La scelta di Hamas nell’era Obama : riconoscimento o resistenza
:::: 22 Luglio 2009 :::: 4:46 T.U. :::: Analisi - Vicino Oriente :::: Ali Abunimah
di Ali Abunimah*

Nel tendere la mano ad Hamas a determinate condizioni, il presidente Obama ha posto il movimento di resistenza di fronte ad un dilemma : accettare queste precondizioni e rinnegare se stesso, oppure rifiutarle e chiudersi in un vicolo cieco. In un lungo discorso in risposta, Khaled Meshaal ha coraggiosamente riaffermato gli obiettivi del suo movimento senza chiudere la porta. In questo modo, osserva Ali Abunimah, Hamas ricolloca la sua retorica per preservare la sua integrità.

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14 luglio 2009


Nel suo importante discorso politico dello scorso 25 giugno, Khaled Meshaal [1], capo dell’ufficio politico di Hamas, ha tentato l’impossibile : presentare l’organizzazione di resistenza islamica palestinese come un partner ben disposto nei confronti di un processo di pace guidato dagli Stati Uniti, pur restando attaccato ai principi ed alle basi del movimento politico.

È il dilemma con il quale ogni direzione palestinese, anzi pressoché ogni movimento di liberazione, finisce con il doversi confrontare. È una scelta, come ha sottolineato il politologo Tamim Barghuti, tra riconoscimento e legittimità. Secondo Barghuti, di fronte allo stesso dilemma la vecchia guardia della direzione dell’Organizzazione di Liberazione della Palestina (OLP) ha scelto il riconoscimento e ha perso la sua legittimità, aprendo la via all’emergere di Hamas. Oggi è la volta di Hamas : il prezzo che gli USA ed i loro alleati esigono perché Hamas sia assunto come interlocutore è l’abbandono degli stessi principi sui quali il movimento ha costruito il suo sostegno popolare.

Il discorso di quasi un’ora che Meshaal « ha rivolto al popolo palestinese ed al mondo » è stato presentato come una risposta ai discorsi del Presidente Obama al Cairo [2] e del Primo ministro israeliano Netanyahu a metà giugno [3].

Nel suo discorso del Cairo, Obama ha invitato gli Statunitensi e i musulmani ad impegnarsi in « uno sforzo sostenuto per ascoltarsi gli uni con gli altri ; per imparare gli uni dagli altri ; per rispettarsi reciprocamente e per cercare un terreno comune ». Se parla sul serio, dovrebbe – come gli altri – prestare attenzione a ciò che dice Hamas davanti ad uditori interni, regionali ed internazionali. Gli obiettivi di Meshaal – molto tirati – erano: mostrare che il suo movimento è disposto a trattare con gli USA, tracciare delle linea rosse, rassicurare i sostenitori del movimento ed i Palestinesi in generale e gestire i dissensi interni palestinesi.

Per prima cosa, il discorso ha cercato di presentare Hamas come un movimento nazionalista il cui islamismo corrisponde ad un grande consenso palestinese. Meshaal si è servitor di un messaggio esplicitamente ecumenico per contrare le rivendicazioni di natura esclusivamente ebraica di Netanyahu sulla terra di Palestina. Secondo Meshaal, le radici dei Palestinesi risalgono a migliaia di anni « in questo paese benedetto di profeti e di messaggi, dell’ascensione notturna [di Maometto], dei luoghi santi musulmani e cristiani – moschea al-Aqsa, Cupola della Roccia, basiliche della Natività e del Santo Sepolcro ».

Più generalmente, egli ha cercato di dipingere i musulmani come i rappresentanti dei veri valori ai quali gli Occidentali si dicono più attaccati e di dissociare Hamas da confronti caricaturali e falsi come con i Talebani. « Noi [musulmani] siamo quelli che hanno presentato al mondo e all’umanità la scienza, la civiltà, la cultura ed i grandi valori umanitari, valori come la giustizia, la libertà, l’eguaglianza, la compassione e la tolleranza, e i valori di interazione e non di scontro tra le civiltà » ha dichiarato Meshaal.

Egli si è rallegrato per un « cambiamento di tono » del Presidente Obama ma sottolineando a più riprese che solo un cambiamento di politica verrebbe preso in considerazione. Comunque, in questo nuovo tono, ha visto il frutto della « tenace perseveranza del popolo della regione, che resiste in Palestina, in Libano, in Iraq e in Afghanistan ». Secondo Meshaal, una tale resistenza ha contrastato i piani dell’amministrazione dell’ex presidente George W. Bush per dominare la regione, obbligando gli elettori statunitensi a cercare un’altra via per far uscire il loro paese da crescenti crisi ed impantanamenti.

