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    Predefinito "Vaticano II": attentato al cuore della Chiesa

    Analisi critica del Concilio Vaticano II

    CONCILIO VATICANO SECONDO ATTENTATO AL CUORE DELLA CHIESA

    Padre Hervè Belmont


    Traduzione di un estratto dall'originale francese «Brimborions Contribution à la vigilance de la foi» (Bordeaux, 1990, pagg. 51-69) Stampato in proprio con il permesso dell'Autore

    Presentazione

    «Senza la fede è impossibile piacere a Dio» (Eb 11, 6). Queste parole di San Paolo sembrano dimenticate oggigiorno, persino da coloro che, tuttavia, si definiscono «credenti», ovvero come coloro che hanno la fede. Vero credente, infatti, è solo colui che vive della fede, che decide alla luce della fede tutte le scelte della sua esistenza. E per fede non intendiamo naturalmente un vago sentimento soggettivo, ma quella virtù sovrannaturale che ha per oggetto, come ognuno di noi recita nell’atto di fede, ciò che Dio ha rivelato, e la Santa Chiesa ci propone a credere. Già nel 1969, gli autori del Breve esame critico del Novus Ordo Missæ, presentato a Paolo VI dai Cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci, affermavano: «è evidente che il Novus Ordo non vuole più rappresentare la fede (del Concilio) di Trento. A questa fede, nondimeno, la coscienza cattolica è vincolata in eterno. Il vero cattolico è dunque posto, dalla promulgazione del Novus Ordo in una tragica necessità di opzione». Lo stesso si potrebbe dire di molti insegnamenti del Vaticano II, che contraddicono la dottrina infallibilmente e irreformabilmente definita della Chiesa, alla quale pure «la coscienza cattolica è vincolata in eterno». La fede spinge dunque il cattolico al rifiuto di una dottrina e di una riforma liturgica in opposizione con quanto «Dio ha rivelato e la Santa Chiesa ci propone a credere». Ma se le cose stanno così, che ne è dell’autorità che ha promulgato, in nome dello Spirito Santo, queste nuove dottrine? A questa domanda sono state date molte risposte. La più corrente è quella che Paolo VI ed i suoi successori sono i veri e legittimi Pontefici Romani, Vicarî di Cristo... ai quali bisognerebbe però disobbedire. Già San Paolo avrebbe risposto: «Chi resiste all’autorità, va contro l’ordine di Dio, e quelli che così resistono, si tireranno addosso la condanna» (Rm 13, 3). Non si tratta, quindi, di disobbedire al Papa, proposizione questa che deve far orrore a ogni cattolico degno di questo nome. Occorre un’altra soluzione. La soluzione che propone l’Autore di questo opuscolo, di poche pagine, ma di ardua teologia, è quella detta Tesi di Cassiciacum, e proposta ai cattolici dal teologo domenicano Mons. Michel-Louis Guérard des Lauriers, già docente di teologia alla Pontificia Università del Laterano, a Roma. L’Autore la presenta nel modo più semplice e più pratico possibile; egli cerca, infatti, di dimostrare (e a mio parere ci riesce perfettamente), che avere una posizione chiara sull’autorità di Paolo VI e dei suoi successori, non è facoltativo per i cattolici. Non si tratta, insomma, di una disputa accademica che non interessa il semplice fedele, o che mette la divisione tra i buoni cattolici. Poiché il Papa è la regola prossima della nostra fede, colui che dobbiamo ascoltare e a cui dobbiamo obbedire per essere salvi, non è secondario, per un cattolico, sapere se tale o talaltra persona è, sì o no, il Vicario di Cristo, il Successore di Pietro, colui che tiene le chiavi del Regno dei Cieli ed ha il potere di sciogliere o di legare... è la fede, che noi dobbiamo esercitare quotidianamente, che ci impone di scegliere, e di scegliere alla luce della medesima fede. L’autore di queste pagine, un giovane sacerdote fondatore e direttore di una scuola cattolica nella regione di Bordeaux, ha fatto la sua scelta, che gli è costata l’espulsione dalla Fraternità San Pio X. Al lettore, adesso, il dovere di informarsi per poi scegliere a sua volta, non secondo il proprio vantaggio, ma secondo le esigenze della fede cattolica.
    don Francesco Ricossa, rettore dell'«Istituto Mater Boni Consilii».

    Introduzione

    Il 22 Dicembre 1980, nella sua risposta agli auguri del Sacro Collegio, Giovanni Paolo II affermò: «Il Concilio Vaticano II ha gettato le basi di un rapporto sostanzialmente nuovo tra la Chiesa e il mondo...» (1). Se il rapporto tra la Chiesa ed il mondo è «sostanzialmente nuovo» non è certamente perché quest'ultimo è cambiato tornando a Gesù Cristo, cessando di rinnegarLo e combatterLo; chiunque può facilmente constatarlo. La novità viene dunque da parte della Chiesa, o piuttosto - poiché la Chiesa è la Sposa immacolata, senza ruga né macchia - da parte di coloro che la guidano. Lo scopo di queste note è di mettere in luce questa novità per permetterci di esercitare la fede cattolica, la cui regola prossima (2) è costituita dall'Autorità della Chiesa; ci interesseremo particolarmente ad una delle più importanti innovazioni del Vaticano II: la Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignititas humanæ personæ, alla quale «bisogna continuamente fare riferimento», come dice Giovanni Paolo II nel medesimo discorso (3). La fedeQuando parliamo di fede, intendiamo la fede teologale, virtù divinamente infusa nell'anima di alcuni uomini che, proprio per questo motivo, sono chiamati fedeli. Si tratta della fede cattolica, il cui oggetto è infallibilmente presentato dalla santa Chiesa cattolica romana. La fede è un dono soprannaturale e gratuito di Dio, che eleva l'intelligenza e determina la volontà affinché il fedele aderisca fermamente e senza timore di errore alla verità divinamente rivelata, al mistero di Dio che si rivela e si esprime in formule intelligibili e vere. La virtù della fede si trova nell'intelligenza umana; il suo atto è un atto dell'intelligenza: un atto che ha un oggetto ben determinato, un contenuto intelligibile. In altri termini, vi sono nella fede due elementi necessari: q uno, esteriore: l'oggetto della fede. è la Rivelazione divina, espressa da Dio con parole umane e trasmessa dalla Chiesa; q l'altro, interiore: la virtù di fede. Questa virtù è un lume divino gratuitamente comunicato che permette all'intelligenza di accedere alla conoscenza soprannaturale dell'oggetto della fede e che gliene dà una certezza propriamente divina. Questi due elementi non sono che una sola cosa perché procedono dall'unica Verità: il Verbo di Dio. Non c'è dunque che una sola fede: la fede cattolica. Al di fuori di essa, quella che impropriamente viene chiamata «fede» non è altro che una credenza umana. Questa fede ha un contenuto oggettivo: le verità rivelate, ed una regola prossima: l'insegnamento del Magistero della Chiesa. La fede non è dunque un sentimento religioso, nè un ricostituente morale, nè la fiducia in Gesù Cristo, e neppure l'adesione alla Sua persona escludendo l'adesione alla verità che Egli rivela. Se la fede può essere, a seconda delle persone, più o meno intensa e forte, il suo oggetto non è però divisibile: negare o dubitare volontariamente della più piccola verità di fede equivale a non credere nella Parola di Dio, e quindi a perdere la fede. è questo l'insegnamento di Leone XIII (1810-1903) (4): «Tale è la natura delle fede che non c'è niente di più impossibile che credere una cosa e rigettarne un'altra. La Chiesa professa, in effetti, che la fede è una «virtù soprannaturale» mediante la quale, sotto l'ispirazione e con il soccorso della grazia di Dio, crediamo che ciò che è stato rivelato da Lui è vero; non lo crediamo a causa della verità intrinseca delle cose vista alla luce naturale della ragione, ma a causa dell'autorità di Dio stesso che si rivela e che non può nè ingannarsi nè ingannarci» (5). Se è dunque chiaro che una proposizione è stata rivelata da Dio, e ciononostante non ci si crede, non si crede assolutamente niente di fede divina.

    «Quanta cura»

    L'Enciclica Quanta cura di Papa Pio IX (1792-1878), datata 8 dicembre 1864 e consacrata alla condanna degli errori moderni, gode di una particolare autorità. In effetti, il Sommo Pontefice vi manifesta la sua volontà di farne un atto ex cathedra. Ricordiamo innanzitutto quanto definisce il Concilio Vaticano I sull'infallibilità del romano Pontefice: «Insegniamo e definiamo che è un dogma divinamente rivelato che il romano Pontefice, quando parla ex cathedra, ovvero quando, nella sua funzione di pastore e dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica definisce una dottrina sulla fede e sui costumi, che dev'essere tenuta dalla Chiesa universale, egli gode pienamente, grazie all'assistenza divina che gli è stata promessa nella persona del beato Pietro, di quell'infallibilità di cui il divin Redentore ha voluto che fosse provvista la Sua Chiesa quando definisce una dottrina sulla fede o sui costumi; in conseguenza, queste definizioni del romano Pontefice sono irreformabili in sè stesse e non in virtù del consenso della Chiesa» (6). Dal paragrafo nº 14 dell'Enciclica Quanta cura, risulta evidente che Pio IX qui parla ex cathedra: «Memori del nostro incarico apostolico [...], Noi riproviamo, proscriviamo e condanniamo con la Nostra autorità apostolica tutte e ciascuna le opinioni errate e le dottrine ricordate all'inizio della Nostra lettera; e vogliamo e ordiniamo che tutti i figli della Chiesa cattolica le tengano certamente come riprovate, proscritte e condannate» (7). Più esattamente Pio IX ha parlato ex cathedra ogni qual volta ha condannato nell'Enciclica degli errori che riguardano la fede o la morale; è proprio allora che questi errori sono stati condannati infallibilmente e lo restano a tutt'oggi. è anche questo il caso della libertà religiosa. Ecco cosa insegna il paragrafo nº 5 dell'Enciclica: «Contro la dottrina della Sacra Scrittura, della Chiesa e dei Santi Padri, affermano senza esitazione: la miglior condizione della società è quella in cui non si riconosce al potere politico il dovere di reprimere con delle pene legali i violatori della religione cattolica, se non nella misura in cui la tranquillità pubblica lo richieda. In conseguenza di questa idea assolutamente falsa del governo sociale, non esitano a favorire questa opinione erronea - non ve ne può essere una più fatale per la Chiesa cattolica e per la salvezza delle anime e che il Nostro predecessore Gregorio XVI definiva un delirio - cioè che la libertà di coscienza e dei culti è un diritto proprio ad ogni uomo, che dev'essere garantito e proclamato in ogni società ben costituita» (8). Papa Pio IX insegna dunque che affermare il diritto alla libertà civile in materia religiosa - quel che è chiamato libertà di coscienza o libertà religiosa - è contrario alla Rivelazione divina. Il Papa insegna questo infallibilmente, ed in conseguenza per mezzo della virtù della fede - alla luce della fede - il fedele sa e crede che l'affermazione del diritto alla libertà religiosa è falso perché contrario alla Rivelazione. Inoltre, Quanta cura non è l'unico atto del Magistero in cui la Chiesa insegna ciò, benché sia l'atto più solenne. Così parla anche Pio XII (1876-1958): «Quel che non corrisponde alla verità e alla legge morale non ha nessun diritto all'esistenza, alla propaganda e all'azione» (9).

