Colpendo la macchina che egli stesso aveva costruito e mantenendo la classe dirigente in uno stato di assoluta precarietà, Stalin eliminò ogni vincolo residuo al suo potere personale, che divenne immenso. Mentre la burocratizzazione e la violenza giungevano all'estremo, il partito e l'intero sistema sovietico furono soggiogati al dominio di un autocrate e allo stato di polizia che in lui si identificava. A questi ingredienti costitutivi dello stalinismo si aggiunse inoltre la costruzione di un vero culto della personalità del dittatore e di un apparato ideologico che lo legittimasse. Il marxismo e il leninismo furono ridotti a un sistema dogmatico di credenze e contaminati da un forte recupero di valori patriottici e persino da venature religiose. Si affermarono così un'ortodossia laica e una liturgia di massa centrate sul culto di Stalin, a cui contribuirono sia le parodie giudiziarie del 1936-38, fondate sulla confessione e sul pentimento dei "colpevoli" e sulla demonizzazione dei "nemici del popolo", sia il recupero dei simboli della tradizione zarista, da Ivan il Terribile a Pietro il Grande. La rivalutazione in chiave nazionalista del passato imperiale fu parte integrante di quella che lo storico russo Oleg Khlevniouk ha qualificato come "offensiva conservatrice" fondata sulla ripresa dei valori più tradizionali dell'autorità e della gerarchia, della famiglia e dell'ordine.
Tommado Detti, Giovanni Gozzini
Storia contemporanea II. Il Novecento