Analisi critica del Concilio Vaticano II
CONCILIO VATICANO SECONDO ATTENTATO AL CUORE DELLA CHIESA
Padre Hervè Belmont
Traduzione di un estratto dall'originale francese «Brimborions Contribution à la vigilance de la foi» (Bordeaux, 1990, pagg. 51-69) Stampato in proprio con il permesso dell'Autore
Presentazione
«Senza la fede è impossibile piacere a Dio» (Eb 11, 6). Queste parole di San Paolo sembrano dimenticate oggigiorno, persino da coloro che, tuttavia, si definiscono «credenti», ovvero come coloro che hanno la fede. Vero credente, infatti, è solo colui che vive della fede, che decide alla luce della fede tutte le scelte della sua esistenza. E per fede non intendiamo naturalmente un vago sentimento soggettivo, ma quella virtù sovrannaturale che ha per oggetto, come ognuno di noi recita nell’atto di fede, ciò che Dio ha rivelato, e la Santa Chiesa ci propone a credere. Già nel 1969, gli autori del Breve esame critico del Novus Ordo Missæ, presentato a Paolo VI dai Cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci, affermavano: «è evidente che il Novus Ordo non vuole più rappresentare la fede (del Concilio) di Trento. A questa fede, nondimeno, la coscienza cattolica è vincolata in eterno. Il vero cattolico è dunque posto, dalla promulgazione del Novus Ordo in una tragica necessità di opzione». Lo stesso si potrebbe dire di molti insegnamenti del Vaticano II, che contraddicono la dottrina infallibilmente e irreformabilmente definita della Chiesa, alla quale pure «la coscienza cattolica è vincolata in eterno». La fede spinge dunque il cattolico al rifiuto di una dottrina e di una riforma liturgica in opposizione con quanto «Dio ha rivelato e la Santa Chiesa ci propone a credere». Ma se le cose stanno così, che ne è dell’autorità che ha promulgato, in nome dello Spirito Santo, queste nuove dottrine? A questa domanda sono state date molte risposte. La più corrente è quella che Paolo VI ed i suoi successori sono i veri e legittimi Pontefici Romani, Vicarî di Cristo... ai quali bisognerebbe però disobbedire. Già San Paolo avrebbe risposto: «Chi resiste all’autorità, va contro l’ordine di Dio, e quelli che così resistono, si tireranno addosso la condanna» (Rm 13, 3). Non si tratta, quindi, di disobbedire al Papa, proposizione questa che deve far orrore a ogni cattolico degno di questo nome. Occorre un’altra soluzione. La soluzione che propone l’Autore di questo opuscolo, di poche pagine, ma di ardua teologia, è quella detta Tesi di Cassiciacum, e proposta ai cattolici dal teologo domenicano Mons. Michel-Louis Guérard des Lauriers, già docente di teologia alla Pontificia Università del Laterano, a Roma. L’Autore la presenta nel modo più semplice e più pratico possibile; egli cerca, infatti, di dimostrare (e a mio parere ci riesce perfettamente), che avere una posizione chiara sull’autorità di Paolo VI e dei suoi successori, non è facoltativo per i cattolici. Non si tratta, insomma, di una disputa accademica che non interessa il semplice fedele, o che mette la divisione tra i buoni cattolici. Poiché il Papa è la regola prossima della nostra fede, colui che dobbiamo ascoltare e a cui dobbiamo obbedire per essere salvi, non è secondario, per un cattolico, sapere se tale o talaltra persona è, sì o no, il Vicario di Cristo, il Successore di Pietro, colui che tiene le chiavi del Regno dei Cieli ed ha il potere di sciogliere o di legare... è la fede, che noi dobbiamo esercitare quotidianamente, che ci impone di scegliere, e di scegliere alla luce della medesima fede. L’autore di queste pagine, un giovane sacerdote fondatore e direttore di una scuola cattolica nella regione di Bordeaux, ha fatto la sua scelta, che gli è costata l’espulsione dalla Fraternità San Pio X. Al lettore, adesso, il dovere di informarsi per poi scegliere a sua volta, non secondo il proprio vantaggio, ma secondo le esigenze della fede cattolica.
don Francesco Ricossa, rettore dell'«Istituto Mater Boni Consilii».
