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Risultati da 121 a 129 di 129
  1. #121
    Сардиния
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    Predefinito Re: Indipendenza della Catalogna?

    Citazione Originariamente Scritto da dDuck Visualizza Messaggio
    E' indifferente. che ci siano tre stati, o 10 stati o un'Italia unitaria.

    La classe dirigente la fai fuori.

    Ma perchè l'Italia unita non ha sovranità ? non l'ho capita questa.

    Sicilia, Sardegna, (ma anche Padania) mandano una marea di parlamentari a Roma,.

    Se votate quelli sbagliati non so che dirvi.
    Mettendo a parte il discorso della sovranità italiana, per non finire OT, vorrei solo farti notare come gli interessi espressi da questo stato d'italia, rappresentano vantaggi solo per determinate regioni settentrionali (che dir se ne voglia e forse manco più quelli), mentre gli interessi di altre regioni, vengono semplicemente ignorati, dal giorno della sua nascita!

    Per quanto riguarda la Sardegna, non entro nel merito, tanto non avete la minima conoscenza delle nostre complessità!

  2. #122
    NOIS SEMUS SOS SARDOS
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    Predefinito Re: Indipendenza della Catalogna?

    Scusate, pur non essendo il moderatore del Forum invito tutti a non uscire dalla discussione, che riguarda l'indipendenza della Catalogna (non di una o più regioni italiane!).

  3. #123
    Сардиния
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    Predefinito Re: Indipendenza della Catalogna?

    Citazione Originariamente Scritto da mirkevicius Visualizza Messaggio
    Su Padania! gliel'ho feci presente anche io.
    Ma quando la capirai, che la classe dirigente di uno stato, è l'espressione della sua classe dominante, che a sua volta fonda il propio potere su quello economico, che a sua volta si è concentrato nella parte più popolata della penisola italiana, posta a nord, al centro fra due grandi economie, quella francese e quella mittleuropea!
    Amico mio, al Nord si guarda alla TAV, a sud bisognerebbe guardare al Mare ...come ai tempi del re bomba!!! Il futuro della tua terra, non sta con milano, ma con uno stato partenopeo coscente di se e con una generazine responsabilizzata! Sono 150 anni che precipitate in un diruppo senza fine e senza fondo ...fattevene una ragione perchè tanto questa è una realtà con la quale presto o tardi dovrette fare i conti!!

  4. #124
    Сардиния
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    Predefinito Re: Indipendenza della Catalogna?

    Citazione Originariamente Scritto da Pierre Auguste Renoir Visualizza Messaggio
    Scusate, pur non essendo il moderatore del Forum invito tutti a non uscire dalla discussione, che riguarda l'indipendenza della Catalogna (non di una o più regioni italiane!).
    Tuttaltro, per comprendere la secessione catalana, bisogna capire e raffrantare questo evento con la nostra realtà, tantopiù che quell'evento, avrà ripercussioni dirette e abbastanza immediate anche nella politica italiana ...e non saranno di poco conto, se non altro per i forti squilibri che creeranno, alla caccia di un'area commerciale, che questa nuova istituzione, tenterà di costruire nel mediterraneo occidentale! La nascita di uno stato forte economicamente e culturalmente, non è un evento di poco conto!!!

  5. #125
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    Predefinito Re: Indipendenza della Catalogna?

    Citazione Originariamente Scritto da Pierre Auguste Renoir Visualizza Messaggio
    La Pàdania, con l'accento sulla prima A e' esclusivamente l'invenzione-pretesto di umberto Bossi e quattro amici riunitisi una ventina d'anni fa in qualche pizzeria o qualche bar nei dintorni di Varese per giustificare l'obiettivo di voler tenere per se' il gettito erariale prodotto in Lombardia e nelle regioni limitrofe.
    “E’ cosa buona e giusta” (cit.)
    Mettere sullo stesso piano la Padània o la Padanìa con la Catalogna e' l'ennesima pagliacciata dei suddetti nonche', dal mio punto di vista, un'eresia allo stato puro.
    Evviva gli eretici!

    Verso l’indipendenza, ciò che la Padania deve imparare dalla Catalogna
    di GILBERTO ONETO
    Quando si vuole accostare il caso catalano al nostro, vengono subito avanzati due tipi di eccezioni. Il primo, di tipo “italopatriottico”, sostiene che il paragone non abbia senso perché la Catalogna è una nazione che esiste da sempre con una propria lingua. Il secondo, “micronazionalistico”, tende a spostare il parallelo su realtà regionali – di solito il Piemonte e il Veneto – sostenendo che solo queste abbiano caratteri assimilabili per storia e cultura.
    Entrambi i tipi di obiezioni si basano – anche quando in buona fede – su una serie di non conoscenze o conoscenze distorte. L’elencazione che segue costituisce la base di informazioni su cui costruire il dibattito sull’autonomia padana e sul suo confronto con la situazione catalana.
    Storia.
    La storia più antica della Catalogna si confonde spesso con il Regno di Aragona che comprendeva anche altre notevoli porzioni dell’attuale Spagna, e in periodi diversi anche la Sardegna, la Corsica, la Sicilia, Napoli e altre parti del Mediterraneo. In questo senso si potrebbe dire che la Catalogna stia all’Aragona come il Veneto alla Serenissima. Il Regno di Aragona si è fuso con quello di Castiglia nel 1482 per dare vita al Regno di Spagna, all’interno del quale la regione ha goduto anche di lunghi periodi di accentuata specificità. Come – per fare un altro esempio che ci riguarda – il Ducato di Milano, che ha perso la sua indipendenza negli stessi anni ma che è sopravvissuto sotto un formale riconoscimento. L’indipendentismo catalano ha sempre dato segni di vita, ha generato momenti di autonomia che hanno trovato attuazione nei primi decenni del Novecento con la Generalitat, caduta solo nel 1939. La Padania ha conosciuto qualcosa di simile con la civiltà celtica, con la Longobardia maior, con il Regno d’Italia all’interno dell’Impero Romano-Germanico, con le Leghe Lombarde, e con il napoleonico Regno d’Italia. La sua storia è inoltre stipata di tentativi di creazione di uno Stato “sul Po”, dai Visconti, alla Serenissima fino al Regno dell’Italia Superiore di Cavour poi degenerato negli avvenimenti risorgimentali.
    Lingua
    La Catalogna ha una sua lingua ufficiale e parlata da gran parte dei suoi abitanti: la sua prima codificazione (costruita sul dialetto di Barcellona) risale al 1913 ed è stata accettata solo negli anni ’30 del Novecento. Il discorso sulla koiné padana è scientificamente corretto, e ha valore di riferimento culturale, come avviene – ad esempio – per l’occitano. Comunque la lingua è certamente un elemento identitario, ma attribuirgli eccessivo peso rientra in una visione molto ottocentesca, superata dagli eventi: esistono infatti molte comunità nazionali che parlano lingue uguali senza che questo le accomuni identitariamente, esistono paesi coesi dove si parlano lingue diverse, esistono paesi che si sono separati nonostante parlino la stessa lingua, esistono infine casi – come l’Irlanda – dove la gente parla normalmente la lingua che le era stata imposta per cancellare la sua identità senza che questo abbia oggi alcun significato politico. La lingua può essere un valore aggiunto ma da sola non significa granché, proprio come dimostra l’italiano che è stato imposto a comunità diverse senza riuscire ad amalgamarle.
    Rappresentanza istituzionale
    Quando si parla di Catalogna si intende in genere la Catalunya Estricta (o Generalitat de Catalunya) che costituisce solo una parte del tutto. La nazione catalana è infatti composta da altre due Regioni spagnole (Valencia e Baleari), da un pezzo di Aragona, da uno Stato indipendente (Andorra), da una regione francese (Roussillon) e da un pezzo di Sardegna (Alghero). Su circa 12 milioni e mezzo di catalani, solo circa la metà vive nella Regione che ha per capitale Barcellona. In Padania tale ruolo può essere assimilato a quello della Lombardia che ha il 36% della popolazione complessiva: è interessante notare come Catalogna (Generalitat) e Lombardia abbiano assunto su di sé il nome storico che un tempo designava l’intera area identitaria di cui ciascuna fa parte e che oggi sono note come Mancomunitat (de Catalunya) e Padania. Entrambe le entità storiche sono divise in parecchie entità amministrative diverse.
    Geografia
    Mentre la nazione catalana è piuttosto dispersa su territori diversi, la Padania ha una sua precisa unità geografica. Si tratta di un elemento dal valore relativo, spesso utilizzato dai nazionalismi ottocenteschi come elemento qualificante, che oggi è ampiamente superato dal concetto di bioregione, di area che richiede lo stesso tipo di approccio ambientale. In questo senso la Padania sembra essere una sorta di archetipo di bioregione ottimale.
    Economia
    Nella concezione contemporanea ha assunto grande importanza la definizione di comunità in termini socio-economici. In questo campo però le diversità locali catalane sono molto più pronunciate (ad esempio fra la regione di Barcellona e quella di Valencia) mentre la Padania si presenta come una realtà molto più coesa, che supera i confini amministrativi. La valle del Po e le sue aree limitrofe sono un ininterrotto reticolo di insediamenti industriali, urbanizzazioni e realtà agricole di eccellenza: la sola anomalia è rappresentata dalla Liguria le cui attuali condizioni sono però il risultato dell’unità italiana.
    Sfruttamento
    Entrambe le aree sono le più ricche e produttive degli Stati di cui fanno parte. Più forte è il gap fra la Padania e il resto d’Italia, più variegata la situazione iberica, dove ci sono altre parti (Paesi Baschi, Asturie, area di Madrid) che sono altrettanto produttive della Catalogna. Questo mette la Padania nella disgraziata posizione di essere il motore ma anche il bankomat di una Italia costruita sul dualismo Nord-Sud e sulla gestione centralistica del trasferimento delle risorse prodotte. La Padania, con il 45% della popolazione produce il 70% del Pil, la Generalitat ha il 17% della popolazione spagnola e il 20% del Pil. In entrambi i casi si genera un residuo fiscale, che è di circa 17 miliardi per la Catalunya Estricta, e di almeno otto volte tanto in Padania. Ne risulta per la Padania una condizione di sfruttamento molto più accentuata, che la pone senza dubbio al primo posto al mondo di questa sciagurata classifica della spogliazione.