Egli ha ammonite i leader che hanno « fatto la promozione ed il marketing » delle politiche di Bush. « Se il popolo della regione li avesse ascoltati, forse la politica di Bush e dei neoconservatori avrebbe vinto e la situazione della regione sarebbe inimmaginabilmente peggiore ». Meshaal ha espresso scetticismo pur nella dubbia speranza che le promesse di Obama varranno più delle simili parole sulla Palestina pronunciate dall’amministrazione Bush.

Rispondendo alla lezione di storia di Obama, Meshaal non ha cercato di negare l’Olocausto nazista ma di appropriarsene. Ha esortatoo Obama a riflettere in dettaglio sulle « sofferenze degli ebrei e sul loro Olocausto in Europa, non ignorando le nostre attuali sofferenze e l’olocausto israeliano contro il nostro popolo palestinese, che continua da decenni ».

Ha sottolineato che anche se i Palestinesi hanno sentito solo parole, sono pronti a giudicare gli Stati Uniti sui loro atti, che dovrebbero « iniziare dalla ricostruzione di Gaza e dall’eliminazione del blocco, dalla fine dell’oppressione e della pressione delle forze di sicurezza in Cisgiordania, permettendo la realizzazione di una riconciliazione palestinese senza pressioni né interferenze esterne ».

Le « sole cose » che possono convincere i Palestinesi, gli arabi e i musulmani, ha affermato Meshaal, « sono una volontà ed autentici sforzi statunitensi ed internazionali per far cessare l’occupazione e togliere l’oppressione che pesa sul nostro popolo, permettergli di esercitare i suoi diritti di autodeterminazione e di realizzazione dei suoi diritti nazionali ». Se l’amministrazione Obama prende una tale iniziativa, hsa aggiunto, « allora noi stessi e tutte le forze del nostro popolo saremo pronti a cooperare con essa e con ogni sforzo internazionale in questo senso ».

« Il nuovo linguaggio [di Obama] nei confromti di Hamas, ha sottolineato Meshaal, è il primo passo nella giusta direzione verso un dialogo diretto senza condizioni ». E qui sta il punto cruciale. Il negoziato con Hamas, dice Meshaal, si deve basare sul riconoscimento del suo mandato democratico e non attraverso l’imposizione di condizioni arbitrarie come quelle del Quartetto, che chiamavano il movimento a riconoscere Israele, a rinunciare alla violenza e a riconoscere gli accordi già firmati.

Meshaal ha riaffermato le linee rosse politiche di Hamas pur conservando un senso di flessibilità. In particolare, Meshaal :

* ha respinto lo Stato palestinese previsto dal leader israeliano come « un’entità deformata, una vasta prigione per la detenzione e la sofferenza e non la casa nazionale che merita un grande popolo ».

* ha respinto la pretesa di Israele di essere riconosciuto come uno « Stato ebraico » - e ha mandato un avvertimento contro ogni connivenza araba o palestinese - « perché questa significa sopprimere il diritto al ritorno alle proprie case di sei milioni di profughi e l’espulsione forzata fuori dalle loro città e villaggi del nostro popolo nei territori del 1948 [cittadini palestinesi di Israele] ». La pretesa di Israele, secondo Meshaal, non è diversa dalle richieste razziste fatte dall’Italia fascista e dai nazisti.

* ha riaffermato la precedente accettazione da parte di Hamas del « programma che rappresenta le esigenze minimali del nostro popolo » per « la fondazione di uno Stato palestinese, la cui capitale è Gerusalemme, con la completa sovranità sulle frontiere del 4 giugno 1967, dopo il ritiro delle forze d’occupazione e lo smantellamento di tutte le colonie, e la realizzazione del Diritto al Ritorno ».

* ha riaffermato che « il Diritto al Ritorno dei profughi nelle case da cui erano stati espulsi nel 1948 è un diritto inalienabile ed un diritto individuale detenuto personalmente » dai profughi « e nessun leader né negoziatore può rinunciarvi o transigervi. ».

Meshaal ha inoltre offerto una sfumata risposta all’appello di Obama ai Palestinesi perché abbandonino « il vicolo cieco » della violenza in favore di una resistenza non violenta. «Noi riaffermiamo la nostra adesione alla resistenza come scelta strategica per liberare la patria e ripristinare i nostri diritti » ha detto Meshaal, citando la resistenza armata dell’Europa alla Germania nazista, la resistenza statunitense al giogo britannico e lotte anticoloniali vietnamita e sudafricana come dei precedenti per i Palestinesi.

« La resistenza non-violenta è appropriata in una lotta per i diritti civili » ha sostenuto Meshaal, « ma quando si tratta di un’occupazione militare che utilizza armi convenzionali e non convenzionali, tale occupazione non può essere affrontata che con la resistenza armata ». I Palestinesi sono stati costretti a prendere le armi, ha detto Meshaal. Egli potrebbe anche aver sottinteso che se i Palestinesi cambiassero la definizione della loro lotta in una lotta per i diritti civili, allora cambierebbero anche i mezzi appropriati di resistenza.

