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    Predefinito Martedì elettorale negli USA

    Domani votano 40 milioni di americani
    Ecco cosa scrive a proposito Andrea Mollica

    Martedì 3 novembre ci sarà un mini Election Day con più di 40 milioni di americani chiamati al voto. Ecco le sfide più interessanti, che daranno un quadro più chiaro alle tendenze demoscopiche emerse nell’ultimo anno. I sondaggi rilevano una contrazione del netto vantaggio che ha portato i Democratici tra il 2005 e il 2008 a riconquistare con facilità Congresso e Casa Bianca e ad ottenere ampie maggioranze nelle assemblee legislative e nel numero dei governatori dei 50 Stati.

    New Jersey

    Lo Stato più popoloso ad andare il voto è il New Jersey. Stato incastonato tra la megalopoli di New York e l’area metropolitana di Philadelphia, la prima e la sesta città americane per popolazione, il New Jersey si è sempre contraddistinto per essere uno dei più importanti Swing State, tanto da essere conquistato nel ‘900 22 volte su 25 dal vincitore delle presidenziali. L’imponente crescita demografica delle minoranze etniche ha permesso continue vittorie dei Democratici, che hanno la maggioranza dei Congressmen da ormai 15 anni, che esprimono i 2 senatori del NJ da quasi 30 anni e che controllano circa il 60% dei seggi nell’Assemblea legislativa statale. Da 7 anni i liberal hanno conquistato anche la poltrona di governatore, a rischio come non mai nelle elezioni di settimana prossima. L’incumbent, Jon Corzine, ha vissuto un 2009 orribile, a causa della crisi economica e di alcuni scandali che hanno colpito la sua amministrazione. Attualmente la media Pollster delle opinioni favorevoli/sfavorevoli rileva Corzine sotto il 40%, un valore che significa sconfitta nelle regole della politica americana. La corsa del governatore potrebbe però essere salvata dalla provvidenziale candidatura di un indipendente, Daggett, un ex staffer del Gop dalla forte sensibilità ambientale. L’avversario repubblicano, Chris Christie, ha subito un drastico calo nei sondaggi, che lo rilevavano chiaro favorito alla fine dell’estate. Christie è stato US Attorney dello Stato per l’Amministrazione Bush, e l’eredità dell’ex presidente si è rivelata tossica per l’esponente repubblicano. Attualmente i sondaggi mostrano un esito molto incerto, e con un margine così risicato sarà decisivo lo sforzo del “get out the vote”, la mobilitazione dei propri elettori, che i due partiti metteranno in campo negli ultimi giorni. Il voto d’opinione condannerebbe Corzine, ma il profilo progressista dello Stato e il dominio democratico nelle aree più popolose del New Jersey potrebbero salvare il governatore che proviene da Goldman Sachs.

    Virginia

    La Virginia, così come il New Jersey, ha sviluppato negli ultimi decenni una tendenza che permette al partito fuori dalla Casa Bianca di vincere la carica di Governatore dello Stato. Se questo trend potrebbe essere bloccato da profilo liberal del NJ, la Virginia è uno Stato ancora lontano dall’esprimere una netta preferenza partitica. L’espansione dell’area metropolitana di Washingon Dc che si estende nella zona settentrionale dell’Old Dominion, ricca di giovani laureati e minoranze etniche, ha permesso ai Democratici di tornare competitivi in uno Stato dal profilo conservatore. Dopo anni di vittorie, che hanno portato due Dems al Senato e la maggioranza liberal nella delegazione della House, ora si prospetta il riscatto dei Repubblicani. L’Attorney General dello Stato, Bob McDonnell, guida i sondaggi con oltre 10 punti di vantaggio grazie a due fattori principali. Il primo è la forte mobilitazione dell’elettorato repubblicano, rinvigorito dall’opposizione a Obama, il secondo è la pessima campagna elettorale del candidato democratico Creigh Deeds. Attualmente le indagini mostrano come l’elettorato alle urne sarà molto più conservatore rispetto a quello che ha permesso la vittoria di Obama e di Mark Warner a novembre 2008 (uno swing di circa 12 punti a favore del Gop), non lasciando così alcuna speranza all’ex senatore statale, fortunoso vincitore di una primaria decisa dall’impopolarità dell’ex uomo macchina dei Clinton, Terry McAuliffe. La valanga repubblicana che si prospetta potrebbe anche portare alla perdita democratica del Senato statale.