    Le balle degli statalisti italici e gli errori degli indipendentisti nostrani
    di GILBERTO ONETO
    Dopo avere visto cosa sia davvero successo in Catalogna e come i media italiani abbiano trattato l’argomento col silenzio o la menzogna più smaccata, è utile ragionale sull’influenza di quel voto sulle vicende nostrane e provare a fare un paragone fra i due scenari.
    La reazione scomposta del potere in Italia rivela tutte le sue paure e debolezze: lo dimostra anche il fatto che i media stranieri si sono comportati sulla vicenda con maggiore correttezza. L’Italia unita è terrorizzata dalla vicenda catalana perché sa benissimo che si sta creando un precedente che potrebbe innescare una reazione a catena di cui l’Italia “una e indivisibile” potrebbe essere la prossima vittima. Non creano a Roma la stessa preoccupazione le autonomie scozzesi e vallona perché si muovono in situazioni in parte diverse da quella italiana. La Catalogna invece è la cosa più simile alla Padania che esista in Europa e questo davvero terrorizza il centralismo fascio-mafio-comunista italiano che è costretto a cercare le “scuse” più strampalate. Vediamo qualcuna di queste patetiche balle di regime.
    Balla numero uno: la Catalogna ha una sua forte differenza linguistica e la Padania no. La lingua catalana è stata codificata meno di un secolo fa, unificando una serie di “dialetti” locali costituenti una koinè separata da quella castigliana. Anche le lingue padane costituiscono una koinè ben definita che però non ha ancora trovato una codificazione, ma le parlate padane hanno un gradiente di diversità rispetto all’italiano persino superiore a quello esistente fra il catalano e il castigliano.
    Balla numero due: la Catalogna ha una antica storia statuale e la Padania no. Esisteva un Regno di Aragona di cui la Catalogna era la parte più “pesante”, ma l’autonomia “vera e moderna” è fatto molto più recente, di efficacia alternante nel tempo e riguardante solo una parte della Catalogna identitaria: la Catalunya Estricta di Barcellona. È perciò del tutto legittimo da parte padana fare riferimenti anche più robusti con le due Serenissime, il Ducato di Milano o il Piemonte. La Catalunya Estricta rappresenta un po’ meno della metà in superficie ed abitanti della grande nazione catalana e un po’ più della metà del suo Pil: un rapporto molto simile, ad esempio, a quello fra la Lombardia e la Padania.
    Balla numero tre: la Catalogna ha un grosso debito e chiede soldi a Madrid. La Regione di Barcellona ha un residuo fiscale di 17 miliardi l’anno e chiede che una parte le venga resa per far fronte alle proprie necessità: non è Barcellona ad avere bisogno di Madrid ma il contrario. La Padania regala allo Stato italiano circa 140 miliardi di euro l’anno. Anche in Padania ci sono aree economicamente più deboli come lo sono – ad esempio – alcune parti della Regione di Valencia ma sia Catalogna che Padania sono molto abbondantemente in grado di far fronte alle proprie emergenze interne, ma non sono più nelle condizioni di occuparsi di quelle degli altri: spagnoli e italiani.
    Insomma, dietro alle sue apotropaiche menzogne fa bene lo Stato italiano a preoccuparsi ed hanno tutte le ragioni per agitarsi i tanti piccoli Tejero tricolori che si aggrappano all’Inno e al Codice Rocco. La loro pacchia potrebbe finire.
    Ci sono però anche differenze non inventate dai patrioti di cui gli indipendentisti padani devono rendersi conto cercando di imitare il percorso dei fratelli catalani. Vediamo anche queste.
    Differenziazione ideologica. La libertà di una intera comunità non può essere imprigionata dentro a costrizioni ideologiche o partitiche. È del tutto naturale che il processo debba coinvolgere ogni parte della società: cattolici e laici, destra e sinistra, comunitaristi e libertari. Tutti devono marciare uniti per costruire un paese libero dove potranno democraticamente affermare le proprie differenze. In Catalogna l’offerta partitica è differenziata ed è rappresentata da partiti ideologicamente diversi: CiU è ad esempio di centro destra, Esquerra è di sinistra. In Padania l’idea stessa di indipendenza è stata monopolizzata dalla Lega che ha impedito la formazione di altre liste diverse ed ha invischiato la lotta di liberazione nelle sue scelte ideologiche, economiche e addirittura morali. È quasi un bene che Mas non abbia ottenuto la maggioranza assoluta: rischiava di trasformarsi in un Bossi. L’indipendenza ha bisogno di più voci.
    Unità territoriale. Per contro occorre che tutte le forze indipendentiste agiscano in perfetta coesione territoriale chiedendo – come succede in Catalogna – la libertà dell’intera comunità e non solo di parti di essa. È del tutto legittimo che esistano movimenti localisti, ma per il bene comune devono trovare forme di interazione molto stretta. Il “divide et impera” utilizza le differenze ideologiche ma soprattutto quelle territoriali inventandosi o favorendo micronazionalismi regionali che sono una patologia regressiva dell’indipendentismo.
    Utilizzo di pulsioni economiche e identitarie. La Padania (come la Catalogna) subisce una pesante deprivazione sia economica che culturale. Gli strumenti di lotta devono perciò riferirsi a pulsioni socio-economiche (Pil, residuo fiscale, oppressione statale) e identitarie (lingua, storia, difesa di modi di vita) utilizzandole contemporaneamente e nel giusto equilibrio. L’identità e l’economia da sole non bastano: la miscela dei due ingredienti è deflagrante.
    Strumenti e simboli. Il consenso indipendentista va costruito con costanza e intelligenza soprattutto attraverso l’informazione: si devono condurre i cittadini in un percorso di presa di coscienza che va dal ribellismo e dalla protesta iniziale fino alla profonda convinzione della necessità di liberarsi. Si deve farlo con strumenti e simboli adatti, come ha sagacemente fatto la dirigenza catalanista che non ha organizzato concorsi di Miss Catalogna, non si è inventata bandiere e non ha trasportato ampolle lungo il corso dell’Ebro.
    Correttezza e moralità. Un processo rivoluzionario necessita di persone al di sopra di ogni sospetto. Gli Stati centralisti fanno di tutto per corrompere e “comperare” i loro avversari e se non ci riescono si inventano – come è successo in Catalogna prima delle ultime elezioni – storie di corruzione che avrebbero coinvolto i capi autonomisti. Se invece l’indipendentismo imbarca personaggi impresentabili e dalla dubbia moralità, l’intera lotta viene sputtanata.
    Rapporti con lo Stato centrale. Lo Stato unitario (Spagna o Italia) è il nemico che si deve combattere. È lecito utilizzare tutti gli strumenti (Lenin le chiamava “contraddizioni”) che la contingenza offre per raggiungere l’indipendenza ma non si deve mai scendere a patti. Soprattutto non ci si deve mai alleare con forze stataliste o – addirittura – entrare nelle strutture dello Stato con l’illusione di combatterle dall’interno. CiU non si è mai alleata con partiti spagnoli a Madrid, non è mai entrata a far parte di governi nazionali, Pujol e Mas non hanno mai fatto i ministri del re.
    A conclusione, siamo a conoscenza delle balle degli statalisti italiani e delle loro azioni di disinformazione, ma dobbiamo anche essere perfettamente consci dei nostri errori: solo così la Catalogna ci può essere di esempio positivo. Via da Madrid e via da Roma!