« La resistenza è un mezzo e non un fine, » ha detto Meshaal « e non è cieca. In effetti, essa avverte i cambiamenti in corso ». Tuttavia, pur difendendo fermamente il diritto alla resistenza armata – anzi, minacciando nuove operazioni per fare prigionieri israeliani se è il solo mezzo per liberare dei prigionieri palestinesi - Meshaal ha anche riconosciuto altre forme di lotta. Ha fatto appello perché aumentino gli sforzi di solidarietà palestinese, araba ed internazionale, specialmente quelli continuati per rompere l’assedio di Gaza, per resistere al muro dell’apartheid e alle colonie e per impedire le distruzioni di case e la « giudaicizzazione » a Gerusalemme.

Per i leader di Hamas, I rischi legati ad una sottomissione alle condizioni preliminari occidentali sono visibili semplicemente guardando la traiettoria dell’Organizzazione di liberazione della Palestina che ha riconosciuto Israele nel 1993, rinunciato alla lotta armata e firmato gli accordi di Oslo. Da allora, sostiene Meshaal, le occupazioni sono cresciute mentre aumentava il numero di colonie israeliane e di prigionieri palestinesi.

Come ha dichiarato Meshaal « Queste condizioni sono senza fine: quando i negoziatori palestinesi ne accettano una, ne vengono imposte di nuove. Ad esempio, dapprima la condizione era il riconoscimento di Israele, adesso è il riconoscimento dell’ebraicità di Israele. Successivamente, che Gerusalemme sia la sua eterna capitale, che si rinunci al Diritto al Ritorno, che si accetti il permanere dei blocchi di colonie. Poi [i Palestinesi] non solo dovranno abbandonare la resistenza, ma dovranno loro stessi lavorare all’oppressione, alla persecuzione e alla distruzione della resistenza ».

Quest’ultimo punto era un riferimento alla campagna di arresti in Cisgiordania e a ciò che Meshaal ha chiamato altre « misure di oppressione intraprese dall’Autorità [palestinese] e dal governo di Salam Fayyad e dalle sue forze di sicurezza sotto la supervisione del generale americano [Keith] Dayton ». Meshaal ha presentato questa cooperazione in corso tra le forze di sicurezza di Ramallah, Israele e gli Stati Uniti come il principale ostacolo agli incontri di riconciliazione palestinese al Cairo al fine di restaurare una direzione nazionale unificata.

Quando Hamas ha vinto le elezioni legislative del 2006, l’amministrazione Bush ha lanciato un programma supervisionato dal generale Keith Dayton per armare ed addestrare delle milizie anti-Hamas particolarmente leali al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmud Abbas. La campagna si è accompagnata a ciò che Hamas ed alcuni gruppi per i diritti umani descrivono come una sistematica repressione di uomini politici, professori, opere pie e giornalisti sospettati di simpatizzare o di essere collegati ad Hamas. Hamas ha spesso effettuato rappresaglie arrestando individui legati ad el Fatah nella Striscia di Gaza. In queste ultime settimane, le milizie supervisionate da Dayton hanno ucciso parecchi membri di Hamas in Cisgiordania, apparentemente tentando di arrestarli. Meshaal ha saggiamente attirato l’attenzione sul ruolo esterno di fomentare le divisioni palestinesi - e su come poche cose siano veramente cambiate dopo l’amministrazione Bush - « invitando Obama a ritirare Dayton dalla Cisgiordania rispedendolo negli Stati Uniti, in conformità con il nuovo spirito di cambiamento ».

Per tutto il suo discorso, Meshaal ha cercato di rassicurare i Palestinesi sul fatto che Hamas non abbandonerà i suoi principi essenziali nella ricerca di riconoscimento e di potere. « Il paese è più importante dell’autorità e la liberazione viene prima di uno Stato » ha detto in un dato momento, e « nessuna direzione palestinese ha il diritto di rinunciare ai diritti nazionali palestinesi in cambio di un riconoscimento ».

Alcuni Palestinesi s’inquietano perché, nonostante tali assicurazioni, Hamas ha già imboccato il cammino contro il quale Meshaal ha messo in guardia, circa i rischi di rendere vani i sacrifici sopportati dai Palestinesi, specialmente a Gaza. Haidar Eid, un analista indipendente a Gaza, ha scritto prima del discorso di Meshaal che alcune delle prime entusiaste risposte di Hamas al discorso del Cairo di Obama, come l’accettazione della soluzione a due Stati, indicano « l’inizio di un processo di deterioramento – anzi da sindrome di Oslo - non solo sul piano della retorica, ma anche dell’azione ». Questo autore ha sentito esprimere timori del genere da Palestinesi in Cisgiordania e, recentemente, ad Amman. Dal momento che molti Palestinesi ritengono che una precedente generazione di capi della resistenza abbia girato le spalle agli interessi e ai diritti più fondamentali del suo popolo – pretendendo di farlo rispettare – tali timori sono lungi dall’essere rari od irrazionali.

