Parte 1
All’interno degli ambienti radicali si guarda con sempre maggior interesse al nazionalcomunismo o, parimenti, al nazional bolscevismo. Molte iniziative recenti, non ultima la pubblicazione di dieci dvd dal titolo “Ci chiamavano nazi-mao” in vendita grazie al quotidiano Rinascita, hanno avvicinato un nuovo e curioso pubblico che vuole addentrarsi sempre più nella questione nazionalcomunista. La nascita di molti movimenti in questa direzione sottolinea una volta di più questo crescente interesse . Ma che cos’è il comunismo nazionale, definizione paradossale se si pensa all’internazionalismo che ha sempre caratterizzato i comunismi? Si tratta di un mito, di una deduzione utopica di alcuni intellettuali o, piuttosto, è una reale dottrina politica che sta lentamente assemblando i suoi meccanismi teorici? Per cercare di comprendere se esista o meno un comunismo nazionale dobbiamo tener ben presenti due postulati fondamentali. Il primo è diffidare completamente dei moderni gruppi che si rifanno a tale denominazione. Il motivo è abbastanza semplice: essendo il nazionalcomunismo debitore tanto dei nazionalismi, quanto dei socialismi, (come vedremo in seguito) ad oggi esistono unicamente gruppi che tendono a dare una connotazione spiccatamente nazionalista oppure fortemente socialista, finendo così per azzerare lo stesso senso rivoluzionario del nazionalcomunismo. Il secondo aspetto di fondamentale importanza riguarda il contesto storico. L’Europa degli anni venti e trenta del secolo scorso è stata la culla di nuove idee e nuovi metodi politici. La situazione economica ed internazionale aveva permesso il fiorire di nuovi sistemi. Accanto ai grandi pensatori come Lenin, Gramsci, Junger, Nietzsche, Spengler, e tanti altri, andavano sviluppandosi nuove cerchie culturali che molto spesso finivano per fondersi a vicenda, separarsi improvvisamente, mutare secondo direttive di diversi gruppi politici. Proprio in questi anni vede la luce il comunismo gerarchico di Ugo Spirito, il comunismo nazionale, il socialismo nazionale e tutta la cosiddetta “sinistra fascista”, i movimenti contadini tedeschi, il comunismo anarchico e l’anarchismo di destra, i futurismi, le comunità utopiche, i movimenti giovanili da quelli collettivisti fino a quelli conservativi, fino ad arrivare all’ascesa dei tre grossi blocchi totalitari: lo stalinismo, l’Hitlerismo e il fascismo italiano. Eppure, prima della nascita dei grandi totalitarismi del ‘900, la situazione politico-intellettuale era davvero caotica. Definire quindi il nazionalcomunismo, come una qualsiasi altra teoria politica dell’epoca, è davvero impresa ardua visto il contesto complesso e il frenetico mutare dei quadri politico-teorici. Non è una rarità imbattersi in pensatori che prima condividevano un medesimo epnsiero e, poco dopo, sparavano da opposte barricate. Tener ben presente che da un lato bisogna diffidare dei prodotti moderni e dall’altro bisogna essere estremamente cauti nelle valutazioni storiche, ci permette di affrontare la grossa incognita del nazionalcomunismo.
Il tentativo nazionalbolscevico borghese
Il nazionalcomunismo non poteva che svilupparsi in uno stato europeo dove fosse forte la lotta sociale e altrettanto radicato fosse il sentimento nazionale e tradizionale. In Francia nei primi del ‘900 si svilupparono piccole comunità borghesi che professavano un drastico rinnovamento sociale di giacobina memoria e un altrettanto forte attaccamento al contesto nazionale. Ma se dobbiamo scegliere quale fu la vera culla del nazionalcomunismo questa fu indubbiamente in Germania. La Germania di tardo ‘800 e fino agli anni 30 del ‘900 conservava tutte le dinamiche affinchè si venisse a creare un nuovo fronte politico fino ad allora sconosciuto; il nazionalcomunismo appunto. Vuoi per la sua posizione geografica che costringeva il Reich a guardare ad est verso lo sconfinato impero zarista e futuro impero comunista, vuoi per la crescita spaventosa di movimento comunisti e socialisti a seguito della pesante industrializzazione, vuoi per l’incredibile sviluppo culturale e politico o per il radicamento del senso della patria, dell’onore e dello junkerismo, la Germania non poteva che dar vita ad un complesso e dinamico fermento politico capace di generare le grandi eresie politiche del secolo scorso. Il Nazionalcomunismo o nazionalbolscevismo, espressioni ambigue e grottesche, rientrano in questo contesto tutto tedesco. Lo stato di Bismarck, inteso come una confederazione di stati tedeschi sotto il controllo del grande Reich prussiano, aveva dimostrato che la pretesa di creare un grande impero conservativo, militarista ed autoritario era pura utopia. Lo stato bismarckiano divenne ben presto uno stato borghese a sviluppo capitalistico, impregnato di valori tradizionali e autoritarismo. Tuttavia il sogno di creare uno stato moderno che conservasse le caratteristiche del Reich medioevale e dei suoi ordini cavallereschi era velocemente crollato. L’apertura libero-scambista aveva permesso il rapido sviluppo tanto della classe operaia, quanto di quella borghese, a scapito dei contadini, del piccolo artigianato e degli Junker. L’apertura economica favorì anche una profonda svolta geopolitica: la Germania guglielmina e post-bismarckiana guardava ora con maggior interesse all’Occidente europeo, alla Francia, all’Inghilterra e alle potenze economiche olandesi e svedesi, piuttosto che ai grandi regni ed imperi Orientali con cui aveva sempre tessuto importanti rapporti e accordi come dimostrano numerose relazioni con il regno Polacco, l’Impero Auburgico, l’impero Zarista e quello Ottomano. Dal canto loro le stesse potenze orientali stavano lentamente perdendo quell’importante mediatore tra la moderna Europa borghese, nazionale e capitalista e i vecchi imperi tradizionali e aristocratici. La Germania, testa di ponte del grande blocco euroasiatico o, per dirla con le parole di Mackinder, intermediario tra Hearland e Inner Crescent aveva perso il suo importante ruolo geopolitico per diventare parte integrante delle potenze Occidentali. Il culmine di questo tipo di politica estera fu la caduta della Triplice Alleanza e il non rinnovamento dell’importantissimo Trattato di Controassicurazione con la Russia che simboleggiava l’ultimo gancio in grado di legare Germania e Russia. L’imborghesimento e l’occidentalizzazione della Germania comprendeva ovviamente anche una nuova politica estera. La Francia, da sempre avversa ai popoli tedeschi, decise una nuova alleanza proprio con la Russia così da contrastare il Reich nelle grande sfida borghese dell’egemonia europea. In questa situazione, volente o nolente, la Germania fu costretta a guardare nuovamente ad Est contro i potenziale nemico Russo (cosa che puntualmente accadde con lo scoppio della prima guerra mondiale). In questo nuovo contesto di politica estera la Germania occidentale e borghese, minacciata ad Occidente dalla Francia e ad Oriente dalla Russia, dovette creare il Nazionalbolscevismo. In questo senso il nazionalbolscevismo tutto era tranne che una dottrina politica, economica o sociale, si trattava piuttosto di una creazione che rispondeva a delle ben chiare necessità di politica estera. La Germania, per cercare di coprirsi almeno ad Oriente, doveva supportare i più caparbi nemici della Russia Zarista: i bolscevichi! A questa necessità della politica borghese tedesca si deve la nascita del nazionalbolscevismo che, sin dal nome, rende chiaro l’obbiettivo: la sicurezza nazionale passa per il supporto al bolscevismo per indebolire il nemico russo. Nel 1913 vennero pubblicati a Berna dei documenti segreti che vennero intitolati “La congiura tedesco-bolscevica” ove era documentata l’intera politica estera dello Stato Maggiore tedesco. I documenti trattavano tanto dell’impresa di portare Lenin in Russia con dei treni organizzati e “fortificati”, quanto dei fondi donati dalla Reichsbank alle milizie bolsceviche russe. La congiura tedesco-bolscevica è un dato fondamentale ai fini della nostra intagine storica. Questi documenti non solo testimoniano come il nazionalbolscevismo altro non fosse che uno strumento della politica estera germanica volto ad indebolire il nuovo nemico, ma ci permettono di osservare attentamente anche il cambiamento della società tedesca. L’aiuto economico, militare e logistico del Reich ai rivoluzionari russi fu quindi opera di uno stato ormai impregnato dai valori e dall’etica borghese, e che usò tali mezzi per difendere la propria supremazia economica e la propria struttura tributaria. Il vecchio stato prussiano, fortemente reazionario e aristocratico, aveva quindi lasciato libero spazio alla nascente repubblica di Weimar, massima espressione della corruzione borghese, dell’instabilità politica e del disastro sociale. Ci fu, negli stessi anni, un tentativo nazionalbolscevico che non risponde alle necessità geopolitiche della Germania guglielmina; fu un tentativo isolato che però merita di essere discusso. In quegli anni, prima del trattato di Versailles, il conte Ulrich zu Brockdorff-Rantzau, discendente di un’importante famiglia Junker che vantava importanti ufficiali al servizio del Regno di Danimarca prima e di Prussia dopo, cercò di dare un senso ideologico al nazionalbolscevismo. Rantzau si formò politicamente nella cerchia, sempre più ristretta, di Junker ultra-conservatori da cui venne progressivamente allontanato per le sue eccessive simpatie socialiste; tanto che qualche anno dopo gli venne attribuito, in modo dispregiativo, il soprannome di “Conte Rosso”. Rantzau, aristocratico della regione dell’Holstein, abbandonò la vita di palazzo per dedicarsi alla politica attiva. Fu uno degli ideatori della congiura prussiano-bolscevica e uno degli accompagnatori di Lenin in Russia e soprattutto fu il rappresentante della sconfitta Germania ai trattati di Versailles. Secondo il “Conte Rosso” proprio il trattato di pace doveva sancire la nascita di una nuova rivoluzione germanica. Una rivoluzione che fosse in grado di fondere la tradizione culturale germanica con la nuova ondata rivoluzionaria socialista e comunista. Non a caso il discorso, mai pronunciato, che Rantzau avrebbe dovuto tenere davanti ai politici della repubblica di Weimar sarebbe terminato con questa celebre esortazione:
“[...] l’implacabile dichiarazione di guerra contro il Capitalismo e l’Imperialismo, dei quali la pace di Versailles è il documento progettuale.”