    La Padania: ecco cosa è e cosa non è
    di GIANFRANCESCO RUGGERI
    Cosa non è la Padania.
    Parto dalla fine del titolo così da poter sgombrare subito il campo da un equivoco su cui spesso è volentieri in troppi indugiano e soprattutto speculano: la Padania non è un invenzione di Bossi, infatti non è merito suo né il nome Padania, né il concetto che sottende. Nel 1995 quando Bossi rilanciò il concetto Padania e lo fece conoscere al grande pubblico Guido Fanti sbottò: l’abbiamo inventata noi, 20 anni fa! In effetti nel 1975 Guido Fanti, allora presidente dell’Emilia Romagna, propose “l’idea di costituire un coordinamento con le regioni della Padania, cioè una lega di tutte le regioni che si attestano sul Po per rappresentare insieme un potere anche contrattuale nei confronti degli organi centrali di governo più forte di quello che non potesse essere la singola regione”. Stesso nome, stesso concetto e nel 1975 Bossi non aveva ancora iniziato a fare politica.
    Prima ancora, nel 1963, è stato il mitico Gianni Brera nell’Invectiva ad Patrem Padum a rammaricarsi perché nel corso dei secoli non si era mai stati in grado di far nascere la “Padania”: da Venezia a Milano e su fino a Torino. Stesso nome, stesso concetto e nel 1963 Bossi andava ancora a scuola o almeno credo.
    Nel 1910 il Professor Angelo Mariani dà alle stampe il suo “Geografia economico sociale dell’Italia” e divide la trattazione dell’argomento in tre parti distinte: Padania, Appenninia e Corsica. Stesso nome, stesso concetto e nel 1910 Bossi non era neppure nato. Ho personalmente effettuato una ricerca bibliografica, rinvenendo circa un centinaio di testi che parlano a vario titolo di Padania, testi che ovviamente sono stati editi prima del 1995, ovvero prima della riproposizione bossiana. Credo che quanto appena accennato basti per chiarire la questione: chi sostiene che la Padania sia un’invenzione di Bossi o è in malafede o non sa quel che dice e farebbe bene ad informarsi prima di parlare.
    Cos’è la Padania.
    La Padania è un’evidente ovvietà per gli stranieri ed è così da secoli, tutto il mondo sa che la Padania esiste, solo gli italiani e i padani autolesionisti si ostinano a negarla. All’estero da secoli hanno una visione chiara e netta della Padania, alcuni l’hanno semplicemente descritta, spesso con ammirazione, altri l’hanno combattuta, in tanti hanno cercato di sfruttarla, perché bella e ricca.

    - La Padania era ben nota ai Romani che la chiamavano Gallia Cisalpina e l’hanno combattuta, soggiogata e abbondantemente tassata, primi di una lunga lista.

    - La Padania è stata riconosciuta, ma rispettata da Carlo Magno, il quale dopo aver conquistato il regno longobardo, decise di rispettarne a tal punto nome, ordinamenti e leggi da farsi nominare non più solo Re dei Franchi, ma Re dei Franchi e dei Longobardi. Ciò ha permesso che ancora alla fine del 1300, ovvero sei secoli dopo, vi fosse in Padania chi dichiarava di vivere secondo la legge longobarda.

    - In seguito con il nome di Regno Italia, la Padania è stata per secoli riconosciuta come una entità del Sacro Romano Impero, infatti, a dispetto del nome, quel Regno d’Italia era composto dalle regioni padane più la Toscana e poco altro.

    - L’imperatore Federico Barbarossa si è ben accorto, a sue spese, che la Padania esiste, lo prova non tanto la battaglia di Legnano, quanto la dieta di Costanza del 1183.

    - Federico II, il tanto decantato stupor mundi, nonché nipote del Barbarossa, non avendo tratto insegnamento della vicende del nonno, rimase molto stupito nel constatare di persona la concreta consistenza della Padania.

    - Nel 1311 l’imperatore Arrigo VII lascia la Germania con l’intenzione ufficiale di pacificare la Val Padana. Per attuare il suo compito decide di istituire un Vicariato Imperiale di Lombardia e tra le prime quattro città chiamate a contribuire al mantenimento del vicariato vi sono Genova, Milano, Venezia e Padova. È evidente che a quel tempo il nome Lombardia nulla aveva a che vedere con l’attuale regione, storicamente si chiamava Lombardia ciò che oggi si chiama Padania; tra i mille esempi che si possono portare a conferma di questo fatto si pensi all’Anonimo Genovese che sulla fine del 1200 definisce la sua città “porta di Lombardia”.

    - Nel 1327 arriva un altro imperatore tedesco, Ludovico il Bavaro, anche lui cercherà di costituire un analogo Vicariato di Lombardia.

    - Nel 1330 Papa Giovanni XXII e Filippo VI re di Francia pensano anche loro di porre fine alle periodiche visite degli imperatori tedeschi a caccia di soldi, ipotizzando l’occupazione definitiva della Lombardia, leggasi Padania, da parte francese e la creazione di una monarchia vassalla al regno di Francia.

    -Il progetto non parte neppure, perché nello stesso anno Giovanni di Boemia li brucia sul tempo e prova egli stesso a creare un regno lombardo, ovvero ad unificare la Padania.

    - La Lombardia, intesa come Padania, è ancora una chiara evidenza secoli dopo, quando diviene un leit motive della letteratura di viaggio. Nella prima metà del ‘700 Joseph Jérome de Lalande scriveva nelle sue memorie di viaggio che “Cette plaine de Lombardie qui s’étend depuis Turin jusqu’à Rimini & Venise, sur une longueur de 90 lieues est la plus vaste, la plus délicieuse, & l’une de plus fertiles qu’il y ait en Europe“. Di analogo parere è Montesquieu secondo cui la Lombardia, leggasi Padania, è la plaine, la plus délicieuse du monde e comprende, sempre a suo dire, le Piémont, le Milanois, l’État Vénetien, Parme, Modène, Mantoue, le Bolonois et le Ferrarois.

    - La Padania è presente pure nella mente di Napoleone I. Nonostante le sue smanie di grandezza, Napoleone crea la Confederazione del Reno, una confederazione di stati tedeschi, e allo stesso tempo crea un Regno di Italia, che nuovamente si chiama d’Italia, ma che ancora una volta è fatto dalle sole terre padane. Ovviamente è uno stato vassallo, pure privo di alcune terre occidentali, ma è importantissimo notare come nella mente di Napoleone i Padani siano sullo stesso piano del Tedeschi, ed abbiano diritto ad un loro stato unitario.

    - La Padania è ben chiara anche nella mente del nipote Napoleone III, che nel 1858, a Plombiers, ne sottoscrive il diritto ad esistere come stato autonomo.

    - Concetti noti e ben chiari all’estero anche ai giorni nostri tanto che nel 1968 l’insigne linguista Gerhard Rohlfs scrive in un suo testo che “per Lombardi non si intendevano solo gli abitanti della attuale Lombardia, ma la popolazione di tutta l’italia padana. E Lombardo era il nome che era dato in quei tempi a quella lingua volgare che ivi stava per costituirsi in lingua indipendente e koiné letteraria al pari del catalano e del portoghese in opposizione al volgare toscano”. Continua poi aggiungendo che “Molto tempo prima dell’influsso poetico esercitato da Dante e Boccaccio, nell’Alta Italia si era sviluppata una koiné padana, di tipo lombardo-veneto, di ampio uso letterario. Nel corso del duecento questa koiné era già sulla via di assurgere a lingua letteraria nazionale. Essa veniva già sentita, e non di rado, come una lingua romanza indipendente, allo stesso livello delle lingue francese e toscana”. Ulteriore testimonianza dell’esistenza della Padania e come se non bastasse questo pezzo tappa anche la bocca a quanti vanno blaterano che negli ultimi 2000 anni non vi è mai stata una lingua unitaria o una koiné padana.
    La Padania, oltre ad essere un’evidente ovvietà per gli stranieri, è qualcosa che tutti i padani hanno fortemente voluto e a lungo cercato nel corso della storia.

    - La Padania l’hanno cercata i lombardi, nel senso attuale del termine, infatti nel 1402 Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano, è signore di quasi tutta la Padania, controlla Milano, Genova, Bologna, buona parte del Piemonte, dell’Emilia – Romagna, del Veneto, oltre a tutta l’attuale Lombardia e al Canton Ticino e si sta preparando a conquistare anche Firenze, dove si diffonde il panico e dove da sempre si ordiscono trame e alleanze per impedire la nascita di uno stato padano. La Padania è a un passo, ma il duca muore improvvisamente e il progetto sfuma.

    - La Padania l’hanno fortissimamente voluta i veneti, prima sono stati i della Scala a brigare per ottenere il titolo di Re di Lombardia, leggasi Padania, poi è stata la volta di Venezia che alla caduta dei Visconti, ottenute Lodi e Piacenza, è stata ad un passo dall’impossessarsi di Milano e del suo Ducato, che purtroppo è invece caduto nelle mani di Francesco Sforza.

    - Neppure i Piemontesi mancano all’appello, infatti prima di farsi prendere dalle fregole unitarie del 1860, solo 2 anni prima firmano gli accordi di Plombiers. Il regno dell’Alta Italia, di cui vogliono la nascita, altro non è che la Padania e Massimo d’Azeglio lo dice chiaramente nelle sue lettere: contentiamoci di fare uno stato sul Po!

    - Infine arrivano gli emiliano-romagnoli del già citato presidente Guido Fanti che nel 1975 ripropongono il concetto di Padania.

