Ogni commento è superfluo, chi vince scrive la storia(minuscolo) e "ha sempre ragione". Nella foto Ernest HEMINGWAY col suo degno compagno comunista, l'ebreo falsario EHRENBURG Ilya, spacciatore di favole olocau$tiche del "sapone fatto con gli ebrei" e dei "6.000.000" di ebrei gasati affermato a Dicembre 1944, 6 mesi prima che finisse la guerra(!), qui durante la guerra di Spagna, dicembre 1937, dalla parte comunista, dopo la battaglia di Teruel.WaA359
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Hemingway: «Sì, ho ucciso con gioia»
mercoledì 10 ottobre 2007
È la corrispondenza dove tira il macabro bilancio della sua passione omicida:
«Ho fatto i calcoli con molta cura e posso dire con precisione di averne uccisi 122».
Uno di questi tedeschi, prosegue Hemingway,
«era un giovane soldato che stava tentando di fuggire in bicicletta e che aveva all'incirca l'età di mio figlio Patrick»...
Pubblicate due lettere dove lo scrittore confessa di aver goduto nello spargere il sangue del nemico.
BERLINO ; Tutto sommato, a Günter Grass è andata bene. Potremmo definirlo il mancato incontro fatale tra due futuri premi Nobel. Se nell'aprile 1945, quando venne fatto prigioniero dagli americani, l'allora giovanissimo Waffen-SS si fosse imbattuto in Ernest Hemingway, probabilmente avrebbe fatto la misera fine di tanti suoi commilitoni. Tanti quanti?
Centoventidue ( 122 ) , almeno secondo i calcoli (veri o immaginari) dello scrittore americano.
Nella foto l'assassinio dei soldati tedeschi che si erano arresi ad opera dei simili di Hemingway
Tutti prigionieri di guerra tedeschi, disarmati.
Crauti, come li definiva con disprezzo, che l'autore di Addio alle armi uccise, a suo dire provandoci gusto,durante l'anno nel quale accompagnò le truppe alleate come reporter di guerra.
Subito dopo lo sbarco di Normandia, nel giugno 1944, Ernest Hemingway si unì (embedded, come si direbbe oggi) al 22esimo reggimento della IV Divisione di fanteria americana col grado di ufficiale. In realtà, non doveva soltanto raccontare le gesta degli alleati; in quel periodo infatti lavorava già anche per l'Oss, il servizio d'intelligence antesignano della Cia.
Grazie alla sua perfetta conoscenza del francese, lo scrittore fu il governatore di fatto di Rambouillet, alle porte di Parigi, dove tranquillizzò la popolazione, gestì il villaggio e soprattutto interrogò centinaia di prigionieri tedeschi.
«Qui è molto piacevole e divertente ; scrisse nell'autunno del 1944 a Mary Welsh, che sarebbe diventata la sua quarta e ultima moglie ; molti morti, bottino tedesco, tante sparatorie e ogni tipo di battaglia».
La lettera incriminata, quella che secondo Schmitz non ha mai avuto l'attenzione che avrebbe meritato, è quella che Hemingway scrisse il 27 agosto 1949, quattro anni dopo la fine della guerra, al suo editore, Charles Scribner:
«Una volta ho ucciso un crauto-SS particolarmente sfrontato. Al mio avvertimento, che l'avrei abbattuto se non rinunciava ai suoi propositi di fuga, il tipo aveva risposto:
"Tu non mi ucciderai. Perché hai paura di farlo e appartieni a una razza di bastardi degenerati. Inoltre sarebbe in violazione della Convenzione di Ginevra".
Ti sbagli, fratello, gli dissi. E sparai tre volte, mirando allo stomaco. Quando quello cadde piegando le ginocchia, gli sparai alla testa. Il cervello schizzò fuori dalla bocca o dal naso, credo».
Meno di un anno dopo, il 2 giugno 1950, l'autore di Per chi suona la campana torna a evocare la sua esperienza di guerra in una lettera ad Arthur Mizener, docente di letteratura alla Cornell University. È la corrispondenza dove tira il macabro bilancio della sua passione omicida:
«Ho fatto i calcoli con molta cura e posso dire con precisione di averne uccisi 122».
Uno di questi tedeschi, prosegue Hemingway,
«era un giovane soldato che stava tentando di fuggire in bicicletta e che aveva all'incirca l'età di mio figlio Patrick».
Questi era nato nel 1928, quindi la vittima doveva avere 16 o 17 anni. A Mizener, lo scrittore spiega di avergli «sparato alle spalle, con un M1». La pallottola, calibro 30, lo aveva colpito al fegato.
Questa lettera non era mai stata pubblicata prima d'ora in Germania. Nessun testimone si è mai appalesato, per confermare queste ammissioni di Hemingway. Inoltre, come ammette Schmitz, «nelle sue lettere il premio Nobel è sempre stato incline all'esagerazione, a nutrire il mito del suo machismo». Ma anche i suoi ammiratori concedono che durante la Seconda guerra mondiale egli abbia probabilmente violato la Convenzione di Ginevra. E soprattutto, si chiede l'autore, «perché quest'ammissione senza alcuna necessità?». Di certo, fa notare Schmitz, nessuno finora ha indagato seriamente negli archivi di guerra, per far luce su questo aspetto non marginale della vita di uno dei grandi della letteratura mondiale di ogni tempo.
Paolo Valentino
Corriere della sera, 27 settembre 2006
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