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  1. #21
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    Predefinito re: 31 gennaio 2013: San Giovanni Bosco, confessore

    16 GENNAIO 2013

    SAN MARCELLO, PAPA E MARTIRE



    San Marcello ha governato la Chiesa alla vigilia dei giorni di pace che presto sarebbero sorti. Ancora pochi mesi e Massenzio cadrà sotto i colpi di Costantino, e la croce trionfante splenderà sul Labaro delle legioni. Ancora brevi istanti per il martirio; ma Marcello sarà fermo e meriterà di essere associato a Stefano e di portare come lui la palma presso la culla del divino Bambino. Sosterrà la maestà del Sommo Pontificato di fronte al tiranno, in quella Roma che vedrà presto gli imperatori stabilirsi a Bisanzio e lasciare il posto a Cristo nella persona del suo Vicario. Sono passati tre secoli dal giorno in cui gli editti di Augusto ordinavano il censimento universale che condusse Maria a Betlemme dove essa diede alla luce un umile bambino; oggi l'impero di quel bambino ha sorpassato i confini di quello dei Cesari, e la sua vittoria è vicina. Dopo Marcello verrà Eusebio; e dopo Eusebio, Melchiade, che vedrà la fine delle persecuzioni [1].
    Come il Bambino di Betlemme, o Marcello, tu hai trionfato attraverso le umiliazioni. Ricordati della Chiesa che ti è sempre cara; benedici Roma che visita con tanto amore il sacro luogo delle tue battaglie. Benedici tutti i fedeli di Cristo che ti chiedono, in questi santi giorni, la grazia di essere ammessi a formare corona attorno al neonato Re. Chiedigli per essi la forza di seguire i suoi esempi, la vittoria sull'orgoglio, l'amore della croce e il coraggio di restare fedeli in tutte le prove.



    [1] San Marcello succedette al Papa Marcellino (+ 304) il 27 maggio o il 26 giugno del 308. Per favorire l'istruzione e il battesimo del pagani e la reintegrazione degli apostati, restaurò molte chiese e le provvide di sacerdoti. Esistono due versioni della sua morte: quella del Liber Pontificalis e della Passio Marcelli, alla quale si ispirano la Leggenda del Breviario e quella, più sicura, dell'iscrizione che san Damaso fece incidere sulla sua tomba. Alcuni apostati che pretendevano rientrare nel seno della Chiesa senza sottoporsi alle penitenze canoniche che il Papa esigeva con fermezza da essi, provocarono una sommossa contro di lui nella quale scorse sangue. L'autorità pubblica intervenne, e, circuita dai ribelli, diede torto a san Marcello, che fu condannato all'esilio. Morì nel 309 e viene onorato come martire.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 331-332

  2. #22
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    Predefinito re: 31 gennaio 2013: San Giovanni Bosco, confessore

    17 GENNAIO 2013

    SANT'ANTONIO, ABATE



    Oggi, l'Oriente e l'Occidente si uniscono per celebrare il Patriarca dei Cenobiti, il grande Antonio. Prima di lui, la professione monastica già esisteva, come dimostrano irrefutabili documenti; ma egli appare come il primo degli Abati, perché costituì per primo sotto una forma permanente le famiglie dei monaci, consacrati al servizio di Dio sotto la guida d'un pastore.

    Dapprima ospite della solitudine e famoso per le sue lotte con i demoni, ha accolto attorno a sé i discepoli che le sue opere meravigliose e il fascino della perfezione gli avevano acquistati; e il deserto ha visto, con lui, iniziare la vita monastica. L'era dei Martiri volge alla fine; la persecuzione di Diocleziano sarà l'ultima; è tempo per la Provvidenza, che veglia sulla Chiesa, d'inaugurare una nuova milizia. È tempo che si riveli pubblicamente nella società cristiana il carattere del monaco; gli Asceti, anche consacrati, non bastano più. Sorgeranno da ogni parte i monasteri, nei deserti e finanche nelle città, ed i fedeli avranno d'ora in poi sotto gli occhi, come un incoraggiamento ad osservare i precetti di Cristo, la pratica devota e letterale dei suoi consigli. Le tradizioni apostoliche della preghiera continua e della penitenza non si spegneranno più, la dottrina sacra sarà coltivata con amore, non passerà tempo che la Chiesa andrà a cercare in quelle roccaforti spirituali i suoi più validi difensori, i suoi più santi Pontefici e i suoi più generosi Apostoli.

    L'esempio d'Antonio ispirerà infatti i secoli avvenire; ci si ricorderà che le attrattive della solitudine e le dolcezze della contemplazione non poterono trattenerlo nel deserto, e che egli venne ad Alessandria, nel cuore della persecuzione pagana, per incoraggiare i cristiani nel martirio. Non si dimenticherà nemmeno che in un'altra lotta ancora più terribile, quella contro l'Arianesimo, egli riapparve nella grande città per predicarvi il Verbo consustanziale al Padre, confessarvi la fede di Nicea e sostenere il coraggio degli ortodossi. Chi potrebbe mai ignorare i legami che univano Antonio al grande Atanasio, o non ricordare che questo illustre campione del Figlio di Dio visitava l'altro Patriarca nel profondo del deserto, procurava in tutti i modi l'avanzamento dell'opera monastica, poneva nella fedeltà dei monaci la speranza della salvezza della Chiesa e volle scrivere egli stesso la vita dell'amico?

    È in questo meraviglioso racconto che si impara a conoscere Antonio; è qui che si rivela la grandezza e la semplicità di quell'uomo che fu sempre così vicino a Dio. A diciotto anni, già erede d'una considerevole fortuna, sente leggere in chiesa un passo del Vangelo in cui nostro Signore consiglia a chi vuol tendere alla vita perfetta di disfarsi di tutti i beni terreni. Non gli occorre altro: egli si libera subito di tutto ciò che possiede e si fa povero volontario per tutta la vita.

    Lo Spirito Santo lo spinge allora verso la solitudine, dove le potenze infernali hanno piazzato tutte le loro batterie per far retrocedere il soldato di Dio; si direbbe che Satana abbia compreso che il Signore ha deciso di costruirsi una città nel deserto e che Antonio è inviato per eseguirne i piani. Comincia la lotta corpo a corpo con gli spiriti maligni, e il giovane Egiziano rimane vincitore a forza di sofferenze. Egli ha conquistato quella nuova arena nella quale si compirà la vittoria del cristianesimo sul Principe del mondo.

    Dopo venti anni di lotte che l'hanno agguerrito, la sua anima si è fissata in Dio; e allora appunto è rivelato al mondo. Malgrado i suoi sforzi per restare nascosto, bisogna che risponda agli uomini che vengono a consultarlo e a chiedere le sue preghiere. Si raccolgono attorno a lui dei discepoli, ed egli diventa il primo degli Abati. Le sue lezioni sulla perfezione cristiana sono accolte con avidità; il suo insegnamento è tanto semplice quanto profondo, e non scende dalle altezze sublimi della contemplazione se non per incoraggiare le anime. Se i suoi discepoli gli chiedono quale è la virtù più adatta per sventare i disegni dei demoni, e per condurre sicuramente l'anima alla perfezione, risponde che la virtù principale è la discrezione.

    I cristiani d'ogni condizione accorrono per contemplare questo anacoreta la cui santità e i cui miracoli sono famosi in tutto l'Oriente. Si aspettano qualche cosa di emozionante, e non vedono invece che un uomo dall'aspetto tranquillo, di umore dolce e gradevole. La serenità del volto rispecchia quella dell'anima. Non rivela né inquietudine nel vedersi circondato dalla folla, né vana compiacenza ai disegni di stima e di rispetto che gli si offrono, poiché la sua anima, le cui passioni sono tutte soggiogate, è diventata la dimora di Dio.

    Non è fatto per i filosofi che vogliono esplorare la meraviglia del deserto. Vedendoli giungere, Antonio rivolge loro per primo la parola: "Perché dunque, o filosofi, vi siete preoccupati tanto per venire a visitare un insensato?". Sconcertati per tale accoglienza, quegli uomini gli risposero che non lo credevano tale, ma che erano al contrario convinti della sua grande sapienza. "Quand'è così, riprese Antonio, se mi credete savio, imitate la mia saggezza". Sant'Atanasio non ci dice se quella visita li portò alla conversione. Ma ne vennero altri che ardirono attaccare, in nome della ragione, il mistero di un Dio incarnato e crocifisso. Antonio sorrise sentendoli spacciare i loro sofismi e finì per dire loro: "Poiché siete così ben ferrati nella dialettica, rispondetemi, di grazia: A che cosa si deve maggiormente credere quando si tratta della conoscenza di Dio, all'azione efficace della fede o agli argomenti della ragione?". - "All'azione efficace della fede", risposero. - "Ebbene, riprese Antonio, per mostrarvi la potenza della nostra fede, ecco qui degli indemoniati: guariteli con i vostri sillogismi; se poi non vi riuscite e io vi riuscirò invece per opera della fede, e in nome di Gesù Cristo, confessate l'impotenza dei vostri ragionamenti e glorificate la croce che avete osato disprezzare". Antonio fece tre volte il segno della croce su quegli indemoniati, invocò il nome di Gesù su di essi, e subito furono liberati.

    I filosofi erano sbalorditi e rimanevano muti. "Non crediate disse il santo Abate, che io abbia liberato per mia virtù questi indemoniati, ma unicamente per virtù di Gesù Cristo. Credete anche voi in lui, e proverete che non già la filosofia, bensì una fede semplice e sincera fa compiere i miracoli". Non si sa se quegli uomini finirono per abbracciare il cristianesimo, ma l'illustre biografo ci dice che se ne andarono, pieni di stima e d'ammirazione per Antonio, e confessarono che la loro visita al deserto non era stata inutile.

    Frattanto, il nome di Antonio diventava sempre più celebre e giungeva fino alla corte imperiale. Costantino e i due principi suoi figli gli scrissero come a un padre, implorando da lui il favore d'una risposta. Il santo dapprima non volle; ma avendogli i suoi discepoli mostrato che gli imperatori dopo tutto erano cristiani e che avrebbero potuto ritenersi offesi del suo silenzio, scrisse che era lieto di sapere che essi adoravano Gesù Cristo, e li esortò a non abusare del loro potere così da dimenticare che erano uomini. Raccomandò la clemenza, l'esattezza nell'amministrare la giustizia, l'assistenza ai poveri e di ricordare sempre che Gesù Cristo è l'unico re vero ed eterno.

    Così scriveva quest'uomo che era nato sotto la persecuzione di Decio, e che aveva sfidato quella di Diocleziano: sentir parlare di Cesari cristiani era per lui una cosa nuova. A proposito delle lettere della corte di Costantinopoli diceva: "I re della terra ci hanno scritto; ma che significa ciò per un cristiano? Se la loro dignità li ha elevati al disopra degli altri, la nascita e la morte non li rendono forse uguali a tutti? Ciò che deve commuoverci maggiormente e intensificare il nostro amore per Dio è il pensiero che questo sommo Maestro si è non solo degnato di scrivere una legge per gli uomini, ma anche parlato ad essi per mezzo del suo Figliuolo".

    Tuttavia, tanta pubblicità data alla sua vita stancava Antonio, ed egli non vedeva l'ora di andarsi a sprofondare nuovamente nel deserto e ritrovarsi a faccia a faccia con Dio. I discepoli ormai erano formati: la sua parola e le sue opere li avevano ammaestrati; li lasciò dunque segretamente, e dopo aver camminato per tre giorni e per tre notti, giunse al monte Colzim, dove riconobbe la dimora che Dio gli aveva destinata. San Girolamo ci offre, nella Vita di sant'Ilarione, la descrizione di quella solitudine. "La roccia, egli dice, si staglia per un'altezza di mille passi: alla sua base sgorgano acque che la terra assorbe in parte; il resto scende a modo di ruscello, e il suo corso è fiancheggiato da un gran numero di palme che ne fanno un'oasi tranquilla e piacevole alla vista". Un'angusta anfrattuosità della roccia serviva di riparo all'uomo di Dio contro le intemperie.