La rivoluzione socialista avrebbe dovuto sollevare l’intera spiritualità del popolo tedesco, un popolo di contadini e di soldati, contro il nemico Occidentale, borghese, capitalista ed imperialista. Il nemico era quel modello Occidentale che aveva prima sconfitto la gerarchia e la reazione del Reich durante la Grande Guerra, e poi umiliato un popolo ridotto alla fame e alla povertà con il trattato di Versailles. Quando Rantzau si fece portavoce di questa nuova politica venne seguito da pochi; solo alcuni Junker che avevano rigettato la politica reazionaria e alcuni circoli comunisti lo seguirono. Brockdorff-Rantzau si trovò quindi unico rivoluzionario tedesco in una società di piccolo borghesi e di operai illusi. La borghesia e l’aristocrazia, come abbiamo visto, dopo il trattato di Versailles scesero a compromessi con i comunisti non per pensiero politico, ma per una chiara necessità strategica. Se la borghesia tedesca cercava di sfuggire alla durezza e all’ingiustizia del trattato alleandosi provvisoriamente ai comunisti, i comunisti tedeschi, divisi sugli strumenti di lotta e sugli obbiettivi, non riuscivano a risvegliare quel forte sentimento pattriottico, così sentito in Germania, che sarebbe stata la miccia di una nuova rivoluzione. Il Conte e i suoi seguaci apparivano quindi come figure quasi estanee e, tutto sommato, tragiche, schiacciate dalla forza degli eventi che travolgevano i loro progetti e sogni politici. Eppure, nonostante il tentativo nazionalbolscevicco del “Conte Rosso” fosse stato superato dal corso degli eventi e non avesse trovato grosso seguito nè a livello teoretico, nè a livello d’azione politica, tanto da poter essere considerato l’ennesimo tentativo nazionalbolscevico borghese, qualche cosa, in lontananza, si stava muovendo. Già nel Novembre del 1919, 5 mesi dopo l’accordo di Versailles, ad Amburgo ci furono numerosi incontri tra teorici pan-germanici e comunisti radicali del calibro di Wolffheim. Questo primo nucleo nazionalbolscevico in senso stretto si radunò intorno alla cerchia di Laufenberg e dello stesso Wolffheim, nonchè alla loro rivista “Freie Vereinigung zum Studium des deutschen Kommunismus” (Libera associazione per lo studio del comunismo), su cui scrivevano anche conosciuti nazionalisti provenienti dall’aristocrazia degli Junker che si erano inizialmente avvicinata ai movimenti comunisti per motivi di politica estera. Attorno a questo piccolo nucleo nazionalbolscevico si formarono importanti personalità di intellettuali, politici e militanti, come i fratelli Gerhard e Albrecht Guenther che, tra le tante iniziative, scrisse l’emblematico saggio “Der Kommunismus – eine nationale Notwendigkeit. Offener Brief an Herrn Generalmajor von Lettow-Vorbeck” ( Il Comunismo – una necessità nazionale. Lettera aperta al Maggiore Generale von Lettow-Vorbeck). Da Amburo la prima ondata nazionalbolscevica mosse verso la Germania Orientale, passado anche per Berlino dove il movimento venne amministrato dal Consigliere di Stato Sevin e dal comunista radicale Fridrich Wendel. Un ulteriore spinta al nazionalbolscevismo venne data dall’ingresso nel movimento dei famigerati Corpi Franchi, nazionalisti che ormai delusi dalla politica reazionaria e borghese, nonchè dal fallito putsch di Kapp, decisero di entrare in contatto con il proletariato rivoluzionario. Fuorno moltissimi in nazionalisti pan-germanici che rigettarono il nazionalismo fino ad allora inteso come esasperazione della nazione borghese, a favore di un nuovo nazionalismo proletario il cui fondamendo era la figura del lavoratore e del contadino come depositario della cultura di un intero popolo e di un intera nazione. Anche nelle più alte cariche dell’esercito si svilupparono tendenze nazionalbolsceviche come riferisce il conte Reventlow, secondo cui secondo cui le divisioni di frontiera i Turingia e Prussia Orientale ormai cercavano una politica di interscambio con i comunisti locali, mentre ufficiali