    New York City

    Il sindaco della più grande città statunitense sarà ancora Michael Bloomberg. L’attuale primo cittadino della Grande Mela veleggia con un vantaggio a doppia cifra sul suo avversario democratico, Bill Thompson, il responsabile finanziario di NY City. Bloomberg, miliardario di simpatie liberal diventato repubblicano nel 2001 per succedere a Rudy Giuliani, ha abbandonato il Gop nel 2007 e correrà da indipendente per il terzo mandato, il primo sindaco ad ottenere questa possibilità. NY City è una città schierata coi Democratici, che contano su circa il 70% degli elettori registrati e dove Obama ha superato l’80% dei voti. I progressisti hanno ottenuto la poltrona di primo cittadino per circa 80 anni su 100 nel secolo scorso, ma dopo gli scontri etnici occorsi all’inizio degli anni ’90 durante il mandato di David Dinkins, il primo sindaco nero di New York, non sono ancora riusciti a ricomporre a livello cittadino la frattura tra l’elettorato afro-americano e le altre componenti della coalizione sociale democratica, molto più che maggioritaria nella quasi totalità delle competizioni elettorali. L’unica zona dove i repubblicani sono forti nella Big Apple è Staten Island, grazie al tradizionale supporto della comunità italo-americana. I nostri antenati scelsero il Gop all’inizio del secolo scorso per la forte conflittualità con gli immigrati di origine irlandese, che hanno dominato per più di un secolo la macchina elettorale dei Democratici newyorchesi. La più che probabile vittoria di Bloomberg, appoggiato dai repubblicani nonostante l’abbandono del partito, toglierà ancora una volta ai liberal il governo della più importante città americana.

    Maine

    Nel Maine si svolgerà un referendum sui matrimoni gay, ammessi nello Stato del New England da una legge approvata a maggio 2009. Ci sarà così una nuova consultazione a livello statale dopo la Prop 8 della California, dove vinsero gli avversari delle unioni omosessuali. I sondaggi rilevano una prevalenza di chi è contrario a bocciare la normativa, ma i margini sono comunque contenuti. Il Maine ha il classico profilo progressista che si riscontra nel New England, dove hanno sempre dominato i repubblicani moderati e dove lo scontro tra conservatori e liberal si è quasi sempre risolto a favore dei secondi in entrambi i partiti. Obama e la leadership congressuale democratica sembrano comunque non interessati a riproporre uno scontro di carattere nazionale sul matrimonio gay simile a quanto proposto dalla strategia di Rove ai tempi dell’Amministrazione Bush.

    Tendenze nazionali

    Il primo test elettorale dell’era Obama permetterà di valutare quanto è forte la mobilitazione dei due elettorati. I candidati democratici più importanti, Deeds e Corzine, hanno attuato tattiche molto differenti. Il primo, consapevole della natura conservatrice della Virginia, ha cercato di distanziarsene tra molte contraddizioni, mentre Corzine ha praticamente proposto il santino del presidente in ogni sua apparizione pubblica, unico modo per mobilitare l’elettorato democratico deluso dal suo governatorato. L’esito elettorale chiarirà un dato già noto, ovvero che per gli esponenti del partito che esprime il presidente è praticamente impossibile separare i propri destini da quelli dell’inquilino della Casa Bianca. A New York si svolgerà anche un’interessante elezione suppletiva per il 23esimo distretto dello Stato. Il collegio è di tradizionale appannaggio dei repubblicani, dato il suo carattere rurale, ma la successione del Rappresentante McHugh, entrato nell’Amministrazione Obama, ha scatenato una guerra fratricida nel Gop. Il democratico Owens correrà contro due esponenti di centro destra, uno appoggiato dai repubblicani, la moderata Scozzafava, l’altro dal Partito Conservatore, gemello newyorchese del Gop, Hoffman. La leadership nazionale del Gop si è spaccata, e l’eventuale tonfo di Scozzafava chiarirebbe come ormai a Nordest anche le ultime tracce dell’Eisenhower Repubblicanism sono state cancellate. Martedì ci saranno inoltre le elezioni per il sindaco di alcune tra le più importanti città americane, oltre a NYC. Atlanta, Boston, Houston, Minneapolis , Pittsburgh e Seattle voteranno i nuovi amministratori cittadini. I candidati favoriti o i sindaci uscenti sono democratici, mentre in alcune metropoli è prevista una consultazione ufficialmente non partitica.