    L'amore dei suoi discepoli lo perseguitò, e lo scoprì ancora in quel lontano rifugio. Essi venivano spesso a visitarlo e a recargli del pane. Volendo risparmiar loro quella fatica, Antonio li pregò di procurargli una vanga, una scure e un po' di frumento, che seminò in un piccolo terreno. Sant'Ilarione, che visitò quei luoghi dopo la morte del grande patriarca, era accompagnato dai discepoli di Antonio che gli dicevano con rimpianto: "Qui egli cantava i salmi; là s'intratteneva con Dio nella preghiera; qui lavorava; là si riposava quando si sentiva stanco; egli stesso ha piantato questa vite e questi arbusti, egli stesso ha formato quest'aia, e ha costruito con fatica questo serbatoio per innaffiare l'orto". A proposito dell'orto, raccontarono al santo, che un giorno alcuni asini selvatici venuti a bere al serbatoio si misero a devastare le piantagioni. Antonio ordinò al primo di fermarsi, e colpendolo leggermente con il bastone al fianco, gli disse: "Perché mangi ciò che non hai seminato?". Le bestie si fermarono d'improvviso, e da allora non fecero più alcun danno.

    Noi ci abbandoniamo al fascino di questi racconti. Ci vorrebbe un intero volume per riportarli tutti. Di tanto in tanto, Antonio scendeva dalla montagna, e veniva ad incoraggiare i suoi discepoli nelle diverse stazioni che avevano nel deserto. Una volta andò anche a visitare la sorella in un monastero di vergini, dove l'aveva messa, prima di lasciare egli stesso il mondo. Infine, essendo giunto ai cento e cinque anni, volle vedere ancora una volta i monaci che abitavano la prima montagna della catena di Colzim, e annunziò loro la sua prossima dipartita per la patria. Appena tornato al suo eremo, chiamò i due discepoli che lo servivano da quindici anni a causa dell'indebolimento delle sue forze, e disse loro: "Diletti figli, ecco l'ora in cui, secondo il linguaggio della sacra Scrittura, io entrerò nella via dei miei padri. Vedo che il Signore mi chiama, e il mio cuore brucia dal desiderio di unirsi a lui nel cielo. Ma voi, figli miei, viscere dell'anima mia, non perdete, per un dannoso rilassamento, il frutto del lavoro al quale vi siete dedicati da tanti anni. Immaginate ogni giorno di non fare altro che entrare al servizio di Dio e compierne gli esercizi: in questo modo, la vostra buona volontà sarà più forte e andrà sempre aumentando. Sapete bene quali inganni ci tendano i demoni. Siete stati testimoni dei loro furori ed anche delle loro debolezze. Legatevi inscindibilmente all'amore di Gesù Cristo; affidatevi completamente a lui e vincerete la malizia di quegli spiriti perversi. Non dimenticate mai i vari insegnamenti che vi ho dati; ma vi raccomando soprattutto di pensare che ogni giorno potete morire".

    Ricordò quindi l'obbligo di non avere alcuna relazione con gli eretici, e chiese che il suo corpo fosse sepolto in un luogo segreto e noto soltanto ad essi. "Quanto agli abiti che io lascio - aggiunse - ecco come li destinerete: darete al vescovo Atanasio una delle mie tuniche insieme con il mantello che egli mi aveva portato nuovo e che gli restituisco usato". Era un secondo mantello che il grande dottore aveva donato ad Antonio, avendo quest'ultimo usato il primo per seppellire il corpo dell'eremita Paolo. "Darete - riprese il santo - la seconda tunica al vescovo Serapione, e terrete per voi il mio cilicio". Quindi, sentendo che era giunto l'ultimo istante, volse lo sguardo ai due discepoli: "Addio - disse loro - figli diletti, il vostro Antonio se ne va, e non è più con voi".

    Con questa semplicità e con questa grandezza si inaugurava la Vita monastica nei deserti dell' Egitto, per irradiarsi di lì in tutta la Chiesa; ma a chi renderemo gloria per una simile istituzione alla quale saranno d'ora in poi legati i destini della Chiesa, sempre forte quando trionfa l'elemento monastico e sempre debole quando esso è in decadenza? Chi ispirò ad Antonio e ai suoi discepoli l'amore di quella vita nascosta e povera ma insieme feconda, se non ancora una volta il mistero degli abbassamenti del Figlio di Dio? Torni dunque tutto l'onore dall'Emmanuele umiliatosi sotto i suoi miseri panni e tuttavia ripieno della forza di Dio.



    VITA. - Sant'Antonio nacque a Comon, in Egitto, nel 251. Avendo sentito leggere le parole del Vangelo: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che hai e dallo ai poveri", le seguì immediatamente alla lettera e si ritirò nella solitudine. Vi subì gli attacchi dei demoni che superò con la penitenza e l'invocazione del nome di Gesù. Morì nel 356 sul monte Kolzim, presso il Mar Rosso. La sua vita fu scritta dal vescovo sant'Atanasio e le sue reliquie sono conservate a S. Giuliano d'Arles.



    Noi ci uniamo alla Chiesa intera, o beato Antonio, per offrirti gli omaggi della nostra venerazione e per esaltare i doni che l'Emmanuele ti ha prodigati. Come è stata sublime la tua vita, e come feconde le tue opere! Tu sei veramente il padre d'un gran popolo e uno dei più potenti ausiliari della Chiesa di Dio. Prega dunque per l'Ordine Monastico, e ottieni che esso rinasca e si rigeneri nella società cristiana. Prega anche per ciascuno dei membri della grande famiglia della Chiesa. Spesso, la tua grande intercessione è stata utile ai nostri corpi, spegnendo gli ardori esiziali che li consumavano; degnati di continuare ad esercitare questo benefico potere. Ma guarisci soprattutto le nostre anime, troppo spesso consumate da fiamme ancora più pericolose. Veglia su di noi nelle tentazioni che il nemico non cessa di suscitarci; rendici vigilanti contro i suoi attacchi, prudenti nel prevenire le occasioni funeste, fermi nella lotta, umili nella vittoria. L'angelo delle tenebre appariva a te sotto forme sensibili; per noi, troppo spesso, egli simula i suoi colpi. Che non abbiamo ad essere vittima dei suoi inganni! Il timore dei giudizi di Dio e il pensiero dell'eternità dominino tutta la nostra vita; sia la preghiera il nostro frequente ricorso, e la penitenza la nostra difesa. Infine e soprattutto, secondo il tuo consiglio, o Pastore delle anime, ci riempia in misura sempre più grande l'amore di Gesù; di Gesù che si è degnato di nascere quaggiù per salvarci e per meritarci le grazie per mezzo delle quali vinceremo, di Gesù che si è degnato di soffrire la tentazione, per insegnarci come vi si debba resistere.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 332-338

  3. #23
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    Predefinito re: 31 gennaio 2013: San Giovanni Bosco, confessore

    18 GENNAIO 2013

    CATTEDRA DI SAN PIETRO A ROMA [1]



    L'Arcangelo aveva annunciato a Maria che il Figlio che sarebbe nato da lei sarebbe stato Re, e che il suo Regno non avrebbe avuto mai fine. I Magi guidati dalla Stella vennero dal lontano Oriente a cercare questo Re in Betlemme. Ma ci voleva una capitale per il nuovo Impero; e poiché il Re che doveva stabilirvi il suo trono doveva anche, secondo i consigli eterni, risalire presto al cielo, era necessario che il carattere visibile della sua regalità risiedesse in un uomo che fosse, fino alla fine dei secoli, il suo Vicario.

    Per questa gloriosa reggenza, l'Emmanuele scelse Simone, cambiandone il nome in quello di Pietro e dichiarando espressamente che tutta la Chiesa sarebbe stata basata su quell'uomo, come su una roccia incrollabile. E siccome Pietro doveva anch'egli terminare con la croce la sua vita mortale, Cristo s'impegnava a dargli dei successori nei quali sarebbero sempre stati rappresentati Pietro e la sua autorità.



    Regalità del Vicario di Cristo.

    Ma quale sarà il segno distintivo di questa successione nell'uomo privilegiato sul quale deve essere edificata la Chiesa sino alla fine dei tempi? Fra tanti Vescovi, chi è il continuatore di Pietro? Il Principe degli Apostoli ha fondato e governato parecchie Chiese; ma una sola, quella di Roma, è stata irrorata del suo sangue; una sola, quella di Roma, custodisce la sua tomba; il Vescovo di Roma è dunque il successore di Pietro, e perciò stesso, il Vicario di Cristo. Di lui, e non d'un altro, è detto: Su te costruirò la mia Chiesa. E ancora: Ti darò le chiavi del Regno dei cieli. E inoltre: Ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede; ... conferma i tuoi fratelli. E infine: Pasci i miei agnelli; pasci le mie pecorelle.

    L'eresia protestante l'aveva compreso tanto bene che per lungo tempo si sforzò di avanzare dubbi sul soggiorno di san Pietro a Roma, credendo giustamente di distruggere, con questo ritrovato, l'autorità del Pontefice Romano, e la nozione stessa d'un capo nella Chiesa. La scienza storica ha fatto giustizia di quella puerile obiezione; e da lungo tempo studiosi della Riforma sono concordi con i cattolici sul terreno dei fatti, e non contestano più nessuno dei punti della storia meglio definita dalla critica.

    Fu in parte per opporre l'autorità della Liturgia a quella strana pretesa dei Riformatori, che Paolo IV, nel 1558, fissò al 18 gennaio l'antica festa della Cattedra di san Pietro a Roma. Da lunghi secoli, la Chiesa non celebrava il mistero del Pontificato del Principe degli Apostoli se non il 22 febbraio. D'ora in poi quest'ultimo giorno è stato assegnato al ricordo della Cattedra d'Antiochia, la prima ad essere occupata dall'Apostolo.

    Oggi dunque, la Regalità dell'Emmanuele brilla in tutto il suo splendore; e i figli della Chiesa si rallegrano nel sentirsi tutti fratelli e concittadini d'uno stesso Impero, celebrando la gloria della Capitale che è comune a tutti. Allorché, guardando attorno a sé, vedono tante sette divise e sprovviste di tutte le condizioni della continuità perché manca ad esse un centro, rendono grazie al Figlio di Dio per aver provveduto alla conservazione della sua Chiesa e della sua Verità, con l'istituzione di un capo visibile nel quale Pietro continua per sempre, come lo stesso Cristo in Pietro. Gli uomini non sono più pecore senza pastore; la parola detta al principio si perpetua, senza interruzione, attraverso i tempi; la prima missione non è mai sospesa e, per il Pontefice Romano, la fine dei tempi si ricollega all'origine delle cose. "Quale consolazione per i figli di Dio - esclama Bossuet nel Discorso sulla Storia universale - ma quale convinzione della verità, quando vedono che da Innocenzo XI, che occupa oggi (1681) degnamente la prima Sede della Chiesa, si risale senza interruzione fino a san Pietro, costituito da Gesù Cristo come Principe degli Apostoli!".



    Primato della sede di Roma.

    Pietro, entrando in Roma, viene dunque a compiere e amplificare i destini di questa città sovrana, recandole un impero ancora più esteso di quello che essa possiede. È un Impero che non si costituirà con la forza, come il primo: da superba dominatrice delle genti che fu, Roma, per mezzo della carità, diventa Madre dei popoli. Ma, per quanto pacifico, il suo Impero non sarà meno durevole. Ascoltiamo san Leone Magno, in uno dei suoi più magnifici Sermoni (Serm. 82), narrare, con tutta la nobiltà del suo linguaggio, l'ingresso oscuro eppure così decisivo, del Pescatore di Genezareth nella capitale del paganesimo:

    "Il Dio buono, giusto e onnipotente, che non ha mai negato la sua misericordia al genere umano e che con l'abbondanza dei suoi benefici, ha dato a tutti i mortali i mezzi per giungere alla conoscenza del suo Nome, nei segreti consigli del suo immenso amore ha avuto pietà del volontario accecamento degli uomini e della malizia che li sprofondava nella degradazione, e ha inviato il suo Verbo, che è a Lui uguale e coeterno. Ora, questo Verbo, fattosi carne, ha unito così strettamente la natura divina con quella umana, che l'umiliazione della prima fino alla nostra abiezione è diventata per noi il principio della più sublime elevazione.

    Ma, per spargere nel mondo intero gli effetti di quel beneficio, la Provvidenza ha preparato l'Impero romano, e ne ha esteso così lontano i confini, da fargli abbracciare nella sua cerchia tutte le genti. Era infatti una cosa utilissima per il compimento dell'opera progettata che i diversi regni formassero la confederazione d'un unico Impero, affinché la predicazione generale giungesse più presto all'orecchio dei popoli, raccolti com'erano già sotto il regime d'una sola città.

