Giappone alla svolta
Le elezioni di domenica sono un cambio epocale per il paese che è in crisi di identità prima ancora che politica
di Francesco Sisci
PECHINO -- Quello che sta per avvenire in Giappone il 30 di agosto non è solo un’elezione, ma il cambio storico, di un’epoca, il vento storia che volta direzione, in fondo forse la fine della stessa era Meji, quella in cui il Giappone da metà dell’800 aveva rincorso con successo il modello occidentale e si era eretto a maggiore potenza asiatica, e aveva perfino sfiorato la possibilità di superare la prima economia del mondo, quella americana negli anni ’80.
Tutto questo appare oggi chiaramente tramontato. L’economia giapponese sta per essere superata da quella della Cina, che dopo circa un secolo mezzo peraltro è già tornata a essere la maggiore potenza politica asiatica. Il modello sociale tradizionale, familista, è in frantumi.
Gli anziani che non riescono a vivere più con la loro pensione e non sono sostenuti dalla famiglia, allora si lasciano morire d’inedia oppure si danno ai piccoli furti. Molti giovani invece non riescono più ad approdare alla meta di un impiego stabile e garantito vivono alla giornata, senza troppe ambizioni
Sul quadro strategico, sempre fondamentale per i politici nipponici, invece si riaffaccia l’abbraccio tra Stati uniti e Cina, che poi sconfisse il Giappone nella seconda guerra mondiale. Oggi Tokyo si sta accodando come terzo elemento di questo nuovo asse del pacifico, ma chiaramente il ruolo storico preso dopo al seconda guerra mondiale è finito.
Così come sembra davvero finito stavolta il ruolo politico del partito liberal democratio (Ldp) che dal dopo guerra ha dominato la politica nazionale. Secondo i giornali di Tokyo, lo Ldp subirà la seconda sconfitta in 54 anni di elezioni. La prima arrivò alla fine della guerra fredda e fu solo temporanea, stavolta è senz’altro diversa, più permanente.
Dopo la probabile sconfitta, i nuovi vincitori del Partito Democratico (Dp) in parte fuoriusciti dallo Ldp, dovranno affrontare gravi emergenze economiche. La recessione è ancora viva e forte nel paese, anche se nel secondo trimestre dell’anno c’è stata una significativa ripresa dello 0,9%. Nel frattempo però la Cina è diventata il maggior partner commerciale del Giappone, al posto dell’America, un altro cambio molto significativo.
La prima sconfitta avvenne nel 1993 e lo Ldp fece posto a una fragile coalizione multipartitica. Oggi i nuovi vincitori dello Dp potrebbero governare da soli, e quindi portare avanti politiche più certe.
La ripresina in corso è quindi frutto in parte del traino cinese e di più parte del grande piano di stimolo varato dal governo (14 trilioni di yen, circa 100 miliardi di euro, fino a marzo 2010). Solo che questo stimolo sta facendo arrivare alle stelle il debito pubblico interno, che ormai sfiora il 200% del prodotto interno lordo (Pil).
Il Dp potrebbe cambiare la destinazione di questi fondi e cercare, da partito di centro-sinistra, di tenere più conto della sorti dei ceti più deboli. Inoltre, negli ultimi anni i governi dello Ldp avevano cercato di riformare il sistema delle grandi imprese a partecipazioni incrociate, cercando di snellirle e di dare uno stimolo agli imprenditori più schiettamente privati.
Enormi corporazioni statali, come il servizio delle poste, dovevano essere riformate. Solo che queste riforme e snellimenti creavano nuovi disoccupati, il Pd si oppone a queste riforme in nome della tutela del lavoro, ma non è chiaro poi cosa intenda fare per rilanciare il sistema produttivo giapponese che ormai appare elefantiaco e spesso non efficiente.
Sul versante positivo c’è il fatto che comunque l’enorme debito pubblico nipponico è possiduto quasi totalmente dai giapponesi stessi. In teoria potrebbe esserci quindi un coraggioso programma di privatizzazioni che con le sue risorse coprisse i debiti contratti. Solo che con le privatizzazioni arriverebbero nuovi disoccupati, nuova povertà, e a quel punto potrebbero esserci altri gravi problemi sociali e politici.
Inoltre sulla politica estera il Pd promette di essere più “pacifista”, cosa che significa meno certezza dell’impegno della flotta giapponese in appoggio alla missione Nato in Afghanistan, ma anche più sicurezza verso la Cina, preoccupata per la possibilità di un ritorno alla pratica della visita dell’altare Yasukuni, dove sono celebrati anche alcuni criminali di guerra. Pechino considera la visita allo Yasukuni un sostegno al passato militarista del Giappone.
LA BATTAGLIA DEI SANGUE BLU
Yukio Hatoyama, nato l’11 febbraio del 1947, leader del Partito Democratico (Pd) di opposizione domenica sera molto probabilmente dovrebbe proclamare la vittoria del suo partito e accedere al posto che fu del nonno negli anni ’50, diventando anche lui primo ministro del Giappone.
Hatoyama è politico di professione da generazioni come molti deputati giapponesi, che si succedono al parlamento quasi fosse un privilegio aristocratico. Come gli altri suoi parenti Hatoyama ha cominciato sì la carriera nel partito di governo Liberal democratico (Ldp) ma nel 1993, al momento della sconfitta elettorale, lo lasciò per fondare il Nuovo Partito Sakigake.
La nuova formazione però ebbe vita breve, come poco fu il tempo in cui lo Ldp stette fuori dal governo. Hatoyama però non si placò e fondò insieme ad altri transfughi il Partito democratico che domenica dovrebbe vincere.
Studente modello, Hatoyama si è laureato nella migliore università del paese, quella di Tokyo, e ha un Ph.D. in ingegneria da Stanford. Lui è nato nella isola settentrionale di Hokkaido, anche se la famiglia ricca di origine viene da Tokyo.
È cristiano protestante battista, come il nonno premier Ichiro, il quale nel dopoguerra riprese i rapporti diplomatici con l’Urss ma anche amnistiò alcuni criminali di guerra condannati all’ergastolo.
Taro Aso, nato il 20 settembre 1940, è anch’egli nipote di un primo ministro, nonno materno però, Shigeru Yoshida, l’uomo che negoziò con gli americani il trattato di pace per la fine della guerra.
Anche sua moglie è nipote di un primo ministro e sua sorella è sposata con un cugino dell’imperatore.
Tanta gloria aristocratica si bagna poi comunque in solide basi economiche. Aso è erede di uno dei grandi imperi cementieri nipponici, un po’ come un Pesenti o un Caltagirone.
All’università in patria ha studiato politica ed economia, ma poi è stato a Stanford e alla London School of Economics.
Quindi non è tornato in patria ma ha lavorato in Africa, nelle miniere della Sierra Leone, e ha vissuto in Brasile negli anni ’60. Parla fluentemente inglese e portoghese.
Aso è cattolico, fede che gli viene dalla madre, nel corso del recente G8 dell’Aquila ha anche visto il Papa.
Inoltre è meridionale, zona più conservatrice del dinamico nord del Paese, viene dall’isola di Kyushu.
Aso è anche discendente di Toshimichi Okubo, uno dei tre politici che guidò la riforma Meji ed è considerato fondatore del Giappone moderno. La sua sconfitta domenica forse è simbolica, forse è davvero la fine di quel Giappone emerso con propotenza dalla fine dell’800.