    http://andreamollica.blogspot.com/20...negli-usa.html
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  2. #2
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    Predefinito Re:Martedì elettorale negli USA

    mi sembra che New York abbia riservato delle sorprese, con Bloomberg che si riconferma sindaco di NYC con nemmeno 5 punti di vantaggio sul Democratico, solo 50.000 voti in più e appena sopra il 50%, nonostante le centinaia di dollari spese per ogni singolo voto.
    e poi il 23° Distretto, vinto dal candidato Democratico su quello del Conservative Party NY e della destra repubblicana, dopo il ritiro della candidata ufficiale del GOP, la moderata Scozzafava (:laugh, con successivo endorsement per il candidato democratico...

  3. #3
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    Predefinito Re:Martedì elettorale negli USA

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  4. #4
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    Predefinito Re:Martedì elettorale negli USA

    Secondo me il "martedì elettorale" è stato un serio campanello d'allarme per Obama...

  5. #5
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    Predefinito Re:Martedì elettorale negli USA

    cal451 ha scritto:
    Secondo me il "martedì elettorale" è stato un serio campanello d'allarme per Obama...
    Secondo me no

    http://andreamollica.blogspot.com/20...vorisce-i.html
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  6. #6
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    Predefinito Re:Martedì elettorale negli USA

    Emanuele Rallo ha scritto:
    cal451 ha scritto:
    Secondo me il "martedì elettorale" è stato un serio campanello d'allarme per Obama...
    Secondo me no

    http://andreamollica.blogspot.com/20...vorisce-i.html
    Se avessimo tutti le stesse opinioni non ci sarebbero le corse dei cavalli.
    GBS

    :laugh:

    ps: ogni tanto posto questo "pensiero" perchè mi piace un sacco...

  7. #7
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    Predefinito Re:Martedì elettorale negli USA

    mercoledì 4 novembre 2009

    La sconfitta di Obama

    La parola d’ordine, alla Casa Bianca, è “fare finta di niente”. Secondo il guru di Obama, David Axelrod, il presidente «non ha neppure seguito lo spoglio delle schede in Virginia e New Jersey alla televisione», preferendo concentrarsi sulla partita casalinga dei Chicago Bulls (che, per la cronaca, hanno vinto in rimonta sui Milwaukee Bucks). E secondo il portavoce Robert Gibbs, i giornalisti fanno male a trarre conclusioni troppo affrettate dall’esito dell’ultima tornata elettorale.

    «Non guardiamo a queste corse per il governatore - ha detto, ancora prima dei risultati ufficiali - come a qualcosa che possa significare molto per i nostri sforzi riformatori o in vista delle elezioni del 2010». Ma si trattava del più classico degli spin pre-elettorali. Perché, nella notte tra martedì e mercoledì, la batosta è arrivata. Dura e per certi versi inaspettata. E le “vittime” principali sono senz’altro il Partito democratico e l’amministrazione guidata da Barack H. Obama. «Anche nel 2001 - ha spiegato Gibbs, questa volta a sconfitta ormai consumata - i Repubblicani hanno perso Virginia e New Jersey, ma non credo che questo abbia influito sulle scelte legislative del presidente Bush».

