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    Predefinito Ugo La Malfa - Elezioni in Sicilia e costituente (26.02.1947)

    Elezioni in Sicilia e costituente*

    di Ugo La Malfa




    *“Momento sera” del 26 febbraio 1947. Si riferisce all’articolo di Luigi Sturzo, “Le elezioni siciliane e l’autonomia”, pubblicato sul “Giornale d’Italia” del 23 febbraio ’47, ora anche in L.Sturzo, “Politica di questi anni”, Zanichelli, Bologna, 1954, nel quale Sturzo polemizzava con la mozione presentata in assemblea da La Malfa e dai parlamentari siciliani Virgilio Nasi, della Democrazia del lavoro, e Edoardo Di Giovanni, socialista, favorevole al rinvio delle elezioni siciliane a dopo l’avvenuto coordinamento dello statuto siciliano con la costituzione. Sull’argomento La Malfa era intervenuto in assemblea il 18 febbraio e lo stesso 26 febbraio.




    Assente da Roma, in Sicilia, ho letto ieri l’articolo di Luigi Sturzo sul “Giornale d’Italia”.
    Ho il massimo rispetto per il pensiero dell’illustre corregionario, che ritengo uno degli uomini più intelligenti e illuminati che la Sicilia abbia dato alla vita nazionale;ma debbo dichiarare che in questa materia, dello statuto e delle elezioni in Sicilia, non sono affatto d’accordo con lui.
    Preciso intanto che fin dalla prima riunione del gruppo parlamentare siciliano, nella quale si discusse ufficialmente il problema, feci espressa riserva per quel che io considero non soltanto il diritto, ma benanche il dovere, della costituente di prendere conoscenza e di votare ed approvare lo statuto dell’autonomia siciliana. E questa posizione ho mantenuto ferma in tutte le manifestazioni successive. Non rivelo un segreto affermando che mesi fa, quando si trattò di fissare la data delle elezioni in Sicilia, feci il possibile e l’impossibile perché l’alto commissario Selvaggi e il governo non prendessero impegni prima che la costituente avesse compiuto il suo esame.
    La ragione di questo atteggiamento non risiede soltanto in una preoccupazione di ordine formale o costituzionale (benché questa abbia la sua fondamentale importanza), ma di preoccupazioni di ordine politico.
    E’ noto a tutti che la Sicilia non si trova oggi nelle migliori condizioni. A prescindere dal separatismo, che non è il movimento più pericoloso anche perché dichiara apertamente i suoi fini, agiscono in Sicilia forze, interessi, i cui obiettivi, il cui sviluppo d’azione danno luogo a molte perplessità e comunque acuiscono contrasti e divergenze d’idee. Luigi Sturzo non è pessimista al riguardo e nega l’esistenza in Sicilia di pericoli seri. Gli do senz’altro ragione. Tuttavia, per elementare norma di prudenza politica, ritengo necessario che lo statuto, qualunque esso sia, nella stessa sua forma attuale, promani dalla costituente, sia espressione ed emanazione della sua sovranità.
    L’autonomia è un ordinamento istituzionale locale nel quadro dell’unità statale; lo statuto siciliano non deve essere semplicemente coordinato alla costituzione generale, ma deve essere parte della costituzione generale. Se difficoltà dovessero sorgere in Sicilia, il carattere costituzionale dell’autonomia siciliana sarebbe stato solennemente affermato e garantito, e non potrebbe dar luogo a dubbi o speculazioni di sorta. Con decisione diversa, si lascerebbe campo all’equivoco e all’avventura. Non meraviglia che forze irresponsabili vogliano sfruttare questo punto di partenza equivoco; meraviglia che grandi partiti nazionali, come la Democrazia cristiana, il cui pensiero autonomistico ha limiti ben precisi, non trattino con maggiore cautela il problema.
    La seconda preoccupazione è di diverso ordine. Il carattere e i limiti dell’autonomia siciliana non sono stati mai pubblicamente discussi. Si è giuocato all’autonomia quasi nella semiclandestinità, senza che l’opinione pubblica fosse mai seriamente informata dei dati del problema siciliano. La consulta nazionale non ha avuto tempo e modo di discutere a fondo il problema, il governo meno che mai, la costituente dovrebbe essere posta di fronte al fatto compiuto. Col pretesto di combattere il separatismo, si sono presi a prestito pregiudizi e luoghi comuni, che il separatismo portava con sé.
    L’autonomia significa autogoverno di interessi locali, non significa risoluzione di tutti i complessi problemi, di ordine politico economico e sociale, che la situazione siciliana, quella del Mezzogiorno, comportano. Si è spiegato questo ai siciliani? Si è chiarito questo alla nazione? A ottant’anni dall’unità, quando le differenze di sviluppo tra nord a sud si sono accentuate al massimo grado, autonomia, in certe condizioni, può significare cristallizzazione di stati di arretratezza e di inferiorità economica? Si sentono i siciliani più pensosi delle sorti della loro isola, di impegnarsi in attuazioni affrettate, senza aver chiarito, ai siciliani stessi e alla nazione, quali sono le possibilità che l’autonomia offre, e quali sono i doveri che, a prescindere dall’autonomia, incombono al paese nei riguardi della Sicilia e del problema del Mezzogiorno in genere?
    Luigi Sturzo ritiene che una discussione alla costituente possa essere pericolosa per l’autonomia siciliana. Ma questo preconcetto, che io trovo diffuso tra gente comune, mi suona strano sulla bocca di un uomo così illustre. Se l’autonomia, così come è stata congegnata, risponde alle effettive necessità del popolo siciliano, risolve parte dei suoi problemi, non vi è ragione che la costituente non la faccia sua. Ma facendola solennemente sua, lo statuto rimane impegnativo per tutti e obbliga costituzionalmente e politicamente tutti. Se non risponde alle effettive necessità, chi sosterrà questa tesi assumerà la responsabilità di dimostrarla.
    Comunque il gruppo parlamentare siciliano in sede di discussione generale, e solo in questa sede, sarà in grado di far valere, al di sopra dei partiti e degli schieramenti politici nazionali, le proprie ragioni.
    Sturzo ammonisce che là dove non ci sono elezioni ci sono insurrezioni. Mi pare che il cortese contraddittore esageri un po’ lo stato d’animo dell’isola. I siciliani vogliono l’autonomia, ma non vogliono avventure, e io ho sentito molti, moltissimi corregionari richiamarsi ai diritti e alla competenza della costituente. Comunque si tratta di scegliere tra un inconveniente di ordine politico, rinvio delle elezioni a dopo l’esame dello statuto da parte della costituente, e una improbabile, ma non escludibile a priori, situazione difficile e delicata dal punto di vista costituzionale e politico. Ritiene Luigi Sturzo che questo secondo pericolo sia minore del primo?