e capitani, come Erhardt, portavano avanti delle vere e proprie missioni di propaganda, seguiti da altrettanti accordi e colloqui segreti le cui basi comuni erano la rinnovata alleanza con l’Impero Russo di Lenin, la nascita di uno stato germanico-sovietico militarmente armato contro l’Occidente borghese, e la sollevazione delle masse proletarie e, per così dire, nazionaliste. La guerra Russo-Polacca fu un possibile trampolino di lancio per i nascenti gruppi nazionalbolscevichi. Quel che risulta certo dallo studio di alcuni trattati non ufficiali, ma segreti e personali, è che molti ufficiali dell’esercito tedesco cercarono di aiutare l’Armata Rossa nella sua discesa verso Varsavia. Per di più si trattava di pezzi da novanta come il Ministro della Difesa o come il Capo della Direzione dell’Esercito, piuttosto che il generale Schleicher o il generale e barone von Hammerstein. Non sono sempre chiari i rapporti che intercorsero tra gli ufficiali delle Forze Armate del Reich e l’Armata Rossa, quel che è certo è che entrambe le parti si mossero per cercare di tagliare fuori da una parte dal borghesia antibolscevica tedesca e dall’altra l’immenso gruppo socialdemocratico antimilitarista. Questa prima esperienza nazionalbolscevica si conclude con il Trattato di Rapallo sui cui tavoli Russia comunista e Repubblica tedesca si trovarono più volte in forte sintonia. Certo il Trattato di Rapallo con cambiò nulla all’orientamento filosofico del nazionalbolscevismo, ma piuttosto rientrava in quelle scelte di realpolitik operata dalla classe borghese tedesca, indi per cui anche gli accordi tra Russia e Germania a Rapallo rientrano a pieno diritto nel nazionalbolsvevismo di estrazione borghese. Ciò non toglie che non furono certo pochi i politici e gli intellettuali che, con grande lungimiranza, videro il trattato come un nuovo inizio della politica estera tedesca e un successivo rinnovamento rivoluzionario della nazione stessa. Uno di questi pensatori fu il barone von Maltzau che non a caso venne pubblicamente denigrato su alcune riviste ultra nazionaliste, reazionarie e anticomuniste serbe che accusavano Maltzau di una nuova congiura prosso-bolscevica, fantasticando su accordi segreti che avrebbero trasformato di li a poco la Germania in uno stato sovietico e l’armata del Reich in una riserva europea dell’Armata Rossa. Purtroppo le politiche estere filo-orientali sancite dal trattato di Rapallo non vennero seguite a dovere, preferendo alla Russia comunista i piani economici statunitensi e le intromissioni di fondi anglosassoni.
La conseguenza quindi più importante del Trattato di Rapallo fu la nomina del “Conte Rosso” Brockdorff-Rantzau ad Ambasciatore a Mosca. Lavoro a Mosca per anni con una forza di volontà e una sistematicità non indifferenti, ottenendo anche due importanti successi: nel 1925 la stesura del Contratto consolare e marittimo russo-tedesco e, nell’aprile del 1926, il Trattato di Berlino o Rantzau , che avrebbe dovuto riconfermare gli accordi presi a Rapallo. Il paradosso fu che quasi contemporaneamente, nello stesso aprile, la Germania firà anche il Trattato di Locarno con cui la nazione tedesca si impegnava ad entrare nella Società delle Nazioni. Il “Conte Rosso” si impegnò fino all’ultimo affinchè la Germania non firmasse il Trattato di Locarno, pensando anche di dimettersi in forma di protesta. Si dice che Rantzau affermò, dopo la firma, di aver commeso il più grosso errore politico nel non essere stato in grado di dimostrare ai tedeschi che una politica estera filo-russa non poteva andare di pari passo ad un asservimento in politica interna all’Occidente di Versailles. Con Locarno si chiude il primo tentativo nazionalbolscevico, dimostrando l’impossibilità, all’interno di uno stato capitalistico e borghese, di promuovere una politica estera rivoluzionaria partendo da dei paradighi conservatori.
Nazionalcomunismo: mito o dottrina politica? (pt.1) | Centro Studi l'Arco e la Clava