Introduzione
Il 22 Dicembre 1980, nella sua risposta agli auguri del Sacro Collegio, Giovanni Paolo II affermò: «Il Concilio Vaticano II ha gettato le basi di un rapporto sostanzialmente nuovo tra la Chiesa e il mondo...» (1). Se il rapporto tra la Chiesa ed il mondo è «sostanzialmente nuovo» non è certamente perché quest'ultimo è cambiato tornando a Gesù Cristo, cessando di rinnegarLo e combatterLo; chiunque può facilmente constatarlo. La novità viene dunque da parte della Chiesa, o piuttosto - poiché la Chiesa è la Sposa immacolata, senza ruga né macchia - da parte di coloro che la guidano. Lo scopo di queste note è di mettere in luce questa novità per permetterci di esercitare la fede cattolica, la cui regola prossima (2) è costituita dall'Autorità della Chiesa; ci interesseremo particolarmente ad una delle più importanti innovazioni del Vaticano II: la Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignititas humanæ personæ, alla quale «bisogna continuamente fare riferimento», come dice Giovanni Paolo II nel medesimo discorso (3). La fedeQuando parliamo di fede, intendiamo la fede teologale, virtù divinamente infusa nell'anima di alcuni uomini che, proprio per questo motivo, sono chiamati fedeli. Si tratta della fede cattolica, il cui oggetto è infallibilmente presentato dalla santa Chiesa cattolica romana. La fede è un dono soprannaturale e gratuito di Dio, che eleva l'intelligenza e determina la volontà affinché il fedele aderisca fermamente e senza timore di errore alla verità divinamente rivelata, al mistero di Dio che si rivela e si esprime in formule intelligibili e vere. La virtù della fede si trova nell'intelligenza umana; il suo atto è un atto dell'intelligenza: un atto che ha un oggetto ben determinato, un contenuto intelligibile. In altri termini, vi sono nella fede due elementi necessari: q uno, esteriore: l'oggetto della fede. è la Rivelazione divina, espressa da Dio con parole umane e trasmessa dalla Chiesa; q l'altro, interiore: la virtù di fede. Questa virtù è un lume divino gratuitamente comunicato che permette all'intelligenza di accedere alla conoscenza soprannaturale dell'oggetto della fede e che gliene dà una certezza propriamente divina. Questi due elementi non sono che una sola cosa perché procedono dall'unica Verità: il Verbo di Dio. Non c'è dunque che una sola fede: la fede cattolica. Al di fuori di essa, quella che impropriamente viene chiamata «fede» non è altro che una credenza umana. Questa fede ha un contenuto oggettivo: le verità rivelate, ed una regola prossima: l'insegnamento del Magistero della Chiesa. La fede non è dunque un sentimento religioso, nè un ricostituente morale, nè la fiducia in Gesù Cristo, e neppure l'adesione alla Sua persona escludendo l'adesione alla verità che Egli rivela. Se la fede può essere, a seconda delle persone, più o meno intensa e forte, il suo oggetto non è però divisibile: negare o dubitare volontariamente della più piccola verità di fede equivale a non credere nella Parola di Dio, e quindi a perdere la fede. è questo l'insegnamento di Leone XIII (1810-1903) (4): «Tale è la natura delle fede che non c'è niente di più impossibile che credere una cosa e rigettarne un'altra. La Chiesa professa, in effetti, che la fede è una «virtù soprannaturale» mediante la quale, sotto l'ispirazione e con il soccorso della grazia di Dio, crediamo che ciò che è stato rivelato da Lui è vero; non lo crediamo a causa della verità intrinseca delle cose vista alla luce naturale della ragione, ma a causa dell'autorità di Dio stesso che si rivela e che non può nè ingannarsi nè ingannarci» (5). Se è dunque chiaro che una proposizione è stata rivelata da Dio, e ciononostante non ci si crede, non si crede assolutamente niente di fede divina.