    Più recentemente, dalla seconda metà degli anni ’90, la Padania l’abbiamo voluta un po’ tutti, per di più tutti assieme, ma allora perché oggi tra gli autonomisti alcuni negano l’esistenza stessa della Padania? La stragrande maggioranza di costoro ha un passato da leghista, piccolo o grande comunque ce l’ha ed è un esperienza che si è chiusa male, così per loro negare la Padania significa continuare la battaglia contro Bossi che ritengono, a torto, l’inventore della Padania. È un comportamento umanamente comprensibile, ma assolutamente dannoso per tutti noi e persino irrazionale, è come negare l’esistenza di Dio solo perché non si sopporta il parroco del paese: neppure Peppone è arrivato a tanto!
    La vera colpa di Bossi e della Lega è di aver riproposto il nome Padania, senza averle dato dei contenuti, senza aver spiegato cos’è e cosa non è la Padania.
    Non per niente Novi Ligure è in Piemonte, i Veneti sono sparpagliati tra tre regioni, destino analogo tocca ai Lombardi e i Romagnoli, privi di ogni riconoscimento, sono divisi tra Emilia e Marche. A tutti gli indipendentisti amministrativo-regionali chiedo, why did you exchange a walk on part in the war, for a lead role in a cage?
    Il vero spirito che anima la Padania ce lo svela ancora una volta Gianni Brera: “Ho scritto e penso tutt’ora che l’Italia non sia mai nata, perchè Po non era un fiume, altrimenti Venezia l’avrebbe risalito più in forze – dico con navi idonee – e avrebbe sottratto la Padania alle ricorrenti follie del Sacro Romano Impero, avrebbe avuto sufficienti derrate alimentari, ineguagliabili artigiani del ferro e tessitori di lana e di seta raffinatissimi; avrebbe avuto ottimo vino da esportare in tutta Europa e sarebbe stata la più ricca nazione del mondo. Invece si è sempre inghiaiata a valle di Cremona e non ce l’ha mai fatta a sottomettere Milano e le altre verdi contrade padane fino a Torino…”
    Brera era nato a San Zenone Po in provincia di Pavia, terra lombarda di confine e forse per questo incarna l’essenza più profonda della Padania, infatti da lombardo doc, che pure profuma di Emilia, di Piemonte e di Liguria si rammarica per non essere stato conquistato dai Veneziani: sarebbe così nata la Padania.
    Altro che Padania Milano-centrica e simili idiozie, che non hanno fondamento alcuno, questo è il vero spirito della Padania: faccio il tifo perché il mio vicino padano mi conquisti e ci liberi tutti! Bello, persino commovente, ma forse invece di tifare per il vicino padano è bene che i padani imparino a collaborare tutti assieme, allora si che la Padania sarà.

    La Padania esiste: è il modo per liberarsi insieme da Roma
    di GILBERTO ONETO
    Non esiste un paese chiamato Padania sugli atlanti (come non vi si trova un Kurdistan, tanto per fare un esempio) ma è una argomentazione che lasciamo volentieri a Gianfranco Fini e alle sue patriottiche certezze. Esiste indubitabilmente un insieme di comunità che condividono numerosi elementi. Vediamone qualcuno.
    Il territorio. La Padania è uno dei più chiari esempi di completo bioregionalismo. È un grande ecosistema facilmente definibile e impossibile da negare.
    La cultura. Ha ragione da vendere Sergio Salvi (e non solo lui) quando identifica una koiné linguistica definita, lo straordinario agglomerato della “lingua del mi” declinato in sottosistemi. Esiste una colleganza innegabile in ogni espressione culturale dall’architettura alla musica popolare, dalla religiosità all’arte, dal folklore fino alla cucina che tiene assieme le regioni padane dalle origini del mondo.
    I modi di vita e la mentalità. Qualche spiritoso sottolinea le differenze linguistiche fra un romagnolo e un ligure (peraltro davvero labili) ma nessuno si azzarda a ipotizzare differenze percettibili nei ritmi di vita, nelle visioni del mondo, nelle aspirazioni, nei rapporti interpersonali delle comunità padane. Si possono trovare analoghe contiguità con paesi campani o siciliani?
    Lo spirito di comunità. Questa è la terra delle Banche popolari, delle Società di mutuo soccorso, dei Santi sociali, del volontariato, della solidarietà concreta. In questo tutte le nostre comunità si somigliano. Si può dire lo stesso delle altre?
    L’aspirazione comune. Salvo alcuni periodi, non è esistito uno Stato “padano” ma la nostra storia è una costante aspirazione a formarne uno, dalle Leghe lombarde, ai Visconti, alla Serenissima, al “grasso Belgio” di D’Azeglio e del primo Cavour. Ci ha provato lungamente la Serenissima e il fallimento è stata la vera ragione della sua fine: ci fosse riuscita oggi saremmo una Comunità potente e rispettata e forse mezza America parlerebbe veneziano.
    Economia e produttività. Una fitta rete di produzione e di commercio, di artigianato e di piccole imprese ricopre la Padania senza soluzione di continuità. Il popolo concreto della produzione è sicuramente il primo testimone dell’esistenza della Padania: non è possibile creare barriere o differenze di alcun tipo fra i distretti industriali, i capannoni, le botteghe e le officine, la vocazione al lavoro, al risparmio e all’investimento dalle Alpi all’Appennino tosco-emiliano, dal Ligure all’Adriatico.
    Il senso di appartenenza. Che si sia tutti “settentrionali” non lo può negare nessuno, che ci si senta tutti “nordisti” in contrapposizione con i “meridionali” è una delle poche indiscutibili certezze. Il senso di appartenenza diventa ancora più forte all’estero dove, nella peggiore delle ipotesi, si è riconosciuti come “italiani del nord” (è la prima domanda che ci viene fatta) oppure – se va meglio – come “lombard” con riferimento al termine francese, inglese e tedesco con cui da secoli la nostra gente viene chiamata. E qui viene fuori “il” problema: il nome di questo posto. Nord si riferisce all’Italia, Cisalpina alla Gallia, Eridania è ”zuccheroso” e in disuso. Lombardia – che è il suo vero nome – non può essere usato e non potrà esserlo per un bel po’ grazie all’astuzia di geografi e politici italiani e alla dabbenaggine di molti micropatrioti di casa nostra. Non resta che Padania, piaccia o no!
    Veniamo alla vicenda politica e ai progetti di autonomia.
    Tutti noi siamo convinti che ogni comunità debba organizzarsi e gestirsi nella più ampia libertà e che il diritto di autodeterminazione sia fondamentale. Tutti noi vorremmo che le comunità cui sentiamo di appartenere fossero indipendenti e sovrane. Tutti noi siamo anche convinti che il solo modo per difendere le singole libertà sia attraverso una libera confederazione di comunità indipendenti. Questi sono gli elementi di base che tutti noi condividiamo. Oggi tutte le nostre comunità sono oppresse e negate dallo Stato italiano che le ha smembrate secondo suddivisioni amministrative di suo comodo, che ne nega l’identità, che le deruba delle loro ricchezze.
    Il comune obiettivo è di liberarci dall’oppressione italiana e di ricostruire le nostre reali autonomie sulla base di una architettura istituzionale che sia il frutto della libera determinazione delle comunità, delle loro aspirazioni identitarie e della più opportuna applicazione della sussidiarietà.
    Come farlo? La strada più semplice è attraverso le entità amministrative esistenti, visto che gli antichi Stati preunitari sono stati scientificamente demoliti e le loro identità spezzettate o diluite. Ma occorre avere le idee chiare sul cammino da percorrere (finora la nebbia più densa ha ricoperto la Val padana) e soprattutto la forza per farlo. Occorrono i numeri, occorrono le strutture politiche che sappiano gestirli e occorre il corretto rapporto di forza con Roma. Tutti i sondaggi ci dicono che la maggioranza dei cittadini padani sarebbe favorevole all’indipendenza in un referendum in cui il quesito fosse posto con chiarezza e correttezza, e fossero esposti vantaggi e svantaggi. Manca un insieme coerente e coeso di soggetti politici: finora la Lega ha cercato di agire in regime di monopolio mentre sarebbe preferibile una situazione di tipo catalano, con una pluralità di soggetti politici diversi e collegati. Bisogna soprattutto essere consapevoli che lo Stato non è disposto a concedere nulla e che il solo argomento che possa fargli cambiare idea è il giusto rapporto di forze. Nessuna delle attuali Regioni ha la forza per opporsi da sola a Roma, neppure la grande Lombardia, neppure l’appassionato Veneto. Solo la Padania – questo è stato uno degli insegnamenti fondamentali di Gianfranco Miglio – può affrontare e battere lo Stato italiano. Le Regioni padane assieme hanno il 40% della popolazione, il 70% del Pil e sarebbero l’ottava potenza economica mondiale: se decidono assieme di liberarsi non le ferma nessuno. Questa è la grande forza dell’idea di Macroregione. Se poi a qualcuno non piace chiamarla Padania, la si battezzi Carlotta o Ciccabùm ma il principio non cambia. Dopo ci si potrà e dovrà organizzare in tutta libertà come le comunità decideranno ma per evadere dalla prigione italiana lo si deve fare tutti assieme con un’azione di massa.
    Nascerà una federazione di Piccole Patrie identitarie? Le regioni faranno ognuna per sé? Qualcuna si federerà con Stati esteri? Assisteremo a una polverizzazione di Repubblichette di valle o di quartiere? Si farà come la nostra gente vorrà.
    Siccome però una delle grandi doti che accomunano tutte le nostre comunità è il sano e concreto buon senso, sono pronto a scommettere che si arriverà a una grande Confederazione di libere comunità da fare invidia alla Svizzera. La storia – quella vera, non quella sognata o di regime – insegna che a dividersi, nella fase della lotta per la libertà, non si va da nessuna parte e si perde tutto: gli autonomisti si dovrebbero imparare a memoria la dichiarazione del Grütli, che ancora oggi tiene assieme comunità che hanno lingue e religioni diverse ma gli stessi interessi concreti. Litigare e polemizzare fra di noi si fa contenta solo Roma. Liti e divisioni sono suicide. Non ci sono alternative alla dimensione d’azione padana: non a caso l’Italia odia l’idea di Padania e ne è terrorizzata. Il guaio è che si trova sempre qualcuno pronto ad abboccare.
    Non facciamoci fregare anche questa volta. Nessuno può sapere se faremo tante comunità indipendenti o una federazione di popoli liberi: deciderà la gente. Per farlo però bisogna uscire dalla prigione e si può evadere solo in massa, tutti assieme coordinando gli sforzi.

