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    Predefinito «I miei sei anni in carcere a Teheran» Un reporter racconta torture e sevizie

    «Arrestato perché giornalista e comunista. Ho confessato cose mai fatte»
    «I miei sei anni in carcere a Teheran»
    Un reporter racconta torture e sevizie
    Il racconto di Hoshang Asadi, giornalista iraniano sopravvissuto a 6 anni di carcere a Teheran

    MILANO - «Mi arrestarono perché sono iraniano, perché sono un giornalista e perchè appartenevo a un partito di sinistra». Nel 1981, Hoshang Asadi fu rinchiuso in prigione a Teheran. Sotto tortura, disse d'essere una spia. Confessarono pure molti suoi amici, poi giustiziati. Lui fu rilasciato dopo 6 anni. Oggi vive a Parigi con la moglie Nooshabeh Amiri. Scrivono per il sito di informazione iraniano Rooz Online. Ma i ricordi lo tengono sveglio la notte: specie oggi che tanti giornalisti, politici e studenti arrestati in Iran confessano d'essere spie. Asadi vuole che «la gente sappia cosa c'è dietro quelle confessioni».

    LE EPURAZIONI - «Dopo la rivoluzione, il governo islamico cominciò a rimuovere partiti e gruppi con idee diverse da quelle istituzionali - spiega -. Prima i Mujaheddin del Popolo, che usavano le armi contro il governo, poi i partiti critici, infine arrivarono a noi. Lavoravo in un giornale del partito comunista. Non era contro il governo, anzi lo appoggiava essendo anti-americano. Avevo 30 anni. Era il 17 gennaio 1981. Aprii la porta. Avevano una foto e un mandato. Mi chiesero dove tenessi le armi. Mostrai loro libri e matite: "Ecco le mie armi"». Lo portarono in una prigione di Teheran, Komitee Moshtarek, dov'era stato già sotto lo Scià e poi, a notte fonda, in tribunale. Indossava i paraocchi, lo fecero sedere. «Qualcuno mi si avvicinò, mi mise la mano sulla spalla. "So che complottavi per il colpo di stato", disse». Asadi replicò che era falso e poi: «Questo è contro la costituzione». L'uomo gli ordinò di togliersi i paraocchi: «Mi schiaffeggiò e mi mostrò la pistola. "Questi sono i primi due articoli della costituzione - disse -. E l'ultimo articolo è che ti farò saltare le cervella"».

    L'INIZIO DELLE TORTURE - Nei successivi tre mesi Asadi fu torturato. Ricorda che la radio trasmetteva un programma islamico usato nella guerra tra l'Iran e l'Iraq: «Muhammad stiamo arrivando, Hussein stiamo arrivando, l'armata dell'Islam sta arrivando» e lui, immobilizzato su un lettino di metallo, fu picchiato ovunque e frustato con una cintura sulle piante dei piedi. I picchiatori erano più d'uno, ma «ogni prigioniero ha una persona speciale, il suo torturatore». Quello di Asadi si faceva chiamare fratello Hamid. «Iniziavano al mattino, facevano una pausa a pranzo e finivano a tarda notte: tra gli 80 e i 200 colpi di cinghia al giorno». Gli impedirono di dormire. «Mi gettarono in cella, coperto di sangue. Svenni. Appena mi addormentai, riaprirono la porta e ricominciarono da capo. E così una seconda e una terza notte. Mi osservavano dallo spioncino, se chiudevo gli occhi entravano a picchiarmi». Poi lo ammanettarono, con le braccia tirate dietro la schiena, una dall'alto e l'altra dal basso. Una corda era legata alle manette e al soffitto. Tirandola, potevano sollevare le sue braccia e il suo corpo verso il soffitto in modo che solo le punte dei piedi toccassero il suolo. E con la cinghia colpivano le piante dei piedi. «Ti lasciano quella piccola speranza di sfuggire al dolore».

