User Tag List

Risultati da 1 a 5 di 5
  1. #1
    Tringeadeuroppa
    Data Registrazione
    31 Mar 2009
    Messaggi
    8,350
     Likes dati
    1
     Like avuti
    36
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Iraq: QUADRO STORICO-GEOGRAFICO INTRODUTTIVO

    QUADRO STORICO-GEOGRAFICO INTRODUTTIVO
    La Nazione Eurasia

    L'Iraq (Al-Jumhûriya al-'Irâqîya) si estende s'una superficie di 434 128 kmq, abitati da una popolazione di 22 219 000 persone. Tanto per fornire un ordine di grandezza, notiamo che l'Italia ha una superficie di 301 308 kmq con 57 533 516 abitanti (dunque una densità di 191 abitanti per kmq, contro i 51 dell'Iraq); la crescita annua della popolazione irachena è però nettamente superiore a quella italiana: 3,8% contro 0,3%. L'Iraq confina a nord con la Turchia, ad est con l'Iran, a sud-est con il Kuwait, a sud-ovest con l'Arabia Saudita, a ovest con Giordania e Siria. Il territorio è variegato: montagnoso al nord (dove si trovano i rilievi del Kurdistan), degrada attraverso le fertili pianure mesopotamiche, il deserto siriaco e le paludi meridionali fino all'esile sbocco sul mare, in corrispondenza della foce dello Shatt al'Arab. L'asse centrale del paese, quello attraversato dai fiumi Tigri ed Eufrate, ne è la parte fondamentale, ove si concentra la gran parte della popolazione, in prevalenza di religione musulmana (62,5% sciita, particolarmente nel sud dove si trovano le due principali città sante della Sh'ia, Najaf e Kerbala, e 34,5% sunnita) ma con un'importante minoranza cristiana (2,7% della popolazione). Etnicamente, la popolazione è in grande maggioranza araba, ma con due importanti minoranze arie, quella dei Curdi del nord, e quella dei Drusi (sunniti).
    Terra fertilissima, la Mesopotamia ("in mezzo a due fiumi", naturalmente il Tigri e l'Eufrate) entra molto presto nella storia. Già nel sesto millennio a.C. l'agricoltura e l'allevamento sono diffusi nella Bassa Mesopotamia (in Italia s'avrà la medesima situazione solo 3 000 anni dopo); tra quell'epoca e gli ultimi tre quarti del quarto millennio si susseguono, nella regione, le culture di Oueili, di Eridu, di Obeid, i Oruk. In quest'ultima fase, nel terzo millennio prima del Cristo già abbiamo le prime città-stato (la più antica forma di civiltà urbana conosciuta nel bacino del Mediterraneo e nel Vicino Oriente), in tutto e per tutto autonome ed indipendenti: Babilonia, Uruk, Eridu, Ur, Nippur, Kish e Mari sono le più note. Con la prima metà del terzo millennio, l'inizio della storia viene segnato dai documenti scritti in Sumero, la lingua di un popolo di cui rimane sostanzialmente ignota la provenienza; ad esso si associano ben presto i semiti Accadi, che la leggenda vuole essere caratterizzati da rigido rispetto delle tradizioni, a dispetto dello spirito licenzioso del primo. La rivalità tra queste due zone è il filo conduttore delle prime vicende mesopotamiche, finché il re Sargon di Akkad con la sua dinastia (secc. XXIV-XXIII a.C.) non riesce ad unificare una regione che coincide sostanzialmente con l'Iraq odierno, ma arriva a comprendere una vasta porzione della costa libanese e sud-anatolica. L'impero akkade non resiste però all'insorgere di movimenti autonomisti e all'invasione dei Gutei, un popolo montanaro orientale, che sconvolge l'intero ordinamento della regione, precipitandola a tratti nell'anarchia. Ciò permette ai Sumeri di recuperare la preminenza regionale, nuovamente perduta, però, tanto per la mancanza di coesione interna, quanto per le incursioni dei nomadi semiti Amorrei e degli Elamiti, che intorno al 2000 a.C. giungono a saccheggiare Ur: è proprio ai re di questa città che si devono la maggior parte di quelle torri, le ziggurat, le cui rovine ancor oggi dominano il paesaggio mesopotamico. Col grande legislatore Hammurabi (1792 a.C.), la Mesopotamia si riunifica intorno alla sua capitale Babilonia. Nel 1595 a.C. però, gli Hittiti saccheggiano la città e rubano la preziosa immagine del dio Marduk, provocando così