  6. #126
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    Predefinito Re: Indipendenza della Catalogna?

    Citazione Originariamente Scritto da largodipalazzo Visualizza Messaggio
    Non è così la Padania -la lega,. sono invenzioni di una potenza estera neocolonialistica......La Germania
    Eh, magari!
    Mille volte meglio essere colonizzati, anzi, pure schiavizzati dai tedeschi, che essere “concittadini” dei terroni!
    Detto ciò contenti loro...me ne fotto
    I terroni non se ne fottono; fottono; anzi, chiagnono e fottono.…

  7. #127
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    Predefinito Re: Indipendenza della Catalogna?

    Citazione Originariamente Scritto da mirkevicius Visualizza Messaggio
    A Cermania farebbe piacere che quei pelli patani avessero indipendenzen
    A pelli e laporiosi padanen fareppe piaceren otteneren indipendenzen da parassiten terronen ke kiagnen und fotten….

  8. #128
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    Predefinito Re: Indipendenza della Catalogna?

    Madrid impone la bandiera spagnola. Gallifa la trasforma in un coriandolo
    di JORDI FORNAS
    Buona sera, sono il sindaco di Gallifa, un piccolo paese catalano a circa 40 Km da Barcellona che si è distinto qualche mese fa per via della battaglia sulla “sovranità fiscale” che abbiamo fatto dal momento in cui abbiamo pagato le tasse all’agenzia catalana invece di farlo a quella spagnola. Adesso, la signora “Delegada del Gobierno” spagnolo in Catalogna (Maria de los Llanos de Luna), massimo rappresentante della Spagna, ci ha richiesto il compimento della legge sulle bandiere del 1981, per la quale è di obbligo avere nei palazzi pubblici la bandiera spagnola.
    L’incompimento di questa legge puó comportare gravi conseguenze penali, con possibile pena di incarcerazione per “ingiurie alla bandiera”.
    Noi abbiamo adottato una via innovatrice e abbiamo trovato il modo per cui possiamo continuare a far sventolare le nostre bandiere, la catalana, la catalana stellata (simbolo dell’ independentismo) con stella bianca su fondo triagolare blu, e quella del comune con un gallo rosso su fondo giallo, senza incorrere nell’incompimento della legge.
    La legge citata sopra dice che la bandiera spagnola non può essere minore (più piccola) a qualsiasi altra presente sull’edificio, ma non dice di quale misura debba essere nel caso di trovarsi sola. Allora, abbiamo levato le nostre bandiere che erano sulla torre e le abbiamo messe in piazza (fuori dall’edificio) e abbiamo appeso sul “luogo preferente e di onore” come dice la legge, una bandierina della misura che crediamo meriti quella che siamo obbligati a mostrare. Se non doveste riuscire a vederla chiaramente nella foto, sappiate che è proprio sotto il cartello di “casa de la vila” (casa del comune).
    Stamattina, abbiamo ricevuto i mass media (radio, tv, giornali), catalani e spagnoli e abbiamo fatto conoscere loro la nostra soluzione, affinché altri sindaci che si trovino nella stessa situazione, procedano nello stesso senso. D’altra parte, la settimana prossima rifaremo nuovamente la nostra azione di “sovranità fiscale”, che abbiamo già fatto nel trimestre scorso. Questa volta, sembra che ci saranno altri paesi che si aggiungeranno alla nostra iniziativa.
    Tanti saluti!
    Madrid impone la bandiera spagnola. Gallifa la trasforma in un coriandolo | L'Indipendenza



    Revisione dei trattati e Macroregione: le ricette per uscire dalla crisi
    Peter Gauweiler e il programma della CSU per l’Europa
    Giuseppe Reguzzoni
    Se è vero che non è l’euro a fare l’Europa, che l’Europa ci sarà anche quando non ci sarà l’euro e che l’identità dell’Occidente non è una moneta, ma la Croce – tutti concetti ripetuti e sottolineati da Gauweiler -, è pur vero che, ora, l’Europa deve fare i conti con l’euro e con la sua crisi.
    Così, al giornalista di Kath.net che gli chiede se non sta dimenticando i principi della solidarietà, per esempio nei confronti della Grecia, Gauweiler, cristiano evangelico praticante, ricorda anzitutto la linea del suo partito, la CDU bavarese, approvata all’ultimo congresso: dalla crisi non si esce falsando le carte.
    «Quindi, per prima cosa “pacta sunt servanda”, i patti si mantengono. È una cosa che vale tanto nelle relazioni giuridiche private, che in quelle tra gli stati. Il Trattato di Maastricht prevede espressamente: 1) nessun Bail-Out, cioè, l’Unione Europea non risponde per i debiti dei singoli stati membri; 2) la Banca Centrale Europea deve essere indipendente dalla politica; 3) il debito di uno Stato deve rimanere sotto il 60%; il deficit annuale di bilancio non può essere superiore al 3% del prodotto interno lordo. Tutti principi che vengono quotidianamente infranti (…). Quanto alla Grecia, dobbiamo certamente aiutare i nostri vicini, perché le cose non possono andare bene a noi, se vanno male a loro. Ma i cosiddetti aiuti alla Grecia sono come caramelle offerte a un diabetico. La Grecia farebbe bene a non seguire le indicazioni di Bruxelles, e guardare, piuttosto, al suo vicino, la Turchia, che ha risolto la crisi in cui era precipitata negli anni Novanta. Non è la prima volta che uno Stato non riesce a pagare i suoi debiti. Negli ultimi vent’anni è successo anche alla Russia e all’Argentina. Tutti e tre questi stati sono riusciti a tirarsi fuori dalla crisi».
    Quando, poi, gli chiedono se questo significa lasciare sola la Grecia e che cosa quest’ultima debba fare di alternativo, in concreto, risponde con la consueta franchezza, mandando a quel paese i dogmi di Bruxelles: «La Turchia se l’è cavata svalutando la sua moneta e tornando a essere conveniente. In tal modo la Turchia non ha avuto solo un successo enorme nel turismo: ha riformato il settore bancario e ha lottato contro la corruzione. E ha aperto il Paese agli investimenti dall’estero. Oggi l’economia in Turchia cresce a ritmi del 10% l’anno. Anche la Grecia ce la può fare. Se fossi un politico greco mi impegnerei per portare il mio Paese fuori dall’euro. L’euro doveva essere una conquista, un bene, e, invece, è una piaga, un danno per i Greci. Per quel che mi riguarda, sono impegnato nel chiedere una revisione del Trattato di Lisbona. È una cosa che potrebbe fare solo bene alla Grecia. Deve essere possibile lasciare l’euro, senza abbandonare l’Unione Europea, cosa che ora non è consentita. L’ultimo congresso della CSU ha approvato all’unanimità questa mia proposta. Non si sana il debito creando altri debiti».
    L’intervistatore insiste sui trattati europei e ripete: «Ufficialmente il pacchetto salva Stati si chiama “Meccanismo europeo di stabilità”. Stabilità ed Europa è un abbinamento che suona come rassicurante…».
    Ma per Gauweiler le cose non sono come sembrano: «L’ESM va contro quanto stabilito quando abbiamo abolito la Deutsche Mark, vale a dire il divieto per l’Unione Europea e per gli Stati membri di farsi carico dei debiti di un altro Paese membro. Senza l’intervento della Corte Costituzionale Federale, l’importo di questa sorta di fondo non avrebbe avuto alcuna limitazione. L’ESM viola tutti i principi democratici, tanto più che il suo Direttorio non è soggetto ad alcun controllo parlamentare. Inoltre, questo fondo è, nei fatti, strettamente collegato alla direzione della Banca Centrale Europea che, per parte sua, sta sempre più divenendo il vero centro di governo dell’Unione Europea, benché non sia stata eletta da nessuno. Né i membri del Direttorio dell’ESM né quelli della BCE sono mai stati eletti dai cittadini europei».
    In sintesi, per Peter Gauweiler, lottare contro questo modello di Europa, significa lottare perché la democrazia non sparisca dal continente. Come ama ripetere, il futuro autentico dell’Europa non è e non può essere in un superstato bancario, ma in una libera associazione di piccole entità statali, un po’ come nel modello confederale svizzero: i cantoni europei o, per l’appunto, le macroregioni.
    http://www.lapadania.net/articoli/re...alla_crisi.php