    Vaticano II

    il 7 dicembre 1965, vigilia della chiusura del Concilio Vaticano II, Paolo VI (1897-1978), in unione con più di 2.300 Vescovi, firmava e promulgava solennemente il Decreto Dignitatis humanæ personæ sulla libertà religiosa: «Tutto l'insieme e ciascuno dei punti che sono stati pubblicati in questa Dichiarazione sono piaciuti ai Padri conciliari. E Noi, in virtù del potere apostolico che abbiamo da Cristo, in unione con i venerabili Padri, Noi li approviamo, confermiamo e decretiamo nello Spirito Santo, e ordiniamo che quel che è stato stabilito in questo Concilio sia promulgato per la gloria di Dio. Roma, in San Pietro, 7 dicembre 1965, io Paolo, Vescovo della Chiesa cattolica» (10). Questo Decreto conciliare definisce così la libertà religiosa: «Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, cosi che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza nè sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l'hanno fatta conoscere la Parola di Dio rivelata e la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa dev'essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società» (11). Il Concilio insegna dunque che la libertà civile in materia religiosa è un diritto naturale per l'uomo, in modo che il potere politico non ha il diritto di impedire di agire pubblicamente a quelli che agiscono secondo la loro coscienza in materia religiosa. Per l'esercizio di questo diritto il Vaticano II assegna dei limiti che sono enunciati subito dopo (12); si tratta di salvaguardare la pace e la tranquillità pubblica. In altri termini, il Vaticano II insegna che la dignità dell'uomo esige che lo Stato riconosca nelle sue leggi che ogni uomo ha il diritto di professare e di esercitare la propria religione, anche se falsa e contraria alla religione cattolica, nella misura in cui la pace pubblica sia preservata. Questa dignità umana, continua il Concilio, è quella che la Parola di Dio ci rivela. Così, dunque, secondo Dignitatis humanæ personæ, Paolo VI e l'insieme dei Vescovi dichiarano che è rivelata da Dio una dottrina della dignità umana che è il fondamento del diritto alla libertà religiosa in foro esterno e pubblico. Il seguito del Decreto lo conferma: «[...] una tale dottrina sulla libertà affonda le sue radici nella Rivelazione divina, per cui tanto più va rispettata con sacro impegno dai cristiani» (13). «La Chiesa, pertanto, fedele alla verità evangelica, segue la via di Cristo e degli apostoli quando riconosce come rispondente alla dignità dell'uomo e alla Rivelazione di Dio il principio della libertà religiosa e la favorisce» (14).

    Il Magistero Ordinario e Universale (MOU)

    Qual'è la natura dell'assentimento che bisogna dare a questo insegnamento del Concilio Vaticano II? Un atto di fede? Un semplice sentimento interno? Una considerazione rispettosa? Questo si vede a partire dalla natura stessa dell'atto, il quale è precisato dai suoi autori. Dignitatis humanæ è un atto del Magistero ordinario e universale (15). Dobbiamo precisare questa nozione per utilizzarla nel senso in cui la Chiesa la intende, per seguire la prescrizione del Concilio Vaticano I: «Così bisogna sempre conservare per i sacri dogmi il senso che la santa madre Chiesa ha dichiarato una volta, e non è mai permesso di allontanarsene su pretesto o sotto parvenza di un'intelligenza più profonda» (16). L'espressione «Magistero ordinario universale» è utilizzata dal Concilio Vaticano I, e ne troviamo il significato negli interventi e relazioni ufficiali della Deputazione della fede, incaricata di spiegare ai Padri, prima dello scrutinio, il senso esatto di ciò che dovevano definire. La Deputazione fa riferimento alla Lettera apostolica di Pio IX Tuas libenter, del 21 dicembre 1863 (17). «Universale» significa l'insieme della Chiesa docente: il Papa ed i Vescovi subordinati. Il Magistero universale è pertanto il potere d'insegnare della Chiesa esercitato dal Papa e dall'insieme dei Vescovi. Può essere esercitato in maniera straordinaria con un giudizio solenne, o in modo ordinario nell'insegnamento quotidiano della fede, nel quale i Vescovi sono normalmente dispersi. Per quel che riguarda il Concilio Vaticano II, la riunione dei Vescovi del mondo intero dava all'esercizio del Magistero un carattere straordinario piuttosto che ordinario; tuttavia, l'assenza di definizioni solenni e la dichiarazione di Paolo VI (18) fanno classificare gli atti del Vaticano II, e quindi il Decreto sulla libertà religiosa, tra quelli del Magistero ordinario universale. Il Magistero ordinario universale propone infallibilmente l'oggetto della fede, e pertanto ogni fedele deve credere di fede divina tutto ciò che è stato presentato come rivelato. è l'insegnamento di Pio IX in Tuas libenter (19) e del Concilio Vaticano I (20): «Si deve credere di fede divina e cattolica tutto quello che è contenuto nella Parola di Dio scritta o tramandata, e che la Chiesa propone a credere come divinamente rivelato sia con un giudizio solenne che con il suo Magistero ordinario e universale». Questo insegnamento è ripreso da Papa Leone XIII, che afferma che questa è proprio la dottrina costante della Chiesa (21). Dunque, non c'è nessun dubbio possibile. Poiché Dignitatis humanæ è un atto del Magistero ordinario e universale, e poiché vi si trova affermata come rivelata da Dio una dignità dell'uomo tale da fondare il diritto alla libertà civile in materia religiosa, ogni fedele e deve compiere un atto di fede, deve cioè credere di fede divina e cattolica questa dottrina: la dignità dell'uomo comporta, esige, implica il diritto alla libertà religiosa. La notificazione del Cardinal Felici, segretario generale del Vaticano II alla 123ª Congregazione generale conferma questa necessità: «Quanto alle altre cose che sono proposte dal Concilio, poiché rappresentano la dottrina del Magistero supremo della Chiesa, tutti e ciascuno dei fedeli devono riceverle ed ammetterle secondo lo spirito del Concilio stesso, quale risulta sia dalla materia in causa, che dal modo di esprimersi, secondo le norme dell'interpretazione teologica» (22). Ora, la materia in causa è già insegnata infallibilmente dalla Chiesa ed è di somma importanza per la salvezza delle anime, ed il modo di esprimersi presenta questo insegnamento come rivelato da Dio. Ogni fedele quindi, deve accettare questa dottrina nella fede. Contro questa conclusione, si potrebbe tentare di far valere che il Vaticano II non enuncia alcun obbligo di credere a questa dignità della persona umana, e che quindi l'atto di fede non è necessario. Questa obiezione non ha alcun valore. La Rivelazione è, in effetti, il motivo formale della fede: è proprio perché la dottrina è rivelata da Dio che il fedele crede, e la certezza della Rivelazione ci è data dall'atto del Magistero. Quest'ultimo non ha dunque per nulla bisogno di menzionare un obbligo di credere: è la natura stessa delle cose che comporta questa necessità (23). Questo è d'altra parte l'insegnamento di Leone XIII: «Ogni volta che la parola di questo Magistero dichiara che tale o tal'altra verità fa parte dell'insieme della dottrina divinamente rivelata, ognuno deve credere con certezza che ciò è vero» (24).

    L'impossibile atto di fede

    Il fedele deve credere di fede divina che la dignità dell'uomo è tale da fondare il diritto alla libertà religiosa: questa conclusione si deduce ineluttabilmente dall'insegnamento che abbiamo or ora ricordato. Ma questo atto di fede è metafisicamente impossibile. In effetti, il fedele crede già di fede divina che l'affermazione del diritto alla libertà religiosa è contraria alla Rivelazione (25). Nessuno può credere simultaneamente due proposizioni contrarie; nessuno può credere nello stesso tempo che il diritto alla libertà religiosa è contrario alla Rivelazione, e che è fondato in questa Rivelazione. è impossibile anche con tutta la buona volontà: questo dipende dalla natura delle cose. Così dunque è la fede, l'esercizio della fede cattolica che rende impossibile l'assenso all'insegnamento del Vaticano II. Non solo questo assenso è moralmente illecito, ma per di più è impedito per chiunque eserciti rettamente la fede. Trattenuto nell'assenso che dovrebbe dare a Dignitatis humanæ, il fedele ha il dovere immediato di verificare se la contraddizione è veramente reale e non solamente apparente, e se, d'altra parte, Quanta cura e Dignitatis humaæ imperano effettivamente un atto di fede. Egli constaterà nuovamente che Pio IX nega ciò che il Vaticano II afferma (26): la libertà religiosa in foro esterno e pubblico è un diritto naturale ad ogni uomo, in tal modo che l'autorità pubblica non ha il diritto d'impedire la propaganda e l'esercizio pubblico delle false religioni a meno che ciò non sia richiesto dalla pubblica tranquillità. Egli potrà verificare anche che Quanta cura, come pure Dignitatis humanæ, si appellano alla Rivelazione richiedono l'assenso di fede. Allora, credendo già anteriormente e con una certezza divina che è impossibile ed illecito rimettere in causa, l'insegnamento di Pio IX, il fedele rigetterà quello del Vaticano II, vale a dire quello di Paolo VI, da cui il Vaticano II ricava tutta la sua autorità. Tuttavia, se è impossibile aderire all'insegnamento di Dignitatis humanæ in ragione del suo contenuto, la necessità di credere a questo medesimo insegnamento resta, imperativa, in ragione dell'atto del Magistero che lo presenta come rivelato. E così, essendo impedito dalla fede teologale dall'aderire alla dottrina di Paolo VI, il fedele è nel contempo e necessariamente impedito - sempre dalla fede - di aderire all'autorità di Paolo VI e di riconoscerla. Questo richiede alcune spiegazioni.