il primo declino di Babilonia, presto sostituita dal re cassita Agum II che recupera il simulacro e si proclama "sovrano delle quattro parti del mondo". L'egemonia cassita termina quando, sotto la guida del re Ashshuruballit I (1365-1330), gli Assiri espugnarono Babilonia, dando il là alla creazione d'un nuovo impero mesopotamico costruito con continue vittorie militari per tutto il secolo XIII: Tiglatpileser (1115-1077) si fregia del titolo di "re dell'universo", ma nel contempo anche la potenza babilonese, finalmente liberatasi del dominio cassita, rinasce sotto il famoso sovrano Nabucodonosor, vincitore degli iranici Elamiti. Viene dunque a crearsi, in Mesopotamia, una situazione di equilibrio tra gli Assiri, che formalmente controllano tutte le regioni a oriente dell'Eufrate, e i Babilonesi che godono d'indipendenza e, di tanto in tanto, s'alleano anzi con essi per fronteggiare le incursioni degli Aramei, provenienti dal deserto siriaco. Altri attori principali in questo momento sono, oltre naturalmente alle "partecipazioni esterne" degli Egizi e degli Hittiti, i Khurriti indoeuropei che, provenienti dall'Armenia, tra il 1700 e il 1500 si espansero verso ovest e verso sud, attestandosi solidamente anche nella Mesopotamia settentrionale, laddove in seguito avrebbero sviluppato il misterioso regno di Mitanni. Quasi certamente guidato da genti arie, questo nuovo stato divenne rapidamente nuova potenza egemone della zona settentrionale della Mezzaluna Fertile: il declino fu però tanto rapido quanto l'ascesa, e in breve tempo Mitanni subì i colpi infertigli da Hittiti e Assiri, ridimensionandosi a vassallo di questi ultimi. Assur stava infatti ricreando il suo impero: tra i secoli XIV e XIII si riportava sulla riva sinistra dell'Eufrate sostituendosi a Mitanni nel dominio della Mesopotamia settentrionale: è in questo stesso periodo che il già citato Tiglatpileser raggiungeva con una spedizione militare le coste della Fenicia, e ottenne dalle città costiere ingenti tributi. Alla morte del "re dell'universo" la potenza assira è prostrata dalle incursioni degli Aramei, ma una volta sconfitti questi pericolosi nemici, risorge in tutta la sua potenza fino all'apogeo del regno di Assurbanipal (668-627): nel frattempo gli Assiri hanno affrontato e sconfitto Arabi, Medi, Babilonesi, Siriaci, Ebrei e persino Egiziani - per un certo periodo il paese del Nilo, fino a Menfi, fu parte dell'impero assiro. Le colossali dimensioni da esso raggiunte, però, lo rendono sempre meno governabile: le incursioni di Medi, Elamiti, il tradimento degli alleati Sciti, la rivolta degli Egiziani, aprono la strada all'insurrezione babilonese, che nel giro di pochissimi anni, alleata ai Medi, demolisce l'impero assiro. Nel 614 i Babilonesi entrano ad Assur, nel 612 a Ninive: dopo pochi anni si spegne anche l'ultima resistenza ad Harran. L'impero neoassiro è il primo esempio di "impero universale": dalla piccola regione di Ninive ed Arbela, in appena cinquant'anni gli Assiri avevano esteso il proprio dominio su un vasto territorio che andava dal medio corso del Nilo alle pendici dei monti iranici, dall'Anatolia meridionale al Golfo Persico, passando per le coste del Mediterraneo. I Caldei, fautori della rinascita babilonese e responsabili del crollo assiro, tentano di seguirne le orme, ma la loro esperienza, per quanto gloriosa, si conclude in meno di un secolo: il nuovo regno, detto neobabilonese, raggiunge l'apice sotto Nabucodonosor II (604-562 a.C.), il sovrano che nel 597 si impadronisce di Gerusalemme, facendo prigioniera una gran massa di ebrei; ma quando nel 539 a.C. Ciro il Grande guida i suoi Persiani giù dagli altipiani iranici, l'impero neobabilonese dal Sinai al Tigri collassa, e con esso si chiude la gloriosa pagina di storia in cui la Mesopotamia si trova al centro del mondo. Con la conquista della Persia da parte di Alessandro il Macedone, sembra che le sorti di Babilonia debbano risollevarsi; ma il regno dei Seleucidi che succede nella regione al