Google e le parole di Schmidt:
"Orgogliosi di non pagare le tasse"
LONDRA – Ci sono quelli che pagano le tasse. Ci sono quelli che evadono le tasse. Ma sono in pochi a dire pubblicamente: “Sono orgoglioso di quello che faccio per non pagarle”. Eppure è il caso di Eric Schmidt, presidente e amministratore delegato di Google, il gigante multimiliardario di Internet. Interrogato sulle notizie provenienti da Londra, secondo cui la sua azienda è riuscita a pagare soltanto 6 milioni di sterline (7 milioni e mezzo di euro) al fisco britannico su 2 miliardi e mezzo di sterline (3 miliardi di euro) di guadagni conseguiti nel Regno Unito, il boss del motore di ricerca che domina il mondo ha praticamente alzato le spalle, detto “embeh?” e poi si è vantato di avere saputo sfruttare al meglio le scappatoie legali per pagare meno o quasi niente tasse in Inghilterra. Evasioni legalizzate, come le chiama qualcuno? Macché, replica lui, “è solo capitalismo”. E a differenza di altre società, che imbarazzate dall’accusa di non pagare tasse nonostante entrate di miliardi hanno annunciato un programma di restituzione volontaria all’erario, il gran capo di Google fa sapere che lui non ci pensa nemmeno a pagare di più “solo perché provo compassione per gli inglesi”.
“Sono molto orgoglioso della struttura fiscale che abbiamo messo in piedi” in Gran Bretagna e altrove, ha dichiarato Schmidt all’agenzia Bloomberg. “L’abbiamo fatto sulle base degli incentivi offerti alle aziende da certi governi per attirare investimenti nel proprio paese. Ci sono un sacco di benefici per un’azienda a operare nel Regno Unito. Noi li usiamo e ci fanno molto comodo. Andare dai miei azionisti e dire loro che ci sentiamo male per i britannici e vogliamo pagare loro più tasse sarebbe un’iniziativa probabilmente proibita”, ha aggiunto con sarcasmo. E ha concluso avvertendo che Google continuerà a sfruttare tutte le scappatoie legali per pagare poche tasse offerte dalla Gran Bretagna o da altri paesi: “E’ un modo di operare che si chiama capitalismo”, afferma, “e noi siamo orgogliosamente capitalisti. Non ho dubbi al riguardo”. Dunque Google non seguirà la strada di Starbucks, i cui dirigenti hanno promesso di rinunciare volontariamente a certi metodi di evasione legalizzata, dopo che le proteste contro simili iniziative hanno portato a manifestazioni di protesta davanti a molti caffè della catena americana in Inghilterra e a minacce di boicottaggio da parte dei consumatori.
Ma la battagliera presa di posizione di Schmidt verrà presa difficilmente bene negli Stati Uniti e a Londra. Sia il governo americano che quello britannico si sono impegnati a ridurre benefici e scappatoie che privano lo stato di miliardi di entrate fiscali, dopo che è risultato che aziende come Google, Apple e Amazon, in pratica tutti i big di internet, pagano al fisco somme ridicolmente basse in rapporto ai loro guadagni, sfruttando leggi che consentono loro di far girare i capitali da un paradiso fiscale all’altro a dispetto del fatto che le loro operazioni avvengono altrove. Nei giorni scorsi, ad esempio, vari giornali hanno rivelato che Google trasferisce 10 miliardi di dollari di guadagni all’isole di Bermuda, il che gli ha consentito di risparmiarsi 2 miliardi di dollari di tasse nel solo 2011. Il ministro del tesoro britannico George Osborne ha preannunciato che, quando il suo paese assumerà la presidenza del G8 nel prossimo semestre, lancerà una campagna internazionale contro le “aziende senza stato di internet” affinché paghino più tasse e non nascondano più i loro profitti a Lussemburgo, nei Caraibi o in altri paradisi fiscali.
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