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    Fascismo, Comunismo, Sintesi

    FASCISMO, COMUNISMO, SINTESI

    di Matteo Pistilli

    Sono decenni che gli osservatori e gli studiosi più illuminati ci fanno riflettere sul significato dei concetti di “destra” e “sinistra”. O meglio, sulla loro totale perdita di significato. Alla luce delle odierne concezioni politiche infatti, i due termini mostrano tutta la loro inadeguatezza non essendo più minimamente capaci di descrivere la realtà politica contemporanea; qualunque sia il senso in cui si voglia definirli, si finisce sempre alla stessa e fatale conclusione, cioè alla necessità di abbandonarli e cercare nuove strade. Se consideriamo “destra” e “sinistra” non come ideologie politiche, ma come descrizioni strategiche di chi vuole o non vuole conservare un determinato sistema politico, subito ci troviamo di fronte a contraddizioni: forse oggi nel panorama politico istituzionale (ma anche fuori) esiste qualche forza che non accetta l’attuale sistema e lo vuole cambiare? La nostra risposta è no, quindi ne deriverebbe che oggi il panorama politico è esclusivamente animato da forza di “destra”. Anche ritenendo accettabile tale definizione ci troveremmo dinanzi alla stessa conclusione di inadeguatezza della distinzione: infatti non esistendo affatto l’altro concetto “sinistra” non c’è nemmeno logica a ragionare ancora in termini di tale contrapposizione. Volendo invece fare della questione un confronto di ideologie, ci si ritrova ancora una volta in una situazione ambigua: come definire l’ideologia di “destra” e “sinistra”? Chiederlo ai militanti sarebbe inutile, visto che la risposta apparirebbe di parte ed abbastanza infantile: i nostri (chiunque essi siano) sono i buoni e onesti gli altri i cattivi e corrotti. Quindi cercando un po’ più in profondità le differenze, ci troviamo comunque davanti ad un muro di complicazioni, contraddizioni. Il sistema politico sostenuto dai rappresentanti e gli ideologi di chi propugna tali concetti è lo stesso, cioè la liberaldemocrazia; Il sistema economico sostenuto è lo stesso cioè liberismo, finanziarismo; il sistema culturale ancora lo stesso essendoci uniformità nell’accettare la cultura anglosassone come guida della civiltà. Questo solo per notare sinteticamente e superficialmente che sui grandi temi differenze non ce ne sono. E su cosa dovrebbero esserci allora? Visti gli stessi poteri ai quali si inchinano, le stesse oligarchie che animano e frequentano, comunque, i propugnatori dei concetti di “destra” e “sinistra” sono identici anche nei piccoli temi, nelle sfumature. Inutile fare esempi e nomi, tutti con un po’ di coraggio devono ammettere che oltre la solita propaganda mediatica, troviamo una classe politica omogenea e fedele a se stessa. Ciò che diciamo oggi sulle categorie da sorpassare viene in realtà sostenuto da oltre un secolo; infatti senza voler citare periodi ed ideologi che potrebbero far sorgere polemiche inutili, è abbastanza facile ritrovare tali concezioni anche durante il periodo cosiddetto giolittiano. E’ dall’inizio del novecento infatti che i critici più attenti iniziano a parlare di superamento dei concetti (datati fine ottocento) di “destra” e “sinistra”. Un esempio potrebbe essere il programma politico del “conservatore” Sidney Sonnino, considerato quindi uomo di destra, programma socialmente assai più avanzato, tanto da proporre una sorta di socializzazione delle fabbriche, di quello del “progressista” Giolitti. Ciò non perché chi scrive è un appassionato sostenitore di Sonnino (giammai), ma per dire, come dissero allora, che i concetti delle classiche divisioni erano superati. Da questa situazione politica ormai inadeguata, all’inizio del secolo, nacquero i partiti di massa (socialista e cattolico), e ci fu un fermento tanto incomprensibile quanto necessario, ben poco concepibile se non ci si pone in un’ottica diversa da quella classica (vedi Mussolini socialista rivoluzionario, i sindacalisti come Corridoni o De Ambris, gli anarchici divenuti fascisti e tanti altri esempi). Ora ci troviamo di nuovo di fronte ad una situazione politica totalmente inadeguata e cominciano a manifestarsi i segni di cambiamenti radicali nelle concezioni politiche. “Scrivere oggi dei partiti italiani riesce ancor più difficile, perché di essi, da un certo punto di vista, si può fare la storia delle cose che furono, anziché la fotografia istantanea delle cose viventi” essi sono “in continua trasformazione, per non dire più rudemente, che sono in putrefazione”; questa frase fu del repubblicano (quindi un moderato) Colajanni nel 1912, è una delle infinite frasi che potrebbero essere state scritte da un nostro contemporaneo.