«Quanta cura»
L'Enciclica Quanta cura di Papa Pio IX (1792-1878), datata 8 dicembre 1864 e consacrata alla condanna degli errori moderni, gode di una particolare autorità. In effetti, il Sommo Pontefice vi manifesta la sua volontà di farne un atto ex cathedra. Ricordiamo innanzitutto quanto definisce il Concilio Vaticano I sull'infallibilità del romano Pontefice: «Insegniamo e definiamo che è un dogma divinamente rivelato che il romano Pontefice, quando parla ex cathedra, ovvero quando, nella sua funzione di pastore e dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica definisce una dottrina sulla fede e sui costumi, che dev'essere tenuta dalla Chiesa universale, egli gode pienamente, grazie all'assistenza divina che gli è stata promessa nella persona del beato Pietro, di quell'infallibilità di cui il divin Redentore ha voluto che fosse provvista la Sua Chiesa quando definisce una dottrina sulla fede o sui costumi; in conseguenza, queste definizioni del romano Pontefice sono irreformabili in sè stesse e non in virtù del consenso della Chiesa» (6). Dal paragrafo nº 14 dell'Enciclica Quanta cura, risulta evidente che Pio IX qui parla ex cathedra: «Memori del nostro incarico apostolico [...], Noi riproviamo, proscriviamo e condanniamo con la Nostra autorità apostolica tutte e ciascuna le opinioni errate e le dottrine ricordate all'inizio della Nostra lettera; e vogliamo e ordiniamo che tutti i figli della Chiesa cattolica le tengano certamente come riprovate, proscritte e condannate» (7). Più esattamente Pio IX ha parlato ex cathedra ogni qual volta ha condannato nell'Enciclica degli errori che riguardano la fede o la morale; è proprio allora che questi errori sono stati condannati infallibilmente e lo restano a tutt'oggi. è anche questo il caso della libertà religiosa. Ecco cosa insegna il paragrafo nº 5 dell'Enciclica: «Contro la dottrina della Sacra Scrittura, della Chiesa e dei Santi Padri, affermano senza esitazione: la miglior condizione della società è quella in cui non si riconosce al potere politico il dovere di reprimere con delle pene legali i violatori della religione cattolica, se non nella misura in cui la tranquillità pubblica lo richieda. In conseguenza di questa idea assolutamente falsa del governo sociale, non esitano a favorire questa opinione erronea - non ve ne può essere una più fatale per la Chiesa cattolica e per la salvezza delle anime e che il Nostro predecessore Gregorio XVI definiva un delirio - cioè che la libertà di coscienza e dei culti è un diritto proprio ad ogni uomo, che dev'essere garantito e proclamato in ogni società ben costituita» (8). Papa Pio IX insegna dunque che affermare il diritto alla libertà civile in materia religiosa - quel che è chiamato libertà di coscienza o libertà religiosa - è contrario alla Rivelazione divina. Il Papa insegna questo infallibilmente, ed in conseguenza per mezzo della virtù della fede - alla luce della fede - il fedele sa e crede che l'affermazione del diritto alla libertà religiosa è falso perché contrario alla Rivelazione. Inoltre, Quanta cura non è l'unico atto del Magistero in cui la Chiesa insegna ciò, benché sia l'atto più solenne. Così parla anche Pio XII (1876-1958): «Quel che non corrisponde alla verità e alla legge morale non ha nessun diritto all'esistenza, alla propaganda e all'azione» (9).