    Questa città, disprezzando il divino autore dei suoi destini, s'era fatta schiava degli errori di tutti i popoli, nel tempo stesso in cui li teneva quasi tutti sotto le sue leggi, e credeva ancora di possedere una grande religione, perché non respingeva nessuna menzogna; ma più fortemente era tenuta legata dal diavolo e più meravigliosamente fu riscattata da Cristo.

    Infatti, quando i dodici Apostoli, dopo aver ricevuto con lo Spirito Santo il dono di parlare tutte le lingue, si furono distribuite le varie parti della terra, ed ebbero preso possesso di quel mondo a cui dovevano predicare il Vangelo, il beato Pietro, Principe dell'Ordine Apostolico, ricevette in eredità la roccaforte dell'Impero romano, affinché la Luce della verità che era manifestata per la salvezza di tutte le genti, si diffondesse più efficacemente, irradiando al centro di questo Impero sul mondo intero.

    Quale nazione, infatti, non contava numerosi rappresentanti in quella città? Quali popoli avrebbero mai potuto ignorare ciò che Roma aveva loro insegnato? Qui dovevano essere battute le opinioni della filosofia; qui sarebbero state distrutte la vanità della sapienza terrena; qui sarebbe stato confuso il culto dei demoni e distrutta infine l'empietà di tutti i sacrifici, in quello stesso luogo in cui una astuta superstizione aveva radunato tutto ciò che i diversi errori avevano potuto produrre.

    Non temi tu dunque, o beato Apostolo Pietro, di venire solo in questa città? Paolo Apostolo il compagno della tua gloria, è ancora intento a fondare altre Chiese; e tu ti immergi in questa foresta popolata di bestie feroci, avanzi su questo oceano il cui fondo è pieno di tempeste, con più coraggio di quando camminasti sulle acque. Non hai timore di Roma, la dominatrice del mondo, tu che nella casa di Caifa avevi tremato alla voce d'un servo del sacerdote. Il tribunale di Pilato o la crudeltà dei Giudei erano forse più temibili della potenza di Claudio o della ferocia di Nerone? No; ma la forza del tuo amore vinceva il timore, e non avevi paura di quelli che t'eri impegnato di amare. Senza dubbio avevi già avuto il sentimento di quell'intrepida carità il giorno in cui la professione del tuo amore verso il Signore fu sanzionata dal mistero della triplice domanda. Cosicché non si richiese altro alla tua anima se non che, per pascere le pecore di Colui che amavi, il tuo cuore effondesse per esse la sostanza di cui era ripieno.

    La tua fiducia, è vero, doveva aumentare al ricordo dei numerosi miracoli che avevi operati, dei preziosi doni della grazia che avevi ricevuti, e delle esperienze molteplici della virtù che risiedeva in te. Tu avevi già ammaestrato i Giudei che avevano creduto alla tua parola; avevi fondato la Chiesa d'Antiochia, dove ebbe i suoi inizi la dignità del nome Cristiano; avevi sottomesso alle leggi della predicazione evangelica il Ponto, la Galazia, la Cappadocia, l'Asia e la Bitinia; e allora, certo del progresso della tua opera e della durata della tua vita, venisti ad innalzare sulle mura di Roma il trofeo della croce di Cristo, proprio là dove i consigli divini avevano predisposto per te l'onore della potenza sovrana e la gloria del martirio" (PL 54, c. 423-425).

    L'avvenire del genere umano mediante la Chiesa è dunque fissato a Roma, e i destini di questa città sono per sempre comuni con quelli del sommo Pontefice. Diversi per razza, per lingua, per interessi, noi tutti, figli della Chiesa, siamo Romani nell'ordine della religione; questo titolo ci unisce mediante Pietro a Gesù Cristo, e forma il legame della grande fraternità dei popoli e degli individui cattolici.



    Gloria della Roma cristiana.

    Gesù Cristo per mezzo di Pietro e Pietro per mezzo del suo successore ci reggono nell'ordine del governo spirituale. Ogni pastore la cui autorità non emana dalla Sede di Roma, è un estraneo, un intruso. Così pure nell'ordine della credenza Gesù Cristo per mezzo di Pietro e Pietro per mezzo del suo successore ci impartiscono la dottrina divina e ci insegnano a distinguere la verità dall'errore. Qualunque simbolo di fede, qualunque giudizio dottrinale, qualunque insegnamento contrario al Simbolo, ai giudizi e agli insegnamenti della Sede di Roma, viene dall'uomo e non da Dio, e dev'essere respinto con orrore ed anatema. Nella festa della Cattedra di san Pietro in Antiochia, parleremo della Sede Apostolica, come unica fonte del potere di governo nella Chiesa. Oggi, onoriamo la Cattedra romana come l'origine e la regola della nostra fede. Prendiamo ancora qui le eloquenti parole di san Leone (Serm. 4) e interroghiamolo sui titoli di Pietro all'infallibilità dell'insegnamento. Impareremo da questo grande Dottore a misurare la forza delle parole che Cristo pronunciò perché fossero il principale motivo della nostra adesione per tutta la durata dei secoli.

    "Il Verbo fatto carne era venuto ad abitare in mezzo a noi, e Cristo si era consacrato interamente alla riparazione del genere umano. Non c'era nulla che non fosse regolato dalla sua sapienza, o che fosse superiore al suo potere. Gli elementi gli obbedivano, e gli Spiriti angelici erano ai suoi ordini; il mistero della salvezza degli uomini non poteva non giungere ad effetto, poiché, era lo stesso Dio, nella sua Unità e nella sua Trinità, che si degnava di occuparsene. Tuttavia in questo mondo, solo Pietro è scelto per essere preposto alla vocazione di tutte le genti, a tutti gli Apostoli, a tutti i Padri della Chiesa. Nel popolo di Dio, vi saranno parecchi sacerdoti e parecchi pastori; ma Pietro reggerà, con un potere che gli è proprio, tutti quelli che Cristo stesso governa in una maniera ancora più elevata. Quale grande e meravigliosa partecipazione del suo potere Dio si è degnato di dare a quest'uomo, fratelli diletti! Se ha voluto che vi fosse qualcosa di comune fra lui e gli altri pastori, l'ha fatto a condizione di dare a questi, per mezzo di Pietro tutto ciò che non voleva loro rifiutare.

    Il Signore chiede a tutti gli Apostoli quale idea gli uomini abbiano di lui. Gli Apostoli sono concordi, finché si tratta di esporre le diverse opinioni dell'ignoranza umana. Ma quando Cristo giunge a chiedere ai suoi discepoli quello che pensano essi stessi, il primo a confessare il Signore è colui che è anche il primo nella dignità apostolica. È lui che dice: Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivo. Gli risponde Gesù: Beato te, o Simone, figlio di Giona, poiché né la carne né il sangue ti hanno rivelato queste cose, ma il Padre mio che è nei cieli. Cioè: Sì, tu sei beato, poiché il Padre mio ti ha ammaestrato; i pensieri della terra non ti hanno indotto in errore, ma ti ha illuminato l'ispirazione del cielo. Non già la carne e il sangue, ma Colui stesso del quale io sono il Figlio unigenito, mi ha rivelato a te. Ed io, aggiunge, ti dico: Come il Padre mio ti ha svelato la mia divinità, io a mia volta ti farò conoscere la tua grandezza. Poiché tu sei Pietro, cioè, come io sono la Pietra incrollabile, la Pietra angolare che unisce i due muri, il Fondamento tanto essenziale che non se ne potrebbe costituire un altro, così tu pure sei Pietro, poiché sei basato sulla mia solidità, e le cose che sono proprie a me per la potenza che in me risiede sono comuni anche a te per la partecipazione che io te ne faccio. E su questa pietra fonderò la mia Chiesa; e le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa. Sulla solidità di questa pietra, io fonderò il tempio eterno; e la mia Chiesa, il cui fastigio salirà fino al cielo, s'innalzerà sulla fermezza di questa fede.

    Alla vigilia della sua Passione, che doveva essere una prova per la costanza dei discepoli, il Signore disse quest'altre parole: Simone, Simone, Satana ha chiesto di macinarti come il frumento; ma io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede. Quando poi sarai convertito, conferma i tuoi fratelli. Il pericolo della tentazione era comune a tutti gli Apostoli; tutti avevano bisogno dell'aiuto della protezione divina, poiché il diavolo aveva proposto di agitarli e di annientarli. Tuttavia il Signore prende una cura speciale per il solo Pietro; le sue preghiere sono per la fede di Pietro, come se la salvezza degli altri fosse già sicura, per il fatto stesso che non verrà abbattuto l'animo del loro Principe. È dunque su Pietro che si baserà il coraggio di tutti e l'aiuto della grazia divina sarà disposto affinché la solidità che Cristo attribuisce a Pietro sia attraverso Pietro conferita agli Apostoli" (PL 54, c. 149-152).



    L'infallibilità del Vicario di Cristo.

    In un altro discorso (Serm. 3), l'eloquente Dottore ci fa vedere come Pietro vive ed insegna sempre nella Cattedra Romana.

    "La disposizione data da Colui che è la Verità stessa, permane dunque sempre, e il beato Pietro, conservando la solidità che ha ricevuta, non ha mai abbandonato il timone della Chiesa. Perché è tale il posto dato a lui al disopra di tutti gli altri, che, quando è chiamato Pietro, quando è proclamato Fondamento, quando è costituito Portinaio del Regno dei cieli, quando è nominato Arbitro per legare e sciogliere con una forza tale nei suoi giudizi che questi vengono ratificati anche in cielo, noi siamo in grado di conoscere, attraverso il mistero di così sublimi titoli, il legame che lo univa a Cristo. Ora egli compie con maggior pienezza e potenza la missione che gli è stata affidata; e tutte le parti del suo ufficio e del suo incarico le esercita in Colui e con Colui dal quale è stato glorificato.

    Se dunque, su questa Cattedra, facciamo qualcosa di buono, se decretiamo qualcosa di giusto, se le nostre preghiere quotidiane ottengono qualche grazia dalla misericordia di Dio, è per effetto delle opere e dei meriti di colui che vive nella sua sede e vi agisce con la sua autorità. Egli ce lo ha meritato, fratelli diletti, con la confessione che, ispirata al suo cuore di Apostolo da Dio Padre, ha superato tutte le incertezze delle opinioni umane, ed ha meritato di ricevere la fermezza della Pietra che nessun assalto potrebbe scuotere. Ogni giorno in tutta la Chiesa, è Pietro che dice: Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivo, e ogni lingua che confessa il Signore è guidata dal magistero di quella voce. È questa fede che vince il diavolo, e spezza i legami di coloro che egli tiene prigionieri. È essa che introduce in cielo i fedeli quando escono da questo mondo; e le porte dell'inferno non possono prevalere contro di essa. La forza divina che la garantisce, infatti, è tale che mai la perversità eretica l'ha potuta corrompere, né la perfidia pagana sopraffarla" (PL 54, c. 146).

    Così parla san Leone. "Non si dica dunque, esclama Bossuet nel suo Sermone sull'Unità della Chiesa, non si dica e non si pensi che questo ministero di san Pietro finisce con lui: ciò che deve servire di sostegno a una Chiesa eterna, non può mai aver fine. Pietro vivrà nei suoi successori, Pietro parlerà sempre nella sua Cattedra: è quanto dicono i Padri ed è quanto confermano seicentotrenta Vescovi nel Concilio di Calcedonia". E ancora: "Così la Chiesa Romana è sempre Vergine, la fede Romana è sempre la fede della Chiesa; si crede sempre quello che si è creduto, la stessa voce risuona dappertutto, e Pietro rimane, nei suoi successori, il fondamento dei fedeli. È Gesù Cristo che l'ha detto; e il cielo e la terra passeranno, ma la sua parola non passerà".



    San Pietro continuato nei suoi successori.