Secondo un’altra analisi attualmente in circolazione sul cambiamento in Hamas, quest’ultimo ha accettato la posizione del « consenso » palestinese attorno alla soluzione a due Stati su ogni pollice dei territori occupati dal 1967 con abbandono di tutti gli insediamenti e con Diritto al Ritorno. Ma sa che nessun potenziale accordo di pace proveniente da un’iniziativa di Obama raggiungerà mai quelle condizioni minimali e che se Abbas e l’ex Primo ministro israeliano Ehoud Olmert dopo due anni di negoziati non avevano saputo raggiungere quelle che sarebbero state le grandi linee di un accordo di pace, le possibilità di accordo con un gabinetto Netanyahu-Lieberman sono ancora minori. In un tale scenario, Hamas non ha bisogno di sbarrare la strada ad una soluzione a due Stati, perché essa comunque fallirà. Ma affermando di accettare questo risultato minimo, eviterà che gli si rimproveri il fallimento e la sua adesione alla resistenza sarebbe discolpata.

Una cosa sappiamo con certezza: i dirigenti di Hamas, ed i Palestinesi in generale, sono stati messi sotto una fortissima pressione — occupazione, blocco, assedi mortali, crimini di guerra e crimini contro l’umanità israeliani — e la grande maggioranza non si è ancora sottomessa alle condizioni di Israele. Ma sottolineando il ruolo della resistenza e della lotta per la liberazione, Hamas non ha dato una chiara visione di quello che la liberazione rappresenta, se non la visione poco convincente e sempre meno realistica dei due Stati (per non parlare della sua tanto citata, lunga e superata lunga Carta, che non offre indicazioni all’attuale pensiero del movimento).

Il discorso di Meshaal conferma il cambiamento a lungo termine di Hamas, che lo allontana dalla retorica islamica e lo riavvicina al discorso nazionalista palestinese dominante. Esso indica che Hamas è molto sensibile all’opinione pubblica internazionale e palestinese ed ha coscienza che i Palestinesi devono elaborare una vera soluzione internazionale nel quadro di una strategia per spianare i flagranti squilibri di forze con Israele. Ma non è disposto a cercare il riconoscimento ad ogni costo. Tutto ciò non è senza implicazioni per il messaggio ed i metodi del movimento.

Questo lascia campo libero ad un dibattito urgente tra Palestinesi su quella che dovrebbe essere la visione futura e sul ruolo che dovrebbe svolgere la resistenza in tutte le sue legittime forme. Nessun gruppo di dirigenti, né di Hamas né di nessun’altra organizzazione, potrebbe né dovrebbe sopportare il peso di ripristinare da solo i diritti palestinesi. Hamas, come altre organizzazioni palestinesi, può essere solo un custode dei diritti fondamentali nella misura in cui è inserito in un movimento più ampio mobiliato in Palestina e globalmente per difendere questi diritti.

E se i potenziali interlocutori di Hamas cercano sinceramente dei modi di riconoscere il mandato democratico del movimento senza tentare di costringerlo a perdere la sua legittimità, ci sono dei precedenti. Il Congresso Nazionale Africano in Sudafrica e l’Esercito repubblicano Irlandese sono stati entrambi in grado di partecipare a negoziati politici conclusivi che hanno tirato fuori i loro rispettivi paesi da disastrosi vicoli ciechi politici e militari, senza doversi sottomettere a condizioni preliminari inaccettabili . Ciò ha richiesto un livello di dirigenze, di lungimiranza e di coraggio politico che sono stati particolarmente assenti nelle trattative internazionali con Hamas.

* Ali Abunimah Cofondatore di The Electronic Intifada. Ultima opera pubblicata : One Country : A Bold Proposal to End the Israeli-Palestinian Impasse (Metropolitan Books, 2006).


Traduzione in italiano eseguita da Belgicus dalla versione in inglese curate da Marie Meert (Info-Palestine.net).


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[1] Si consiglia la lettura dell'intervista a Khaled Meshaal di Ernest Sultanov, pubblicata in Eurasia. Rivista di studi geopolitici, a. III, 2/2006.

[1] « Discours de Barack Obama à l’université du Caire », Réseau Voltaire, 4 giugno 2009.

[2] « Discours de Benjamin Netanyahu au Centre Begin-Sadate de l’université Bar-Ilan », Réseau Voltaire, 14 giugno 2009.




Fonte: Voltaire, édition internationale


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