Vaticano II
il 7 dicembre 1965, vigilia della chiusura del Concilio Vaticano II, Paolo VI (1897-1978), in unione con più di 2.300 Vescovi, firmava e promulgava solennemente il Decreto Dignitatis humanæ personæ sulla libertà religiosa: «Tutto l'insieme e ciascuno dei punti che sono stati pubblicati in questa Dichiarazione sono piaciuti ai Padri conciliari. E Noi, in virtù del potere apostolico che abbiamo da Cristo, in unione con i venerabili Padri, Noi li approviamo, confermiamo e decretiamo nello Spirito Santo, e ordiniamo che quel che è stato stabilito in questo Concilio sia promulgato per la gloria di Dio. Roma, in San Pietro, 7 dicembre 1965, io Paolo, Vescovo della Chiesa cattolica» (10). Questo Decreto conciliare definisce così la libertà religiosa: «Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, cosi che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza nè sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l'hanno fatta conoscere la Parola di Dio rivelata e la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa dev'essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società» (11). Il Concilio insegna dunque che la libertà civile in materia religiosa è un diritto naturale per l'uomo, in modo che il potere politico non ha il diritto di impedire di agire pubblicamente a quelli che agiscono secondo la loro coscienza in materia religiosa. Per l'esercizio di questo diritto il Vaticano II assegna dei limiti che sono enunciati subito dopo (12); si tratta di salvaguardare la pace e la tranquillità pubblica. In altri termini, il Vaticano II insegna che la dignità dell'uomo esige che lo Stato riconosca nelle sue leggi che ogni uomo ha il diritto di professare e di esercitare la propria religione, anche se falsa e contraria alla religione cattolica, nella misura in cui la pace pubblica sia preservata. Questa dignità umana, continua il Concilio, è quella che la Parola di Dio ci rivela. Così, dunque, secondo Dignitatis humanæ personæ, Paolo VI e l'insieme dei Vescovi dichiarano che è rivelata da Dio una dottrina della dignità umana che è il fondamento del diritto alla libertà religiosa in foro esterno e pubblico. Il seguito del Decreto lo conferma: «[...] una tale dottrina sulla libertà affonda le sue radici nella Rivelazione divina, per cui tanto più va rispettata con sacro impegno dai cristiani» (13). «La Chiesa, pertanto, fedele alla verità evangelica, segue la via di Cristo e degli apostoli quando riconosce come rispondente alla dignità dell'uomo e alla Rivelazione di Dio il principio della libertà religiosa e la favorisce» (14).
Il Magistero Ordinario e Universale (MOU)
Qual'è la natura dell'assentimento che bisogna dare a questo insegnamento del Concilio Vaticano II? Un atto di fede? Un semplice sentimento interno? Una considerazione rispettosa? Questo si vede a partire dalla natura stessa dell'atto, il quale è precisato dai suoi autori. Dignitatis humanæ è un atto del Magistero ordinario e universale (15). Dobbiamo precisare questa nozione per utilizzarla nel senso in cui la Chiesa la intende, per seguire la prescrizione del Concilio Vaticano I: «Così bisogna sempre conservare per i sacri dogmi il senso che la santa madre Chiesa ha dichiarato una volta, e non è mai permesso di allontanarsene su pretesto o sotto parvenza di un'intelligenza più profonda» (16). L'espressione «Magistero ordinario universale» è utilizzata dal Concilio Vaticano I, e ne troviamo il significato negli interventi e relazioni ufficiali della Deputazione della fede, incaricata di spiegare ai Padri, prima dello scrutinio, il senso esatto di ciò che dovevano definire. La Deputazione fa riferimento alla Lettera apostolica di Pio IX Tuas libenter, del 21 dicembre 1863 (17). «Universale» significa l'insieme della Chiesa docente: il Papa ed i Vescovi subordinati. Il Magistero universale è pertanto il potere d'insegnare della Chiesa esercitato dal Papa e dall'insieme dei Vescovi. Può essere esercitato in maniera straordinaria con un giudizio solenne, o in modo ordinario nell'insegnamento quotidiano della fede, nel quale i Vescovi sono normalmente dispersi. Per quel che riguarda il Concilio Vaticano II, la riunione dei Vescovi del mondo intero dava all'esercizio del Magistero un carattere straordinario piuttosto che ordinario; tuttavia, l'assenza di definizioni solenni e la dichiarazione di Paolo VI (18) fanno classificare gli atti del Vaticano II, e quindi il Decreto sulla libertà religiosa, tra quelli del Magistero ordinario universale. Il Magistero ordinario universale propone infallibilmente l'oggetto della fede, e pertanto ogni fedele deve credere di fede divina tutto ciò che è stato presentato come rivelato. è l'insegnamento di Pio IX in Tuas libenter (19) e del Concilio Vaticano I (20): «Si deve credere di fede divina e cattolica tutto