    Tutti i secoli cristiani hanno professato questa dottrina dell'infallibilità del Romano Pontefice che guida la Chiesa dall'alto della Cattedra Apostolica. La si trova insegnata espressamente negli scritti dei santi Padri, e i Concili ecumenici di Lione e di Firenze si sono pronunciati, nei loro atti, in un modo abbastanza chiaro per non lasciare alcun dubbio ai cristiani di buona fede. Tuttavia, lo spirito di errore, con l'aiuto di sofismi contraddittori e presentando sotto falsa luce alcuni fatti isolati e mal compresi, tentò, per troppo tempo, di far cambiare idea ai fedeli d'un paese devoto del resto alla sede di Pietro. L'influenza politica fu la prima causa di quella triste scissione, che l'orgoglio di scuola rese troppo durevole. L'unico risultato ottenuto fu quello di indebolire il principio di autorità nelle regioni in cui essa regnò, e di perpetuarvi la setta giansenista, i cui errori erano stati condannati dalla Sede Apostolica. Gli eretici ripetevano, dopo l'Assemblea di Parigi del 1682, che i giudizi che avevano messo al bando le loro dottrine non erano neanch'essi irrefutabili.

    Lo Spirito Santo che anima la Chiesa ha infine estirpato quel funesto errore. Nel Concilio Vaticano ha dettato la sentenza solenne la quale dichiara che d'ora in poi chiunque si rifiutasse di riconoscere come infallibili i decreti emessi solennemente dal Pontefice romano in materia di fede e di morale cessa per ciò stesso di far parte della Chiesa Cattolica. Invano l'inferno ha tentato di ostacolare gli atti dell'augusta assemblea, e se il Concilio di Calcedonia aveva esclamato: "Pietro ha parlato per bocca di Leone"; se il terzo Concilio di Costantinopoli aveva ripetuto: "Pietro ha parlato per bocca di Agatone"; il Concilio Vaticano ha proclamato: "Pietro ha parlato e parlerà sempre per bocca del Romano Pontefice".

    Pieni di riconoscenza per il Dio di verità che si è degnato di elevare e garantire da ogni errore la Cattedra romana, ascolteremo con umiltà di spirito e di cuore gli insegnamenti che ne emanano. Riconosceremo l'azione divina nella fedeltà con cui questa Cattedra immortale ha saputo custodire la verità senza macchia per diciannove secoli, mentre le Sedi di Gerusalemme, d'Antiochia, d'Alessandria e di Costantinopoli hanno potuto appena custodirla per qualche centinaia di anni, e sono diventate l'una dopo l'altra le cattedre di pestilenza di cui parla il Profeta.



    La Fede della Chiesa.

    In questi giorni consacrati ad onorare l'Incarnazione del Figlio di Dio e la sua nascita dal seno d'una Vergine, richiamiamo alla nostra mente che dobbiamo alla Sede di Pietro la conservazione di quei dogmi che costituiscono il fondamento di tutta la nostra Religione. Non soltanto Roma ce li ha insegnati per mezzo degli Apostoli ai quali affidò la missione di predicare la fede nelle Gallie; ma quando le tenebre dell'eresia tentarono di gettare la loro ombra su così sublimi misteri, fu ancora Roma che assicurò il trionfo della verità con la sua suprema decisione. A Efeso, dove si trattava, condannando Nestorio, di stabilire che la natura divina e la natura umana in Cristo non formano che una sola ed unica persona e che di conseguenza Maria è veramente Madre di Dio; a Calcedonia, dove la Chiesa doveva proclamare contro Eutiche la distinzione delle due nature nel Verbo incarnato, Dio e uomo, i Padri dei due Concili ecumenici dichiararono che non facevano altro che seguire nella loro decisione la dottrina trasmessa loro dalle lettere della Sede Apostolica.

    Questo è dunque il privilegio di Roma, di provvedere mediante la fede agli interessi della vita futura, come provvedé con le armi, per lunghi secoli, agli interessi della vita presente, nel mondo allora conosciuto. Amiamo ed onoriamo questa città Madre e Maestra, nostra patria comune, e con cuore fedele celebriamo oggi la sua gloria.

    Noi siamo dunque fondati su Gesù Cristo nella nostra fede e nelle nostre speranze, o Principe degli Apostoli, poiché siamo fondati su te che sei la Pietra che egli ha posta. Siamo dunque le pecore del gregge di Gesù Cristo, poiché obbediamo a te come a nostro pastore. Seguendo te, o Pietro, siamo dunque certi di entrare nel Regno dei cieli, poiché tu ne possiedi le chiavi. Quando ci gloriamo di essere le tue membra, o nostro Capo, possiamo considerarci come le membra di Gesù Cristo stesso, poiché il Capo invisibile della Chiesa non riconosce altre membra se non quelle del Capo visibile che egli ha costituito. Così pure, quando obbediamo ai suoi ordini, è la tua fede, o Pietro, che noi professiamo, sono i tuoi comandi che noi seguiamo; poiché se Cristo insegna e governa in te, tu insegni e governi nel Pontefice Romano.

    Siano dunque rese grazie all'Emmanuele che non ha voluto lasciarci orfani, ma prima di tornare in cielo si è degnato di assicurarci, fino alla consumazione dei secoli, un Padre e un Pastore. La vigilia della sua Passione, volendo amarci sino alla fine, ci lasciò il suo corpo per cibo e il suo sangue per bevanda. Dopo la sua gloriosa Resurrezione, sul punto di salire alla destra del Padre, mentre gli Apostoli erano riuniti intorno a lui, costituì la sua Chiesa come un immenso gregge, e disse a Pietro: Pasci le mie pecore, pasci i miei agnelli. In tal modo, o Cristo, assicuravi la perpetuità di quella Chiesa; costituivi nel suo seno l'unità, la sola che potesse conservarla e difenderla dai nemici esterni ed interni. Gloria a te, o divino architetto, che hai fondato sulla Pietra solida il tuo immortale edificio! Hanno imperversato i venti, si sono scatenate le bufere, l'hanno percossa rabbiosamente i marosi, ma la casa è rimasta in piedi, poiché era fondata sulla roccia (Mt 7,25).

    O Roma, in questo giorno in cui tutta la Chiesa proclama la tua gloria e si rallegra di essere fondata sulla tua Pietra, ricevi le nuove promesse del nostro amore, i nuovi giuramenti della nostra fedeltà. Tu sarai sempre la nostra Madre e la nostra Maestra, la nostra guida e la nostra speranza. La tua fede sarà per sempre la nostra, poiché chiunque non è con te, non è neanche con Gesù Cristo. In te tutti gli uomini sono fratelli, e non sei per noi una città straniera, né il tuo Pontefice un sovrano straniero. Noi viviamo per te della vita del cuore e dell'intelligenza; e tu ci prepari ad abitare un giorno quell'altra città di cui sei l'immagine, la città celeste di cui costituisci l'ingresso. Benedici, o Principe degli Apostoli, le pecore affidate alla tua custodia, ma ricordati, di quelle che sono sventuratamente uscite dall'ovile. Lontano da te, popoli interi che tu avevi nobilitati e civilizzati per mezzo dei tuoi successori, languiscono e non sentono ancora l'infelicità di essere lontani dal Pastore. Lo scisma raffredda e corrompe gli uni; l'eresia divora gli altri. Senza Cristo visibile nel suo Vicario, il Cristianesimo diventa sterile e a poco a poco svanisce. Le audaci dottrine che tendono a diminuire l'insieme dei doni che il Signore ha elargiti a colui che deve farne le veci fino al giorno dell'eternità, hanno per troppo tempo inaridito i cuori di quelli che le professavano; troppo spesso esse li hanno portati a sostituire il culto di Cesare al servizio di Pietro. Guarisci tutti questi mali, o Pastore supremo! Accelera il ritorno delle genti separate; affretta la caduta dell'eresia del XVI secolo; apri le braccia alla tua figlia, la Chiesa d'Inghilterra, e che essa rifiorisca come negli antichi giorni. Scuoti sempre più la Germania e i regni del Nord, e che tutti quei popoli si accorgano che non vi è più salvezza per la fede se non all'ombra della tua Cattedra. Rovescia il mostruoso colosso del Settentrione, che pesa insieme sull'Europa e sull'Asia, e scardina dovunque la vera religione del tuo Maestro. Richiama l'Oriente alla sua antica fedeltà, e che esso riveda dopo così lunga eclisse, le sue Sedi Patriarcali risorgere nell'unità della sottomissione all'unica Sede Apostolica.
    E infine mantieni noi che, per divina misericordia e per effetto della tua paterna tenerezza, siamo rimasti fedeli, nella fede Romana, nell'obbedienza al tuo successore. Istruiscici nei misteri che ti sono affidati; rivelaci ciò che il Padre celeste ha rivelato a te stesso. Mostraci Gesù, tuo Maestro; guidaci alla sua culla, affinché dietro il tuo esempio, e senza essere scandalizzati dai suoi abbassamenti, abbiamo la fortuna di dirgli come te: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!



    [1] Nel III secolo si venerava in un cimitero di Roma un trofeo - cattedra di tufo o di legno - del ministero di san Pietro in quel luogo. Più tardi si venerò nel battistero di Damaso in Vaticano la sella gestatoria apostolicae confessionis. Sotto il nome di Natale Petri de Cathedra era celebrata una festa il 22 febbraio; ma, a causa della quaresima, le chiese della Gallia presero l'abitudine di celebrarla il 18 gennaio. Le due usanze si svilupparono in modo parallelo; poi, finalmente, si perdette l'unità primitiva del loro significato e si ebbero due feste della Cattedra di san Pietro, la prima attribuita a Roma - quella del 18 gennaio -, la seconda attribuita a un'altra sede - in definitiva a quella d'Antiochia - il 22 febbraio.

    La Cattedra di san Pietro è ora conservata nell'abside della basilica vaticana, racchiusa in un grande reliquiario: nemmeno il Papa si può sedere, come usavano i Pontefici dei primi quindici secoli, sulla Cathedra Apostolica (Schuster, Liber Sacramentorum).



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 338-348

  4. #24
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    Predefinito re: 31 gennaio 2013: San Giovanni Bosco, confessore

    18 GENNAIO 2013

    COMMEMORAZIONE DI SANTA PRISCA



    Regna una grande incertezza intorno al nome di questa giovane martire di Roma, della quale una tradizione ci dice che fu battezzata all'età di tredici anni dall'apostolo san Pietro e ci assicura che fu la prima martire della Chiesa d'Occidente, decapitata fra il 45 e il 54 sotto Claudio Tiberio. Un'altra tradizione la fa appartenere al III secolo, e vuole che sia stata decapitata sotto Claudio II il Gotico, verso il 250. Comunque sia, la sua esistenza e la realtà del suo martirio debbono essere riconosciute e il suo culto risale ai tempi più remoti.

    In suo onore, recitiamo la Colletta della Messa:

    "Concedi, te ne preghiamo o Dio onnipotente, a noi che onoriamo il natalis della tua Martire, di rallegrarci per questa solennità annuale e di trar profitto dall'esempio d'una fede così sublime. Per Gesù Cristo Nostro Signore. Amen".



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 348-349

  5. #25
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    Predefinito re: 31 gennaio 2013: San Giovanni Bosco, confessore

    19 GENNAIO 2013

    SANTI MARIO, MARTA, AUDIFACE ED ABACO, MARTIRI



    Come già la luce della stella misteriosa guidò i Magi alla culla del neonato Re, così vediamo lo splendore che irradia da Roma, imporporata dal sangue dei Martiri, attrarre irresistibilmente i santi proposti in questo giorno dalla Chiesa alla nostra venerazione. Mario, Marta sua sposa, e i loro figli Audiface ed Abaco, venuti dalle lontane regioni della Persia al tempo dell'imperatore Claudio il Gotico per visitare le tombe degli apostoli e dei generosi testimoni di Cristo, meriteranno presto di essere associati al loro trionfo. Confesseranno anch'essi a loro volta il divino Bambino fra i più atroci tormenti, aggiungendo con la loro vittoria un nuovo fiore alla corona della città madre e maestra della quale ieri celebravano le grandezze. Il respiro concesso ai cristiani dall'editto di Gallieno non fu infatti di lunga durata per i fedeli di Roma e durante il breve regno di Claudio II, il sangue dei martiri scorse nuovamente nella città imperiale (P. Allard, Les dernières persecutions du troisième siècle, 3 ed.). E la Passione di questi santi pellegrini ce li mostra mentre pongono, fin dal loro arrivo, le proprie persone e le proprie ricchezze al servizio dei perseguitati. Cercavano e visitavano nelle prigioni quelli che avevano sofferto per la fede, ed era tale la devozione che nutrivano verso di essi, che dopo averne lavato le ferite, si spargevano sul capo l'acqua che era servita a quel caritatevole ufficio (Acta SS. gennaio, II). Con religioso zelo si occupavano di ricuperare i corpi dei valorosi confessori e di dare onorevole sepoltura alle loro sante spoglie. Tale dedizione non poteva passare a lungo inosservata: arrestati insieme con altri cristiani, Mario, Marta e i loro figli ottennero la palma del martirio che così ardentemente bramavano.