    In verità questa situazione politicamente inadeguata ha radici lontane e deriva direttamente dall’idea e l’esercizio ed i significati della liberal-democrazia. Ma se ciò non bastasse, non si può far finta di non rendersi conto che da cinquant’anni addietro ad oggi (per non andare troppo lontano nel tempo), molto, quasi tutto è cambiato. Oggi ci troviamo in una nuova era, un’era post-industriale, conosciamo tecnologie e quindi esigenze che pochi decenni fa non erano nemmeno immaginabili. Le ideologie politiche invece ( per non parlare dei politici!), sono rimaste immutate passando come se niente fosse attraverso situazioni e tempi totalmente diversi. Questo, per chi si interessa di politica, è chiaramente un’infamia, visto che gli ideali politici devono sempre tener conto di che tipo di società si vuole costruire e in che tipo di società ci si trova ad operare. Le categorie politiche nate nell’era passata non possono minimamente corrispondere alle esigenze odierne e future; e qui non si sta facendo soltanto un riferimento alla strategia, non si vuole solo dire che oggi per raggiungere determinati obiettivi minimi bisogna rimettersi in gioco, ma si vuole dire più basilarmente, che le fondamenta delle ideologie politiche vanno ridisegnate, che il sistema politico liberal-democratico deve essere affrontato con nuovi strumenti politici. Sembrerà improduttivo parlare in questi termini in un periodo di grande conformismo come quello che stiamo vivendo, ma ormai non è più tempo di tacere.

    Ogni discorso (anche il più insignificante) deve avere alla base presupposti seri e soprattutto deve sapere a chi vuole rivolgersi. Il problema è che il bisogno di rinnovamento di categorie, ideologie, strategie politiche è ormai una necessità comune, comune cioè a diverse categorie di persone. Quelle che vogliamo affrontare qui, quindi, sono soltanto due (almeno esteriormente, visto che poi in se stesse portano mille anime diverse) di una più vasta “platea” di individui e comunità pronte e bisognose di ridefinire in confini certi e innovativi la lotta politica.