quello che è contenuto nella Parola di Dio scritta o tramandata, e che la Chiesa propone a credere come divinamente rivelato sia con un giudizio solenne che con il suo Magistero ordinario e universale». Questo insegnamento è ripreso da Papa Leone XIII, che afferma che questa è proprio la dottrina costante della Chiesa (21). Dunque, non c'è nessun dubbio possibile. Poiché Dignitatis humanæ è un atto del Magistero ordinario e universale, e poiché vi si trova affermata come rivelata da Dio una dignità dell'uomo tale da fondare il diritto alla libertà civile in materia religiosa, ogni fedele e deve compiere un atto di fede, deve cioè credere di fede divina e cattolica questa dottrina: la dignità dell'uomo comporta, esige, implica il diritto alla libertà religiosa. La notificazione del Cardinal Felici, segretario generale del Vaticano II alla 123ª Congregazione generale conferma questa necessità: «Quanto alle altre cose che sono proposte dal Concilio, poiché rappresentano la dottrina del Magistero supremo della Chiesa, tutti e ciascuno dei fedeli devono riceverle ed ammetterle secondo lo spirito del Concilio stesso, quale risulta sia dalla materia in causa, che dal modo di esprimersi, secondo le norme dell'interpretazione teologica» (22). Ora, la materia in causa è già insegnata infallibilmente dalla Chiesa ed è di somma importanza per la salvezza delle anime, ed il modo di esprimersi presenta questo insegnamento come rivelato da Dio. Ogni fedele quindi, deve accettare questa dottrina nella fede. Contro questa conclusione, si potrebbe tentare di far valere che il Vaticano II non enuncia alcun obbligo di credere a questa dignità della persona umana, e che quindi l'atto di fede non è necessario. Questa obiezione non ha alcun valore. La Rivelazione è, in effetti, il motivo formale della fede: è proprio perché la dottrina è rivelata da Dio che il fedele crede, e la certezza della Rivelazione ci è data dall'atto del Magistero. Quest'ultimo non ha dunque per nulla bisogno di menzionare un obbligo di credere: è la natura stessa delle cose che comporta questa necessità (23). Questo è d'altra parte l'insegnamento di Leone XIII: «Ogni volta che la parola di questo Magistero dichiara che tale o tal'altra verità fa parte dell'insieme della dottrina divinamente rivelata, ognuno deve credere con certezza che ciò è vero» (24).
L'impossibile atto di fede
Il fedele deve credere di fede divina che la dignità dell'uomo è tale da fondare il diritto alla libertà religiosa: questa conclusione si deduce ineluttabilmente dall'insegnamento che abbiamo or ora ricordato. Ma questo atto di fede è metafisicamente impossibile. In effetti, il fedele crede già di fede divina che l'affermazione del diritto alla libertà religiosa è contraria alla Rivelazione (25). Nessuno può credere simultaneamente due proposizioni contrarie; nessuno può credere nello stesso tempo che il diritto alla libertà religiosa è contrario alla Rivelazione, e che è fondato in questa Rivelazione. è impossibile anche con tutta la buona volontà: questo dipende dalla natura delle cose. Così dunque è la fede, l'esercizio della fede cattolica che rende impossibile l'assenso all'insegnamento del Vaticano II. Non solo questo assenso è moralmente illecito, ma per di più è impedito per chiunque eserciti rettamente la fede. Trattenuto nell'assenso che dovrebbe dare a Dignitatis humanæ, il fedele ha il dovere immediato di verificare se la contraddizione è veramente reale e non solamente apparente, e se, d'altra parte, Quanta cura e Dignitatis humaæ imperano effettivamente un atto di fede. Egli constaterà nuovamente che Pio IX nega ciò che il Vaticano II afferma (26): la libertà religiosa in foro esterno e pubblico è un diritto naturale ad ogni uomo, in tal modo che l'autorità pubblica non ha il diritto d'impedire la propaganda e l'esercizio pubblico delle false religioni a meno che ciò non sia richiesto dalla pubblica tranquillità. Egli potrà verificare anche che Quanta cura, come pure Dignitatis humanæ, si appellano alla Rivelazione richiedono l'assenso di fede. Allora, credendo già anteriormente e con una certezza divina che è impossibile ed illecito rimettere in causa, l'insegnamento di Pio IX, il fedele rigetterà quello del Vaticano II, vale a dire quello di Paolo VI, da cui il Vaticano II ricava tutta la sua autorità. Tuttavia, se è impossibile aderire all'insegnamento di Dignitatis humanæ in ragione del suo contenuto, la necessità di credere a questo medesimo insegnamento resta, imperativa, in ragione dell'atto del Magistero che lo presenta come rivelato. E così, essendo impedito dalla fede teologale dall'aderire alla dottrina di Paolo VI, il fedele è nel contempo e necessariamente impedito - sempre dalla fede - di aderire all'autorità di Paolo VI e di riconoscerla. Questo richiede alcune spiegazioni.