    Spiegazioni

    La Chiesa cattolica si distingue essenzialmente da ogni altra società per il suo carattere sovrannaturale: essa è il Corpo mistico di Gesù Cristo. In Lei l'Autorità; e come fonte delle altre l'Autorità del Sommo Pontefice; è essenzialmente sovrannaturale (anche se si esercita con dei mezzi naturali). è l'applicazione del principio generale ricordato da Leone XIII: «La Chiesa non è una sorta di cadavere: essa è il Corpo di Cristo animato dalla Sua vita sovrannaturale [...]. Allo stesso modo, il Suo Corpo mistico non è la vera Chiesa che da questo fatto: che le Sue parti visibili derivano la loro forza e la loro vita dai doni sovrannaturali e dagli altri elementi invisibili; ed è da questa unione che risulta la ragione propria e la natura delle parti visibili stesse» (27). L'Autorità del Sommo Pontefice è essenzialmente sovrannaturale: essa è costituita dall'assistenza abituale speciale promessa da Gesù Cristo a San Pietro e ai suoi successori. è dunque nella luce della fede che noi conosciamo l'Autorità pontificia e che vi aderiamo. Facciamo un esempio. Sono nel 1950. è nella luce della fede che io so che Pio XII è il Papa: ciò, mediante una conoscenza che è adeguata solo nell'ordine sovrannaturale, e che suppone la conoscenza naturale del fatto che ognuno può constatare. Senza questa conoscenza sovrannaturale dell'Autorità che ha ricevuto da Cristo, io non potrei credere di fede divina il dogma dell'Assunzione che egli definisce infallibilmente. Che Pio XII sia Papa, è quel che vien chiamato un fatto dogmatico che, in quanto tale, cade sotto la luce della fede. In effetti, benché questo fatto sia contingente, è necessario alla conservazione del deposito rivelato perché costituisce la regola prossima della fede: il Magistero, di cui il Papa è il principio nell'ordine dell'esercizio. Questo significa che è nel medesimo atto di fede semplice che io aderisco al dogma e all'Autorità che lo presenta. Per cui, è nella stessa luce sovrannaturale e nel medesimo atto che io dovrei aderire alla dottrina del Vaticano II sulla libertà religiosa e all'autorità di Paolo VI che la garantisce. Ora, l'abbiamo visto, questa adesione è impossibile in ragione della fede stessa. E dunque, col semplice esercizio della fede e senza formulare nessun giudizio, il fedele è trattenuto ed impedito dall'aderire all'autorità di Paolo VI che egli non può riconoscere; è nella fede che egli vede che costui non è l'Autorità, che non è la regola della fede.

    Conferme

    Illuminato in questo modo dalla fede, e davanti alla gravità di una simile conclusione, il fedele cercherà una conferma di questa verità certa: Paolo VI non era l'Autorità della Chiesa cattolica, era privo dell'Autorità pontificia che il Papa tiene da Cristo. Egli vedrà allora che l'universale riforma liturgica inaugurata dal Vaticano II, in particolare quella del rito della Messa, è infestata dallo spirito dell'eresia: essa non è nè il frutto, nè l'espressione della fede della Chiesa (28). Se è impossibile che una legge generale della Chiesa sia cattiva - ammetterlo condurrebbe a cadere sotto la condanna di Pio VI (1717-1799) e a contraddire l'insegnamento della Chiesa (29) - a maggior ragione è impossibile che un rito della liturgia cattolica meriti di essere rifiutato (30). Questa riforma non può quindi venire dalla Chiesa: la sua promulgazione da parte di Paolo VI è incompatibile con l'assistenza dello Spirito Santo, e quindi col possesso dell'Autorità pontificia. Continuando ad esercitare la fede cattolica, il fedele constaterà che gli atti di Paolo VI - nella loro stessa natura e presi nel loro insieme - non procurano il bene della Chiesa. L'intenzione abituale - non la sua intenzione intima, ma quella immanente agli atti compiuti - che ha manifestato e messo in pratica non è ordinata al bene della Chiesa. Questa assenza d'intenzione di procurare il bene della Chiesa non è compatibile con il possesso dell'Autorità pontificia: a causa di essa, in effetti, il governo abituale di Paolo VI non è quello di Gesù Cristo (31). Ora, secondo l'insegnamento di Pio XII: «Il divin Redentore governa il Suo Corpo mistico visibilmente ed ordinariamente mediante il Suo Vicario in terra» (32). Il fedele si renderà così conto della necessità per conservare la fede cattolica, confessarla integralmente e metterne in pratica le opere, di non obbedire agli atti di Paolo VI e neppure agli atti di coloro che Paolo VI ha nominato e mantiene come loro superiori (33). Ora, è proprio ciò che sarebbe impossibile fare abitualmente (34) in presenza della vera Autorità che non è altro che quella di Gesù Cristo, il quale «è con» («una cum») il Suo Vicario sulla terra. Si tratta, in effetti, di un dogma di fede cattolica definito da Papa Bonifacio VIII (1235 ca.-1303): «Noi dichiariamo, diciamo, definiamo e pronunciamo che la sottomissione al Pontefice Romano è assolutamente necessaria alla salvezza per tutte le creature» (35). Papa Pio XI (1857-1939) insegna a sua volta che nessuno è cattolico senza obbedire abitualmente alla legittima Autorità: «In questa unica Chiesa di Cristo, nessuno si trova, nessuno rimane se, con l'obbedienza, non riconosce ed accetta l'Autorità e il potere di Pietro e dei suoi legittimi successori» (36). Le constatazioni che avrà fatto il fedele esaminando dei fatti pubblici e certi alla luce della fede - non ci dilunghiamo su di essi perché sono già stati analizzati altrove (37) - giungeranno a questa conclusione: non è solo nell'insegnamento sulla libertà religiosa, ma anche sulla riforma liturgica e nell'insieme dei suoi atti, che Paolo VI si manifesta con certezza, una certezza che appartiene all'ordine della fede, come qualcuno che non è l'Autorità suprema della Chiesa cattolica. Ma soprattutto, ed è attualmente la cosa più importante, il fedele applicherà a Giovanni Paolo II lo stesso giudizio che ha portato su Paolo VI. Le ragioni sono ineluttabili: q Giovanni Paolo II non ha rotto con lo stato di scisma (38) introdotto da Paolo VI; egli ha ripetutamente (39) dichiarato di voler continuare l'opera del Vaticano II e di Paolo VI, opera che ha codificato e alla quale ha dato uno statuto giuridico promulgando il Codice di Diritto canonico del 1983 (40). q Succedendo a Paolo VI, Giovanni Paolo II assume la responsabilità dei suoi atti permanenti (41) fintanto che non li ha denunciati: è lui che, oggi, rende obbligatorio con autorità l'insegnamento del Vaticano II e la riforma liturgica. è dunque all'autorità di Giovanni Paolo II che la fede ci impedisce oggi di aderire; è questa stessa autorità che la fede ci obbliga a rigettare. q Infine, in certi punti del suo insegnamento (42), e ancor più nel suo modo di agire (43), Giovanni Paolo II ha ulteriormente allargato il fossato tra la dottrina cattolica e le teorie conciliari. Finché Giovanni Paolo II non rompe con degli insegnamenti e delle leggi che sono incompatibili con l'Autorità pontificia - specialmente la riforma liturgica e la libertà religiosa - la fede, in ragione di questa stessa incompatibilità, non potrà riconoscere la sua autorità e obbligherà a negarla. Non cambiano nulla a questa situazione altri atti che sono o sembrano essere conformi alla Tradizione o alla dottrina cattolica, e che sembrano allentare la morsa che soffoca la fede del popolo cristiano. Poiché questi atti non sono una rottura formale con lo scisma capitale, sono privi di valore giuridico ed al massimo, con non poco ottimismo, possono essere considerati solo come delle preparazioni materiali a questa rottura futura, preparazioni delle quali, tra l'altro, si serve Dio per dare la Sua grazia a qualche anima smarrita.

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    Predefinito Riferimento: "Vaticano II": attentato al cuore della Chiesa

    Portata della prova

    La prova che abbiamo appena spiegato conclude, con una certezza che si fonda sulla fede cattolica, che Paolo VI e Giovanni Paolo II sono sprovvisti dell'Autorità pontificia. Ma questa prova, che si limita all'analisi dei loro atti pubblici e si fonda sull'incompatibilità di questi atti con l'Autorità di Gesù Cristo, non dice nulla sulla loro persona e non può dare alcuna certezza sulla loro appartenenza personale alla Chiesa e sulla loro fede interiore. Come abbiamo ricordato, il papato è un «fatto dogmatico», che pertanto è in relazione con la fede. Ora, è possibile dimostrare alla luce della fede che Giovanni Paolo II è sprovvisto dell'Autorità pontificia, ma è impossibile avere una certezza sufficiente su un eventuale peccato di scisma o di eresia, peccato che farebbe abbandonare la Chiesa. Per avere una tale certezza, occorrerebbe un'ammissione di Giovanni Paolo II (che non ha mai avuto luogo), o un atto dell'Autorità (44) (il che attualmente è impossibile), oppure un'obbligazione di confessare la fede impostagli dai membri della Chiesa docente. Poiché vi è una certezza ecclesiale (45) dell'assenza dell'autorità in Giovanni Paolo II e poiché non vi è - e allo stato attuale delle cose non ci può essere - una certezza ecclesiale della sua esclusione dalla Chiesa, è necessario introdurre la distinzione che abbiamo appena ricordato. Situazione di Giovanni Paolo IIGiovanni Paolo II è papa «materialiter» (materialmente), non è Papa «formaliter» (formalmente) (46). E' papa materialmente, vale a dire che è il soggetto designato, che possiede cioè un'attitudine che nessuno spartisce con lui a ricevere la comunicazione dell'Autorità papale, se non vi mette ostacolo. Egli possiede una realtà giuridica per la quale occupa di diritto la Sede di San Pietro. Non è un anti-papa (47). Giovanni Paolo II non è Papa formalmente; non gode di ciò che fa che il papa sia Papa: l'autorità soprannaturale comunicata da Gesù Cristo, quell'assistenza speciale che gli conferisce i supremi poteri di Magistero, di Santificazione e di Governo. Se bisogna rispondere con un sì o con un no alla domanda: «è Papa»?, bisogna dire che Giovanni Paolo II non è Papa, ma che è il soggetto designato. Non è Papa simpliciter, ma è stato eletto ed accettato da coloro che hanno potere sull'elezione (48). Non avendo rotto con lo stato di scisma, tuttavia egli resta privo dell'autorità pontificia (49). In conseguenza, la testimonianza della fede esige che si eviti ogni atto che comporti in qualsiasi modo il riconoscimento della sua autorità: nominarlo al Canone della Messa o nelle orazioni liturgiche previste per il Sommo Pontefice (50), profittare delle sue leggi o attribuirgli un valore giuridico, ricorrere ai tribunali della Curia, ecc... Ecco come, nell'esercizio quotidiano della fede cattolica e prima ancora di ogni giudizio o ragionamento, ogni fedele può e deve discernere lo stato della Chiesa e la situazione della sua autorità. Per la gloria di Dio e per la propria salvezza regolerà la propria condotta in conseguenza.


    Note

    (1) Cfr. Osservatore Romano, ed. francese, del 6 gennaio 1981, pag. 7.

    (2) In teologia, si distingue tra «regola remota» e «regola prossima» della nostra fede. Che cosa dobbiamo credere? Ciò che è stato rivelato da Dio e che è contenuto nella Scrittura e nella Tradizione. Questa è la regola remota. Come facciamo a sapere cosa è stato effettivamente rivelato ed è contenuto quindi nella Scrittura e nella Tradizione? L'Autorità della Chiesa, il Papa. Egli è la regola prossima. In concreto, il credente si rivolge immediatamente all'Autorità della Chiesa per sapere ciò che deve credere (N.d.E.).

