Originariamente Scritto da
Mitchell
Gli studenti in piazza, come ogni anno, per opporsi alla realtà - Libertiamo.it - Libero 24x7
- Lo scorso anno fu la volta degli indignados (a proposito: che fine hanno fatto?) e dei black bloc. Quest’anno a scendere in piazza sono i soliti studenti (rivoluzionari a tempo determinato) e i soliti sindacati che chiedono le stesse cose da tempo immemore.
Come ogni anno in questo periodo gli studenti tornano in piazza a chiedere (sempre e comunque) una cosa: soldi pubblici per la scuola. Questa volta però, le contestazioni non si sono fermate solo alla richiesta di altri fondi per l’istruzione di Stato, ma è arrivata a toccare temi come la crisi (vedere slogan “noi la crisi non la paghiamo”) e la situazione politico-istituzionale che l’Italia sta vivendo in questo periodo storico.
Da un lato i ragazzi hanno ragione: una classe politica inadeguata ci ha portato sull’orlo del baratro, lavorando pesando alla tornata elettorale più vicina, piuttosto che pensando alle generazioni future, per dirla con De Gasperi. Questa classe politica auto-referenziale si rifiuta di riformare un apparato statale ormai vecchio e pachidermico, che, anziché semplificare la vita dei cittadini, la rende ancor più difficile. Questa classe politica ha alimentato il proprio consenso con la spesa pubblica, con l’assistenzialismo più becero, che limita la libertà individuale e illude la gente che lo Stato può dare tutto a tutti.
Guardando l’altra faccia della medaglia e quindi esaminando le loro richieste nel merito, però, non hanno tutte le ragioni. Lo Stato attualmente non può permettersi di spendere ulteriori risorse pubbliche, non può garantire ulteriore assistenzialismo. Ciò che lo Stato deve garantire è opportunità, riforme, cambiamento, innovazione e (ovviamente) la minor presenza della mano pubblica in tutto il sistema-Paese.
In Italia c’è una logica che se dovesse continuare ad esistere potrebbe portarci al collasso: è una cultura che potremmo chiamare tardo-socialista. In poche parole: ci si lamenta dell’inefficienza dell’apparato pubblico, ci si lamenta della pressione fiscale troppo alta, ma la risposta a tutti questi problemi, secondo la maggioranza, è più Stato. La presenza dello Stato dovrebbe essere ridotta, sono troppe le aziende in mano alla politica, sono troppe le aziende che vengono salvate con soldi pubblici (ad esempio la Fiat), sono poche le iniziative private che potrebbero portare nuova crescita. Il nostro è un Paese che rischia di morire di statalismo.
E’ per questo motivo che la protesta non è condivisibile: non si può protestare perché si cerca di eliminare gli sprechi per abbassare le tasse; non si può protestare perché si vuole abbassare il debito pubblico.
C’è anche dell’altro: molti studenti protestano per moda, non conoscono cosa succede intorno; sono gli stessi che dicono “la politica è una cosa che non ci riguarda” ma che vanno a protestare per saltare il compito o l’interrogazione; sono quelli che non entrano in classe per stare tre ore in più nel letto; sono quelli che si lamentano per la mancanza del riscaldamento nelle scuole, scagliandosi contro il Governo che cerca di ridurre i costi, anziché andare a protestare con gli amministratori provinciali che chiudono l’erogazione dello stesso riscaldamento perché perderanno la poltrona del potere; quelli che giocano a fare i rivoluzionari una volta all’anno, per distruggere le città, le vetrine e le auto, ma che poi scompaiono nei meandri delle scuole italiane; quelli che scrivono sugli striscioni “Blocca l’Europa”, non sapendo che dalla crisi si esce con più Europa; quelli che vanno in Bocconi a protestare contro il premier con caschi e volti travisati in nome della “democrazia violata”.
Gli studenti (e non solo) sembrano essere ostaggi di una retorica sinistroide molto ideologizzata. Il fatto stesso che protestano al fianco di quei dipendenti pubblici che sono garantiti ne è la dimostrazione: le giovani generazioni non hanno garanzie, il loro futuro è un incognita. Manifestare insieme alle stesse persone che non vogliono aprire gli spazi, che si oppongono alla competizione e alla concorrenza, vuol dire non fare i propri “interessi”. I giovani italiani devono capire che dalla crisi non si esce con più Stato, ma si esce con maggiore responsabilità individuale, con maggiori opportunità. Difendere questa Italia chiusa e anti meritocratica è uno sbaglio enorme che non bisogna commettere.
Ora resta da capire dove vogliamo andare: buttarci nel futuro o tornare nel passato? Se si vogliono aprire le porte ad un qualcosa di nuovo, ci vuole coraggio, voglia di cambiamento, riforme. Per tornare indietro, basta affidarsi ai vecchi slogan, alle vecchie corporazioni (come i sindacati) e ai vecchi politici che gestiscono il consenso con la spesa pubblica.
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