    Vogliamo infatti rivolgere l’attenzione, per ora, nei confronti di gruppi che storicamente sono considerati acerrimi nemici, ma che alla luce (anzi all’ombra) del presente e del futuro non possono che riavvicinarsi. Stiamo parlando di tutti coloro che nel corso della loro vita hanno sentito il bisogno, o meglio il dovere di difendere gli ideali comunitari, contro quelli dell’omologazione. Infatti una grande lotta si è manifestata e si manifesta ancora in ogni parte del globo: è la lotta fra i sostenitori della comunità come tutto e i sostenitori delle forze dell’individualismo. L’Olismo cioè l’idea che vede una parte esclusivamente come porzione di un’unità più grande ed organica, è stato la base comune di passate esperienze storiche, esperienze trovatesi a volte in conflitto tra loro a causa dei particolari momenti storici e geopolitici in cui si sono manifestate. Ma sempre, nella storia, l’Olismo ha avuto il suo acerrimo nemico nell’individualismo di matrice anglosassone, oggi impersonato dagli Stati Uniti d’America, che ha sempre trovato il modo di combattere e temporaneamente sconfiggere gli ideali comunitari. Avvicinare questi Stati e le idee oliste oggi non riscuote molto successo; anche coloro che in passato (non sappiamo se lealmente o per propaganda) hanno tentato ad avanzare proposte del genere oggi vi risponderanno che non è più tempo di simili alambicchi. Per noi non è così anche perchè ,ripetiamo, vediamo in un’operazione del genere soltanto un aspetto di un generale rinnovamento delle categorie politiche, rivolto anche a chi non è mai stato affascinato dai grandi Stati etici. Infatti l’ideale olista si è sempre manifestato attraverso la volontà di dare vita a realtà organiche con alla base un’etica, una filosofia capace di fare da guida alla società nel suo complesso; proprio per la comune matrice olistica di tale filosofie, crediamo sia più giusto considerarle affini che non, come ci hanno sempre voluto far credere, ostili. Divide et impera, una delle strategie più vecchie del mondo, è infatti il nome del virus usato dagli individualisti per infiltrarsi nei cuori degli amanti della comunità. Eppure esempi di realtà, idee, esperienze che procedono nel senso di “unione degli olisti” ce ne sono state. Per non creare inutili incomprensioni citiamo alcune di quelle lontane nel tempo, così da tenerci distanti da inutili possibili polemiche. Chandra Bose eroe dell’indipendenza indiana, potrebbe essere un esempio; combattente insieme al Mahatma Gandhi contro l’imperialismo inglese, ha avuto contatti con Italia, Germania, Giappone, Urss ecc. e questo partendo da genuini ideali socialisti. Nella sua affascinante vita, ha avuto modo di conoscere da vicino le esperienze, le ideologie, i guerrieri dell’olismo ed è giunto naturalmente ad elaborare la concezione di Samayavada e cioè “sintesi” o “eguaglianza”, concezione che auspica appunto una sintesi fra fascismo e comunismo come superamento della democrazia occidentale individualista. Altri esempi di ideologie capaci di superare le differenze fittizie delle grandi filosofie comunitarie sono quelle che possono essere fatte risalire al fondatore del Partito Comunista d’Italia Nicola Bombacci e il nazional bolscevico Ernest Niekisch. Senza addentrarci troppo diciamo solo che Bombacci finì impiccato a piazzale Loreto, dopo aver propugnato per tutta la vita un avvicinamento fra l’Italia Fascista ed il comunismo sovietico, l’altro propugnava, con largo seguito, prima della seconda guerra mondiale, un avvicinamento fra la Germania e l’Urss, per poi finire la propria vita da parlamentare della Germania dell’est. Tali esempi, perlopiù trattati superficialmente non sono la dimostrazione completa delle idee espresse in questo scritto, ma sono esempi troppo censurati che devono essere sempre tenuti in considerazione quando si parla di ideologie politiche e soprattutto di Fascismo e Comunismo.

    Volendo quindi prendere in considerazione queste due grandi categorie/esperienze politiche del novecento, cerchiamo superficialmente i valori ancora validi presenti in esse e di conseguenza quelli da abbandonare definitivamente.