    (3) Cfr. Osservatore Romano, ed. francese, del 6 gennaio 1981, pag. 6.

    (4) Cfr. Leone XIII, in Insegnementi pontifici, «La Chiesa», nº 573.

    (5) Cfr. Concilio Vaticano I, sess. III.; Denz. nº 1789.
    (6) Cfr. Costituzione Pastor æternus; Denz. nº 1839. Si noti come il carattere ex cathedra di un atto pontificio non dipenda dalla solennità esteriore dell'atto, ma dalla sua natura.
    (7) Cfr. Denz. nº 1699.
    (8) Cfr. Denz. nn. 1689-1690.
    (9) Cfr. Pio XII, Discorso ai giuristi italiani, del 6 dicembre 1953. La nostra intenzione non è qui di spiegare o di giustificare la dottrina cattolica, ma di riconoscere qual'è.
    (10) Cfr. Constitutiones, decreta, declarationes del Concilio Vaticano II, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1966, pag. 532.
    (11) Cfr. Dignitatis humanæ, nº 2.
    (12) Ibid., nº 7.
    (13) Ibid., nº 9.
    (14) Ibid., nº 12. Il grassetto è nostro.
    (15) Sulla natura e l'autorità del Magistero ordinario universale, vedi: Abbé B. Lucien, L'infaillibilité du Magistère ordinaire et universel de l'église, Documents de Catholicité, 1984; Cahiers de Cassiciacum, suppl. nº 5, pagg. 7-8 e 13-19; P. L.-M. de Blignières, L'infallibilità del Magistero ordinario, Madonna de La Salette, Ferrara 1995.
    (16) Cfr. Denz., 1800
    (17) «Quando non si trattasse che della sottomissione che deve manifestarsi con un atto di fede divina, non si potrebbe restringerla ai soli punti definiti dai decreti dei Concilii ecumenici o dei Pontefici romani e di questa sede apostolica; bisognerebbe ancora estenderla a tutto ciò che è trasmesso, come divinamente rivelato, dal corpo insegnante ordinario di tutta la Chiesa dispersa nel mondo»; (vedi Denz. 1683).
    (18) «Dato il carattere pastorale del Concilio, esso ha evitato di pronunciare in modo straordinario dei dogmi comportanti la nota d'infallibilità, ma ha munito i suoi insegnamenti dell'autorità del Magistero supremo ordinario» (cfr. Paolo VI, Discorso del 12 gennaio 1996; vedi Documentation Catholique, nº 1466, pag. 420).
    (19) Cfr. Denz. 1683.
    (20) Cfr. Costituzione Dei Filius, del 24 aprile 1870; Denz. 1792.

    (21) Cfr. Leone XIII, Satis cognitum; in Insegnamenti Pontefici, «La Chiesa», nº 574; Testem benevolentiæ, ibid., nº 629.
    (22) Cit. in La Documentation catholique, nº 1438, del 16 novembre 1964, pagg. 1633-1634.
    (23) è impossibile che il Magistero sottintenda: «è la Parola di Dio, ma non è necessario crederci».
    (24) Cfr. Leone XIII, Satis cognitum; in Insegnamenti Pontifici, «La Chiesa», nº 572.
    (25) Vedi pagg. 5-6.
    (26) Questa contraddizione è evidente alla semplice lettura dei due testi. Contro coloro che la negano, è stata provata e difesa dall'Abbé Bernard Lucien (libro pubblicato da Forts dans la Foi); Lettre à quelques évêques, (pagg. 71-118); La liberté religieuse, examen d'un tentative de justification, réponse au Prieuré Saint-Thomas-d'Aquin, (febbraio 1988, pagg. 9-35); Lecture critique des «Remarques sur la brochure des Abbés Lucien et Belmont» (luglio-agosto 1988).
    (27) Cfr. Leone XIII, Satis cognitum, in Insegnamenti Pontifici, «La Chiesa», nº 543.
    (28) Vedi il nostro studio La réforme liturgique, in Brimborions, Bordeaux 1990, pagg. 31-50.
    (29) Cfr. Pio VI, Auctorem fidei, 28 agosto 1794, Denz. 1578; Gregorio XVI, Quo graviora, 4 ottobre 1833, in Insegnamenti Pontifici, «La Chiesa», nº 169; Leone XIII, Testem benevolentiæ, in Insegnamenti Pontifici, «La Chiesa», nº 631.
    (30) Cfr. Concilio di Trento, Sessione VII; Denz. 856.
    (31) Sull'incompatibilità tra l'Autorità e l'assenza d'intenzione di procurare il bene della Chiesa vedi Cahiers de Cassiciacum, nº 1, pagg. 42-64.
    (32) Cfr. Pio XII, Mystici Corporis, 29 giugno 1943, in Insegnamenti Pontifici, «la Chiesa», nº 1040.
    (33) Non sosteniamo che tutti coloro i quali fanno professione di essere sottomessi a Paolo VI o Giovanni Paolo II hanno disertato la fede cattolica. Ma facciamo notare che - come lo dimostra l'esperienza - quanti conservano la fede lo fanno malgrado questa sottomissione, e non mediante essa, come invece dovrebbe essere. Che lo sappiano o no, essi resistono ad una parte dell'insegnamento conciliare o ne fanno astrazione, ed è grazie a ciò che conservano la fede.
    (34) Sette teologi di Venezia, per giustificare la resistenza ad un Breve di Paolo V (17 aprile 1606) affermavano che prima di obbedire ad ogni ordine, anche se proveniente dal Sommo Pontefice, il cristiano deve esaminare innanzitutto se quest'ordine è conveniente, legittimo e obbligatorio. San Roberto Bellarmino rispose loro «Questa proposizione è eretica [...]. La discussione del precetto, quando esso non contiene con evidenza un peccato, è riprovata dai Padri, perché chi discute il precetto, si costituisce giudice del suo superiore» (Auctarium bellarminum, ed. Le Bachelet, nº 872).
    (35) Cfr. Bolla Unam Sanctam, 18 novembre 1302, Denz. 469.
    (36) Cfr. Mortalium animos, 6 gennaio 1928, in Insegnamenti Pontifici, «La Chiesa», nº 873.
    (37) Vedi ad esempio D. Le Roux, Pietro mi ami tu?, ed. Gotica, Ferrara 1986; La Tradizione cattolica, nº 1, 1992.
    (38) Lo scisma capitale - vale a dire quello del capo in quanto tale -non dev'essere confuso con il peccato personale di scisma che separa dalla Chiesa. Vedi Cahiers de Cassiciacum, nn. 3-4, pagg. 73-77.
    (39) Molti riferimenti in Jean-Paul II et la doctrine catholique, 1981, e in L'insegnamento di Giovanni Paolo II è cattolico?, (1983) 1995, di Padre L.-M. de Blignières.
    (40) La Costituzione apostolica Sacræ disciplinæ leges, del 25 gennaio 1983, che promulaga questo codice, lo ripete più volte e presenta il Codice come il risultato dello spirito del Vaticano II e della novità (questo termine è espressamente utilizzato) del Concilio, soprattutto per quel che concerne l'ecclesiologia.
    (41) Sono gli atti dottrinali, o gli atti legislativi il cui effetto non era temporaneo e che pertanto perdurano ancora.
    (42) Nuova concezione della Chiesa, falso principio relativo all'Incarnazione. Vedi nota nº 39 e Lettre a qulelques évêques, 1983.

    (43) Come, ad esempio, gli atti di culto non-cattolico, o la partecipazione a tali atti. Vedi a questo proposito D. Le Roux, op. cit.
    (44) L'assenza di un esercizio attuale del Magistero della Chiesa rende difficilmente riconoscibile l'eresia. Questa, infatti, è la negazione di una verità rivelata da Dio conosciuta come tale. Questa conoscenza si compie mediante la proposizione di tale verità rivelata da parte del Magistero della Chiesa. In assenza di una proposizione attuale, nessuno può determinare con certezza che tale persona nega scientemente, con pertinacia, la verità rivelata, a meno che essa non lo ammetta implicitamente o esplicitamente.
    (45) Chiamiamo «certezza ecclesiale» una certezza che ha valore nella Chiesa, di cui si può fare atto davanti ad essa («in facie Ecclesiæ»), che è dello stesso ordine della nostra appartenenza alla Chiesa e che pertanto può essere presa in considerazione nell'analisi dello stato della Chiesa e della situazione della sua autorità: l sia perché ci viene da un atto dell'autorità ecclesiastica (che sia magisteriale, legislativo o giurisdizionale); l sia perché ha il suo principio nella fede, esercitata in occasione di fatti pubblici e notori.
    (46) Questa distinzione è stata messa in luce ed in opera da Padre M. L. Guérard des Lauriers in Cahiers de Cassiciacum, nº 1, pagg. 7-99. Il suo fondamento è enunciato da San Roberto Bellarmino in De Romano Pontifice, II, 30 (vedi Cahiers de Cassiciacum, nº 2, pag. 83), e dal Cardinale Caietano: «Il papato e Pietro sono in un rapporto di forma a materia» (in De comparatione auctoritatis papæ et concilii, nº 290).

    (47) Nulla a che fare quindi col sedevacantismo. Per le difficoltà e le conseguenze dell'affermazione della permanenza materiale della gerarchia, soprattutto per quel che concerne la successione apostolica, vedi Abbé B. Lucien, La situation actuelle de l'autorité dans l'église, Documents de catholicité, 1985, pagg. 97-103; l'articolo di don D. Sanborn intitolato De papatu materiali, in Sacerdotium (2899 East Big Deaver Road, Suite 308, Troy, Michigan 48083, 2400 U.S.A.), nº 11 (1994), nº 16 (1996).
    (48) Ricordiamo che Papa Pio XII ha stabilito quanto segue: «Nessun Cardinale può in nessuna maniera essere escluso dall'elezione attiva e passiva del Sommo Pontefice sotto il pretesto o per il motivo di qualunque scomunica, sospensione, interdetto o altri impedimenti ecclesiastici. Noi sospendiamo queste censure esclusivamente per l'elezione» (Costituzione Vacante apostolicæ Sedis, 8 dicembre 1945, nº 34).
    (49) La domanda che pone il Cardinale decano al soggetto che è stato appena eletto papa riguarda solo l'accettazione dell'elezione (Vacante apostolicæ Sedis, nn. 100-101). La risposta affermativa - quella che dopo Paolo VI ha dato Giovanni Paolo - costituisce il soggetto eletto papa «materialiter», e nello stesso atto Papa «formaliter» se egli ha l'intenzione di procurare il vero bene della Chiesa: l'Autorità gli è allora immediatamente conferita da Gesù Cristo. Poiché Giovanni Paolo II da un lato ha realmente accettato l'elezione e d'altro canto ha manifestato all'eccesso che non aveva questa intenzione (reale, efficace, immanente agli atti) di procurare il bene della Chiesa, è solamente papa «materialiter». Si tratta di una situazione anomala e precaria, che potrà essere risolta solo in tre modi: l dalla morte o dalle dimissioni del soggetto eletto; l dalla conversione del soggetto eletto, nel senso che egli inizi, in maniera stabile e constatabile, a procurare il vero bene della Chiesa, per lo meno denunciando ciò che è incompatibile con l'Autorità pontificia; l dall'azione di quanti hanno potere sull'elezione o di una parte della Chiesa docente che potrebbe costringerlo a professare pubblicamente la fede cattolica e, in caso di rifiuto, potrebbe constatare la sua perdita del pontificato (anche materiale). Quest'ultima ipotesi è, tutto sommato, piuttosto delicata.