    Secondo la tradizione furono condannati a morte il 20 gennaio del 270. La Chiesa tuttavia li festeggia il 19, essendo l'indomani consacrato interamente alla memoria dei santi Fabiano e Sebastiano [1].

    "Sono veramente fratelli coloro che hanno vinto le iniquità del mondo; hanno seguito Cristo e possiedono gloriosamente il regno celeste" [2]. Così canterà la Chiesa in un'altra circostanza dell'anno, associando al trionfo di Cristo risorto altre schiere di martiri. Ma quale lode si addice allora agli illustri soldati di cui celebriamo la vittoria? Se lo spettacolo della buona armonia tra i membri di una stessa famiglia è degno d'ammirazione, che dire quando questa concordia si verifica in mezzo alle opere più eroiche della carità e nelle più alte aspirazioni verso la patria celeste? Fate dunque, o gloriosi martiri, che, dietro il vostro esempio, troviamo sempre di mezzo a noi l'unione dei cuori nell'amore e nel servizio del Verbo incarnato!
    Sotto la prova delle più crudeli torture, la vostra ardente volontà di seguire il Maestro fino in fondo vi incoraggiava a vicenda alla costanza e a glorificare Cristo per essere posti, con le vostre sofferenze, nel numero dei suoi privilegiati servitori. Chiedete per noi, insieme ad un aumento della virtù della fede, una dedizione senza limiti a Colui che è venuto sulla terra per riscattarci, e le generose disposizioni che ci porteranno ad affrontare tutto per lui e a soffrire tutto per la sua gloria.



    [1] Gli Atti di questi martiri persiani pare abbiano subito parecchie interpolazioni; la loro festa è segnalata per la prima volta in un calendario vaticano del XII secolo. Si può dubitare che i loro corpi siano stati portati a S. Medardo di Soisson nell'828. Attualmente si venerano le loro reliquie nelle chiese di S. Adriano e di S. Prassede a Roma.

    [2] Versetto alleluiatico della Messa dei santi Nereo e Achilleo (12 maggio) e di parecchie altre Messe di Martiri.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 349-350

  6. #26
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    Predefinito re: 31 gennaio 2013: San Giovanni Bosco, confessore

    19 GENNAIO 2013

    SAN CANUTO IV, RE di Danimarca e MARTIRE



    I Re Magi, come abbiamo detto, sono stati seguiti, alla mangiatoia del Salvatore, dai santi Re cristiani; è dunque giusto che questi ultimi si incontrino nella stagione consacrata al mistero della sua Nascita. In mezzo a quelli che ha dato in sì gran numero alla Chiesa e alla società europea l'XI secolo, fecondo in ogni sorta di meraviglie cattoliche, Canuto IV, sul trono di Danimarca, si distingue fra gli altri per l'aureola del martirio [1]. Zelante propagatore della fede di Cristo, insigne legislatore, intrepido guerriero, pio e caritatevole, ebbe tutte le glorie d'un principe cristiano. Il suo zelo per la Chiesa, i cui diritti a quel tempo erano insieme quelli dei popoli, fu il pretesto della sua morte violenta, ed egli morì in una sommossa, con il carattere sublime d'una vittima immolata per il suo popolo. L'offerta che fece al neonato Re fu l'offerta del sangue; cambiò la corona peritura con l'altra di cui la Chiesa orna la fronte dei suoi martiri, e che non si logora mai. Gli annali della Danimarca nell'undicesimo secolo sono poco familiari alla maggior parte degli altri uomini; ma l'onore che ha quella regione di possedere un Re martire è noto in tutta la Chiesa, e la Chiesa occupa il mondo intero. Questa potenza della Sposa di Gesù Cristo per onorare il nome e i meriti dei servi e degli amici di Dio è uno dei più bei spettacoli che sia dato di vedere sotto il cielo, poiché i nomi che essa proclama diventano immortali presso gli uomini, che siano stati portati dal re o che siano serviti a distinguere gli ultimi dei suoi figli.

    Il Sole di giustizia s'era già levato sulla tua regione, o santo Re, e tutta la tua beatitudine consisteva nel vedere i suoi raggi illuminare il tuo popolo. Come i Magi dell'Oriente, amavi deporre la tua corona ai piedi dell'Emmanuele; e un giorno hai offerto perfino la vita per il servizio suo e della sua Chiesa. Ma il tuo popolo non era degno di te; sparse il tuo sangue come l'ingrato Israele spargerà il sangue del Giusto che ci è nato e del quale onoriamo in questi giorni l'amabile infanzia. La morte violenta che hai risolto a profitto del tuo popolo, offrendola per i suoi peccati, offrila ancora per il regno che hai onorato. Da lungo tempo la Danimarca ha dimenticato la vera fede. Prega affinché la ritrovi presto. Ottieni per i principi che governano gli Stati cristiani la fedeltà ai loro doveri, lo zelo della giustizia, e il rispetto della libertà della Chiesa. Chiedi anche per noi al divino Bambino la dedizione della quale tu eri animato per la sua gloria; e se non abbiamo, come te, una corona da deporre ai suoi piedi, aiutaci a sottomettergli i nostri cuori.



    [1] Fu immolato nella chiesa di S. Ambano a Odensea, il 10 luglio 1086.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 350-351

  7. #27
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    Predefinito re: 31 gennaio 2013: San Giovanni Bosco, confessore

    20 GENNAIO 2013

    SAN FABIANO PAPA
    E SAN SEBASTIANO, MARTIRI



    Due grandi Martiri si dividono gli onori di questo giorno: l'uno Pontefice della Chiesa di Roma; l'altro, fedele di questa Chiesa Madre. Fabiano ricevette la corona del martirio nell'anno 250, sotto la persecuzione di Decio; quella di Diocleziano incoronò Sebastiano nel 288. Considereremo separatamente i meriti di questi due atleti di Cristo.
    Dietro l'esempio dei suoi predecessori san Clemente e sant'Antero, il Papa Fabiano ebbe particolare cura di far redigere gli Atti dei Martiri; ma la persecuzione di Diocleziano, che ha fatto sparire un gran numero di quei preziosi monumenti, ci ha privati del racconto delle sue sofferenze e del suo martirio. Solo alcuni particolari della sua vita pastorale sono giunti fino a noi; ma possiamo farci una idea delle sue virtù dall'elogio che fa di lui san Cipriano, il quale lo chiama uomo incomparabile in una lettera scritta al Papa san Cornelio successore di Fabiano. Il vescovo di Cartagine celebra anche la purezza e la santità della vita del Pontefice, che dominò con fronte serena le tempeste da cui fu agitata la Chiesa al suo tempo. È bello contemplare questo capo tranquillo e venerabile su cui andò a posarsi una colomba per indicare il successore di Pietro, il giorno in cui il popolo e il clero di Roma erano radunati per l'elezione del Papa, dopo il martirio di Antero. Quel riferimento a Cristo designato come Figlio di Dio nelle acque del Giordano dalla divina colomba, rende ancora più sacro il sublime carattere di Fabiano. Depositario del potere di rigenerazione che risiede nelle acque dopo il battesimo di Cristo, egli ebbe a cuore la propagazione del Cristianesimo; e fra i Vescovi che consacrò per annunciare la fede in vari luoghi, la Chiesa delle Gallie ne riconosce parecchi come suoi principali fondatori.

    Così sono passati i giorni del tuo Pontificato, lunghi e tempestosi, o Fabiano! Ma, presagendo l'avvenire pacifico che Dio riservava alla sua Chiesa, non volevi che i magnifici esempi dell'era dei Martiri andassero perduti per i secoli futuri, e la tua sollecitudine vegliava alla loro conservazione. Le fiamme ci hanno sottratto gran parte dei tesori che tu avevi raccolti per noi e possiamo ricostruire appena pochi particolari della tua stessa vita; ma ne sappiamo abbastanza per lodare Dio di averti scelto in quei tempi difficili, e per celebrare oggi il glorioso trionfo che riportò la tua costanza. La colomba che ti indicò come l'eletto del cielo, posandosi sul tuo capo, ti designava come il Cristo visibile sulla terra, ti votava alle cure apostoliche e al martirio e ammoniva tutta la Chiesa di riconoscerti e di ascoltarti. Tu dunque, o santo Pontefice, che hai avuto questo aspetto di rassomiglianza con l'Emmanuele nel mistero dell'Epifania, pregalo per noi affinché si degni di manifestarsi sempre più alle nostre menti e ai nostri cuori.



    * * *



    Dopo gli Apostoli Pietro e Paolo, che formano la sua maggior gloria, Roma iscrive all'inizio dei suoi fasti i suoi due più valorosi martiri Lorenzo e Sebastiano, e le sue due più illustri vergini, Cecilia ed Agnese. Ora, ecco che il tempo di Natale esige, per far onore al Cristo che nasce, una parte di questa nobile corte. Lorenzo e Cecilia appariranno a loro volta per accompagnare altri misteri; oggi, è chiamato a prestare il suo servizio presso l'Emmanuele il capo della coorte pretoriana, Sebastiano; domani sarà Agnese ad essere ammessa presso lo Sposo divino che ha preferito a tutto.

    Si immagini un giovane il quale si sottrae a tutti i legami che lo trattenevano a Milano, patria sua, per il solo motivo che la persecuzione non vi imperversava con abbastanza rigore, mentre a Roma la tempesta è nel pieno della sua violenza (cfr. il XX discorso di sant'Ambrogio sul Sal 118 - PL 15, c. 1497). Teme per la costanza dei Cristiani; ma sa che, più d'una volta, i soldati di Cristo, coperti dell'armatura dei soldati di Cesare, si sono introdotti nelle prigioni ed hanno rianimato il coraggio dei confessori. È la missione a cui egli aspira, aspettando il giorno in cui potrà egli stesso cogliere la palma. Viene dunque a sostenere quelli che le lacrime dei genitori avevano scossi; i carcerieri cedendo alla forza della sua fede e dei suoi miracoli, affrontano il martirio, e perfino un magistrato romano chiede di essere istruito nella dottrina che dà tanto potere agli uomini. Ricolmo dei segni del favore di Diocleziano e di Massimiano Ercole, Sebastiano dispone a Roma d'un'influenza così salutare per il Cristianesimo, che il papa Caio lo proclama il Difensore della Chiesa.

    Dopo aver inviato al cielo innumerevoli martiri, l'eroe ottiene infine la corona, oggetto dei suoi desideri. Con la sua coraggiosa confessione incorre nella disgrazia di Diocleziano, al quale preferisce l'Imperatore celeste che unicamente aveva servito sotto l'elmo e la clamide. È consegnato agli arcieri di Mauritania che lo spogliano, lo legano e lo colpiscono con le loro frecce. Se le pie cure di Irene lo richiamano alla vita, è solo per spirare sotto i colpi, in un ippodromo attiguo al palazzo dei Cesari.

    Questi sono i soldati del nostro neonato Re; ma con quale sollecitudine li onora la sua munificenza! Roma cristiana, capitale della Chiesa, sorge su sette Basiliche principali, come l'antica Roma su sette colli; il nome e la tomba di Sebastiano decorano uno di quei sette santuari. Fuori le mura della città eterna, sulla via Appia, sorge nella solitudine la Basilica di S. Sebastiano. Vi è custodito il corpo di san Fabiano; ma i primi onori di quel tempio sono per il soldato che aveva voluto essere seppellito in quel luogo, come un servo fedele, presso il pozzo in fondo al quale furono nascosti per parecchi anni i corpi dei santi Apostoli, quando bisognò sottrarli alle ricerche di persecutori.

    In cambio dello zelo di san Sebastiano per le anime dei fedeli che egli tanto desiderò preservare dal contagio del paganesimo, Dio gli ha concesso di essere l'intercessore del popolo cristiano contro il flagello della peste. Questo potere del santo martire è stato provato fin dal 680, a Roma, sotto il pontificato di sant'Agatone [1].