    Tutto vero, naturalmente, ma questo racconta soltanto una parte (e tutto sommato marginale) della realtà. Perché a vedere le sfide per le poltrone di governatore in Virginia e New Jersey come un “referendum su Obama” non erano soltanto i repubblicani più ottimisti, ma anche gli strateghi democratici che avevano deciso di investire nelle due elezioni una montagna di dollari e il “capitale politico” dello stesso Obama. Il presidente, infatti, si è fatto vedere moltissimo negli ultimi mesi, soprattutto in New Jersey, dove i democratici hanno subito una delle sconfitte più amare degli ultimi decenni.

    La Casa Bianca può anche continuare a “far finta di niente”, insomma, ma è davvero poco probabile che questo mini-test elettorale non provochi contraccolpi sulle dinamiche politiche nella beltway washingtoniana, soprattutto perché le due docce fredde di Virginia e New Jersey non sono arrivate da sole. Ma proviamo a entrare nel dettaglio.

    La sconfitta democratica dalle proporzioni più vistose è arrivata in Virginia, dove il candidato repubblicano Bob McDonnell ha sconfitto Creigh Deeds con più di 300mila voti e 17 punti percentuali di distacco (58,6% contro 41,2%), “trascinando” con sé anche i candidati del Gop per le cariche di Liutenant Governor (Bill Bolling) e Attorney General (Ken Cuccinelli), anche loro vincenti, rispettivamente, con 13 e 15 punti di vantaggio. Nel Commonwealth della Virginia, la carica di governatore è limitata a un solo mandato, quindi tecnicamente nessuno dei due candidati era un incumbent, ma il governatore uscente era il democratico Tim Kaine, che nel 2005 aveva battuto il repubblicano Jerry W. Kilgore con quasi 100mila voti 5 punti percentuali di distacco. Ecco le proporzioni reali - e impreviste - della disfatta democratica di quest’anno: uno swing di quasi mezzo milione di voti (e oltre 20 punti percentuali) in cinque anni. Oppure in un anno, visto che nel 2008 Obama aveva ottenuto in Virginia più o meno lo stesso risultato di Kaine.

    Spazzato via, in questo caso soprattutto per colpa della pessima campagna elettorale di Deeds, anche lo storico vantaggio democratico nelle contee del nord (in pratica sobborghi di Washington), dove il partito da sempre costruisce le fortune elettorali necessarie per contrastare lo strapotere repubblicano nel resto dello stato. Oggi la mappa della Virginia è tornata a essere “rosso scuro”, con qualche isolata macchia blu intorno alle città di Alexandria, Richmond e Petersburg. Dopo appena dodici mesi, insomma, un purple state strappato al Gop dopo oltre 40 anni (l’ultimo democratico a vincere, prima di Obama, era stato Lyndon Johnson nel 1964), torna solidamente nella colonna repubblicana. That’s change.

    Non con proporzioni così vistose, ma la sconfitta democratica in Virginia era tutto sommato prevista e, forse, già “digerita” dall’establishment del partito. Quella in New Jersey, invece, non era ipotizzata neppure dagli attivisti repubblicani più accesi, visto che il Garden State ha una tradizione che - da decenni - tende a registrare un distacco molto ridotto tra i due partiti durante i sondaggi effettuati in campagna elettorale, per poi trasformarsi in un sonoro landslide democratico nel giorno del voto. Anche quest’anno, dunque, il vantaggio accumulato dallo sfidante repubblicano Chris Christie nei confronti del governatore uscente Jon Corzine durante la primavera e l’estate, sembrava destinato ad evaporare in autunno. Complice anche la presenza di un “terzo incomodo”, l’indipendente (ex repubblicano) Chris Daggett.

    Effettivamente, in settembre e ottobre i numeri di Christie sono iniziati a scendere pericolosamente, ma quelli di Corzine hanno stentato a decollare, fermandosi sempre appena al di sopra del 40% (un risultato pessimo, per un incumbent). Negli ultimi sondaggi prima del voto, Christie e Corzine erano praticamente alla pari. E la conventional wisdom era che, in qualche modo, i democratici sarebbero riusciti a portare a casa uno stato “blu” da oltre vent’anni. Il massimo a cui il Gop poteva puntare sembrava una “notte molto lunga” con l’esito deciso dal risultato del candidato indipendente (che in teoria tende a scemare nel giorno delle elezioni). Nessuno, ma proprio nessuno, ipotizzava una vittoria di Christie con oltre 100mila voti e oltre 4 punti percentuali di distacco.