    (50) Il che è ben altra cosa che «rifiutare di pregare per il papa». Non si tratta di rifiutarsi di pregare per qualcuno - il che sarebbe assolutamente contrario alla carità teologale - ma si tratta di testimoniare la fede.

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    Predefinito Riferimento: "Vaticano II": attentato al cuore della Chiesa

    VATICANO II: APOGEO DEL LIBERALISMO (tratto da "Il Cinghiale corazzato" numero 21 del dicembre 2007)


    Cari lettori, eccoci giunti al clou del discorso sul liberalismo, dopo i miei articoli su Pio IX e Gregorio XVI, con le infauste conseguenze che ha prodotto nella Chiesa durante e dopo il concilio Vaticano II. In questo articolo mi riallaccio a quello che già ha scritto ampiamente Piergiorgio Seveso su “Il Cinghiale Corazzato” numero 11, del novembre 2005.
    Innanzitutto bisogna dire che l’ideologia liberale non è entrata nella Chiesa col concilio ma ben prima, ovvero con la rivoluzione francese durante la quale molti sacerdoti cattolici si lasciarono inebetire dal motto “libertè, egalitè, fraternitè” (forse anche per paura di affrontare le conseguenze di una loro eventuale ribellione contro la rivoluzione), tradendo la purezza della fede e cercando di imbastardirla con le sconcerie dei nemici liberali di Cristo: libertà di coscienza, di religione, abbattimento del potere temporale del Papa e via discorrendo. Questi traditori si infiltrarono pian piano, strisciando come serpenti, nelle gerarchie ecclesiastiche e, quel che è peggio, nei seminari corrompendo le nuove generazioni di sacerdoti. Questo nuovo male nato nel seno della Chiesa stessa riuscì a svilupparsi ed estendersi sempre più fino a divenire quel cancro che ancor (e soprattutto) oggi insidia e cerca di distruggere la Sposa di Cristo, trasformandola in qualcosa di non (e anzi di anti) cattolico, che prende il nome di MODERNISMO. San Pio X aveva capito la gravità della situazione e delle conseguenze che il modernismo, che lui bollava come: “…la sintesi di tutte le eresie…” (Enciclica “Pascendi Dominici gregis” del 1907), avrebbe provocato a danno delle anime e di tutta la Chiesa se lasciato libero di agire. Perciò mise subito in guardia contro questo pericolo le gerarchie e gli stessi fedeli attraverso la stessa Enciclica “Pascendi” (a proposito, quest’anno ricorre il suo centenario!) e il Decreto “Lamentabili” che l’accompagnava, col quale il Sant’Uffizio, per ordine del Papa stesso, condannò diverse proposizioni erronee fatte proprie dai modernisti. Sua Santità cercò anche di scovare gli aderenti a questa eresia, che erano abilissimi a nascondere la loro vera natura, e di prendere provvedimenti contro di essi, soprattutto togliendo loro l’insegnamento nei seminari (tra questi c’era anche un certo Roncalli). Purtroppo i successori di S. Pio X non furono sempre adeguatamente attenti nel combattere questa battaglia e così i modernisti riuscirono poco per volta a scalare le gerarchie della Curia vaticana fino a far eleggere un loro esponente, il Cardinale Angelo Roncalli (Giovanni XXIII), al Soglio pontificio nel Conclave del 1958 seguito alla morte di Papa Pio XII. Fu lui ad indire nel 1962 il concilio Vaticano II, nel segno dell’aggiornamento e della libertà di dialogo entro la Chiesa. Purtroppo durante lo svolgimento dei lavori i modernisti, maggioranza o meno che fossero, riuscirono a prendere il sopravvento e a sostituire la verità, ovvero la dottrina, la tradizione e il magistero bimillenari della Chiesa rivelati da Cristo stesso o direttamente o attraverso i Suoi intermediari (apostoli prima e Papi poi), con la menzogna rappresentata dagli errori di questi perfidi eretici già più e più volte condannati dagli autentici Romani Pontefici. Così, per fare qualche esempio, se i Vicari di Cristo Gregorio XVI e Pio IX condannavano la libertà religiosa e quella di coscienza definendo quest’ultima “pestilentissimo errore”, la dichiarazione conciliare “Dignitatis Humanae” così recita:”L’uomo coglie e riconosce gli imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza, che è tenuto a seguire fedelmente in ogni sua attività per raggiungere il suo fine che è Dio (ma se non gli si fa conoscere la vera religione, cioè quella cattolica rivelata da Dio stesso che non può né ingannare né ingannarsi, come fa l’uomo a sapere che il proprio fine è appunto Dio? E quale Dio? n.d’a.). Non si deve quindi costringerlo ad agire contro la sua coscienza. E non si deve neppure impedirgli di agire in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso…”. E ancora:”Ad ogni famiglia (…) compete il diritto di ordinare liberamente la propria vita religiosa domestica sotto la direzione dei genitori. A questi spetta il diritto di determinare l’educazione religiosa da impartire ai propri figli secondo la propria persuasione religiosa. Quindi deve essere dalla potestà civile riconosciuto ai genitori il diritto di scegliere, con vera libertà, le scuole e gli altri mezzi di educazione (che differenza con il rigido controllo che Gregorio XVI e altri Pontefici operarono nei confronti dell’insegnamento scolastico, al fine di impedire che ai ragazzi fossero inculcati principi e tesi erronei n.d’a.)… Inoltre i diritti dei genitori sono violati se i figli sono costretti a frequentare lezioni scolastiche che non corrispondono alla persuasione religiosa dei genitori (e come la mettiamo con i diritti calpestati dei genitori cristiani, nel silenzio assoluto delle attuali gerarchie vaticane, ai cui figli vengono insegnate a scuola teorie anticattoliche di scienziati atei e liberali, come ad esempio la ridicola teoria dell’evoluzione di Darwin che nega la creazione divina dell’uomo e di tutto ciò che esiste? n.d’a.)…”. E per finire:”Poiché il bene comune della società (…) consiste soprattutto nella salvaguardia dei diritti della persona umana (davvero? Io pensavo consistesse nella salvaguardia dei diritti di Dio, che se negati attirano su noi uomini la Sua ira e il Suo castigo! n.d’a.) …, adoperarsi positivamente per il diritto alla libertà religiosa spetta tanto ai cittadini quanto ai gruppi sociali, ai poteri civili, alla Chiesa (cosa??? La Sposa di Cristo, unica arca di salvezza, dovrebbe difendere la libertà religiosa lasciando gli infedeli nell’errore e rendendosi così colpevole della loro dannazione eterna??? Questa è pura follia!!! n.d’a.)…”. Da queste poche frasi dovrebbe essere chiara a tutti la netta rottura che il concilio ha operato tra il suo nuovo insegnamento e quello precedente. Quindi o è errato e menzognero questo, oppure lo era quello di prima. Ma se quello pre-Vaticano II era ed è rimasto fedele all’insegnamento ed alla pura dottrina rivelati da Gesù Cristo, non può che essere erroneo quello conciliare-modernista. “Dai loro frutti li riconoscerete” disse il Signore. Confrontiamo quindi brevemente i frutti prodotti dalla Chiesa e quelli dell’anti-chiesa vaticanosecondista. Per quasi 2000 anni i cattolici, sotto la guida dei Romani Pontefici, hanno vissuto e combattuto per la maggior Gloria di Dio e della Sua Chiesa e la conversione delle anime, anche a costo della loro stessa vita. Esempi eccelsi di questo ci sono stati lasciati dai Santi, ma anche da gente comune. Pensiamo in proposito: ai numerosissimi missionari, molti a noi sconosciuti, che hanno propagato fino ai confini della Terra la Fede provvedendo al bene sia spirituale che materiale di chissà quante persone; ai Papi-mecenati che hanno commissionato opere d’arte a dir poco stupende che ben rappresentano la Chiesa qual è voluta dal Suo Divin Fondatore e cioè trionfante; alle persone semplici che sono morte per difendere la Sposa di Cristo e l’intera Cristianità: mi riferisco agli eroi di Lepanto, di Vienna, di Poitiers, delle Crociate, di Mentana (battaglia tra papalini, risultati vittoriosi, e garibaldini), e così via; agli stessi apostoli e Pontefici dei primi secoli (ma non solo) e a tutti i martiri che pagarono col sangue l’amore per Nostro Signore. Chi può negare la bontà di questi frutti? Quali sono invece i frutti del Concilio? Eccoli: gli incontri ecumenici per la “pace” di Assisi del 1986 e 2002; le visite papali alle Sinagoghe di Roma e Colonia rispettivamente del 1986 e 2005; il bacio al Corano di Giovanni Paolo II; le varie visite a moschee, ai templi luterani, alle chiese degli scismatici greci, tra le quali quelle recenti di Benedetto XVI durante il suo viaggio in Turchia; la benedizione della laicità dello Stato da parte dei papi conciliari (da loro chiamata:”Grande conquista!”); il loro rinnegamento del potere temporale dei veri Pontefici; l’abolizione del Limbo (e quindi della necessità del Battesimo per salvarsi) da parte di Benedetto XVI; le canonizzazioni e beatificazioni di personaggi la cui fede non collimava, come avrebbe dovuto, con quella della Chiesa (pensiamo alla beatificazione del liberale Rosmini (alla cui discussa figura sicuramente anche il Cinghiale Corazzato dedicherà un adeguato approfondimento), le cui opere furono messe all’Indice dal Sant’Uffizio e condannate post-mortem da Leone XIII); il silenzio arrendevole di Paolo VI di fronte alla legalizzazione in Italia di divorzio e aborto; le Chiese che si svuotano sempre più, anche a causa di del nuovo rito voluto da Paolo VI e prodotta da un gruppo di studiosi composto da teologi cattolici e protestanti, che dal 1969 sostituisce l’unica vera Santa Messa, quella di San Pio V (ma celebrata fin dai tempi degli stessi apostoli), che il Concilio di Trento e lo stesso Papa avevano stabilito fosse perpetua e immodificabile (nella sua sostanza) pena l’anatema (Enciclica “Quo primum”): può un Papa contraddire e disobbedire un suo predecessore fino addirittura a meritarsi la maledizione di quello? No, ma Paolo VI l’ha fatto e questo apre un vasto terreno per l’approfondimento teologico sulle conseguenze ecclesiologiche e anche social-politiche di questi gesti (di questa faccenda tratterò in prossimo articolo); le stesse Chiese che vengono concesse dai prelati a eretici, scismatici e persino infedeli musulmani;… Domanda: possono questi errori venire dalla Chiesa di Cristo e di conseguenza da Dio stesso? Ovviamente no. Quindi, conclusione logica, il Vaticano II, i suoi frutti e i suoi sostenitori non possono essere appartenere alla continuità dottrinale della Chiesa Cattolica e come tali devono essere considerati da chi voglia servare la Fede cattolica.