Spiegazioni
La Chiesa cattolica si distingue essenzialmente da ogni altra società per il suo carattere sovrannaturale: essa è il Corpo mistico di Gesù Cristo. In Lei l'Autorità; e come fonte delle altre l'Autorità del Sommo Pontefice; è essenzialmente sovrannaturale (anche se si esercita con dei mezzi naturali). è l'applicazione del principio generale ricordato da Leone XIII: «La Chiesa non è una sorta di cadavere: essa è il Corpo di Cristo animato dalla Sua vita sovrannaturale [...]. Allo stesso modo, il Suo Corpo mistico non è la vera Chiesa che da questo fatto: che le Sue parti visibili derivano la loro forza e la loro vita dai doni sovrannaturali e dagli altri elementi invisibili; ed è da questa unione che risulta la ragione propria e la natura delle parti visibili stesse» (27). L'Autorità del Sommo Pontefice è essenzialmente sovrannaturale: essa è costituita dall'assistenza abituale speciale promessa da Gesù Cristo a San Pietro e ai suoi successori. è dunque nella luce della fede che noi conosciamo l'Autorità pontificia e che vi aderiamo. Facciamo un esempio. Sono nel 1950. è nella luce della fede che io so che Pio XII è il Papa: ciò, mediante una conoscenza che è adeguata solo nell'ordine sovrannaturale, e che suppone la conoscenza naturale del fatto che ognuno può constatare. Senza questa conoscenza sovrannaturale dell'Autorità che ha ricevuto da Cristo, io non potrei credere di fede divina il dogma dell'Assunzione che egli definisce infallibilmente. Che Pio XII sia Papa, è quel che vien chiamato un fatto dogmatico che, in quanto tale, cade sotto la luce della fede. In effetti, benché questo fatto sia contingente, è necessario alla conservazione del deposito rivelato perché costituisce la regola prossima della fede: il Magistero, di cui il Papa è il principio nell'ordine dell'esercizio. Questo significa che è nel medesimo atto di fede semplice che io aderisco al dogma e all'Autorità che lo presenta. Per cui, è nella stessa luce sovrannaturale e nel medesimo atto che io dovrei aderire alla dottrina del Vaticano II sulla libertà religiosa e all'autorità di Paolo VI che la garantisce. Ora, l'abbiamo visto, questa adesione è impossibile in ragione della fede stessa. E dunque, col semplice esercizio della fede e senza formulare nessun giudizio, il fedele è trattenuto ed impedito dall'aderire all'autorità di Paolo VI che egli non può riconoscere; è nella fede che egli vede che costui non è l'Autorità, che non è la regola della fede.