    Il Fascismo è da sempre una questione spinosa per chiunque; come molte ideologie, è stato interpretato in modi molto diversi, anche in contraddizione fra loro, e solo questo dovrebbe far capire che, rimanere vincolati ed aggrappati ad una purezza poco definibile è piuttosto inutile. In più, come sappiamo, il Fascismo non si è mai dato una vera e propria ideologia, lo stesso Mussolini, uno dei maggiori interpreti di esso, faceva notare la natura pragmatica di questa realtà politica, che quindi è soprattutto prassi. Ma certamente alcune linee etiche ci sono eccome, c’è una filosofia centrale che possiamo riconoscere nella volontà di un approccio organico nei confronti della società. La lotta alle divisioni e agli scontri sociali è stato uno dei leit motiv dell’esperienza storica fascista. La socializzazione è l’incarnazione economica di questa filosofia, incarnazione che auspica una più vicinanza fra tutte le forze produttive; certo il periodo storico turbolento ha spesso fatto deviare dagli obiettivi centrali, portando spesso a scelte sbagliate di sottomissione ai poteri borghesi. Ciò non deve però far dimenticare il Fascismo del 1919 e quello del 1943 come punti di partenza di questa filosofia (in Italia ovviamente). La fedeltà allo Stato, come centro vitale dell’organismo sociale è un altro paradigma dell’idea in questione; questo ovviamente unito al carattere più moderno della concezione che fu fascista, e cioè la lotta all’omologazione imperialista culturale e politica, al mondialismo, alla globalizzazione, lotta che trova la sua forza in un moderno tradizionalismo; quest’ultimo non può essere inteso come le molte mode esotiche diffuse nel nostro continente, in continua ricerca di riempire i vuoti “occidentali”, ma come profonda e spirituale ricerca delle origini e, con queste, dell’armonia.

    Come per il Fascismo non possiamo dilungarci nemmeno sull’omologo Comunismo. Anche qui intellettuali brillanti e geniali, sono riusciti a spiegarcelo adeguatamente, a farci vedere le sue contraddizioni e le sue luci. Contraddizioni che troviamo soprattutto nell’ideologia marxista, scientifica e quindi inevitabile a parole per chi ci crede (come una religione), tanto contraddittoria da dar vita ad un’infinità di correnti totalmente contrastanti. Ma il comunismo non è solo marxismo, passa anche per le interpretazioni spirituali di un Sorel per esempio (per citare un altro maestro). E quindi qual’è il Comunismo? La risposta non possiamo che cercarla in un approccio minimale a tale filosofia, un approccio che anche in questo caso ci riporta alla ricerca della giustizia e della comunità organica. Anche in questo caso lo Stato, la comunità sono al centro delle attenzioni. Come sono al centro delle attenzioni i sentimenti di conservazione di ogni cultura, di ogni esperienza, in aperto contrasto con l’imperialismo, la globalizzazione economica e culturale che produce uno spietato mondo di concorrenza, uniformato in canoni inumani.