    ROBERTO MARCANTE

    Appunti bibliografici

    Romano Amerio “Stat Veritas. Chiose teologiche alla Tertio millennio adveniente”, Ricciardi, 1995
    Monsignor Francesco Spadafora “La "Nuova Esegesi", Il trionfo del modernismo sull'Esegesi Cattolica” Les Amis de saint François de Sales, 1996
    Monsignor Francesco Spadafora “La Tradizione contro il concilio”, Volpe, 1992
    Don Curzio Nitoglia “Per padre il diavolo” (le parti su Nostra Aetate), Società Editrice Barbarossa, 2002
    Sigfrido Bartolini "Lettere di San Bernardino a un quotidiano", Volpe, 1969
    Marcel De Corte "La grande eresia", Volpe, 1970
    Maurice Pinay, “Complot contra la Iglesia” (trad. del dr. Luis Gonzales), Mundo libre, Mexico 1968
    Pierre Tilloy "L'Ordo Missae - L'unità nell'eresia", Volpe, 1970
    Daniele Araì “L’eclisse del pensiero cattolico,” Settimo Sigillo, 1997
    Gianni Franceschi "La religione comoda", Volpe, 1970
    S.E.R. Cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci “Breve esame critico del Novus Ordo Missae”, varie edizioni in commercio
    Fausto Gianfranceschi "Teologia elettrica", Volpe, 1969
    Padre Bernard Lucien “Etudes sur la liberté religieuse dans la doctrine catholique” (su Dignitatis Humanae), Ed. Forts dans la foi, 1990
    Bernard Fay "La Chiesa di Giuda?", Volpe, 1969
    Padre George De Nantes "Lettere", Volpe, 1969
    Pierre Debray "Abbasso la tonaca rossa", Volpe, 1969
    Dietrich Von Hildebrandt "Il cavallo di Troia nella città di Dio", Volpe, 1969
    Alfred Barivault "Aforismi di un credente", Volpe, 1967
    Louis Salleron "La sovversione nella liturgia", Volpe, 1967
    Jean Madiran "L'eresia del ventesimo secolo", Volpe, 1972
    Marcel de Corte "L'intelligenza in pericolo di morte", Volpe, 1973
    Padre Noel Barbara "Lettera a Paolo VI", Volpe, 1971
    Padre Johannes Dormann “La teologia di Giovanni Paolo II e lo spirito di Assisi – La teologia trinitaria – Redemptor Hominis – Dives in misericordia – Dominum et vivificantem”, 4 voll, Ichthys, 2000-2004
    Padre Eduard Hugon O.P. “Fuori della Chiesa non v’è Salvezza”, Amicizia cristiana, Chieti, 2007
    Monsignor Antonio De Castro Mayer “La libertà religiosa”, Amicizia cristiana, Chieti, 2005
    Marcel De Corte “Fenomenologia dell’autodistruttore”, Borla, 1967
    Tito Casini “La tunica stracciata”, Libreria editrice fiorentina, 1967
    Tito Casini “Dicebamus heri”, Edizioni Carro di San Giovanni, 1968
    Tito Casini “Super flumina Babylonis”, Edizioni Carro di San Giovanni, 1969
    Tito Casini “L’ultima messa di Paolo VI”, Edizioni Carro di San Giovanni, 1975
    Walter Martin (i.e. Padre Giuseppe Pace), “Pio XIV” (Edizioni Sancti Michaelis, 1979
    Don Anthony Cekada “Non si prega più come prima”, Centro Librario Sodalitium, 1994





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    Vaticano II e autorità pontificia: un dibattito in corso (tratto da "Il Cinghiale Corazzato, numero 22, Primavera 2008)


    Avendo nei miei precedenti articoli spiegato perché il concilio Vaticano II non appartiene alla continuità dottrinale del magistero della Chiesa Cattolica, in quanto insegna errori già riprovati dalla Chiesa stessa, desidero ora approfondire le conseguenze teoretiche e le soluzioni ecclesiologiche che si prospettano ad ogni fedele che, magari implicitamente, arrivi alla stessa conclusione. Teologi di varia estrazione hanno risposto in vario modo a questa domanda ovvero quali sono le conseguenze del concilio sull’autorità pontificia che l’ha promulgato.
    Già perché un fedele che ha già posto un atto sovrannaturale di fede nell’insegnamento infallibile di Pio IX in Quanta cura, ad esempio, non può, in virtù del principio di non contraddizione, porre un atto di fede nell’insegnamento opposto di Dignitatis humanae del Vaticano II. Si dovrebbe credere e non si può credere. Non si può uscire da questa apparente contraddizione che constatando l’assenza, nei testi conciliari e nelle loro applicazioni, del soggetto stesso dell’infallibilità: un vero e legittimo Papa” (dal libro “L’infallibilità del Magistero Ordinario” di Padre L.-M. de Blignières o.p.). Per capire meglio vediamo un po’ di storia dell’opposizione al Vaticano II. Durante il concilio la reazione cattolica all’avanzare dell’errore si svolse all’interno e all’esterno di esso: da una parte alcuni Vescovi combattevano all’interno dell’assise, tra essi ricordiamo Mons. Lefebvre, Mons. Carli e Mons. de Proença Sigaud (questi ultimi due però finirono per accettare l’insegnamento del Vaticano II, facendo affidamento sull’autorità che ritenevano avesse Paolo VI), dopo che si furono uniti nel Coetus internationalis Patrum, che riuscì però solo a rendere più moderata l’eresia che si stava sviluppando; dall’altra parte un gruppo di laici ed ecclesiastici messicani, guidati da Padre Joaquìn Sàenz y Arriaga s.j., nel 1962 scrissero il libro, già di matrice sedevacantista, “Complotto contro la Chiesa” che distribuirono a tutti i Padri Conciliari, nel quale affermavano che solo un antipapa avrebbe potuto promulgare il documento Nostra Aetate, palesemente filo-giudaico. Nonostante questi oppositori non riuscirono ad arginare l’errore, il “concilio” produsse in un numero sempre più grande di fedeli e chierici lo sconcerto, che divenne totale con la promulgazione del nuovo messale nel 1969. Altre voci allora si levarono a difesa della Fede. In Francia l’abbè de Nantes rifiutò il concilio già durante il suo svolgimento e, dopo aver studiato il caso del Papa eretico (previsto già da molti e importanti teologi del passato, come ad esempio da San Roberto Bellarmino), nel ’73 fece pervenire a Paolo VI un “Liber accusationis” ove lo accusava di apostasia, eresia e scisma. Chiese perciò ai Vescovi di rompere la comunione con “papa” Montini e ai Cardinali di dichiararlo deposto: rimase inascoltato. Mentre però egli riteneva che un Papa eretico rimane Papa (fino alla sua deposizione), altri sedevacantisti intraprendevano la buona battaglia, come il già citato Padre Sàenz y Arriaga che, in altre due sue opere, sosteneva che Paolo VI non era Papa legittimo ma antipapa, per eresia precedente o successiva alla sua elezione al Pontificato. Importanti sedevacantisti furono: l’abbè Coache, Padre Barbara e Padre M. L. Guérard des Lauriers. Molti, per di più laici, si dichiararono per la vacanza della Sede in Argentina, USA e Germania. Intanto Mons. Lefebvre nel 1970 fondava la Fraternità Sacerdotale San Pio X, ottenendone l’approvazione dal Vescovo di Friburgo. Egli però non prese posizione contro Paolo VI e il “concilio” (anzi si dichiarava in comunione con lui e accettava le riforme del Vaticano II) fino a quando il 22 luglio 1976 Montini lo sospese a divinis. Allora la collaborazione tra sedevacantisti e Fraternità si fece per qualche tempo più intensa, ma fu poi compromessa dalle trattative tra Lefebvre e Paolo VI/Giovanni Paolo II, tendenti a ritrovare l’unità con Roma. Il risultato di queste negoziazioni con i modernisti fu la definitiva rottura dei rapporti con tra lefebvriani e sedevacantisti. Nel 1977 Padre Barbara e Padre des Lauriers vennero allontanati dal seminario di Econe e dal 1979 iniziarono le espulsioni o le uscite volontarie dalla Fraternità di sacerdoti che aderivano alle tesi di questi due Padri. Vediamo ora le tre posizioni principali (che sono poi quelle di Lefebvre, Barbara e des Lauriers), con le quali i “tradizionalisti” intendono spiegare l’attuale situazione della Chiesa e dell’autorità pontificia: LEFEBVRIANESIMO, SEDEVACANTISMO SIMPLICITER e SEDEVACANTISMO TESISTA. La prima di queste è, secondo i suoi sostenitori, una posizione “prudenziale”: di fronte alla domanda se i “papi” post-Vaticano II sono stati e sono veramente Vicari di Cristo, la risposta prudenziale è: non si sa. Infatti essi ritengono che quando la Chiesa tornerà ad essere in ordine, è possibile che condannerà questi “papi” come non Papi o antipapi, ma per il momento è meglio considerare come Papa colui che è sul Soglio di Pietro. Nel ’77 Lefebvre scriveva, nel libro “Il colpo da maestro di Satana”, che la Sede vacante era un’ipotesi possibile, alla quale era preferita la posizione di Paolo VI Papa legittimo ma liberale. Le conseguenze di questa soluzione sono però molteplici e gravissime. Prima conseguenza: se un futuro Papa dovrà dire se Benedetto XVI e predecessori erano legittimi Pontefici, ciò significa che Ratzinger non è quel Papa che può garantire della sua legittimità: perché attendere un Papa futuro quando si presuppone che ci sia un Papa attualmente? Non c’è bisogno di aspettare il pronunciamento della Chiesa di domani, quando la “chiesa” di oggi si è già pronunciata sul “concilio”, la nuova “messa” e il “papa” stesso. Seconda conseguenza: la soluzione prudenziale è in realtà altamente imprudente! Se infatti Benedetto XVI è Papa, ci si espone allo scisma resistendogli abitualmente, separandosi dalla comunione con lui e venendo scomunicati dal suo predecessore Giovanni Paolo II, secondo l’insegnamento di Bonifacio VIII che ebbe a dire:”Noi dichiariamo, diciamo, definiamo e pronunciamo che la sottomissione al Pontefice Romano è assolutamente necessaria alla salvezza per tutte le creature” (Bolla “Unam Sanctam”, 18 novembre 1302) e quello di Pio XI: ”In questa unica Chiesa di Cristo, nessuno si trova, nessuno rimane se, con l’obbedienza, non riconosce ed accetta l’Autorità e il potere di Pietro e dei suoi legittimi successori” (Enciclica “Mortalium animos”, 6 gennaio 1928). Se invece Ratzinger non fosse Papa, ci si espone al pericolo di seguire un falso papa. Terza conseguenza: la posizione lefebvriana lede ben due dogmi! Quello appunto della sottomissione al Papa e quello dell’infallibilità pontificia. Infatti riconoscendo Benedetto XVI come vero Papa, il fatto che gli si resista e la condanna del “concilio” da parte della Fraternità, significano credere che il Pontefice possa sbagliare. I lefebvriani spiegano questo dicendo che il Vaticano I ha enunciato l’infallibilità solo per i pronunciamenti ex cathedra del Romano Pontefice, ma ciò presupporrebbe che il Papa fosse infallibile solo ogni 50 anni (come minimo) e che il Magistero ordinario non sia coperto dall’infallibilità. Così però non è. Infatti “…il Magistero ordinario del Corpo Episcopale cattolico ha insegnato, in ogni epoca, l’immortalità dell’anima umana. (…) Ebbene, qual teologo oserà sostenere che il popolo cristiano non era allora infallibilmente retto dai suoi pastori su questi punti capitali per la dottrina cattolica?” (da “L’infallibilità del Magistero Ordinario”) e ancora “…Sia ringraziato Dio che ha dotato la Sua Chiesa di un Magistero ordinario infallibile anche in materia naturale.” (“Pour la Sainte Eglise romaine”, Don V.A. Berto). Veniamo ora al sedevacantismo simpliciter (o stretto o totalista). I suoi sostenitori si rifanno a quei teologi del passato, come S. Roberto Bellarmino, Sant’Alfonso Maria de’Liguori e il Cardinal Billot, secondo i quali il Papa eretico perde il Pontificato, ipso facto (automaticamente), appena l’eresia diventa manifesta. Questa, in sostanza, era l’idea di Padre Sàenz e Padre Barbara: infatti entrambi (il primo nel 1973, il secondo nel 1976) dichiararono Paolo VI antipapa per essere caduto in eresia prima o dopo l’elezione. Questa posizione, se da un lato riafferma l’infallibilità del Magistero ordinario, che costituisce una prova certa dell’illegittimità di Montini e dei suoi successori solidali con lui, dall’altro lato scopre il fianco a diverse obiezioni. Prima obiezione: le teorie che supportano tale soluzione passano indebitamente dall’eresia materiale (oggettiva) a quella formale (soggettiva) dando per scontato che l’eretico sia volontariamente tale, mentre invece potrebbe insegnare l’errore in buona fede, senza accorgersi che di eresia si tratta. Seconda obiezione: il sedevacantismo stretto dà per certo che il Papa eretico è deposto ipso facto, dimenticando che altri insigni teologi (Cardinal Gaetano, Giovanni di San Tommaso e i domenicani) sostenevano che egli perde il Pontificato solo dopo una dichiarazione della Chiesa. Terza obiezione: i totalisti (fautori del sedevacantismo totalista) trascurano il fatto che chi ha autorità per dichiarare la deposizione deve avere anche autorità per provvedere alla successione (cosa che ovviamente essi non hanno). Quarta e più grave obiezione: tale sedevacantismo ritiene che il Papa eretico perda, col Pontificato, sia il potere di legiferare (che Cristo possiede e dà al Papa) sia quello di nominare e designare (che è un potere ecclesiastico). Questo però significa che le nomine dei Cardinali e dei Vescovi residenziali (titolari di Diocesi) effettuate da Paolo VI e successori sarebbero invalide e che, quindi, la gerarchia cattolica si sarebbe definitivamente estinta. La conseguenza di ciò sarebbe l’impossibilità di procedere all’elezione di un nuovo vero e legittimo Pontefice, dato che solo i Cardinali o, in mancanza, un Concilio imperfetto (quello senza Papa) formato dai Vescovi residenziali possono eleggere il Papa. La soluzione di tale problema sarebbe allora di tipo “apparizionista”: elezione del Papa tramite l’apostolo Pietro. Molti autorevoli teologi sostengono che seppur questa ipotesi sia teoricamente possibile (nulla è impossibile a Dio), è però altamente improbabile, dato che scavalcherebbe la natura eminentemente ed essenzialmente gerarchica della Chiesa cattolica . Quindi anche questa posizione va ad intaccare un dogma: quello relativo all’indefettibilità della Chiesa, promessa da Cristo stesso. Rimane a questo punto un’unica soluzione, quella prospettata dalla Tesi di Cassiciacum (da cui sedevacantismo tesista) di Padre Guérard des Lauriers, di cui parlerò nel prossimo numero del “Cinghiale corazzato”.

