Valeria Caldelli
SANTI, DIAVOLI, MOSTRI E INSETTI.
IL MEDIOEVO DI UN GENIO VISIONARIO
La nave dei folli, 1494 ca. - Parigi, Museo del Louvre
Un gruppo di balordi fa baldoria su una barca comandata da un buffone: un monaco e una suora cantano a squarciagola mentre una beghina se la gode con un ubriaco, un pazzo rema con un cucchiaio e un contadino taglia un'oca arrosto legata all'albero maestro. E' la Nave dei folli che solca il mare della vita e si dirige lentamente verso l'Inferno sotto l'occhio vigile di una civetta. Perché è l'Inferno la punizione per i peccatori, per coloro che si sono lasciati corrompere dai soldi e dalla gelosia, dalla vanità e dal sesso e da tutte quelle altre tentazioni che portano gli uomini lontano da Dio. E un mondo di mostri li attende nell'aldilà, strane bestie con le corna, con le ali, con lunghi becchi, mani adunche e code tortuose, un formicolare di diavoli spaventosi che diventeranno i loro aguzzini, costringendoli a pene terribili.
Nel brulicare degli esseri deformi e prodigiosi che popolano le sue tele c'è forse anche lui, Hieronymus Bosch, il grande maestro olandese nato in una data incerta intorno al 1450 e vissuto tra Medioevo e Rinascimento, tra cattolicesimo e riforma protestante. Se così fosse, però, il suo posto non se lo sarebbe ritagliato agli Inferi bensì accanto al santo patrono della sua città natale. Guardando a destra della tavola 'San Giovanni a Patmo', proprio sopra la firma, appare una bizzarra figura con il corpo metà anfibio e metà uccello e il volto di un uomo con un paio di occhiali; lui, appunto, almeno secondo alcuni studiosi. Ma non è certo questo l'unico mistero a circondare la vita e l'opera di Bosch.
San Giovasnni a Patmos, 1489 ca - Gemäldegalerie, Berlino
Oggi, a cinquecento anni dalla sua morte, proprio 's-Hertogenbosch, piccolo centro dell' Olanda dove è nato e sempre vissuto, gli ha dedicato una grande mostra, offrendoci un incredibile racconto del Medioevo attraverso il suo fantastico linguaggio simbolico. L'esposizione è frutto di una vasta ricerca e della assoluta determinazione a far ritornare i capolavori sparsi in tutto il mondo nel luogo in cui furono creati. E' infatti al numero 29 della piazza del Mercato, ancora oggi affollata di bancarelle, che nacque Hieronymus Bosch, pseudonimo da lui inventato al posto del suo vero nome Jeroen van Aken. Ma le finanze di una città non potevano sostenere i costi dello spostamento di tanti capolavori. Per riuscirci a 's-Hertogenbosch si sono rimboccati le maniche già dal 2007, mettendo a disposizione dei musei del mondo un team di esperti internazionali riuniti nel Bosch Reserch and Conservation Project, promotore di ricerche e restauri. Alla fine i prestiti sono arrivati e fino all'8 maggio (prenotazione obbligatoria) il Noordbrabants Museum espone 20 dipinti e 19 disegni di Bosch, oltre a 7 pannelli realizzati dai suoi allievi. Ben 12 di queste opere tornano al pubblico per la prima volta dopo il restauro.
Certo il nostro Hieronymus deve aver vissuto una doppia vita. La prima come cittadino che non ha mai rivelato stravaganze o singolarità, vissuto sempre dove era nato, sposato con una donna ricca e più anziana di lui, mai figli, un solo viaggio giovanile, ma solo fino a Utrecht e Delft, l'appartenenza alla confraternita ecclesiastica di Nostra Diletta Signora che ne facevano un notabile della città. L'altra vita, quella popolata dalle raccapriccianti creature che appaiono nei suoi dipinti, doveva essere dentro di lui, senza lasciare tracce esteriori. I suoi giganteschi insetti, i rettili anomali e tutte le altre creazioni della sua infinita fantasia che incontriamo nei trittici del 'Giudizio Universale' e del 'Trionfo del carro di fieno', così come nella 'Morte dell'Avaro' e nell' 'Allegoria della gola e della lussuria' devono servire da monito all'umanità corrotta dal vizio, i cui esponenti sono quelli grotteschi della 'Cura della Follia', del 'Prestigiatore', e degli splendidi 'Ecce Homo' e 'La salita al Calvario'. Solo se sapremo essere come 'Il viandante' e lasciarci alle spalle le nefandezze e le cattiverie raggiungeremo la salvezza e dunque il Paradiso.
Morte di un avaro, 1494 ca. - National Gallery of Art, Washington
Ma, a parte i peccati, molte altre erano le tentazioni ai tempi di Hieronymus, a cominciare dalla magia e dall'alchimia, fino alle scoperte scientifiche. Come gli stessi occhiali che lui indossa spavaldamente nel presunto autoritratto a contorno del 'San Giovanni a Patmo'. Anche i segnali delle varie 'stregonerie' non mancano nei suoi dipinti, ma sono sparsi un po' qua e un po' là senza troppa enfasi, sempre mescolati a quelle punizioni infernali che opprimono i peccatori. Credeva nella magia? Ne era soggiogato? Era forse, e segretamente, un eretico? In molti da secoli tentano di rispondere a queste domande.
Valeria Caldelli - da Il Resto del Carlino di Lunedì 18 aprile (edizione cartacea)