    È vero che Corzine era un governatore estremamente impopolare, perfino per gli standard del New Jersey. Ma in questo caso Obama si era speso moltissimo per impedire il pick-up repubblicano, battendo lo stato in lungo e in largo per sostenere il suo candidato. Nonostante il “tocco” di Barack, rispetto alla vittoria del 2005 Corzine ha perso 200mila voti e quasi 9 punti percentuali, mentre Christie, in confronto al candidato del Gop di allora, Doug Forrester, ha guadagnato più di 50mila voti e oltre 5 punti. Uno swing vicino al 15%, in uno stato “blu” coperto dal mercato pubblicitario di New York e su cui Obama e il partito democratico hanno investito decine di milioni di dollari. Una sconfitta clamorosa. Anche per Obama.

    Qualche magro motivo di consolazione, i democratici possono trovarlo nella conferma di John Garamendi al 10° distretto congressuale della California e dalla vittoria più risicata del previsto del sindaco indipendente (ed ex-Gop) di New York, Michael Bloomberg contro William Thompson (50,6% contro 46%). Mentre il movimento progressive non si aspettava affatto la sconfitta nel referendum sul “matrimonio gay” in Maine, che lo ha visto sconfitto con oltre 5 punti di distacco.

    Tutta un’altra storia è quella relativa al 23° distretto congressuale nello stato di New York, dove il democratico Bill Owens ha sconfitto di misura il candidato del Conservative Party, Doug Hoffman. In questo distretto storicamente repubblicano, si svolgevano special elections per sostituire John M. McHugh, scelto da Obama per essere il suo Secretary of the Army. I vertici del Gop hanno scelto Dede Scozzafava, candidato giudicato (non a torto) troppo liberal dalla base del partito, che si è ribellata riversando i propri consensi su Hoffman. Nel distretto si è scatenata una guerra senza quartiere all’interno del partito repubblicano, che ha portato al ritiro anticipato della Scozzafava (che ha poi appoggiato i democratici) e alla corsa all’endorsement per Hoffman da parte dei vertici del Gop.

    A beneficiarne, è stato Owens, che ha vinto per poco più di cinquemila voti, ma che dovrà rimettere in palio il seggio il prossimo anno durante le elezioni di mid-term. I democratici, ora, cantano vittoria. Ma, come spiega Patrick Ruffini, “cyberguru” della campagna di Bush nel 2004, «a NY-23 si sono appena svolte le primarie del partito repubblicano e ha vinto Hoffman; le elezioni generali si svolgeranno nel 2010». Obama e i democratici faranno meglio a ricordarselo.


    Fonte: The Right Nation

  8. #8
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    Predefinito Re:Martedì elettorale negli USA

    Emanuele Rallo ha scritto:
    cal451 ha scritto:
    Secondo me il "martedì elettorale" è stato un serio campanello d'allarme per Obama...
    Secondo me no

    http://andreamollica.blogspot.com/20...vorisce-i.html
    Si devono affannare per poter rivalutare al più presto il criminale genocida che per 8 anni ha commesso crimini internazionali e per cui dovrebbe essere condannato all'ergastolo.

    I conservatori hanno sempre un conto corrente scoperto nei confronti della coerenza e dei valori cristiani che tanto decantano tipo Barbaresco del 1996.

  9. #9
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    Predefinito Re:Martedì elettorale negli USA

    cal451 ha scritto:

    Fonte: The Right Nation
    Mancia sta ancora rosicando per l'anno scorso quando assegnò la Pennsylvania a McCain con relativa vittoria generale...

    E mo' si accontenta del Governatore del New Jersey :woohoo:
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  10. #10
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    Predefinito Re:Martedì elettorale negli USA

    porca *****,hanno vinto i repubblicani

 

 
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