    Roberto Marcante

    Fonte: http://issuu.com/capcattolica/docs/cinghialecorazzato22

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    LA TESI DI CASSICIACUM (tratto da "Il Cinghiale Corazzato" numero 23, giugno 2008) leggibile in originale anche qui http://issuu.com/capcattolica/docs/cinghialecorazzato23



    Partiamo innanzitutto con una piccola biografia di questo grande, anche se sconosciuto ai più, reverendo. Raymond Michel Charles Guérard des Lauriers nacque a Suresnes (vicino a Parigi) il 25 ottobre 1898, da Paul Louis Guérard des Lauriers e da sua moglie Lucie Madeleìne Lefebvre (nessuna parentela con Monsignor Marcel). Già da bambino manifestò un’intelligenza superiore alla norma e ricevette dalla madre (della quale egli dirà che era una santa) un’ottima educazione cristiana. Nel 1913 rimase orfano di padre e nel 1917 dovette sospendere gli studi per la mobilitazione generale. Due anni dopo lasciò l’esercito per riprendere a studiare e nel 1921 entrò nella Scuola Normale Superiore, dove tre anni più tardi passò l’esame di concorso di matematica. Studiò quindi a Roma. Nel 1926 Michel prese la risoluzione di entrare nell’Ordine Domenicano, dopo aver avuto una specie di visione. A settembre entrò al noviziato di Amiens e prese l’abito religioso col nome di fr. Luigi Bertrando. Dopo l’ordinazione, avvenuta il 29 luglio 1931, i suoi superiori decisero di fargli proseguire gli studi e così dal 1933 divenne professore all’università domenicana del Saulchoir. Negli anni ’50 partecipò ai lavori per la proclamazione del dogma dell’Assunzione, alle controversie contro il neomodernismo e denunciò Padre Congar (futuro padre conciliare al Vaticano II) al Sant’Uffizio per le sue posizioni appunto neomoderniste. Per queste sue attività Pio XII avrebbe voluto crearlo Cardinale, ma purtroppo De Gaulle pose il veto. Dal ’61 insegnò anche all’Università pontificia del Laterano. E venne il concilio Vaticano II e con esso la riforma liturgica detta Novus Ordo Missae (1969). Padre Guérard, tra l’aprile ed il maggio di quell’anno, redasse (in collaborazione con alcuni ecclesiastici e laici) la lettera “Breve esame critico del Novus Ordo Missae”, che venne recapitata a Paolo VI dai Cardinali (cofirmatari della lettera) Ottaviani (Prefetto del Sant’Uffizio) e Bacci. La redazione di questa lettera gli costò la cattedra del Laterano. Dopo un certo periodo di vita “extra conventum” iniziò a collaborare con Mons. Lefebvre e la sua Fraternità, dalla quale venne congedato nel 1977 proprio a causa della sua Tesi. Il 7 maggio 1981 Padre Guérard venne consacrato Vescovo da Mons. Pierre Martin Ngò-Dinh-Thuc, già Arcivescovo di Hué (Vietnam). Si trattò di una Consacrazione valida, lecita e legale, in quanto Mons. Thuc osservò integralmente il rito tradizionale ed era legittimato a ciò dal potere di Legato che Pio XI gli aveva conferito il 15 marzo 1938, in base al quale poteva scegliere e consacrare Vescovi senza il mandato di Roma. Mons. Guérard è morto il 27 febbraio 1988 ed è sepolto nel cimitero di Raveau.
    Veniamo ora ad illustrare la Tesi. Padre Guérard la scrisse all’inizio degli anni ’70 e la pubblicò a partire dal ’78 nei “Cahiers de Cassiciacum”. Innanzitutto bisogna distinguere metafisicamente la materia dalla forma. Ogni ente creato è composto e la sua composizione è quella della materia e della forma. La forma si definisce: “ciò secondo cui tal ente ha di essere”: così l’anima è la forma del composto umano. La materia è, nell’ente, ciò che è distinto dalla forma ed ha l’essere mediante la forma: “ciò che, nell’ente concreto, ha l’essere”: così il corpo unito all’anima, nel composto umano. Allo stesso modo la distinzione MATERIALITER-FORMALITER spiega il rapporto che c’è tra persona fisica del Papa e carisma papale: questo è il punto nevralgico della Tesi di Cassiciacum (che per inciso è l’odierna Cassago, in provincia di Como, dove S. Agostino scrisse le sue prime opere di contenuto filosofico-cristiano). Spieghiamo meglio in cosa consiste la Tesi ricorrendo ad un esempio fatto dallo stesso Mons. des Lauriers:” Il Cardinale E. Pacelli è l’eletto di un Conclave valido, non è ancora Papa. Tuttavia, differentemente da tutti gli altri Cardinali, il Cardinal Pacelli, e lui solo, è in disposizione ultima a divenire Papa (…) Si può dunque dire, per analogia, che la persona fisica eletta da un Conclave supposto valido è costituita Papa MATERIALITER; e ciò ipso facto (automaticamente): a condizione tuttavia che la detta persona fisica non sia ipotecata da un OBEX (ostacolo) rimasto occulto sospendente in essa l’effetto normale dell’elezione. Il Cardinale E. Pacelli accetta l’elezione. Riceve, nell’atto stesso di questa accettazione, la Comunicazione esercitata da Cristo in favore di Pietro e dei successori di Pietro (Giovanni XXI, 15-17). Il Cardinal E. Pacelli è dunque costituito Vicario di Gesù Cristo. E poiché è molto precisamente nell’essere Vicario di Gesù Cristo che consiste il fatto di essere Papa, si dice che la stessa persona fisica, ovvero il Cardinal E. Pacelli, che in virtù dell’elezione era Papa soltanto MATERIALITER, diventa Papa FORMALITER nell’atto stesso in cui accetta l’elezione. In questa seconda tappa (FORMALITER), vi è tuttavia una conditio sine qua non: e ciò esattamente come nella prima tappa (MATERIALITER). Questa condizione è evidente, ed è la seguente: occorre che, nel momento stesso in cui il Cardinal E. Pacelli afferma esteriormente di accettare l’elezione, NON PONGA interiormente, in modo occulto, un OBEX che l’abbia impedito di ricevere la Comunicazione promessa ed esercitata da Cristo. Se si fosse accertato ulteriormente che un tal obex era esistito nell’atto dell’accettazione, il Cardinal E. Pacelli non sarebbe stato in alcun momento Papa FORMALITER.” (da “Intervista a Mons. Guérard des Lauriers o.p.’’ in Sodalitium n° 13). Secondo Mons. Guérard, quindi, vi è VACANZA FORMALE della Sede apostolica almeno a partire dal 7 dicembre 1965, giorno in cui si concluse il Vaticano II con la sua ratifica da parte di Paolo VI. Di conseguenza, sempre secondo Monsignore, la Sede sarebbe occupata da più di 40 anni (ma molto probabilmente già dai tempi di Giovanni XXIII, dato il suo spinto ecumenismo) in modo illegittimo e sacrilego, poiché gli “occupanti” (Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II ed ora Benedetto XVI) non sono Papi, ma si fanno passare come tali, mettendosi tra l’altro in stato di Scisma capitale. Per provare la veridicità della sua Tesi, Mons. des Lauriers fa ricorso alla dichiarazione di Leone XIII (“Apostolicae Curae”, 13/09/1896):” La Chiesa deve giudicare dell’intenzione in quanto questa è manifestata esteriormente”, e pone quindi la domanda:” L’”occupante” ha avuto realmente, accettando l’elezione al Conclave, l’intenzione di ricevere la Comunicazione esercitata da Cristo?”. A parere di Monsignore:” Per rispondere a questa domanda bisogna, secondo Leone XIII, considerare i FATTI. Se l’”occupante” aveva avuto, in realtà, l’intenzione di ricevere la suddetta Comunicazione, allora doveva in seguito, abitualmente, conformarsi a tutte le esigenze di detta Comunicazione. Se, al contrario, si accerta che, continuamente e sistematicamente, l’”occupante” va contro le esigenze più fondamentali che sono inerenti alla Comunicazione esercitata da Cristo, bisogna concludere, (stando a Leone XIII) che l’”occupante” non aveva in realtà l’intenzione di riceverla, e che in conseguenza non è mai stato (o ha cessato di essere) Papa FORMALITER. (…) … in ogni Società, l’esistenza stessa dell’autorità richiede di essere fondata sul proposito di realizzare il bene comune che è il fine della detta Società. (…) Ora osserviamo che, da 25 anni (l’intervista a Mons. Guérard risale al 1987, n.d.a.), con dei procedimenti indiretti ma molto efficaci e convergenti, l’”occupante” della Sede apostolica persegue la degradazione di quello che invece dovrebbe promuovere, cioè il “Bene” affidato in proprio alla Chiesa dal Suo divino Fondatore, particolarmente l’OBLAZIONE PURA (la S. Messa di S. Pio V, n.d.a.) ed il deposito rivelato. Ne consegue che l’”occupante” la Sede apostolica non può essere, nella Chiesa, l’”Autorità”. Non è Papa FORMALITER.” (“Intervista