    Da Ugo La Malfa, Scritti 1925-1953, Mondadori, 1988
    Il mio stile è vecchio...come la casa di Tiziano a Pieve di Cadore...

    …bisogna uscire dall’egoismo individuale e creare una società per tutti gli italiani, e non per gli italiani più furbi, più forti o più spregiudicati. Ugo La Malfa

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    Predefinito Re: Ugo La Malfa - Elezioni in Sicilia e costituente (26.02.1947)

    Conclusione di un dibattito *


    di Ugo La Malfa




    * “Momento sera” del 1° marzo 1947. Questo il testo della mozione presentata alla costituente da La Malfa e firmata anche da Riccardo Lombardi e Ignazio Silone: “L’assemblea, ritenuto che per la realizzazione organica dello statuto siciliano, ad evitare eventuali conflitti di carattere costituzionale dopo la sua applicazione, occorre che lo statuto sia coordinato colla costituzione della repubblica come del resto è previsto dallo statuto stesso; ritenuto, altresì, che i lavori della commissione paritetica per lo statuto siciliano non sono ancora conclusi, ciò che pregiudica la migliore realizzazione dell’autonomia; considerato che le elezioni per l’assemblea siciliana, indette per il 20 aprile, non sono, allo stato conciliabili con le premesse esigenze; invita il governo a disporre le elezioni in Sicilia alla data più vicina possibile, dopo l’avvenuto coordinamento costituzionale in sede di assemblea”.