    Valoroso soldato dell'Emmanuele, tu riposi ora ai suoi piedi. Dall'alto del cielo, volgi lo sguardo sulla cristianità che applaude ai tuoi trionfi. In questo periodo dell'anno, tu ci appari come il fedele custode della culla del divino Bambino, e l'ufficio che adempivi alla corte dei principi della terra, lo eserciti ora nel palazzo del Re dei re. Degnati di introdurvi e di proteggervi i nostri voti e le nostre preghiere.

    Con quale compiacenza ascolterà le tue preghiere l'Emmanuele che tu hai amato con tanto amore! Nell'ardore di versare il tuo sangue per il suo servizio, non ti basta un volgare teatro; ti ci voleva Roma, questa Babilonia inebriata del sangue dei Martiri - come dice san Giovanni. Ma non volevi solo salire presto in cielo; il tuo zelo per i fratelli ti rendeva inquieto per la loro costanza. Cercavi allora di penetrare nelle oscure prigioni dove essi rientravano sfiniti per le torture; ed andavi a rinsaldare la generosità vacillante. Si sarebbe detto che avessi ricevuto l'ordine di formare la milizia del Re dei cieli, e che non dovessi entrare in cielo se non in compagnia dei guerrieri scelti da te per la custodia della sua persona.

    Infine, è giunto il momento in cui devi pensare alla tua stessa corona, è suonata l'ora della confessione. Ma, per un atleta come te, o Sebastiano, non basta un solo martirio. Invano gli arcieri hanno esaurito su di te le loro frecce; ti è rimasta ancora tutta la vita, e la vittima è sempre intatta per una seconda immolazione. Questi furono i cristiani dei primi tempi, e noi siamo i loro figli.

    Dunque, o guerriero del Signore, considera l'estrema debolezza dei nostri cuori nei quali languisce l'amore di Cristo; abbi pietà dei tuoi ultimi discendenti. Tutto ci spaventa, tutto ci accascia, e troppo spesso siamo, anche a nostra insaputa, nemici della croce. Dimentichiamo che non possiamo stare insieme con i Martiri, se i nostri cuori non sono generosi come fu il loro. Siamo vili nella lotta contro il mondo e le sue vanità, contro le inclinazioni del nostro cuore e le attrattive dei sensi; e quando abbiamo fatto con Dio una facile pace, sigillata dal pegno del suo amore, crediamo che non ci resti altro che camminare dolcemente verso il cielo, senza prove e senza sacrifici volontari. Sottraici a simili illusioni, o Sebastiano, ridestaci dal nostro sonno, e rianima quindi l'amore che dorme nelle nostre anime.

    Difendici dal contagio dell'esempio e dalla padronanza delle massime del mondo che si presentano con un falso volto di cristianesimo. Rendici bramosi della nostra santificazione, vigilanti sulle nostre inclinazioni, zelanti per la salvezza dei nostri fratelli, amici della croce, e distaccati dal nostro corpo. Per quelle frecce che hanno trafitto le tue membra, allontana da noi i colpi che il nemico vuol vibrarci nell'ombra.

    Armaci, o soldato di Cristo, della celeste armatura che ci descrive il grande Apostolo nella sua Lettera agli Efesini (6, 13-17); metti sul nostro cuore la corazza della giustizia, che lo difenderà contro il peccato; copri il nostro capo coll'elmo della salvezza, cioè con la speranza dei beni futuri, speranza che è ugualmente lontana dall'inquietudine e dalla presunzione; poni al nostro braccio lo scudo della fede, duro come il diamante e contro il quale verranno ad infrangersi le tentazioni del nemico che vorrebbe sviare la nostra mente per sedurre il nostro cuore; e poni infine nella nostra mano la spada della parola di Dio, con la quale distruggeremo tutti gli errori e rovesceremo tutti i vizi, poiché il cielo e la terra passano, e la Parola di Dio resta, come nostra regola e nostra speranza.
    Difensore della Chiesa, così chiamato per bocca d'un santo Papa Martire, leva la tua spada per difenderla ancora. Abbatti i suoi nemici, sventa i loro perversi piani, dacci quella pace che la Chiesa gusta così di rado e durante la quale si prepara a nuove lotte. Benedici le armi cristiane nel giorno in cui dovremo lottare contro i nemici esterni. Proteggi Roma che onora la tua tomba. Salva la Francia, che si gloriò a lungo di possedere una parte delle tue sacre ossa. Allontana da noi i flagelli della peste le malattie contagiose. Ascolta la voce di coloro che, ogni anno, ti implorano per la conservazione degli animali che il Signore ha dato all'uomo per aiutarlo nelle sue fatiche. E infine, con le tue preghiere, assicuraci il riposo della vita presente, ma soprattutto i beni dell'eternità.



    [1] Cosi pure a Milano nel 1573 e a Lisbona nel 1599. La scelta del Vangelo e dell'antifona per il communio deriva da questo potere.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 351-355

  8. #28
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    Predefinito re: 31 gennaio 2013: San Giovanni Bosco, confessore

    20 gennaio 2013: DOMENICA SECONDA
    DOPO L'EPIFANIA

    Il miracolo di Cana.

    Il terzo Mistero dell'Epifania ci mostra la realizzazione dei piani della divina misericordia sul mondo, come pure ci manifesta una terza volta la gloria dell'Emmanuele. La Stella ha guidato l'anima alla fede, l'Acqua santificata del Giordano le ha conferito la purezza, il Banchetto nuziale la unisce al suo Dio. Abbiamo cantato lo Sposo che usciva radioso incontro alla Sposa; l'abbiamo sentito chiamarla dalle vette del Libano; ora che l'ha illuminata e purificata, vuole inebriarla del vino del suo amore.

    Si è preparato un banchetto, un banchetto nuziale; la Madre di Gesù vi assiste; poiché, dopo aver cooperato al mistero della Incarnazione del Verbo, è giusto che sia associata a tutte le opere del suo Figliuolo, a tutti i favori che egli prodiga ai suoi eletti. Ma nel bel mezzo del banchetto viene a mancare il vino. Fin'allora la Gentilità non aveva conosciuto il dolce vino della Carità; la Sinagoga non aveva prodotto che graspi selvatici. Cristo è la vera Vite, come dice egli stesso. Egli solo poteva dare quel vino che allieta il cuore dell'uomo (Sal 103), e offrirci a bere di quel calice inebriante che David aveva cantato (Sal 22).

    Maria dice al Salvatore: "Non hanno più vino". Spetta alla Madre di Dio far presenti a lui le necessità degli uomini, dei quali pure è la madre. Tuttavia, Gesù le risponde con una apparente freddezza: "Che importa a me e a te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora". Questo perché, in quel grande Mistero, egli avrebbe agito non più come Figlio di Maria, ma come Figlio di Dio. Più tardi, nell'ora che deve venire, apparirà agli occhi di quella stessa Madre, morente sulla croce, secondo l'umanità che aveva ricevuta da essa. Maria ha compreso subito l'intenzione divina del suo Figliuolo, e proferisce le parole che ripete sempre a tutti i suoi figli: Fate quello che vi dirà.

    Ora c'erano il sei grandi recipienti di pietra, ed erano vuoti. Il mondo, infatti, era giunto alla sua sesta età, come insegnano sant'Agostino e gli altri dottori insieme con lui. In queste sei età, la terra aspettava il suo Salvatore, che doveva ammaestrarla e salvarla. Gesù ordina di riempire d'acqua i recipienti; ma l'acqua non era adatta per il banchetto dello Sposo. Le figure, le profezie dell'antico mondo erano quell'acqua; e nessun uomo, fino all'avvento della sesta età in cui Cristo che è la Vite doveva comunicarsi, avrebbe stretto alleanza con il Verbo divino.

    Ma quando è venuto l'Emmanuele, egli non ha che una parola da dire: "Attingete subito". Il vino della nuova Alleanza, quel vino che era riservato per la fine, riempie esso solo i recipienti. Assumendo la nostra natura umana, natura debole come l'acqua, egli ne ha voluto la trasformazione e l'ha elevata fino a sé, facendoci partecipi della natura divina (2Pt 4,1); ci ha resi capaci di stringere l'unione con lui, di formare l'unico corpo di cui egli è il Capo, la Chiesa di cui è lo Sposo, e che amava da tutta l'eternità d'un amore così ardente che è disceso dal cielo per celebrare queste nozze con essa.

    San Matteo, l'Evangelista dell'umanità del Salvatore, ha ricevuto dallo Spirito Santo l'incarico di annunciarci il mistero della fede mediante la Stella; san Luca, l'Evangelista del Sacerdozio, è stato scelto per istruirci sul mistero della Purificazione mediante le Acque; spettava al Discepolo prediletto rivelarci il mistero delle Nozze divine. Perciò, suggerendo alla santa Chiesa l'intenzione di questo terzo mistero, si serve della seguente espressione: Questo il primo dei miracoli di Gesù, ed egli vi manifestò la sua gloria. A Betlemme, l'Oro e l'Incenso dei Magi profetizzarono la divinità e la Regalità nascoste del Bambino; sul Giordano, la discesa dello Spirito Santo e la voce del Padre proclamarono Figlio di Dio l'artigiano di Nazareth; a Cana, agisce Gesù stesso e agisce da Dio: "Infatti - dice sant'Agostino - Colui che trasformò l'acqua in vino nelle idrie non poteva essere se non quello stesso che, ogni anno, opera un simile prodigio nella vite". Cosicché da quel momento - come nota san Giovanni - "i suoi discepoli credettero in lui", e cominciò a formarsi il collegio apostolico.

    MESSA

    EPISTOLA (Rm 12,6 16). - Fratelli: Avendo doni secondo la grazia che ci è stata donata, chi ha la profezia (l'eserciti) secondo la regola della fede; chi il ministero, amministri; chi l'insegnamento, insegni; chi ha l'esortazione, esorti; chi distribuisce (lo faccia) con semplicità; chi presiede, con sollecitudine; chi fa opere di misericordia, con ilarità. La vostra carità non sia finta. Odiate il male; affezionatevi al bene. Amatevi scambievolmente con amore fraterno, prevenendovi gli uni gli altri nel rendervi onore. Non pigri nello zelo, ferventi nello spirito, servite al Signore. Siate allegri per la speranza, pazienti nella tribolazione, assidui nella preghiera. Provvedete ai bisogni dei santi; praticate l'ospitalità. Benedite quelli che vi perseguitano: benedite e non vogliate maledire. Rallegratevi con chi gioisce; piangete con chi piange, avendo gli stessi sentimenti l'uno per l'altro. Non aspirate alle cose alte, ma adattatevi alle umili.

    La pace, che nel mondo dei santi è la caratteristica dei figli di Dio, costituisce parimenti l'unità della Chiesa, che è in essa, fin da questa terra, veramente Sposa. Per essa è un solo corpo, le cui diverse membra vedono conservata la loro molteplicità sotto l'impulso dell'unico vero capo, e le loro diverse funzioni ricondotte tutte, nella loro varietà, all'unica direzione, all'amore del Cristo Sposo. L'Epistola che è stata letta non ha altro oggetto se non di mostrarci l'impero della carità, regina delle virtù, le applicazioni di quella pace essenziale al cristianesimo, di specificarne in particolare le forme e le condizioni, di adattarne la pratica ad ogni situazione sociale, ad ogni circostanza della vita. Ed è tale l'importanza di queste considerazioni per la Madre nostra, la santa Chiesa, che essa vi ritornerà fra otto giorni, riprendendo, nella terza Domenica dopo l'Epifania, al punto stesso in cui lo interrompe oggi, il testo dell'Apostolo.

    Prima delle sacre nozze, molto lontano dalla vita divina nella pace di Dio che esse apportano al mondo, vi era per il genere umano la divisione nella morte.