    Il vento di indipendenza spira in Bretagna e il giornale viene censurato
    di STEFANO MAGNI
    “Un risultato sorprendente. Il 18% dei bretoni è per l’indipendenza!” Questo è (o meglio: era) il titolo di copertina, scritto a caratteri cubitali, del numero di febbraio del mensile “Bretons”, una rivista con una tiratura di circa 10mila copie dedicato alla società e alla cultura della Bretagna. Era il titolo. Perché subito dopo la sua uscita è diventato un numero da collezione. E’ stato ritirato dalle edicole. Spiegazione ufficiale del direttore: problemi tecnici. Nel frattempo la notizia aveva iniziato a circolare su Internet. Censura? Problemi politici, oltre che tecnici? Et voilà! Il numero ricompare magicamente in edicola. E si scopre che il problema tecnico, molto probabilmente, era proprio nel suo titolo di copertina. Che, nell’edizione riveduta e corretta diventa: “Un risultato sorprendente. Il 69% dei bretoni ignora la propria cultura”. Il sondaggio è lo stesso. I numeri pure. Ma si preferisce vedere il bicchiere per due terzi pieno (o per due terzi vuoto) dei bretoni che “ignorano” la loro cultura. Probabilmente quel 18% di indipendentisti c’è ancora, ma è nascosto nell’ombra di quel 31% di bretoni che, evidentemente, la loro cultura non la ignorano affatto.
    Il sindacato dei giornalisti di “Ouest France”, il gruppo editoriale, denuncia un vero e proprio atto politico: “Un atto di censura inammissibile – recita il comunicato del sindacato Cfdt di “Ouest France” – da parte del padrone di un giornale che non smette mai di predicare la libertà di informazione”. Il padrone in questione si chiama François-Régis Hutin. E la sua regola deontologica recita: “Dire senza alludere, mostrare senza scioccare, testimoniare senza aggredire, denunciare senza condannare”. Forse quel 18% di indipendentisti era troppo scioccante? O rappresentava una condanna (oltre che una denuncia) alla Francia? Il caso di “Bretons” è ancora troppo oscuro per poter trarre delle conclusioni chiare. Ma semina dubbi. Tanti dubbi. Sulla tenuta della Francia, in primo luogo.
    Apparentemente granitico, ma alle prese con l’indipendentismo della Corsica già da decenni e con una crescente spinta indipendentista anche di Alsazia e Lorena, l’Esagono ha sempre trascurato il secessionismo della Bretagna. Fino ad ora era stato un movimento molto minoritario che non coinvolgeva la grande opinione pubblica. Ora qualcosa sta cambiando. Anche la Francia, benché non lo ammetta, è un Paese a rischio di bancarotta. Il debito pubblico cresce, la produzione ha subito una contrazione di 0,3 punti del Pil nell’ultimo trimestre. Se il presidente François Hollande ricorre a misure esasperate ed esasperanti, come la tassa del 75% sui redditi da un milione di euro, a costo di far scappare capitali e provocare la secessione individuale dei francesi più facoltosi (compreso Gerard Depardieu), è perché sente di dover riempire subito, con tutti i mezzi, le casse dello Stato. Nel suo linguaggio politicamente scorretto, l’euroscettico britannico Nigel Farage, lo ha detto la settimana scorsa: Germania e Francia non potranno più stare assieme nella stessa Ue, perché la Parigi è prossima al collasso e non potrà più obbedire alle stesse regole concordate con Berlino.
    Come in Spagna, come nel Regno Unito, come in Belgio, come ovunque (anche in Italia) nell’Europa in crisi, il primo istinto è quello di chiamarsi fuori, con tutta la propria regione, dallo Stato nazionale in crisi. I bretoni avranno tutto da perdere o tutto da guadagnare da un’eventuale (per ora l’ipotesi è lontana) secessione? Il 18%, evidentemente, pensa di guadagnarci. Ma non lo può esprimere, “per problemi tecnici”.
    Il vento di indipendenza spira in Bretagna e il giornale viene censurato | L'Indipendenza





    Sondaggio Mps marketing - il 56,7% dei veneti vuole l’indipendenza veneta
    Sondaggio commissionato all'istituto di ricerca MPS Marketing per verificare la crescita del consenso indipendentista tra la popolazione veneta. Il sondaggio allegato ha fini statistici essendo stato condotto da istituto esterno ed indipendente e su un numero più che significativo di intervistati.
    Il movimento Indipendenza Veneta ha commissionato un sondaggio scientifico all'istituto di ricerca bergamasco MPS Marketing per verificare la crescita del consenso indipendentista tra la popolazione veneta. A gennaio 2012 MPS Marketing aveva intervistato un campione rappresentativo in Veneto domandando: "In un referendum per fare della Regione Veneto uno stato indipendente lei voterebbe…" La stessa domanda è stata riproposta a distanza di un anno, e rispetto al 53,3% di 12 mesi fa i favorevoli all'indipendenza sono oggi al 56,7%.
    "Il consenso indipendentista è in crescita e si sta consolidando in una netta maggioranza del popolo veneto" dichiara Lodovico Pizzati, segretario di Indipendenza Veneta, facendo notare che il margine d'errore di questo sondaggio è solo dell'1,5%. "La crisi economica sarà anche un fattore, ma credo che il percorso referendario imboccato da Indipendenza Veneta abbia consolidato il consenso dell'anno scorso e convinto una ulteriore percentuale di veneti."
    A livello provinciale, solo Rovigo presenta una percentuale di indipendentismo lievemente minoritaria (il 47%). Mentre Padova (52,4%), Venezia (53,8%) e Verona (54,0%) presentano una solida maggioranza per l'indipendenza del Veneto. Non sorprende il 58,9% di favorevoli a Treviso, in crescita anche per il notevole presenza di Indipendenza Veneta in vista delle amministrative del capoluogo. Sorprende invece l'impennata di consensi per l'indipendenza nel vicentino, che con un 65,3% supera addirittura il 64,4% di Belluno, realtà montana già oltre il 60% nel sondaggio dell'anno scorso.
    "Nel vicentino abbiamo avuto un riscontro molto positivo durante la nostra raccolta firme per una petizione all'Unione Europea perché garantisca un monitoraggio internazionale al referendum per l'indipendenza veneta" spiega Pizzati. "Proprio domani il nostro candidato sindaco a Vicenza e il nostro candidato sindaco a Treviso si recheranno a Bruxelles per consegnare le 30 mila firme raccolte negli ultimi due mesi."
    MPS Marketing ha anche rilevato l'autocollocazione politica degli intervistati. Mentre tra chi si considera di centro-destra l'aumento del consenso è stato di un modesto 2.5% rispetto all'anno scorso, raggiungendo così il 78,3%, la vera sorpresa riguarda il germogliare dell'indipendentismo di centro-sinistra. Rispetto al 13,5% dell'anno scorso, oggi il 26,8% dell'elettorato di centro-sinistra voterebbe SI in un referendum per l'indipendenza del Veneto.
    "Ha invece sempre sorpreso che in Veneto l'indipendentismo non sia un ideale di sinistra, come lo è in Scozia e in Catalonia," osserva Pizzati "Indipendenza Veneta è comunque un movimento trasversale e intendiamo ottenere consensi a favore del referendum per l'indipendenza da tutti i veneti, a prescindere dalle inclinazioni politiche."
    Per quanto la maggioranza dei veneti sia favorevole all'indipendenza, buona parte della popolazione non è a conoscenza del percorso legale basato sul diritto internazionale, che Indipendenza Veneta, movimento nato a maggio 2012, sta divulgando. Solo un veneto su tre conosce il movimento che a maggio portò a Zaia le 20 mila firme per indire un referendum sull'indipendenza del Veneto.



    VENEZIA, 16 FEBBRAIO 2013: UN SUCCESSO PIENO!
    Da qualunque angolo la si osservi, dobbiamo convenire che la manifestazione organizzata ieri da Indipendenza Veneta è stata un successo.
    Un successo di partecipazione popolare: migliaia di Veneti arrivati da tutte le nostre Terre, dal Cadore al Delta del Po, dal Garda al Piave hanno sfilato pacificamente, allegramente per le calli di Venezia, alzando i gonfaloni di San Marco e le bandiere di Indipendenza Veneta per rivendicare il diritto del Popolo Veneto alla propria autodeterminazione.
    Un successo di strategia politica: ancora una volta Indipendenza Veneta ha sostenuto l’ulteriore tassello, quello decisivo, del percorso verso la completa indipendenza. Un tassello, il Progetto di Legge che indice il Referendum per l’indipendenza per il 6 ottobre 2013, concepito e scritto da Indipendenza Veneta.
    Un successo di leadership indipendentista verso i competitors: Indipendenza Veneta prosegue sul percorso pacifico, legale e democratico, difficile ma chiaro, che vuole arrivare all’indipendenza attraverso la via istituzionale. Quella via che la Lega nord ha percorso fallendo, arrivando a proporre nel corso di molti lustri l’autonomia, poi il federalismo, poi la devolution, poi il federalismo a geometria variabile, ora una macroregione destinata a rimanere, per dirla con Metternich “un’espressione geografica”. Quella via che il Movimento 5 stelle rifiuta, invocando l’aiuto di Al Quaeda per risolvere tutto con una strage. Per non parlare di altri che si limitano a invocare l’indipendenza senza indicare il percorso per ottenerla, salvo criticare, rosi dall’invidia per i successi di Indipendenza Veneta, i progetti altrui.
    Infine, last but not least, un successo di organizzazione: grazie ai tanti, tantissimi militanti che si sono prodigati con competenza e passione, Indipendenza Veneta ha dimostrato una volta di più di essere un movimento capace di raggiungere l’obiettivo, attraverso una macchina organizzativa divenuta efficace, puntuale e capace di garantire lo svolgimento pacifico ed ordinato di una manifestazione così imponente.
    Ora un passaggio intermedio, quello del 24 e 25 febbraio; l’esito delle elezioni politiche non condizionerà il nostro percorso che, come più volte ribadito, non passa per Roma ma è un volo diretto Venezia – Bruxelles (Unione Europea) – New York (ONU); ma la sensazione è che il 25 si possa intravedere una bella rampa di lancio….