grande conquistatore, sosta la capitale a Seleucia, sicché l'antica città cade nell'oblio. Stretto fra due nuove potenze, quella dei Romani e quella dei Parti eredi dei Persiani, il Regno Seleucide scompare, e la Mesopotamia, annessa all'impero partico, è sovente terra di scontro tra questo e Roma. In più d'una occasione, infatti, i Romani penetrano in Mesopotamia, ma sempre debbono poi fuggirvi sconfitti: così nel 115 d.C., quando Traiano anzi la costituisce addirittura in provincia romana, prima di doversi ritirare per fronteggiare la furiosa rivolta giudaica nell'Impero; accade poi nel 162 d.C. quando l'imperatore Marco Aurelio scatena una grandiosa controffensiva contro i Parti, prima che la peste bubbonica decimi il suo esercito; succede ancora pochi decenni dopo con Settimio Severo che giunge fino a Ctesifonte (capitale della Partia), ma poi decide di ritirarsi; per l'ultima volta, con Giuliano, che muore gloriosamente in battaglia, ma lascia senza guida il suo esercito penetrato profondamente in territorio nemico.
    La Mesopotamia rimane così sotto il dominio dell'Impero persiano (uno degli imperi dall'ambizione universalistica: si ricorda che il sovrano Cosroe aveva fatto disporre sotto il suo trono tre seggi vuoti, destinati - diceva - all'Imperatore cinese, al Gran Khagan mongolo e all'Imperatore romano, quando sarebbero giunti a rendergli omaggio come loro signore!) fino all'arrivo degli Arabi. E' solo l'anno 630 quando Maometto rientra trionfalmente alla Mecca: già nel 634 gli Arabi penetrano in Siria, iniziando così la loro grandiosa espansione. Approfittando dell'ormai storica lotta tra Persiani e Bizantini nel Vicino Oriente, la nuova potenza islamica prorompe inaspettata in quello scacchiere e, in men che non si dica, vi si impone quale dominatrice. Sotto il califfato di Omar (632-644) la Mesopotamia è strappata ai Persiani, mentre i Bizantini perdono Egitto, Siria e Palestina. Nel 651 Othman, già arrivato fino a Tripoli, sottomette l'intero Impero persiano: i successi militari non salvano però il sovrano dal pugnale dei congiurati, col quale si avvia il grande scontro in seno all'Islam tra i seguaci del Califfo defunto e quelli di Alì, cugino del Profeta. Quando un arbitrato si rivela ad essa sfavorevole, la fazione di Alì - la shi'a - rifiuta il verdetto e si ritira in Mesopotamia, che possiamo ormai chiamare Iraq. A partire da questi anni la Mesopotamia subisce infatti un deciso processo di arabizzazione, che la rende nuovamente, dopo lunghi secoli d'oblio, un importante centro politico e culturale. Subentra, infatti, all'Impero omayyade l'Impero abbaside che è, per almeno un paio di secoli, l'età d'oro dell'Islam e dell'Iraq. Il primo califfo della dinastia si stabilisce sulla sponda orientale dell'Eufrate, mentre il suo successore, al-Mansur inizia a costruire nel 762, sul fiume Tigri, una capitale che viene chiamata col nome persiano di Baghdad ("Dono di Dio"). Il quinto califfo Harun al-Rashid (786-809) stringe un'alleanza con il sovrano dei Franchi e del Sacro Romano Impero Carlo Magno: in quest'epoca il Califfato abbaside d'estende dalla Spagna ai confini dell'India. Le città irachene diventano i centri di una delle più grandi fioriture culturali che il mondo abbia mai conosciuto: quella di cui le Mille e una notte forniscono l'affresco più celebre. A Baghdad sorgono l'Accademia delle Scienze e la più importante biblioteca del mondo islamico, che raccoglie centinaia di migliaia di volumi; i visir fanno tradurre in Arabo, lingua diventata veicolo di cultura in gran parte dell'Eurasia, un'enorme quantità di opere cinesi, sanscrite, persiane, greche. I viaggiatori rimangono colpiti dalla perfezione con cui in tutto l'Impero sono organizzati i servizi e soprattutto dalla presenza d'istituzioni assistenziali sconosciute altrove (ospedali, ecc.) che forniscono cure gratuite. L'industria produce di tutto; i contadini tengono per sé i nove decimi del raccolto; merci d'ogni genere affluiscono da ogni parte del mondo.
