Prima del sorgere del Sole






Tratto da
Friedrich Nietzsche

Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno

Piccola Biblioteca Adelphi, 1976

Prima del sorgere del sole





O cielo sopra di me, puro! Profondo! Abisso di luce! Quando ti guardo rabbrividisco di desideri divini.

Gettarmi nella tua altezza, questa è la mia profondità! Nascondermi nella tua purezza, questa è la mia innocenza!

La sua bellezza vela il dio: così tu nascondi le tue stelle. Tu non parli: così mi annunci la tua saggezza.

Oggi per me ti sei alzato silenzioso sul mare spumeggiante; il tuo amore e il tuo pudore parlano di rivelazione alla mia anima spumeggiante.

Che tu sia venuto a me, bello, avvolto nella tua bellezza, che mi parli, muto, svelato nella tua saggezza:

oh, come non indovinare tutto il pudore della tua anima! Sei venuto a me, il più solitario fra gli uomini, prima del sole.

Siamo amici sin dagli inizi: abbiamo in comune lutto e orrore e motivo; abbiamo in comune anche il sole.

Non ci parliamo perché sappiamo troppo: in silenzio ci sorridiamo il nostro sapere.

Non sei tu forse la luce per il mio fuoco! Non sei tu l’anima gemella per la mia visione?

Abbiamo imparato tutto assieme; abbiamo imparato insieme a salire sopra di noi, verso noi stessi, e a sorridere senza nubi abbassando gli occhi chiari e guardando da lontananze di mille miglia, quando, sotto di noi, evaporano come nebbie piovigginose costrizione e scopo e colpa.

E quando vagavo solo: di chi aveva fame la mia anima nelle notti e per intricati sentieri? E quando scalavo i monti chi cercavo se non te, sui monti?

E tutto il mio vagare e scalare era solo una necessità e un espediente di persona maldestra: tutta la mia volontà aspira solo a volare, a volare dentro di te.

E chi ho odiato più delle nuvole che passavano e di tutto ciò che ti sporca? E ho odiato persino il mio stesso odio, che ti sporcava!

Ho orrore delle nubi che passano, questi sornioni gatti rapaci: a te e a me rubano ciò che abbiamo in comune l’infinito e illimitato dire: “Sì” e “Amen”.

Abbiamo orrore di queste mezzane e mestatrici, le nubi che passano: queste mezzo e mezzo, che non hanno imparato né a benedire né a maledire fino in fondo!

Preferisco rinchiudermi nella botte sotto cieli chiusi, preferisco sedere nell’abisso senza cielo, che vedere te, cielo di luce, sporcato da nubi che passano!

Spesso ho avuto voglia di infilzarle con i dentati fili d’oro del lampo e suonare i timpani, simile al tuono, sulle pentole dei loro ventri.

Un suonatore di timpani irato perché mi derubano del tuo ‘sì’, e del tuo ‘amen’, o cielo sopra di me, tu puro! Tu luce! Tu abisso di luce! Perché mi derubano del mio ‘sì’ e del mio ‘amen’!

Piuttosto che questa sospetta e dubbiosa calma gattesca preferisco infatti chiasso e tuoni e maledizioni temporalesche; e anche tra gli esseri umani odio in particolare tutti coloro che passano in punta di piedi, i mezzo e mezzo, le nubi che passano dubitando e indugiando.

“Chi non sa benedire, deve imparare a maledire! ” Questo limpido insegnamento mi cadde dal limpido cielo, questa stella splende nel mio cielo anche nelle notti buie!

Ma io sono uno che benedice e che dice di sì, purché tu stia attorno a me, tu puro! Tu luce! Tu abisso di luce! Io reco ancora il mio dire di sì, benedicente, in tutti gli abissi.

Sono diventato uno che benedice e uno che dice di sì, e allo scopo ho combattuto a lungo e sono stato un guerriero: per avere un giorno le mani libere per benedire.

Ma questa è la mia benedizione: stare sopra ogni cosa come il suo cielo, come il suo tetto rotondo, la sua campana azzurra e la sua eterna sicurezza: e chi così benedice è beato!

Ogni cosa infatti è battezzata alla fonte dell’eternità e al di là del bene e del male; bene e male stessi però sono solo ombre intermedie e umide afflizioni e nubi che passano.

In verità, è un benedire e non un bestemmiare, quando insegno: “È sopra tutte le cose c’è il cielo caso, il cielo innocenza, il cielo accidente, il cielo spavalderia”.

De accidente’ è la più antica nobiltà del mondo che io ho reso a tutte le cose, le ho liberate dalla servitù dello scopo.

Questa libertà e serenità celeste l’ho posta simile a una campana azzurra su tutte le cose, insegnando che sopra di loro e attraverso di ‘loro non esiste un ‘eterno volere’.

Questa spavalderia e questa stoltezza l’ho posta in luogo di quel volere insegnando: “In tutte le cose una sola è impossibile: la razionalità!”

Un po’di razionalità, invero, un seme di saggezza si spande da stella a stella e questo lievito è mischiato a tutte le cose: ma solo per amore della stoltezza la saggezza è mischiata a tutte le cose!

Un po’ di saggezza è possibile, sicuramente; ma questa felice sicurezza l’ho trovata in tutte le cose: preferiscono danzare con i piedi del caso.

O cielo sopra di me, tu puro! Altissimo! Questa è per me la tua purezza: che non esiste nessun ragno eterno ed eterne ragnatele della ragione.

Per me sei una pista di danza di casi divini; per me sei una favola divina per dadi divini e giocatori divini!

Ma tu arrossisci? Ho detto cose indicibili? Ho bestemmiato, intendendo benedirti?

O è stato il pudore di essere qui in due che ti ha fatto arrossire? Mi dici di andare e tacere, perché ora sta arrivando il giorno?

Il mondo è profondo: e più profondo di quel che il giorno abbia mai pensato. Non tutte le cose riescono ad avere parole davanti al giorno. Ma il giorno dopo giunge, per cui separiamoci ora!

O cielo sopra di me, pudico! Ardente! O felicità che precedi la venuta del sole! Il giorno arriva, per cui separiamoci ora!

Così parlò Zarathustra.








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