    Oggi fascisti e comunisti dovrebbero abbandonare i falsi pregiudizi che animano gli uni contro gli altri. I tempi sono talmente cambiati dai primi anni del novecento, che è da stolti continuare a non vedere che i vecchi attriti, semmai ci siano stati o invece non siano attribuibili unicamente alla situazione geopolitica del tempo, sono ormai tenuti in vita artificiosamente da chi ancora oggi trova comoda la situazione. “Elite” culturali, “capetti” di partitini e gruppi, oggi se propagandano anticomunismo o antifascismo, sono da buttare. Le classiche questioni con cui gli uni e gli altri si accusano non hanno più logica. Uguaglianza e gerarchia possono essere ancora oggi un metro per dividersi? O forse vogliamo far finta di non vedere l’ideale di armonia che si pone dietro alla formula comunista “da ciascuno secondo le capacità, ad ognuno secondo i bisogni”? Se si seguisse questa formula ci troveremmo dinanzi alla più vera gerarchia, quella non imposta, bensì scelta, accettata e propugnata dai membri di una società. Oppure, si deve essere in cattiva coscienza per non ricordare le lotte per la situazione operaia compiuta da molti fascisti (non occorre riportare i brani delll’”Appello ai fratelli in camicia nera” di Togliatti per sottolineare concetti così evidenti). Classe contro unità sociale nemmeno può essere considerata oggi una divergenza accettabile. In una situazione in cui le classi non sono più quelle “storiche”, dove è lo stato sociale, case, lavoro, ad essere richiesto da entrambe le parti, come si fa a scontrarsi su tali argomenti? La lotta di classe ha dimostrato i suoi punti deboli, ed anche la vecchia concezione che faceva storcere la bocca a più di qualcuno (nell’area fascista) ad ogni sciopero, si è rivelata di parte, sostenuta dai poteri economici che volevano il sacrificio degli interessi personali, a senso unico in contraddizione con l’idea di unità sociale, solo dai lavoratori e mai dalle oligarchie. Ormai la storia li ha smascherati, ma quali fascisti, questi sono sempre rimasti al potere, e si sono rinforzati con la liberal-democrazia. Si potrebbe continuare a parlare di false opposizioni, smascherandole, ma studiosi di ottimo calibro lo hanno fatto e lo faranno sempre più. Sottolineamo solo che storicamente fascisti e comunisti si scontravano per due concezioni che consideravano ostili: i primi contro l’internazionalismo, i secondi contro il nemico borghese; ora è sotto gli occhi di tutti quanto siano sorpassate tali concezioni, ma ad un più sincero approccio non possiamo non notare che anche intorno agli anni venti, i gruppi dirigenti del Partito Comunista d’Italia e del Partito Fascista non erano poi così diversi da raffigurare classi in opposizione, in quanto erano rappresentati entrambi dal ceto medio intellettuale (insegnanti, giornalisti, impiegati, organizzatori…) che quindi avevano ben poco su cui scontrarsi; quello che non bisogna mai dimenticare è che l’Europa dal 1914 fino al 1945 è attraversata da una lunga e sanguinosa guerra, un periodo quindi in cui la geopolitica è superiore alla politica, e tutto quanto va letto con gli occhi della situazione e del tempo.

    Le persone che si rifanno alle due grandi idee del novecento hanno quindi in comune un sentimento, un modo di essere che li differenzia dai sostenitori della concorrenza spietata e dell’omologazione culturale e spirituale globale. La vecchia distinzione fra sostenitori della società aperta e sostenitori della società chiusa, ottimamente ribaltata da A. Dugin, ha l’unico difetto di usare una formula , appunto società chiusa, spregiativa proprio perché coniata da un liberale quale Popper. Noi preferiamo quindi rifarci ai termini Olismo – individualismo per definire all’incirca lo stesso argomento. Per seguire i principi del primo, abbandonando per un attimo Comunismo e Fascismo, i comunisti e i fascisti dovrebbero riconsiderare la loro posizione nel mondo materiale ed in quello delle idee; dovrebbero rielaborare le proprie ideologie, senza timore di veder sradicate le certezze di intere generazioni, perché solo rendendo efficace la lotta si tiene alta la memoria di chi ha combattuto. Quindi riconsiderando se stessi, riavvicinarsi uniti alle proprie ideologie, ormai depurate dalle contraddizioni, rinnovate in modo da rendere possibile quella sintesi rivoluzionaria oggi necessaria. Sintesi che non contiene in se solo il dna delle due immense ideologie del novecento, ma che è pronta a dare spazio e forza a chi per quelle due idee non ha avuto la voglia, la possibilità di lottare. Comunisti e fascisti non devono perdere la propria coscienza, ma devono rinnovarla, renderla loro più affine e utile ed aprirsi a chi vuole condividere con loro lo sforzo che condurrà ad un cambiamento di rotta della politica e della cultura del mondo intero.


    Eurasia Unita

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    Chissà come mai... repapelle:

  4. #4
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    Unica degna risposta: o/

  5. #5
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    Citazione Originariamente Scritto da JnanaTapas Visualizza Messaggio
    Chissà come mai... repapelle:
    onf: cioè? Credo di non aver capito...:gratgrat:

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da Unghern Kahn Visualizza Messaggio
    onf: cioè? Credo di non aver capito...:gratgrat:
    Non ti preoccupare, Combat lo sa il perché ;-)

 

 

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