Conferme
Illuminato in questo modo dalla fede, e davanti alla gravità di una simile conclusione, il fedele cercherà una conferma di questa verità certa: Paolo VI non era l'Autorità della Chiesa cattolica, era privo dell'Autorità pontificia che il Papa tiene da Cristo. Egli vedrà allora che l'universale riforma liturgica inaugurata dal Vaticano II, in particolare quella del rito della Messa, è infestata dallo spirito dell'eresia: essa non è nè il frutto, nè l'espressione della fede della Chiesa (28). Se è impossibile che una legge generale della Chiesa sia cattiva - ammetterlo condurrebbe a cadere sotto la condanna di Pio VI (1717-1799) e a contraddire l'insegnamento della Chiesa (29) - a maggior ragione è impossibile che un rito della liturgia cattolica meriti di essere rifiutato (30). Questa riforma non può quindi venire dalla Chiesa: la sua promulgazione da parte di Paolo VI è incompatibile con l'assistenza dello Spirito Santo, e quindi col possesso dell'Autorità pontificia. Continuando ad esercitare la fede cattolica, il fedele constaterà che gli atti di Paolo VI - nella loro stessa natura e presi nel loro insieme - non procurano il bene della Chiesa. L'intenzione abituale - non la sua intenzione intima, ma quella immanente agli atti compiuti - che ha manifestato e messo in pratica non è ordinata al bene della Chiesa. Questa assenza d'intenzione di procurare il bene della Chiesa non è compatibile con il possesso dell'Autorità pontificia: a causa di essa, in effetti, il governo abituale di Paolo VI non è quello di Gesù Cristo (31). Ora, secondo l'insegnamento di Pio XII: «Il divin Redentore governa il Suo Corpo mistico visibilmente ed ordinariamente mediante il Suo Vicario in terra» (32). Il fedele si renderà così conto della necessità per conservare la fede cattolica, confessarla integralmente e metterne in pratica le opere, di non obbedire agli atti di Paolo VI e neppure agli atti di coloro che Paolo VI ha nominato e mantiene come loro superiori (33). Ora, è proprio ciò che sarebbe impossibile fare abitualmente (34) in presenza della vera Autorità che non è altro che quella di Gesù Cristo, il quale «è con» («una cum») il Suo Vicario sulla terra. Si tratta, in effetti, di un dogma di fede cattolica definito da Papa Bonifacio VIII (1235 ca.-1303): «Noi dichiariamo, diciamo, definiamo e pronunciamo che la sottomissione al Pontefice Romano è assolutamente necessaria alla salvezza per tutte le creature» (35). Papa Pio XI (1857-1939) insegna a sua volta che nessuno è cattolico senza obbedire abitualmente alla legittima Autorità: «In questa unica Chiesa di Cristo, nessuno si trova, nessuno rimane se, con l'obbedienza, non riconosce ed accetta l'Autorità e il potere di Pietro e dei suoi legittimi successori» (36). Le constatazioni che avrà fatto il fedele esaminando dei fatti pubblici e certi alla luce della fede - non ci dilunghiamo su di essi perché sono già stati analizzati altrove (37) - giungeranno a questa conclusione: non è solo nell'insegnamento sulla libertà religiosa, ma anche sulla riforma liturgica e nell'insieme dei suoi atti, che Paolo VI si manifesta con certezza, una certezza che appartiene all'ordine della fede, come qualcuno che non è l'Autorità suprema della Chiesa cattolica. Ma soprattutto, ed è attualmente la cosa più importante, il fedele applicherà a Giovanni Paolo II lo stesso giudizio che ha portato su Paolo VI. Le ragioni sono ineluttabili: q Giovanni Paolo II non ha rotto con lo stato di scisma (38) introdotto da Paolo VI; egli ha ripetutamente (39) dichiarato di voler continuare l'opera del Vaticano II e di Paolo VI, opera che ha codificato e alla quale ha dato uno statuto giuridico promulgando il Codice di Diritto canonico del 1983 (40). q Succedendo a Paolo VI, Giovanni Paolo II assume la responsabilità dei suoi atti permanenti (41) fintanto che non li ha denunciati: è lui che, oggi, rende obbligatorio con autorità l'insegnamento del Vaticano II e la riforma liturgica. è dunque all'autorità di Giovanni Paolo II che la fede ci impedisce oggi di aderire; è questa stessa autorità che la fede ci obbliga a rigettare. q Infine, in certi punti del suo insegnamento (42), e ancor più nel suo modo di agire (43), Giovanni Paolo II ha ulteriormente allargato il fossato tra la dottrina cattolica e le teorie conciliari. Finché Giovanni Paolo II non rompe con degli insegnamenti e delle leggi che sono incompatibili con l'Autorità pontificia - specialmente la riforma liturgica e la libertà religiosa - la fede, in ragione di questa stessa incompatibilità, non potrà riconoscere la sua autorità e obbligherà a negarla. Non cambiano nulla a questa situazione altri atti che sono o sembrano essere conformi alla Tradizione o alla dottrina cattolica, e che sembrano allentare la morsa che soffoca la fede del popolo cristiano. Poiché questi atti non sono una rottura formale con lo scisma capitale, sono privi di valore giuridico ed al massimo, con non poco ottimismo, possono essere considerati solo come delle preparazioni materiali a questa rottura futura, preparazioni delle quali, tra l'altro, si serve Dio per dare la Sua grazia a qualche anima smarrita.