    Il Califfato abbaside scompare sotto l'ondata mongola. Hülägü, fratello del Gran Khan, nel 1258 conquista Baghdad e fonda la dinistia degli Il Khan ("sovrani locali"), che regna su un vasto territorio dal Libano al Kashmir, con capitale a Tabriz. Alla dinastia ilkhanide, che ben presto si converte all'Islam, subentra quella dei Gialayiridi, la quale fu a sua volta sconfitta da Tamerlano, conquistatore di Baghdad nel 1393 e nel 1401. Le successive lotte tra le popolazioni turche dei Qara Qoyunlu e degli Aq Qoyunlu si risolvono nel 1471 con il prevalere dei Turchi ottomani.
    Nel 1534 il Sultano Solimano il Magnifico conquista Baghdad, sicché una ventina d'anni più tardi Bassora e la costa araba del Golfo Persico sono integrate nell'Impero ottomano. Baghdad, conquistata nel 1623 dallo Shah persiano Abbas il Grande, è ripresa dagli Ottomani nel 1638, al tempo del Sultano Murad IV. Nell'anno successivo, la pace di Qasr-i Shirin fissa tra Ottomani e Persiani dei confini che corrispondono all'incirca a quelli attuali tra Turchia e Iraq e l'Iran. Nel secolo successivo, tra il 1704 e il 1723, diventa governatore di Baghdad e di altre province Hasan Pascià, sotto il comando del quale prende forma una milizia di Mamelucchi georgiani, abkhazi e circassi che sottomette le tribù arabe. L'opera di Hasan Pascià viene proseguita dal figlio Ahmad, che difende l'Iraq dagli assalti persiani, finché, dopo numerosi combattimenti, nel 1746 è riconfermata la pace di Qasr-i Shirin. Il corpo dei Mamelucchi dà origine a una vera e propria classe sociale, che prende il potere e viene riconosciuta dalla Sublime Porta. Suleyman Pascià il Grande, fra il 1780 e il 1802 governatore di Baghdad, combatte contro l'espansionismo dei Muwahhidun, che diventeranno successivamente noti col nome di Wahhabiti. Si tratta della setta semiereticale fondata da Muhammad ibn al-Wahhab, la quale ha instaurato il proprio potere nella penisola arabica e lo manterrà fino ai giorni nostri; non trova però spazio in Iraq, da dove è respinta, come detto, con la forza delle armi - ed è bene ribadirlo poiché si tenta oggi sovente di porre un collegamento tra il popolo iracheno e l'estremismo wahhabita.
    Nel corso dell'Ottocento, l'Iraq conosce un sensibile mutamento allorché diventa governatore Midhat Pascià, comandante del VI Corpo d'Armata ottomano. Membro della Bektashiyya, una confraternita iniziatica che ha subito un'involuzione di tipo paramassonico, Midhat Pascià è uno degli artefici della Prima Costituzione, quella del 1876, ispirata al modello belga. E' la guerra contro la Russia, un paio d'anni più tardi, a indurre il Sultano Abdülhamid a sospendere la Costituzione e a sciogliere il Parlamento. All'inizio del XX secolo, il vilayet di Baghdad conta 614 000 abitanti, 145 000 dei quali risiedono nel capoluogo. Le attività svolte dalla popolazione sono quelle dell'artigianato tradizionale; la produzione dei tessuti di lusso è in mano all'elemento ebraico, così come ebrei e inglesi sono i finanzieri che controllano importazioni ed esportazioni. Ma già è evidente l'importanza che per il paese avrà l'oro nero: nel sangiaq di Kirkuk ogni anno vengono estratte e raffinate, seppure con metodi rudimentali, circa cento tonnellate di petrolio. Per evitare forme di colonialismo economico, Abdülhamid ha incluso i territori petroliferi tra i beni privati del Sultano; ma i Giovani Turchi filo-occidentali assurti al potere, nel 1908, mettono nuovamente questi territori a disposizione del capitale straniero. Nel 1914 la Anglo-Persian Oil Company s'impadronisce di metà del capitale della Turkish Petroleum Company.