    VANGELO (Gv 2,1-11). - In quel tempo: C'era un banchetto nuziale in Cana di Galilea e v'era la madre di Gesù. E alle nozze fu invitato Gesù coi suoi discepoli. Ed essendo venuto a mancare il vino, dice a Gesù la madre: Non hanno più vino. E Gesù a lei: Che ho da far con te, o donna ? L'ora mia non è ancora venuta. Dice la sua madre ai servitori; Fate tutto quello che vi dirà. Or c'erano lì sei idrie di pietra, preparate per le purificazioni dei Giudei, le quali contenevano da due a tre metrete ciascuna. Gesù disse loro: Empite d'acqua le idrie. E le empirono fino all'orlo. E disse ad essi: Ora attingete e portate al maestro di tavola. E portarono. Or come ebbe il maestro di tavola assaggiata l'acqua mutata in vino, che non sapeva donde venisse (ma lo sapevano i servitori che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo e gli disse: Tutti da principio pongono il vino migliore, e quando son già brilli danno l'inferiore; mentre tu hai serbato il migliore fino ad ora. Così Gesù fece il primo dei suoi miracoli in Cana di Galilea, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui.

    Meravigliosa sorte la nostra! Dio si è degnato, come dice l'Apostolo, di mostrarci le ricchezze della sua gloria su vasi di misericordia (Rm 9,23). Le idrie di Cana, immagini delle anime nostre, erano insensibili, e non destinate certo a tanto onore. Gesù ordina ai suoi ministri di versarvi dell'acqua; e già con quell'acqua le purifica; ma pensa di non aver fatto ancora nulla se non le riempie fino all'orlo di quel vino celeste e nuovo che si doveva bere solo nel regno del Padre suo. Così la divina carità, che risiede nel Sacramento d'amore, ci viene comunicata; e, per non venir meno alla sua gloria, l'Emmanuele che vuoi sposare le anime nostre le eleva fino a sé. Prepariamoci dunque per questa unione, e secondo il consiglio dell'Apostolo, rendiamoci simili a quella Vergine casta che è destinata a uno Sposo senza macchia (2Cor 11).

    PREGHIAMO

    O Dio onnipotente ed eterno, che governi il corso delle cose celesti e terrestri, accogli clemente le suppliche del tuo popolo, e concedi ai nostri giorni la tua pace.



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 240-243

  9. #29
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    Predefinito re: 31 gennaio 2013: San Giovanni Bosco, confessore

    21 GENNAIO 2013

    SANT'AGNESE, VERGINE E MARTIRE



    Non abbiamo ancora esaurito la splendida assemblea di Martiri che si incontra in questi giorni dell'anno. Ieri Sebastiano; domani Vincenzo, che porta la vittoria finanche nel suo nome. Fra questi grandi santi appare oggi la giovanissima Agnese. È a una fanciulla di tredici anni che l'Emmanuele ha dato il coraggio del martirio. Essa avanza nell'arena con un passo fermo al pari di quello dell'ufficiale romano e del Diacono di Saragozza. Se questi sono i soldati di Cristo, quella ne è la casta amante. Ecco il trionfo del Figlio di Maria! Egli si è appena manifestato al mondo, che tutti i nobili cuori volano verso di lui, secondo quelle parole: "Dove sarà il corpo, ivi si raduneranno le aquile" (Mt 24,28).

    Mirabile frutto della verginità della madre sua, che ha tenuto in onore la fecondità dell'anima, molto al disopra di quella dei corpi. Essa ha aperto una nuova via attraverso la quale le anime elette avanzano rapidamente fino al divino Sole, di cui il loro sguardo purificato contempla, senza nubi, i raggi, poiché egli ha detto: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" (Mt 5,8).

    Gloria immortale della Chiesa cattolica, la sola che possieda nel suo seno il dono della verginità, principio di tutte le dedizioni, poiché procede unicamente dall'amore! Sublime onore per Roma cristiana aver prodotto Agnese, questo angelo della terra, davanti a cui impallidiscono le antiche Vestali la cui verginità ricolma di favori e di ricchezze non fu mai provata dal ferro e dal fuoco!

    Quale fama può paragonarsi a quella di questa fanciulla, il cui nome sarà letto sino alla fine del mondo nel Canone della Messa? L'orma dei suoi innocenti passi, dopo tanti secoli, è ancora impressa nella città santa. Qui, sull'antico Circo Agonale, sorge un tempio che dà accesso a quelle volte già contaminate dalla prostituzione ed ora fragranti del profumo di sant'Agnese. Più lontano, sulla via Nomentana, fuori delle mura di Roma, una magnifica basilica, costruita da Costantino, custodisce, sotto un altare rivestito di pietre preziose, il casto corpo della vergine. Sotto terra, attorno alla basilica, hanno inizio e si estendono vaste cripte, al centro delle quali Agnese riposò fino al giorno della pace e dove dormirono, come sua guardia d'onore, migliaia di Martiri.

    Né dobbiamo passare sotto silenzio il grazioso omaggio che rende ogni anno la santa Chiesa di Roma alla giovane Vergine, nel giorno della sua festa. Vengono posti sull'altare della basilica Nomentana due agnelli, che ricordano insieme la mansuetudine del divino Agnello e la dolcezza di Agnese. Dopo essere stati benedetti dall'Abate dei Canonici regolari che prestano servizio in quella chiesa, vengono portati in un monastero di religiose che li allevano con cura e la loro lana serve per tessere il Pallium che il Sommo Pontefice deve mandare, come segno della loro giurisdizione a tutti i Patriarchi e Metropoliti del mondo cattolico. Così, il semplice ornamento di lana che quei Prelati porteranno sulle spalle come simbolo della pecora del buon Pastore, e che il Papa prende sulla tomba stessa di san Pietro per inviarlo ad essi, recherà fino agli estremi confini della Chiesa il duplice sentimento della forza del Principe degli Apostoli e della dolcezza virginea di Agnese.

    Riporteremo ora le meravigliose pagine che sant'Ambrogio, nel suo libro sulle Vergini, ha consacrate alla lode di sant'Agnese (l. I, cap. 2, PL 16, c. 189-191). La Chiesa ne legge la maggior parte nell'Ufficio di oggi; e la vergine di Cristo non poteva desiderare miglior panegirista del grande vescovo di Milano, il più eloquente dei Padri in tema di verginità, e il più persuasivo, poiché la storia ci dice che, nelle città in cui predicava, le madri trattenevano in casa le figlie per timore che le ardenti parole del prelato accendessero in loro un così ardente amore per Cristo da vederle rinunciare al matrimonio.

    "Dovendo scrivere un libro sulla Verginità - dice il grande vescovo - mi ritengo onorato di poterlo aprire con l'elogio della vergine la cui solennità ci riunisce. È oggi la festa d'una Vergine: cerchiamo la purezza. È oggi la festa d'una Martire: immoliamo vittime. È oggi la festa di sant'Agnese: si sentano pieni d'ammirazione gli uomini, non si perdano d'animo i fanciulli, guardino con stupore le spose e le vergini cerchino di imitare. Ma come potremo parlare degnamente di colei della quale il nome stesso racchiude l'elogio? Il suo zelo è stato superiore all'età e la sua virtù superiore alla natura, di modo che il suo nome non sembra un nome umano, ma piuttosto un oracolo che presagiva il suo martirio". Il santo Dottore fa qui allusione alla parola agnello, da cui si può far derivare il nome di Agnese. Lo considera quindi come formato dal termine greco agnos, che significa puro, e continua così il suo discorso: "Il nome di questa Vergine è anche un titolo di purezza: devo dunque celebrarla come Martire e come Vergine. È una lode abbondante, né si ha bisogno di cercarla: esiste già di per sé. Si ritiri il retore, e ammutolisca l'eloquenza; una sola parola, il suo solo nome loda Agnese. La cantino dunque i vecchi, i giovani e i bambini. Celebrino tutti gli uomini questa Martire; poiché non possono pronunciare il suo nome senza lodarla.

    Si narra che aveva tredici anni quando subì il martirio. Orribile crudeltà del tiranno, che non risparmia un'età così tenera; ma, più ancora, meraviglioso potere della fede, che trova testimoni di quell'età! C'era posto in un corpo così piccolo per le ferite? La spada trovava appena su quella fanciulla un luogo dove colpire; eppure Agnese aveva in sé il modo di vincere la spada.

    A quell'età la giovanetta trema allo sguardo adirato della madre; una puntura d'ago le strappa le lacrime, come se fosse una ferita. Intrepida fra le mani sanguinose dei carnefici, Agnese rimane immobile sotto le pesanti catene che la opprimono; ignara ancora della morte, ma pronta a morire, presenta tutto il corpo alla punta della spada d'un soldato furente. Viene trascinata, suo malgrado, agli altari: essa stende le braccia a Cristo attraverso i fuochi del sacrificio, e la sua mano forma, fin sulle mani sacrileghe, quel segno che è trofeo del Signore vittorioso.

    Passa il collo e le mani attraverso i ferri che le vengono presentati; ma non se ne trovano che possano stringere membra così esili.

    Nuovo genere di martirio! La Vergine non ha ancora l'età del supplizio, ed è già matura per la vittoria; non è ancora matura per il combattimento, ed è già capace della corona; aveva contro di sé il pregiudizio dell'età, ed è già maestra in fatto di virtù. La sposa non va verso il letto nuziale con la stessa premura di questa Vergine che avanza piena di gioia, con passo veloce, verso il luogo del supplizio, ornata non d'una capigliatura acconciata a regola d'arte, ma di Cristo; incoronata non di fiori, ma di purezza.

    Tutti piangevano; essa sola non piange. Ci si meraviglia che offra così facilmente la vita che ancora non ha gustata e che la sacrifichi come se già l'avesse esaurita. Tutti stupiscono che sia già il testimone della divinità, ad un'età in cui non potrebbe ancora disporre di se stessa. Le sue parole non avrebbero valore nella causa d'un mortale, ma sono credute oggi nella testimonianza che rende a Dio. Infatti, una forza che è al di sopra della natura non può derivare che dall'autore della stessa natura.

    Quali terrori non mise in atto il giudice per intimidirla! e quante carezze per conquistarla! Quanti uomini la chiesero in isposa! Essa esclama: L'amata fa ingiuria allo sposo, se si fa aspettare!

    Mi avrà soltanto colui che per primo mi ha scelta. Perché tardi, o carnefice? Perisca questo corpo che può essere amato da occhi che io non gradisco.

    Si offre, prega, e china il capo. Avreste potuto vedere il carnefice tremare come se egli stesso fosse stato condannato, la sua mano esitante, il suo volto pallido come per un estraneo pericolo, mentre la giovinetta contemplava, senza alcun timore, il proprio pericolo. Ecco dunque, in una sola vittima, un duplice martirio: uno di castità, l'altro di religione. Agnese rimase vergine, ed ottenne il martirio".

    La Chiesa Romana canta oggi magnifici responsori nei quali Agnese esprime con tanta soavità il suo innocente amore, e la beatitudine che prova nell'essere disposata a Cristo. Sono formati da parole tratte dagli antichi Atti della martire, attribuiti per lungo tempo a sant'Ambrogio.



    R/. Il mio Sposo ha ornato di pietre preziose il mio collo e la mia mano; ha posto ai miei orecchi perle inestimabili: * E mi ha tutta adornata di pietre fini e scintillanti. V/. Ha lasciato il suo segno sul mio viso, affinché non ammetta altro amante che lui, * E mi ha tutta adornata ...



    R/. Io amo Cristo, e sarò la sposa di Colui la cui Madre è Vergine, di Colui che il Padre ha generato spiritualmente, di Colui che già fa risonare ai miei orecchi le sue armoniose note: * Se l'amo, sono casta; se lo tocco, sono pura; se lo possiedo, sono vergine. V/. Mi ha dato un anello come pegno della sua fede, e mi ha ornata d'una ricca collana. * Se l'amo ...



    R/. Ho succhiato il miele e il latte sulle sue labbra: * E il suo sangue colora le mie gote. V/. Mi ha mostrato tesori incomparabili, dei quali mi ha promesso il possesso. * E il suo sangue ...



    R/. Di già, per l'alimento celeste, la sua carne è unita alla mia, e il suo sangue colora le mie gote. * È lui la cui Madre è vergine, e che il Padre ha generato spiritualmente. V/. Sono unita a Colui che gli Angeli servono, a Colui del quale il sole e la luna ammirano la bellezza. * È lui la cui Madre ...



    Come è dolce e forte, o Agnese, l'amore di Gesù tuo sposo! Come si impadronisce dei cuori innocenti, per trasformarli in cuori intrepidi! Che cosa ti importavano il mondo e i suoi piaceri, il supplizio e le sue torture? Che dovevi temere dalla terribile prova a cui volle sottometterti la feroce derisione del persecutore? Il rogo e la spada non erano nulla per te; il tuo amore ti diceva abbastanza che nessuna violenza umana ti avrebbe rapito il cuore dello Sposo divino; avevi la sua parola, e sapevi che egli è fedele.