    Indipendenza Veneta: un successo la manifestazione a Venezia
    Sabato 16 febbraio in Veneto abbiamo visto prendere forma un salutare tsunami politico pacifico, legale, democratico ed elettorale di nome Indipendenza Veneta, una forza politica nata dal basso, dall’impegno civico di cittadini veneti esemplari che hanno concepito un percorso che sarà di esempio per il mondo intero e costituirà una nuova frontiera per la democrazia e il pensiero politico.
    Forse da domenica è ancor più chiaro perché diversi insigni intellettuali e filosofi di tutto il mondo stiano guardando a ciò che succede in Veneto con un’attenzione straordinaria e un supporto che si è concretizzato nella pubblicazione di un manifesto politico internazionale, iniziativa che vogliamo testimoniare ancora una volta: Marco Bassani, Hans-Hermann Hoppe, Donald W. Livingston, Ralph Raico, Xavier Sala-i-Martin, Pascal Salin sono gli intellettuali che per primi hanno sottoscritto il manifesto “Risoluzione 44“.
    E dopo prepariamoci a uno straordinario pressing istituzionale per far approvare in tempi rapidi la legge referendaria che indirà il referendum di indipendenza del Veneto il prossimo 6 ottobre 2013.
    Indipendenza Veneta: un successo la manifestazione a Venezia | L'Indipendenza



    10 mila grazie
    Un grazie ai 10 mila veneti che hanno trascorso una magnifica giornata oggi a Venezia. E’ stato un giorno storico ed indescrivibile per chi non c’era. Grazie alla presenza di tutti voi la legge regionale per indire il referendum sull’indipendenza del Veneto ha ora un peso enorme. Questa legge potrà essere approvata dal consiglio regionale solo se facciamo sentire la determinazione delle centinaia di migliaia di veneti che ci stanno dietro. E’ fondamentale il contributo di tutti voi. Tra una settimana anche i veneti che oggi non hanno potuto partecipare avranno la possibilità di dichiararsi per l’indipendenza del Veneto scegliendo Indipendenza Veneta alle prossime elezioni: è una dichiarazione di indipendenza. Se riusciamo a fare un risultato considerevole alle elezioni della settimana prossima, allora il consiglio regionale non potrà più ignorare la nostra richiesta e dovrà per forza approvare l’indizione del referendum. Un’ultima settimana di sprint per far capire che dietro ai 10 mila veneti che sono venuti oggi a Venezia a sottoscrivere la legge referendaria, ci sono centinaia di migliaia di veneti pronti a votare per la dichiarazione di Indipendenza Veneta.


  9. #129
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    Predefinito Re: Indipendenza della Catalogna?

    CATALUNYA: 200 SINDACI INDIPENDENTISTI SI RIUNISCONO IN ASSEMBLEA
    di REDAZIONE
    Venerdí 15 febbraio si è riunita a Vilanova i La Geltrú, a circa 30 Km a sud ovest di Barcellona, l’assemblea della AMI (Associazione dei Municipi per l’Indipendenza) con piú di 200 sindaci, rappresentanti dei 648 municipi che ci sono associati. Bisogna tenere conto che la Catalogna si compone di un totale di 947 municipi e l’AMI non ha tra i suoi iscritti, per il momento almeno, Barcellona, Tarragona e Lerida. C’è Gerona, c’è Vic e ci sono altre importanti cittá. La ANC (Assemblea Nacional Catalana) lavora per l’incorporazione del resto di cittá all’ente municipalista.
    In primo luogo, si é approvata una mozione di supporto alla dichiarazione di sovranitá del Parlamento di Catalogna. In seguito, e dopo aver ascoltato il discorso del sindaco di Gallifa, Jordi Fornas, l’assemblea ha deciso di dare l’approvazione, all’unanimitá, alla sua proposta consistente in due punti principali: che tutti gli associati dichiarino il proprio municipio “Territorio di Catalogna Libero e Sovrano” e che conseguentemente inizino a esercitare la “Sovranitá Fiscale” cosí come giá fa, da parecchi mesi, lo stesso municipio di Gallifa, acui si é aggiuinto da poco quello di Alella.
    Fornas, che ha dichiarato che la Catalogna, dopo la dichiarazione di sovranitá del Parlamento, é in guerra con la Spagna, una guerra che secondo lui non si fa con eserciti armati, ma con eletti alle urne, mobilizzazioni popolari e leggi internazionali, ha argomentato nel suo discorso. In questo modo si apre un secondo fronte in aiuto e spinta del Governo e del Parlamento di Catalogna nella lotta per la liberazione nazionale.
    Fornas ha anche fatto notare che, nella primavera del 31 (1931) è arrivata la dichiarazione della Repubblica Catalana (fatta dall’independentista fondatore di ERC, Francesc Macià) e adesso, alle porte della primavera del 13 (2013) é l’ora della nuova Repubblica Catalana.
    Per il momento, questa storica assemblea dell’AMI, ha avuto soltanto diffusione sui mezzi d’informazione digitale, mentre lTV, radio e mezzi giornalistici non hanno ancora osato dare diffusione della decisione unitaria e rivoluzionaria che ha preso l’organizzazione municipalista. Questo fatto dimostra l’importanza del passo fatto dalla organizzazzione AMI, che ha lasciato stupita e fuori gioco la stessa classe mediatica e politica catalana, che sicuramente non si aspettava il passo fatto dal rivoluzionario sindaco di Gallifa, un paesino di soli 200 abitanti, che assomigliano molto ai 200 spartani che hanno fermato i persiani alle Termopili!
    CATALUNYA: 200 SINDACI INDIPENDENTISTI SI RIUNISCONO IN ASSEMBLEA | L'Indipendenza