    I Tedeschi, da parte loro, già alla fine del XIX secolo avevano ottenuto una concessione per costruire la Baghdadbahn, vale a dire la ferrovia Berlino-Bisanzio-Baghdad che doveva avere il suo capolinea nel Kuwait. Ma agli occhi dei Britannici l'asse Berlino-Istanbul rappresenta una minaccia per il loro impero coloniale. S'arriva così, nel 1913, a un accordo ottomano-britannico che riconosce come monopolio inglese i progetti di irrigazione in Iraq e quelli per la navigazione fluviale, nonché lo sfruttamento del petrolio persiano. Ma gli interessi britannici esigono la distruzione dell'Impero ottomano. Si giunge allora alla Prima Guerra Mondiale, che Istanbul affronta affidando al Reich tedesco la riorganizzazione del proprio esercito, sperando di evitare lo smembramento deciso da tempo. Il Sultano, che rivendica l'antico titolo di Califfo, lancia l'appello del gihàd.
    L'Impero ottomano si trova impegnato su quattro fronti: il Caucaso, contro i Russi; la penisola di Gallipoli, prossima alla capitale, dove lo sbarco ideato dal giovane Winston Churchill si risolve in un fallimento e costringe gli Inglesi ad una estenuante lotta di logoramento; la Palestina, dove Lawrence d'Arabia s'avvale di irregolari arabi, convinti a lottare per la corona britannica grazie alle promesse - al solito non mantenute - di concedere loro uno stato proprio (l'organizzazione dei Giovani Arabi, composta di cospiratori in seno ai quadri militari ottomani, ottiene dall'Inghilterra l'impegno "a riconoscere e a sostenere l'indipendenza degli arabi" in Mesopotamia e buona parte della Siria, senza toccare però la questione palestinese: quella regione, infatti, era già stata parzialmente assicurata agli Ebrei); e l'Iraq. Il 7 novembre 1914 truppe inglesi (perlopiù coloniali indiani) sbarcano a Fao e occupano Bassora, e piuttosto agevolmente, nel giro di due settimane, giungono alla confluenza tra il Tigri e l'Eufrate, mettendo così a sicuro i giacimenti petroliferi di Abadan. Ciò non ostante, la popolazione araba non appare troppo disposta a servire i nuovi arrivati: emblematico l'episodio accorso nei primi mesi del 1915 a due ufficiali inglesi di cavalleria, il maggiore Wheeler e Sudhan Singh; partiti al galoppo contro il grosso delle truppe arabe a sostegno dei Turchi, afferrano il vessillo di quel reggimento ma, per tutta risposta, sono circondati dagli arabi che uccidono Wheeler e appiccano il fuoco a Singh disarcionato. A questo, s'aggiunge il clima torrido e insopportabile. Quando nel novembre 1915 il generale Townshend, comandante la spedizione, eccessivamente sicuro di sé lancia l'attacco a Baghdad, perde metà dei suoi 8 500 soldati sul campo trincerato di Ctesifonte, ed è costretto a ritirarsi su Kut, presto circondato da 80 000 nemici. Le truppe inviate in suo soccorso da Bassora sono anch'esse costantemente sottoposte a fieri attacchi, e perdono per strada migliaia di uomini: dopo 147 giorni d'assedio 9 000 britannici s'arrendono a Kut. Gli Inglesi ritornano sulla città solo il 24 febbraio 1917, quando la resistenza ottomana è ormai al limite: l'11 marzo entrano vincitori in Baghdad evacuata dal nemico.
