diffusa. Certo, Garibaldi è decisivo, perché guida l'insurrezione, ma chi annienta le molte migliaia di soldati borbonici è la feroce spinta antinapoletana dell'isola».

    Dunque i Borbone sono liquidati dalla rivolta siciliana?
    «Non soltanto. I Borbone crollano per due ragioni. La prima, certamente, è la Sicilia. Ma la seconda è la svolta costituzionale decisa dallo stesso regime, su forte richiesta francese, nel giugno 1860. Una riforma a dir poco controproducente. Il nuovo governo costituzionale, infatti, mette mano a un drastico ricambio di intendenti, magistrati, poliziotti, eccetera, svuotando letteralmente lo stato borbonico dei suoi uomini, sostituendoli con personaggi di sentimenti antidinastici e finendo per colpire i tradizionali pilastri del regime, clero compreso. In altre parole, Francesco II si suicida politicamente, così spianando la strada alla rivoluzione dei democratici».

    Garibaldi insomma esce ridimensionato dalle pagine del suo libro. E Cavour?
    «Cavour è costretto dall'iniziativa dei Mille a mettere all'ordine del giorno l'assorbimento del Mezzogiorno nel nuovo stato nazionale, sebbene sia consapevole dei gravi problemi che questo comporta. Non a caso, pur di evitare che i democratici mettano il cappello sulla conquista del Sud, tenterà di organizzare a Napoli insurrezioni e colpi di stato antiborbonici, ma anche antigaribaldini, stringendo accordi segreti perfino con ministri e generali di Francesco II. A Napoli, moderati e democratici arrivano a un passo dallo scontro fisico. È tutto questo che mi fa dire che il Risorgimento si complica terribilmente quando mette piede nel Mezzogiorno».

    Date queste premesse, quale sarà nei decenni successivi il ruolo del Sud nel paese?
    «Anche qui, credo sia utile discutere senza pregiudizi le interpretazioni correnti del dualismo italiano, che notoriamente oscillano tra vittimizzazione e colpevolizzazione del Sud. Perché è vero che all'inizio il Mezzogiorno dà molto filo da torcere al Risorgimento, ma è altrettanto vero che, all'indomani della dura repressione del brigantaggio, questo stesso Mezzogiorno viene inserito con successo nel sistema politico italiano. E che, paradossalmente, finisce per diventarne un importante, forse il più importante, elemento di stabilità».

    E a cosa è dovuto un simile miracolo?
    «A una sorta di patto non scritto fra centro e periferia, gravido di conseguenze ma anche di reciproca utilità. Accade cioè che, fin dall'età liberale, le élite di governo riescono nella difficile impresa di mettere radici nel paese, distribuendo alle periferie opere pubbliche, posti di lavoro, appalti, eccetera, e avendone in cambio consenso politico, ovvero voti. Un meccanismo che, come sappiamo, avrà lunga vita».

    Quali sono gli effetti di questo originario clientelismo territoriale?
    «Positivi e negativi. La conseguenza positiva è la stessa stabilità che quel modello di governance delle periferie garantisce al sistema politico nel suo complesso. Rafforzato dal consenso raccolto (con mezzi più o meno impropri) nel Mezzogiorno, il ceto di governo avrà modo di realizzare le sue strategie, che spesso saranno strategie vincenti. Non bisogna mai dimenticare, infatti, che fra tardo Ottocento e tardo Novecento l'Italia riuscirà a trasformarsi da paese povero e marginale in uno dei più ricchi e solidi al mondo. Pur godendone soltanto in parte, il Sud sarà il serbatoio elettorale del grande successo del paese».

    E gli effetti negativi?
    «Gli effetti negativi riguardano il fatto che, grazie ai trasferimenti e ai favori ottenuti dai governi, le classi dirigenti del Mezzogiorno riusciranno a sopravvivere artificiosamente nel tempo. Come in una serra protetta. E questo avrà un'ulteriore e più nefasta conseguenza: gli elettori — ovvero le popolazioni meridionali — finiranno per scegliere i propri rappresentanti non per le loro qualità politiche e amministrative, ma proprio per la capacità di trasferire risorse dal centro alle periferie, ovvero ai rispettivi collegi elettorali».

    E quindi, tornando alla domanda iniziale, è il Nord che ha fatto male al Sud, o viceversa?
    «Messo così, ilquesito è fuorviante. Il Sud ha tratto incalcolabili vantaggi dall'unificazione, anche in termini strutturali, sebbene non possa dirsi che lo storico divario sia stato risolto. Ma è un fatto che, dalla metà del Novecento, la questione meridionale non è più una questione sociale e che oggi le grandi diversità fra Nord e Sud del 1861 sono soltanto un ricordo. Anche le regioni più avanzate e l'intero paese, tuttavia, si sono giovati dei fitti rapporti tra centro e periferie ai quali ho accennato. In fondo, il Mezzogiorno ha lungamente sostenuto, sul piano elettorale, politiche pubbliche che erano costruite da ceti di governo a dominanza settentrionale e che erano pensate per lo sviluppo delle regioni settentrionali».

    Dunque un pareggio salomonico?
    «Non proprio. Non oggi. Negli ultimi decenni del Novecento si è registrata infatti una netta meridionalizzazione dello stato e dei governi, che ha finito per accrescere l'influenza del Sud sugli indirizzi generali del paese. Detto in altri termini, la parte meno avanzata del paese ne assumeva, per la prima volta, la guida politica. E questo ha rotto gli equilibri precedenti, buoni o cattivi che fossero, perché le massicce politiche di assistenza e incentivazione del Sud hanno finito per aumentare gravemente l'inefficienza e i costi dell'intero sistema Italia. È in simili circostanze che è nata politicamente la ‘‘questione settentrionale''. Insomma, se mai il Nord ha imposto al Sud i propri interessi, oggi è il Sud che getta un'ombra pesante sulla possibilità di ripresa del Nord e cioè del cuore produttivo del paese».

    La politica clientelare? Nata col Risorgimento - Corriere del Mezzogiorno
    l'italiano ha un tale culto per la furbizia che arriva persino all'ammirazione di chi se ne serve a suo danno.

    jesus died for somebody's sins but not mine

  2. #2
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    Predefinito Re: La politica clientelare? Nata col Risorgimento

    Dare una sola causa a un qualcosa - l'idolo delle origini di Bloch - comporta sempre un errore.
    Il clientelismo meridionale è frutto sia delle errate azioni risorgimentali, sia delle maldestre politiche post-unitarie, sia della risalita alleate durante la guerra, sia del dominio francese e spagnolo di età moderna. Sia, probabilmente, di tutta una serie di piccoli fatti ora non riscontrabili.

 

 

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