    O fanciulla così pura in mezzo al contagio di Roma, così libera in mezzo ad un popolo schiavo, come appare in te il carattere dell'Emmanuele! Egli è l'Agnello, e tu sei semplice come lui; è il Leone della tribù di Giuda, e, come lui, tu sei invincibile. Quale è dunque la nuova stirpe discesa dal ciclo che viene a popolare la terra? Oh, vivrà per lunghi secoli questa famiglia cristiana uscita dai Martiri, che conta fra i suoi antenati eroi così magnanimi: vergini, fanciulli, a fianco di pontefici e di guerrieri, tutti ripieni d'un fuoco celeste, e che aspirano solo ad uscire da questo mondo dopo aver sparso il seme delle virtù! Così sono riavvicinati a noi gli esempi di Cristo dalla catena dei suoi Martiri. Per natura essi erano fragili come noi; dovevano vincere i costumi pagani che avevano corrotto il sangue dell'umanità; eppure erano forti e puri.

    Volgi gli occhi su di noi, o Agnese, e soccorrici. L'amore di Cristo languisce nei nostri cuori. Le tue battaglie ci commuovono; versiamo qualche lacrima al racconto del tuo eroismo; ma siamo deboli contro il mondo e i sensi. Infrolliti dalla continua ricerca dei nostri comodi e da un folle sperpero di quella che chiamiamo sensibilità, non abbiamo più coraggio di fronte ai doveri. Non è forse vero dire che la santità non è più compresa? Essa stupisce, e scandalizza; la giudichiamo imprudente ed esagerata. Eppure, o Vergine di Cristo, tu sei lì davanti a noi, con le tue rinunce, i tuoi ardori celesti, la tua sete della sofferenza che conduce a Gesù. Prega per noi indegni; elevaci al sentimento d'un amore generoso ed operante. Vi sono, sì anime forti che ti seguono, ma sono poche; aumentane il numero con le tue preghiere, affinché l'Agnello, in cielo, abbia un numeroso seguito.

    Tu ci appari, o Vergine innocente, in questi giorni in cui ci stringiamo intorno alla culla del divino Bambino. Chi potrebbe descrivere le carezze che tu gli prodighi, e quelle di cui egli ti ricolma? Lascia tuttavia che i peccatori si accostino a questo Agnello che viene a riscattarli, e raccomandali tu stessa a quel Gesù che hai sempre amato. Guidaci a Maria, la tenera e pura agnella che ci ha dato il salvatore. Tu che rispecchi in te il soave splendore della sua verginità, ottienici da essa uno di quegli sguardi che purificano i cuori.

    Intercedi, o Agnese, per la santa Chiesa che è anche la Sposa di Gesù. È essa che ti ha generata al suo amore, ed è da essa che anche noi abbiamo la vita e la luce. Ottieni che sia sempre più feconda di vergini fedeli. Proteggi Roma, dove la tua tomba è tanto gloriosa. Benedici i Prelati della Chiesa: chiedi per essi la dolcezza dell'agnello, la fermezza della roccia, lo zelo del buon pastore per la pecorella smarrita. E infine sii l'aiuto di tutti coloro che ti invocano; e il tuo amore per gli uomini si accenda sempre di più a quello che brucia nel Cuore di Gesù.


    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 356-360

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    Predefinito re: 31 gennaio 2013: San Giovanni Bosco, confessore

    22 GENNAIO 2013


    SAN VINCENZO, DIACONO (+ 304)
    E SANT'ANASTASIO, MARTIRI



    Oggi è Vincenzo, il Vittorioso, che viene a raggiungere alla culla dell'Emmanuele il suo capo e il suo fratello Stefano l'Incoronato. Nacque nella Spagna (a Huesca); esercitò il ministero del Diaconato a Saragozza e, per la forza e l'ardore della sua fede, presagì i destini del regno Cattolico fra tutti gli altri. Ma egli non appartiene alla sola Spagna. Come Stefano, come Lorenzo, Vincenzo è l'eroe della Cristianità. Attraverso le pietre che piovvero su di lui come su un bestemmiatore, il Diacono Stefano predicò il Cristo; sulla graticola ardente, al pari del Diacono Lorenzo, il Diacono Vincenzo confessò il Figlio di Dio. Questo triumvirato di Martiri forma l'ornamento delle Litanie, e i loro nomi simbolici e predestinati, Corona, Alloro e Vittoria, ci annunciano i più valorosi cavalieri della Chiesa.

    Vincenzo ha vinto il fuoco, perché la fiamma dell'amore che lo consumava dentro era ancora più ardente di quella che bruciava il suo corpo. Meravigliosi prodigi l'hanno assistito nelle sue dure battaglie; ma il Signore, che si glorificava in lui, non ha tuttavia voluto che perdesse la corona, e, in mezzo alle torture, il santo Diacono aveva un solo pensiero, di riconoscere cioè con l'offerta del proprio sangue e della propria vita, il sacrificio del Dio che aveva sofferto la morte per lui e per tutti gli uomini. Con quale fedeltà e con quale amore egli custodisce, in questi santi giorni, la culla del suo Maestro! Come non indietreggiò quando si è trattato di donarsi a lui attraverso tante sofferenze, così accuserebbe la viltà dei cristiani che portassero a Gesù che nasce, soltanto cuori freddi e legati ad altri affetti! A lui è stata richiesta la vita a brani, e l'ha data sorridendo; e noi rifiuteremo di togliere i futili ostacoli che ci impediscono di cominciare seriamente con Gesù una vita nuova? Che la visione di tutti questi Martiri che si affollano da alcuni giorni stimoli dunque i nostri cuori, onde imparino a diventare semplici e forti come quelli dei martiri.

    Un'antica tradizione assegna a san Vincenzo il patrocinio sui lavori della viticultura e su coloro che li esercitano. È una felice idea, questa, e ci richiama misteriosamente la parte che il Diacono ha nel divin Sacrificio. È lui che versa nel calice il vino che presto diventerà sangue di Cristo. Pochi giorni fa assistevamo al banchetto di Cana: Cristo ci offriva qui la sua divina bevanda, il vino del suo amore. Oggi, egli ce lo presenta di nuovo, per mano di Vincenzo. Per rendersi degno di così sublime ministero, il santo Diacono si è provato a confondere il proprio sangue, come un vino generoso, nel calice che contiene il prezzo della salvezza del mondo. Si avverano così le parole dell'Apostolo il quale ci dice che i Santi completano nella loro carne, per il merito delle proprie sofferenze, quello che manca non all'efficacia ma alla pienezza del Sacrificio di Cristo del quale sono le membra (Col 1,24).

    Noi ti salutiamo, o Diacono Vittorioso, che rechi fra le mani il Calice della salvezza. Un giorno tu lo presentavi all'altare affinché il vino che esso conteneva fosse trasformato, mediante le parole sacre, nel Sangue di Cristo; lo presentavi ai fedeli, affinché tutti coloro che avevano sete di Dio si dissetassero alle sorgenti della vita eterna. Oggi, lo offri tu stesso a Cristo; ed è pieno fino all'orlo del tuo stesso sangue. Tu fosti un Diacono fedele e immolasti la tua vita per attestare i Misteri dei quali eri il dispensatore. Erano passati tre secoli dall'immolazione di Stefano e sessant'anni dal giorno in cui le membra di Lorenzo fumigavano sui bracieri di Roma, come un incenso dall'odore soave e forte; e in quell'ultima persecuzione di Diocleziano, alla vigilia del trionfo della Chiesa, tu venivi a testimoniare, con la tua costanza, che la fedeltà del Diacono non era venuta meno.

    La Chiesa è orgogliosa delle tue vittorie, o Vincenzo. Ricordati che è appunto per essa, dopo Cristo, che hai combattuto. Siici dunque propizio; e segna questo giorno della tua festa con gli effetti della tua protezione su di noi. Tu contempli ora faccia a faccia il Re dei secoli del quale fosti il Cavaliere; i suoi splendori eterni brillano al tuo sguardo fermo per quanto abbagliato. Anche noi, nella nostra valle di lacrime, lo possediamo e lo vediamo, poiché egli è l'Emmanuele, il Dio con noi. Ma ora si mostra ai nostri sguardi sotto le sembianze d'un debole bambino, perché teme di spaventarci con lo splendore della sua gloria. Rassicura tuttavia i nostri cuori turbati talvolta dal pensiero che quel dolce Salvatore dev'essere un giorno il nostro giudice. La visione di ciò che tu hai fatto, e di ciò che hai sofferto per il suo servizio, commuove anche noi, così vuoti di opere buone, così dimentichi di un tale maestro. Fa' che i tuoi esempi non passino invano sotto i nostri occhi. Gesù viene a predicarci la semplicità dell'infanzia, quella semplicità che proviene dall'umiltà e dalla fiducia in lui, quella semplicità che ti fece affrontare tanti tormenti senza esitazioni e con cuore tranquillo. Rendici docili alla voce di un Dio che ci parla con i suoi esempi, calmi e gioiosi nel compimento dei suoi voleri, desiderosi unicamente del suo beneplacito.

    Prega per tutti i Cristiani, poiché tutti sono chiamati alla lotta contro il mondo e le passioni del proprio cuore. Noi tutti siamo chiamati alla palma, alla corona, alla vittoria. Gesù ammetterà i soli vincitori al banchetto della gloria eterna, a quella tavola alla quale ci ha promesso di bere insieme con noi il vino nuovo, nel regno del Padre suo. La veste nuziale necessaria per avervi accesso, deve essere bagnata nel sangue dell'Agnello; dobbiamo essere tutti martiri, se non di fatto, almeno di desiderio, poiché vale poco aver vinto i carnefici, se non si è vinto se stesso.

    Assisti con il tuo aiuto i nuovi martiri che versano ancor oggi il proprio sangue, affinché siano degni dei gloriosi tempi che ti diedero alla Chiesa, Vincenzo. Proteggi la Spagna che fu la tua patria. Prega l'Emmanuele di farvi nascere eroi forti e fedeli come te, affinché il regno Cattolico, così zelante per la purezza della fede, sia sempre all'avanguardia dei popoli cristiani. Non permettere che la Chiesa di Saragozza, santificata dal tuo ministero di Diacono, veda indebolirsi il sentimento della fede cattolica o spezzarsi il legame dell'unità. E poiché la pietà dei popoli ti saluta come il protettore dei vigneti, benedici quella parte della creazione che il Signore ha destinata all'uso dell'uomo, e di cui egli ha voluto fare lo strumento del più profondo dei misteri e uno dei più bei simboli del suo amore per noi.



    * * *



    In questo giorno la Chiesa onora la memoria del santo monaco persiano Anastasio, che soffrì il martirio fra il 626 e il 628. Cosroe, essendosi impadronito di Gerusalemme, aveva trafugato in Persia il legno della vera Croce, che fu recuperato più tardi da Eraclio. La vista del legno santo suscitò in Anastasio, ancora pagano, il desiderio di conoscere la Religione di cui costituiva il trofeo. Rinunciò alla superstizione persiana per abbracciare il Cristianesimo e la vita monastica. Questo comportamento, insieme con lo zelo del neofito, eccitò contro di lui il risentimento dei pagani, e dopo penose torture il soldato di Cristo ebbe il capo troncato. Il suo corpo fu portato a Costantinopoli e di qui a Roma, dove è onorato [1]. Due famose Chiese di questa capitale, una nella città, l'altra fuori le mura, sono dedicate in comune a san Vincenzo e a sant'Anastasio, perché questi due grandi Martiri hanno sofferto nello stesso giorno, benché in epoca diversa. Questo è il motivo che ha indotto la Chiesa a riunire le due feste in una sola. Preghiamo questo nuovo atleta di Cristo di esserci favorevole, e di raccomandarci al Signore la cui croce tanto gli fu cara.



    [1] I numerosi miracoli che seguirono questa Traslazione meritarono a sant'Anastasio il nome di taumaturgo e ispirarono la scelta della pericope evangelica nella Messa, cioè la guarigione dell'emorroissa e la resurrezione della figlia di Giairo (Mc 5,21-34).



    da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 361-364

 

 
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