    «STUPREREMO TUA MOGLIE» - Una notte gli mostrarono una donna avvolta in una coperta nel corridoio: dissero che era sua moglie e che l'avrebbero stuprata. «Hosghang disse: "Vi dirò ciò che volete" - racconta la moglie Amiri -. Lo slegarono, lo fecero mangiare. Lui chiese cosa volevano che dicesse. "Che sei una spia dell'Urss". Poi chiesero se lavorava per altri Paesi. Hoshang non sapeva cosa dire. Lo picchiarono in faccia. Ha perso sette denti». Lo legarono per i piedi, con la testa che toccava il pavimento: lo torturarono finché dichiarò per iscritto di essere anche una spia della Gran Bretagna. Poi lo misero per un paio di giorni in isolamento: «Era tutto sporco di sangue e di escrementi - dice Amiri -. Un altro uomo lo visitò: "Chi ti ha fatto questo? Vuoi parlare con tua moglie?". Gli disse che poteva fare un bagno. Ma quando si spogliò nudo, entrarono nella stanza e lo picchiarono, dicendo che la sua confessione era appena iniziata».

    IL TENTATIVO DI SUICIDIO - Lo riappesero a testa in giù. «Uscendo, lasciarono accanto a lui una bottiglia di medicinale anti-batterico usato per le ferite - continua Amiri -. Lui l'aprì coi denti e ne bevve il contenuto. Voleva suicidarsi. Pensò d'essere morto, era felice. Dopo 10 minuti entrarono. "Come stai Hoshang?". "Non potete farmi niente perché sono morto". "No, non sei morto. Hai bevuto una combinazione di alcol e altre cose. Ma l'alcol è proibito nell'Islam e perciò devi essere punito». Gli fecero mangiare una patata con la buccia sporca, per provocare vomito e diarrea, e gli dissero che se non avesse confessato gli avrebbero fatto mangiare i suoi escrementi. Così fecero. Dopo Hoshang confessò di aver complottato per un colpo di stato».

    COSTRETTO AD ABBAIARE - Di nuovo gli fecero credere che era finita, ma lo portarono nei sotterranei. «La stanza era piena di bare. "Devi dire i nomi dei leader del colpo di stato". Le aprirono una per una: dentro vide i suoi amici, con le facce bianche, come morti. Gli dissero che fino a che non avesse detto i nomi, non gli era permesso parlare. Di qualunque cosa avesse bisogno, doveva abbaiare. E loro ridevano. Andò avanti per un mese. Hoshang fu trasformato in un cane. Ha detto tanti nomi, di gente che conosceva, che non conosceva e inventati, tipo Hassan Hashemi, Paolo Giuseppe, Nicolas Sarkozy. Hanno fatto la stessa cosa con le persone nelle bare. Dopo aver confessato, sono stati giustiziati nel 1988 e nel 1989: un massacro di almeno 2000 persone. Quelli che come Hoshang non erano tra i leader dopo alcuni anni sono stati liberati. Alcuni si sono suicidati o sono diventati tossici o maniaci depressivi».

    LETTERE AL TORTURATORE - «Hoshang non era più lo stesso - continua Amiri -. Non sapeva più fare domande. Lo mandavo a comprare il pane per aiutarlo a riabituarsi alla società. Gli davo i soldi, gli dicevo compra due panini. Lui faceva "2" con le dita al panettiere, tornava senza il resto dei soldi. Sono passati 25 anni e ha visto molti psichiatri, ma ha ancora incubi e dolore alle piante dei piedi». La biografia di Asadi, "Lettere al mio torturatore", uscirà tra due mesi in inglese. Anni fa, per caso, ha riconosciuto in una foto Fratello Hamid: era ambasciatore in Georgia. Lo denunciò e fu rimosso. Non sa dove sia oggi.

    Viviana Mazza
    22 luglio 2009
    «I miei sei anni in carcere a Teheran» Un reporter racconta torture e sevizie - Corriere della Sera

    Sottopongo alla vostra attenzione questo articolo, visto che ancora c'è gente che sostiene che l'iran è un baluardo di libertà, schierato a difendere i popoli da chissà quali tiranni..

  2. #2
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    Predefinito Riferimento: «I miei sei anni in carcere a Teheran» Un reporter racconta torture e se

    Che schifo...
    "Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo"

    Eugenio Montale

 

 

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