Gli intellettuali sono più corrotti dei politici

“Una società in cui i politici sono corrotti può recuperare, ma una società in cui gli intellettuali e i moralisti sono più corrotti di coloro cui pretendono di far la morale non può che precipitare nel caos”. Così scrivevo nel 1986 (‘C’è un’altra questione morale: gli intellettuali in malafede’, Europeo, 2.8.1986). A più di un quarto di secolo quelle parole mi paiono sinistramente profetiche. Nel più pieno caos ci siamo, viviamo in una società senza regole, che non siano i burocratismi ottusi tipici di ogni regime (sbocconcellare un panino in strada non si può, rubare a quattro palmenti sì), senza principi, senza etica, senza dignità, senza onore e senza grandezza persino nel malaffare. Lo abbiamo visto, ‘in corpore vili’, nei recenti scandali che coinvolgono i consiglieri regionali di mezza Italia. Ciò che colpisce in questi individui, al di là dell’impudenza e delle ruberie, è la loro mediocrità di uomini. Già sono dei miracolati che, in genere, non hanno alle spalle una professione, un mestiere, che non hanno mai fatto un vero giorno di lavoro in vita loro. Se hanno raggiunto nell’amministrazione pubblica posti di rilievo e ben remunerati non è certo per le loro preclare virtù ma solo ed esclusivamente per l’infeudamento in un partito. Avrebbero potuto accontentarsi. Invece si sono venduti per una cena in un bel ristorante, per una spesa al supermercato, per trarre una ragazza che non sono capaci di conquistare in modo normale.
Questi, fatta qualche debita eccezione, sono i nostri rappresentanti, a tutti i livelli. Ma, come venticinque anni fa, resto convinto che i principali responsabili della degenerazione morale in cui è precipitato in nostro Paese, siano gli intellettuali (ma sarebbe più preciso dire i giornalisti perché dopo la morte di Pasolini di intellettuali che abbiano qualche voce in capitolo non se ne vedono più in giro) che, per opportunismo, viltà e tornaconto hanno abdicato al ruolo di ‘coscienza critica’ di una società, preferendo infeudarsi in una delle tante bande che infestano questo Paese, traendone visibilità, prestigio e quattrini. Si sono comportati esattamente come quei politici su cui oggi, a babbo morto, moraleggiano. Pronti naturalmente a rivoltar per l’ennesima volta gabbana se il vento cambierà. Finirà come con Mani Pulite. Nel 92-94 era tutto un “Tonino qua e un Tonino là” come se avessero mangiato nello stesso piatto di Antonio Di Pietro (mi ricordo un famoso editoriale di Paolo Mieli, direttore del Corriere: “ Dieci domande a Tonino”). Ma passata la buriana quella stessa stampa fu complice della classe politica nel trasformare i ladri in vittime e i magistrati, Di Pietro in testa, nei carnefici e nei veri colpevoli. Così andrà anche questa volta.
Non esiste più nella nostra struttura sociale un’elite, intellettuale, culturale e morale, quella che Giorgio Bocca, quando credeva ancora in questo Paese, chiamava ‘la società degli eccellenti’ in grado di far da filtro almeno alle sguaiataggini più sfacciate. Oggi al posto degli ‘eccellenti’ dominano gli impudenti.
Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 6 ottobre 2012

Articoli - Massimo Fini