    La battaglia costituzionale e politica sulla Sicilia si è provvisoriamente chiusa.
    La grande maggioranza dell’assemblea ha respinto la mozione con cui io insieme ad altri colleghi chiedevo che le elezioni regionali si facessero dopo la sanzione formale dello statuto autonomistico siciliano da parte della costituente.
    Debbo dire che ragioni di convenienza politica immediata, ragioni che da qualche anno dominano un po’ troppo leggermente la politica dei grandi partiti e del governo in Sicilia, hanno dettato queste decisioni. Il fondo della questione costituzionale e politica non è stato, neanche stavolta, affrontato.
    Né l’intervento dell’onorevole Ambrosiani, né quello ancor più autorevole dell’onorevole Orlando, hanno chiarito i dubbi e le preoccupazioni che alcuni di noi hanno esposto all’assemblea, circa i rapporti fra statuto siciliano e costituzione generale.
    L’onorevole Orlando ha fatto una elegante dissertazione sulla impossibilità di definire una legge come costituzionale e ha citato la legge delle guarentigie come legge che, pur essendo fuori dello statuto albertino, assunse carattere costituzionale.
    Ma non ha chiarito, e io l’avrei atteso e appreso dall’insigne maestro, come ed entro che limiti, e con quale facoltà di modificazione, l’assemblea costituente potrà inquadrare la legge sullo statuto nel sistema della costituzione generale dello Stato.
    L’insigne uomo di Stato ha redarguito che è pericoloso parlare di limitazioni della sovranità dell’assemblea.
    Ma io molto modestamente rispondo che è pericoloso creare situazioni di fatto o di diritto che possano implicare una limitazione dei poteri e della sovranità dell’assemblea.
    Del resto l’onorevole De Gasperi ha condiviso alcune preoccupazioni da me espresse, ma ha quasi addossato la responsabilità del mancato coordinamento – chiamiamolo così – fra statuto e costituzione, all’assemblea. Il presidente del consiglio ha formalmente ragione, ma deve ricordarsi che il Partito democratico cristiano è il partito di gran lunga più forte dell’assemblea e che è dipeso, nel passato, e dipenderà nell’immediato futuro, solo dal suo partito se il problema dello statuto siciliano potrà essere affrontato.
    In questa questione dello statuto siciliano alcuni di noi hanno preso una posizione non facile, né lieta. Ma ho creduto mio dovere di siciliano di non assumere responsabilità in una situazione che potrebbe divenire – mi auguro fermamente che non divenga – delicata e sono grato al Partito repubblicano che non condividendo le mie idee mia ha consentito, con costume altamente democratico, di esprimerle.
    Comunque oggi le posizioni fondamentali in questo problema sono chiarite. Anche quella dei qualunquisti, e dell’on. Patricolo in particolare, che si è dimostrato uomo politico pronto e perspicace, capace di comprendere il fondo e l’esatto significato delle questioni prospettate.
    E’ stato l’onorevole Patricolo ad ammonire il presidente del consiglio a non interpretare la possibilità di coordinamento dello statuto con la costituzione generale dello Stato come possibilità di modificare lo statuto stesso. Ciò che non poteva essere più probatorio per la tesi da me e da altri sostenuta.



    Da Ugo La Malfa, Scritti 1925-1953, Mondadori, 1988
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    Predefinito Re: Ugo La Malfa - Elezioni in Sicilia e costituente (26.02.1947)

    Battaglia in Sicilia*


    di Ugo La Malfa



    * “Risorgimento” del 19 aprile 1947. Il 20 giugno si svolgono le elezioni per la prima assemblea regionale siciliana. Il Blocco del popolo, che unisce comunisti, socialisti e azionisti, ottiene la maggioranza relativa e 29 seggi, la Democrazia cristiana con il 20,5% dei voti ottiene 19 seggi, le destre monarchico liberali ottengono 14 seggi, 9 il Partito nazionale monarchico, 1 l’Uomo qualunque, 8 gli indipendentisti, 2 l’Unione democratica e 4 rispettivamente il Partito repubblicano e il PSLI.