a Mons. Guérard…”). Mons. Guérard insiste poi richiamandosi all’Infallibilità del Magistero straordinario solenne e del Magistero ordinario universale, per affermare che:” E’ dunque impossibile che l’autentico Vicario di Gesù Cristo, quando si pronuncia secondo l’ una o l’altra di queste due forme, affermi una cosa che sostenga l’opposizione di contraddizione con una dottrina già rivelata. Ora, il 7 dicembre 1965, il Cardinal Montini (l’autore della Tesi lo chiama volutamente Cardinale, in quanto non lo riconosce come Papa, n.d.a.) ha promulgato, impegnando almeno il Magistero ordinario universale, una proposizione concernente la “libertà religiosa” che sostiene l’opposizione di contraddizione con la dottrina infallibilmente definita da Pio IX nell’enciclica “Quanta cura” legata al “Syllabus”. Bisogna quindi concludere, stando a Leone XIII, che ponendo quest’atto, il Cardinal Montini non aveva l’intenzione di ricevere la Comunicazione esercitata da Gesù Cristo, e non era più Papa FORMALITER”. Viceversa Mons. Guérard dimostra che gli “occupanti” sono papi MATERIALITER, ricordando che l’eletto di un Conclave, prima della sua accettazione, diventa appunto Papa MATERIALITER a due condizioni: che il Conclave sia valido e che l’eletto non sia ipotecato da un obex rimasto occulto, che sospende in lui l’effetto normale dell’elezione (esempio: l’appartenenza dell’eletto ad una società occulta anticristiana prima dell’elezione). Ora, dato che l’esistenza di un obex, o nei Conclavi che hanno eletto Giovanni XXIII e i suoi successori o negli stessi eletti, non c’è o non è stato scoperto, fino a prova contraria i suddetti “pontefici” sono papi MATERIALITER e mantengono inoltre i poteri e le facoltà dei papi MATERIALITER, tra cui il potere di nominare i Cardinali e i Vescovi residenziali (contrariamente a quanto sostengono i sedevacantisti simpliciter), senza i quali non esisterebbe più la gerarchia ecclesiastica e con essa la possibilità di eleggere nuovi Pontefici. Le conseguenze della Tesi sono molto gravi: si devono ignorare i cosiddetti papi MATERIALITER, come se non ci fossero, in quanto praticano e insegnano l’eresia (pur dovendo pregare per loro, per dovere di carità); i nuovi riti per l’amministrazione dei Sacramenti e la nuova “messa” sono invalidi perché promulgati da persone che non avevano l’autorità per farlo, contravvenendo per di più alle disposizioni della Chiesa e dei Pontefici del passato, che avevano espressamente vietato (sotto pena d’anatema) di modificare i suddetti riti e la S. Messa di S. Pio V; i sedevacantisti hanno diritto a consacrare nuovi Vescovi senza mandato romano, per poter continuare la Missio affidata da Cristo agli apostoli, principalmente affinché possano ordinare (validamente) nuovi sacerdoti, i quali celebreranno l’Oblatio munda e amministreranno Sacramenti validi; chi partecipa attivamente alla nuova messa e riceve i sacramenti modernisti con cognizione di causa, commette peccato grave… Bisogna, a questo punto, oggettivamente ammettere che gli studi e le conclusioni di Mons. Guérard sono fondati. Infatti, per quanto riguarda la distinzione tra materia e forma nel Pontificato, essa era già stata affermata da molti teologi del passato, tra i quali spicca S. Roberto Bellarmino (Vescovo e Dottore della Chiesa) di cui riporto una citazione:” Bisogna osservare che nel Pontefice coesistono tre elementi: Il Pontificato stesso (precisamente il primato), che è una certa forma: la persona che è il soggetto del Pontificato (o primato) e l’unione dell’uno con l’altro…” (De Romano Pontifice). E’ però negli scritti di altri autori che la distinzione MATERIALITER-FORMALITER collima quasi alla perfezione con quella della Tesi. Il Card. Mazzella scrive:” (L’apostolica successione) è detta perenne o ininterrotta, sia materialiter, in quanto non mancano assolutamente delle persone che senza interruzione hanno preso il posto degli apostoli, sia formaliter, in quanto queste stesse persone succedute agli apostoli godono dell’autorità trasmessa dagli apostoli stessi ricevendola da colui che la possiede in atto e può comunicarla” (De religione et Ecclesia Proelectiones Scolastico-dogmaticae) e Van Noort prosegue (pur riferendosi alla successione apostolica dei Vescovi e non del Papa):”… Quindi, chiunque si vanti della successione apostolica ma non sia unito al romano Pontefice può certamente avere la potestà dell’ordine, può occupare per successione materiale la sede fondata da un apostolo, o quanto meno potrebbe farlo, ma non è il vero e formale successore degli apostoli nel compito pastorale…” (Tractatus de Ecclesia Christi). Anche la logica viene in aiuto di Mons. Guérard: ritornando alla diatriba sulla libertà religiosa, com’è possibile che Cristo, attraverso i Suoi Vicari Pio IX e Paolo VI, possa aver detto due cose completamente diverse? Già perché è come se attraverso il primo avesse ribadito le proprie parole evangeliche:“ Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, chi non crederà sarà condannato”, mentre tramite il secondo avesse detto sostanzialmente:” Ma sì, ognuno si tenga pure la propria religione, anche se è falsa, tanto io sono infinitamente buono e porto tutti in Paradiso”. E’ chiaramente impossibile che N.S. possa essersi così contraddetto, perciò la logica ci dice che o si è sbagliato Pio IX, il quale però si è attenuto al Vangelo, oppure deve essersi sbagliato Paolo VI, dando così ragione alla Tesi. La critica principale mossa dai sedevacantisti simpliciter nei confronti di Mons. Guérard è di essersi inventato la separazione tra materia e forma nel Pontificato (essi ritengono che un Papa decaduto non sia più tale né formalmente né materialmente), pur riconoscendo che esiste distinzione tra questi due elementi. Se però ritorniamo all’esempio dell’unione, nell’uomo, dell’anima (forma) col corpo (materia), ci accorgiamo che tra questi c’è sia distinzione che separazione: infatti la morte non è altro che la separazione dell’anima dal corpo. Per analogia, quindi, ci può essere separazione tra forma e materia anche nel Pontificato. Il sedevacantismo tesista è infine l’unico che dà una soluzione concreta (al contrario della soluzione apparizionista dei sedevacantisti totalisti) per risolvere l’attuale crisi della Chiesa. Se l’eletto al papato cade nell’eresia e nello scisma, lasciando la Sede apostolica formalmente vacante, solo l’insieme gerarchizzato dei Vescovi residenziali (titolari di Diocesi) professanti integralmente la fede cattolica, formando così la persona morale della Chiesa, possono intervenire, rivolgendo al “papa” un’ingiunzione e convocando il Conclave. Se il “papa” insiste nell’errore, automaticamente è fuori dalla Chiesa e non è più nemmeno papa MATERIALITER. Se invece il “papa” abiura il suo errore, tocca al Conclave decidere se il “papa” pentito torna (o diventa) Papa FORMALITER, oppure se ha alienato in sé stesso, con l’eresia, l’attitudine a diventare Papa FORMALITER che gli aveva conferito l’elezione al Soglio di Pietro da parte di un Conclave valido (ciò in conformità alla bolla di Paolo IV). Attualmente però non si sa se la persona morale esiste oppure no, dato che, secondo Mons. Guérard, solo dei Vescovi sedevacantisti si ha la certezza che appartengono alla Chiesa, in quanto gli altri seguono i papi MATERIALITER e praticano le eresie insegnate da questi. Purtroppo i Vescovi sedevacantisti non sono abilitati a costituire la persona morale perché non sono né Cardinali né Vescovi residenziali e quindi:” In mancanza della persona morale non esiste una soluzione “canonica”! Gesù solo rimetterà la Chiesa in ordine, nel e col Trionfo di Sua Madre. Sarà allora evidente per tutti che la salvezza sarà venuta dall’Alto” (“ Intervista a Mons. Guérard…”). Non è difficile capire che la trattazione di questo tema non è stata solo meramente teorica o culturale ma ha richiesto e richiede un coinvolgimento personale, dato che la risoluzione interiore del problema dell’autorità dopo il Vaticano II è, a fondato parere di chi vi scrive, decisiva per i destini dell’anima di chiunque.

    ROBERTO MARCANTE
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  9. #9
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