    DIALETTOFOBIA, ORA VA SVILLANEGGIATO IL VENETO
    di ROBERTO GREMMO
    Spunta dove meno te lo aspetti la rancorosa ostilità dell’egemonismo culturale alle lingue locali ed alle identità regionali. Specie sui grandi mezzi di comunicazione di massa, l’occasione per svillaneggiare le parlate locali e dar spazio ai peggiori pregiudizi non manca mai.
    Proprio in questi giorni, inonda le reti televisive un gustoso siparietto pubblicitario d’una importante società telefonica che vede il celebre Giacomo Casanova fare fesso un marito cui ha appena circuito la graziosa e disponibile mogliettina. Il macchiettistico consorte irrompe sulla scena con un parruccone non per caso con due punte cornute parlando in veneto stretto, con il tipico intercalare del “ciò…”.
    C’é da chiedersi cosa accadrebbe se lo sposo imbrogliato si fosse espresso con cadenza sicula o napoletana ed ostentando cornetti scaramantici. Sarebbe probabilmente caduto il cielo e tutta la conformista congrega dei commentatori un tanto a riga avrebbe alzato forti lai contro il razzismo antimeridionale. Poiché l’incopevole vittima dell’infedeltà appariva invece un povero “mona” veneto, nessuno ha parlato.
    Qualche giorno fa, due importanti quotidiani si sono avventurati in un’ingloriosa crociata contro la toponomastica in lingua francese che il comune di Aosta sta portando all’onor del mondo, accanto a quella già esistente in lingua italiana. Non sono più i tristi tempi di “Roma doma” ma l’idea del pluralismo linguistico sembra sempre e solo dar fastidio, specie se si concretizza nella rimozione di tanti nomi di località creati a tavolino nell’Ottocento dai fantasioni geografi sabaudi. Quanto sarebbe opportuno porvi mano anche in Piemonte dove, ad esempio, una borgata del Cuneese si chiama “Moglie” perché dai burocrati del Re vennero sbrigativamente italianizzate le “Moje”, che in lingua piemontese sono i terreni acquitrinosi di quella zona lambita dal Tanaro.
    E invece no! La lingua ‘dialettale’, i cartelli coi nomi tradizionali e le stesse identità regionali danno sempre e soltanto fastidio; soprattutto quando riguardano il Nord. Un Sudismo di maniera si esalta per la pizzica, le tammuriate e riscopre (in questo caso giustamente) le rivolte dei briganti contro l’unità d’Italia. Se però sopra il Po la gente s’intestardisce a voler essere sé stessa, subito scattano i riflessi condizionati (da una cultura centralista o meridionalizzata) e parte l’accusa di razzismo e sbrigativamente si nega ogni valore a quei segni identitati.
    E da parecchio che funziona così. Qualche anno fa una importante società cinematografica realizzò una pellicola per esaltare la straordinaria vicenda dei contadini di Santa Vittoria d’Alba che durante l’ultimo conflitto riuscirono con grande coraggio ed abilità a sottrarre ai nazisti predatori le ricche riserve vinarie delle loro cantine. Il protagonista del film era un celebre attore americano ma tutte le comparse erano ‘prese dalla strada’, in questo caso dallo stesso paese di Santa Vittoria d’Alba, però erano state tutte doppiate e sullo schermo… si esprimevano in napoletano!
    Sempre nel cinema, per anni, le servette stupidotte e vanesie apparivano sempre esprimendosi in lingua veneta. Esempi simili se ne potrebbero fare tanti altri, e v’é da pensare che certi stereotipi negativi non siano stati messi in circolo per caso ma deliberatamente, tanto per far capire che i “polentoni” erano e sono solo dei regrediti illetterati, tonti ed imbecilli. Proprio come il marito cornuto della scenetta pubblicitaria. Simili prodotti subculturali danno davvero fastidio perché sono l’inevitabile scadente prodotto della ben poca attenzione al grande patrimonio di cultura e storia dei Popoli del Nord. Perché nella realtà, era proprio Casanova a parlare in veneto stretto. Come sempre ricorda il patriota venetista Franco Rocchetta, il celebre amatore aveva tradotto in lingua veneta l’intera “Iliade”.
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    Il Veneto attira l’attenzione e il supporto del mondo per la nascita della nuova Repubblica Veneta
    Sabato 16 febbraio in Veneto abbiamo visto prendere forma un salutare tsunami politico pacifico, legale, democratico ed elettorale di nome Indipendenza Veneta, una forza politica nata dal basso, dall’impegno civico di cittadini veneti esemplari che hanno concepito un percorso che sarà di esempio per il mondo intero e costituirà una nuova frontiera per la democrazia e il pensiero politico.
    Forse da domenica è ancor più chiaro perché diversi insigni intellettuali e filosofi di tutto il mondo stiano guardando a ciò che succede in Veneto con un’attenzione straordinaria e un supporto che si è concretizzato nella pubblicazione di un manifesto politico internazionale, iniziativa che vogliamo testimoniare ancora una volta: Marco Bassani, Hans-Hermann Hoppe, Donald W. Livingston, Ralph Raico, Xavier Sala-i-Martin, Pascal Salin sono gli intellettuali che per primi hanno sottoscritto il manifesto “Risoluzione 44“, che di seguito all’articolo è riportato nella traduzione italiana a cura di Carlo Lottieri.
    L’azione di Indipendenza Veneta si inserisce in un momento straordinario di ridisegno dell’intera Europa (e non solo) che vede ormai la prossima fine di un modello socialdemocratico basato sul centralismo fiscale che non regge più il passo con i tempi moderni e che segue di venti-trent’anni la fine del sistema sovietico.
    Ad essere entrato in crisi è un modello statale monstre con le proprie burocrazie infinite che farebbero impallidire Kafka e che costituiscono il tessuto connettivo dove imperano la corruzione, l’inefficienza, l’assistenzialismo parassitario che proprio nello stivale ha trovato la propria massima espressione. L’effetto collaterale è quindi proprio il risveglio delle coscienze civiche e dei territori, che nello scenario attuale sono interessati dalla desertificazione economica favorita dalla velocità con cui oggi i capitali e gli insediamenti industriali e produttivi si spostano in aree del pianeta con maggiori opportunità.
    La nuova Repubblica Veneta costituisce quindi una naturale nascita di un nuovo modello politico di organizzazione umana, che sarà di esempio per il mondo intero e che non poteva che ripartire da qui, dove il policentrismo il modello a rete rappresenta quasi un fattore antropologico oltre che culturale.
    La velocità e la determinazione con cui si muove Indipendenza Veneta anticipa le tappe degli attori ormai stanchi di un vecchio teatro che chiuderà il sipario in fretta. La nostra azione e il movimento civico che ne è nato pongono i nostri attuali rappresentanti politici in Regione Veneto di fronte alle proprie responsabilità. In tale contesto paiono puerili le scuse e le bugie del governatore Zaia che, per giustificare la propria passività sulla questione dell’indipendenza veneta ha affermato che anche il presidente catalano Artur Mas non si è dato da fare per indire il referendum di indipendenza della Catalogna. In realtà il partito di Mas, CiU, assieme ad ERC, il partito indipendentista di centro-sinistra hanno firmato un accordo per indire il referendum per l’indipendenza catalana entro il 2014 e il Parlamento Catalana ha votato a grande maggioranza la risoluzione che indica la Catalogna come soggetto giuridico internazionale, che deciderà del proprio destino in piena libertà.
    E il Veneto può e deve diventare una repubblica sovrana e indipendente ancor prima sia della Catalogna sia della Scozia, considerato che qui il furto fiscale e di dignità a danno dei cittadini veneti non ha eguali nel mondo e forse anche nella storia!
    Lo straordinario successo del corteo straordinario di sabato a Venezia dimostra inoltre il consenso crescente attorno ad Indipendenza Veneta, che aumenta di giorno in giorno, e che tra una settimana diventerà visibile anche dopo il passaggio di puro interesse statistico delle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio prossimi che rappresentano d’altro canto la fine delle scuse anche per il sistema mediatico, che ancor oggi pratica nei nostri confronti forme di disinformazione, di confusion marketing e di accostamento a organizzazioni poco serie e di interesse nullo. I giornali tra una settimana non avranno più scuse per scrivere articoli indegni come alcuni che abbiamo letto in questi giorni, a meno che di non volersi far riconoscere da tutti ancor più come organi di informazione di regime.
    Impegniamoci quindi in questa ultima settimana di campagna elettorale per supportare e far votare anche gli indecisi per Indipendenza Veneta, il movimento che in soli 8 mesi di vita ha saputo ridisegnare lo scenario politico del Veneto, colmando un vuoto politico lasciato dai partiti che sono giunti alla fine del proprio ciclo di vita politico.
    E dopo prepariamoci a uno straordinario pressing istituzionale per far approvare in tempi rapidi la legge referendaria che indirà il referendum di indipendenza del Veneto il prossimo 6 ottobre 2013.
    Gianluca Busato
    Indipendenza Veneta

    Un Manifesto per la Libertà del Veneto
    (Tratto da Risoluzione 44)
    Votare per l’indipendenza:
    perché i veneti hanno il diritto a decidere sul loro futuro
    L’Europa sta cambiando a grande velocità e dopo l’età degli Stati nazionali stanno riemergendo comunità locali che rivendicano il pieno diritto ad autodeterminarsi e dare vita a istituzioni indipendenti. Negli ultimi mesi, i veneti – come prima i cittadini di Catalogna, Scozia, Fiandre e di altre regioni europee – sono diventati attori di un processo di cambiamento. Tale trasformazione porterà gli elettori di questa regione a scegliere, per via referendaria, tra due possibilità:

    1) quella di restare in Italia, oppure

    2) quella di dare vita a una nuova entità politica, che rinverdisca i fasti della Serenissima.

    I firmatari di questo appello invitano le autorità internazionali ed europee a favorire il processo di autodeterminazione avviato il 28 novembre 2012 con l’approvazione – da parte del Consiglio Regionale del Veneto – di una Risoluzione che impegna le massime istituzioni venete a fare tutto il possibile affinché i cittadini possano decidere in merito al loro futuro.
    Le norme internazionali riguardanti il diritto di autodeterminazione, che consente per via democratica a una comunità di decidere se restare all’interno di uno Stato o crearne uno nuovo, vanno rispettate al fine di gestire senza tensioni e nel modo più sereno questa fase di cambiamento. La nascita di un Veneto indipendente, attraverso un processo elettorale e dopo avere constatato una volontà in tal senso della maggioranza della popolazione, è d’altra parte da auspicare per varie ragioni.
    1. Ogni volta che nasce una comunità politica indipendente – come sarà nel caso del Veneto – si ha un aumento della concorrenza istituzionale e questo in qualche modo permette ai singoli, alle famiglie, alle imprese e ai capitali di “governare i governanti”, dato che i costi di uscita da un ordinamento all’alto diminuiscono con il moltiplicarsi di queste piccole realtà indipendenti. Tutto ciò spinge le classi politiche a ridurre gli sprechi e le inefficienze. Non è certo un caso, d’altra parte, se in ambito fiscale i piccoli Stati hanno generalmente aliquote inferiori rispetto alla media.
    2. Le realtà politiche di limitate dimensioni sono per giunta orientate a essere maggiormente aperte al mercato e determinate a integrarsi economicamente con le altre realtà. Mentre i grandi Stati possono illudersi (a torto) di trarre beneficio da una qualche “autosufficienza” in questo o quel settore, le piccole comunità sposano con facilità un’economia liberale.
    3. Le dimensioni limitate rendono per giunta più difficile quella particolare “illusione finanziaria” che porta gli Stati moderni a sottrarre poco a molti per dare tanto a pochi, ripetendo però questa operazione in innumerevoli circostanze. In altre parole, nelle realtà estese si radica con maggiore facilità quel parassitismo che è all’origine, in tanta parte d’Europa, dei più gravi problemi della finanza pubblica.
    Nella storia dell’Occidente, l’avvento degli Stati nazionali è stato accompagnato da grandi difficoltà interne e da terribili guerre.
    La nascita, a partire dal Veneto, di un’Europa che lasci spazio a nuove entità statali aiuterà a riscoprire le virtù della pace, del lavoro, del commercio e della tolleranza. Il processo di autodeterminazione dei veneti sarà allora un passo importante verso un’Europa migliore e gli uomini di buona volontà devono impegnarsi affinché il processo elettorale che porterà al referendum sull’indipendenza avvenga senza tensioni e all’insegna del massimo rispetto tra tutte le parti coinvolte.


 

 
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