    Com’era facilmente prevedibile, e come io stesso avevo preannunciato nella discussione sulla Sicilia in seno all’assemblea, la campagna per le elezioni in Sicilia ha assunto un carattere accentuatamente politico, per non dire addirittura esclusivamente istituzionale.
    Nessuna delle formazioni politiche che sono scese nella lotta (ed in Sicilia sono stati presenti i maggiori calibri della politica italiana) si è occupata minimamente della autonomia regionale e dei problemi più propriamente legati alle realizzazioni autonomistiche. Ne hanno accennato i repubblicani del partito storico per vantare a giusta ragione i diritti ormai secolari di primogenitura nel campo autonomistico, e li hanno timidamente seguiti a ruota i democratici-cristiani che in questo campo, senza avere una primogenitura, hanno una certa anzianità di enunciazione programmatica.
    Ma si è trattato di accenni. Per il resto, scontro esclusivamente politico, che per l’occasione si svolge in Sicilia, ma avrebbe potuto svolgersi, con le stesse accentuazioni e gli stessi caratteri, se non in qualsiasi altra regione d’Italia, in molte regioni d’Italia, e in qualunque parte del Mezzogiorno. La ragione si è che le elezioni, intervenendo relativamente presto dopo il referendum istituzionale, non hanno sopito velleità, rancori, speculazioni e illusioni politiche, che solo il tempo e il continuo adattamento a circostanze nuove riescono a sopire.
    Naturalmente una battaglie di ordine esclusivamente politico ha visto schierarsi da una parte il cosiddetto legittimismo di destra, affiancato da liberali dello stampo tradizionale locale e da qualunquisti; dall’altra, sia pure in liste distinte, repubblicani, socialisti sagarattiani e Blocco del popolo (costituito quest’ultimo da comunisti, socialisti nenniani, azionisti e pattuglie di demo-laburisti); cioè, per spiegare meglio questo schieramento, da una parte la vecchia Sicilia, tradizionale e conservatrice a modo suo, con i suoi baroni, i suoi fanatici monarchici, la sua mafia e la sua spesse volte diffidente e pavida borghesia, dall’altra i partiti e le formazioni che, su diverso piano, fanno propri motivi progressisti. Nel mezzo si collocano di democratici-cristiani, ma con una posizione di equilibrio instabile che, nelle particolari condizioni della Sicilia, può diventare rapidamente difficile.
    Pure a sé stanno, in un certo senso, gli indipendentisti, ma in pura apparenza. Essi parlano moltissimo di autonomia, ma non nel significato sopra accennato, bensì come primo passo verso l’indipendenza, come prima tappa di quel cammino che dovrebbe fare della Sicilia un piccolo (ma potente!) Stato sovrano del Mediterraneo. Ed in questo senso, la loro battaglia è più nella direzione nella quale si muove la destra, che non in quella nella quale si muovono, tra grandi difficoltà, le formazioni progressiste.
    Se questa è la situazione, quel che impressione in Sicilia è il riaffacciarsi di un motivo che doveva, e deve, considerarsi superato nella vita politica italiana. Trattare ancora di monarchia e di repubblica significa aggiungere, inutilmente, un ulteriore motivo di crisi e di confusione agli infiniti mali dei quali soffre attualmente il nostro paese, significa giuocare, irresponsabilmente, all’avventura.
    E’ stata questa preoccupazione che mi ha consigliato, qualche mese fa, di invitare il governo a prorogare le elezioni in Sicilia e di invitare la costituente a discutere lo statuto siciliano. E’ questa preoccupazione che mi induce oggi a un giudizio molto riservato sulla situazione.
    D’altra parte , non posso negare che molti elementi della classe dirigente siciliana, che sono poi elementi della borghesia, danno prova di non avere imparato nulla dagli avvenimenti, di essere in una eterna e insuperabile condizione di immaturità politica. Insistere su motivi ormai sorpassati di lotta politica, battersi su posizioni che si debbono considerare arretrate di almeno mezzo secolo, sognare restaurazioni e soprattutto avere semplice paura fisica dell’estrema sinistra, senza un qualunque discernimento e senza un intelligente uso delle proprie forze e del proprio peso politico, significa in certo senso fare il giuoco dell’avversario che si teme e si vuole battere. Il tradizionalismo cieco di molte forze piccolo e medio borghesi dà molto apporto in Sicilia alle formazioni di destra, ma spinge i piccoli agricoltori e i contadini, che normalmente non vi andrebbero, nelle formazioni di estrema sinistra. La funzione equilibratrice dei partiti più propriamente democratici, come a esempio il Partito repubblicano, vien meno.
    Si mostra cioè, in Sicilia, in tutta la sua gravità, uno dei mali tipici della vita del Mezzogiorno: l’incapacità delle forze piccolo e medio borghesi di trovare una soluzione più moderna e più democratica dei problemi della vita locale, di attirare nella loro orbita, nell’orbita di un giuoco e di un partito democratico, i piccoli coltivatori e i contadini, che non hanno nessuna propensione per il collettivismo, ma non ne hanno alcuna per il feudo, per i baroni e per i piccoli signori locali.
    Finché gli elementi più responsabili della vita meridionale non hanno preso la giusta posizione, finché cioè non hanno disolidarizzato da interessi e da punti di vista tradizionali, non solo il problema della Sicilia, ma il problema meridionale in genere, non troverà soluzione.


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