    Con la spartizione del bottino ottomano al termine della grande guerra, la Gran Bretagna si prende tra l'altro anche la Mesopotamia, particolarmente appetibile per i ricchi giacimenti petroliferi e tappa indispensabile per i collegamenti con l'India. Nasce così il mandato britannico, cui nel 1921 succede la finzione del "Regno dell'Iraq", affidato al regolo collaborazionista Faysal ibn Hussayn: agli Inglesi rimane infatti garantito il controllo del paese grazie ad un trattato che le consente di mantenere le basi aeree a Habbâniyyah e a Shwaybah, nonché di utilizzare fiumi, porti, aeroporti e ferrovie irachene per il transito di forze armate e rifornimenti militari. Alla vigilia del secondo conflitto mondiale, governa l'Iraq il reggente ‘Abd el-Ilâh, zio del re-bambino Faysal II. Tuttavia nel paese sono molto forti il sentimento antibritannico e le simpatie per il Terzo Reich, tanto che proprio a Baghdad si sono rifugiati numerosi militanti palestinesi e lo stesso Gran Muftì di Gerusalemme, Hâj Amîn al-Hussaynî. La rottura delle relazioni diplomatiche con la Germania, decisa dal governo collaborazionista presieduto dal filoinglese Nûri al-Sacîd, accresce l'impopolarità di quest'ultimo, che il 21 marzo 1940 deve rassegnare le dimissioni.
    Gli succede Rashîd ‘Alî al-Kîlânî, che ha già ricoperto diverse cariche ministeriali. Quando, neanche tre mesi dopo, l'Italia entra in guerra a fianco della Germania, al-Kîlânî non solo resiste alle pressioni inglesi e rifiuta di rompere le relazioni diplomatiche con Roma, ma vieta la propaganda antitedesca e ristabilisce le relazioni col Giappone. In seguito alla caduta della Francia e alla battaglia di Dunkerque, il Comitato per il Coordinamento della Politica Araba, che ha come animatore il Gran Muftì di Gerusalemme e annovera tra i propri aderenti anche al-Kîlânî e i suoi ministri, dà inizio a regolari negoziati con la Germania e l'Italia. Un plenipotenziario del Comitato si reca ad Ankara a informare Franz von Papen, ambasciatore del Reich in Turchia, che il governo iracheno desidera riallacciare le relazioni con la Germania e sostenere la lotta dell'Asse contro la Gran Bretagna, scatenando una nuova rivolta in Palestina. Il 23 ottobre Roma e Berlino trasmettono una dichiarazione congiunta di sostegno alla causa degli Arabi: "La Gran Bretagna, che con crescente preoccupazione vede aumentare le simpatie dei Paesi Arabi per le Potenze dell'Asse, dalle quali essi attendono la liberazione dall'oppressione britannica, cerca di opporsi a questo movimento di simpatia, e in piena malafede afferma che l'Italia e la Germania hanno l'intenzione di occupare e dominare i Paesi Arabi. Per controbattere tale maligna propaganda e tranquillizzare i Paesi Arabi circa la politica italiana nei loro confronti, il Governo Italiano conferma quanto ha già fatto diramare per radio in lingua araba, e cioè che esso è sempre stato animato da sentimenti di amicizia per gli Arabi; che desidera di vederli prosperare ed occupare tra i popoli della terra il posto rispondente alla loro importanza naturale e storica; che ha seguito costantemente con interesse la loro lotta per l'indipendenza, e che, per il raggiungimento di questo fine, i Paesi Arabi possono contare anche in avvenire sulla piena simpatia dell'Italia. L'Italia fa questa dichiarazione in completo accordo con l'alleata Germania".
    Ma nel giro di pochi mesi si fanno sentire anche in Iraq i contraccolpi della fiacca condotta della guerra nel Mediterraneo e dell'offensiva inglese nel Nordafrica: verso la fine del gennaio 1941, al-Kîlânî è costretto a rassegnare le dimissioni per far posto all'anglofilo Nûri al-Sacîd. Tuttavia, con la riconquista della Cirenaica e l'offensiva nei Balcani, le sorti dell'Asse lasciano ancora ben sperare, sicché il 1 aprile il cosiddetto "Quadrato d'Oro", guidato da al-Kîlânî e appoggiato dalla maggior parte degli ufficiali iracheni, si impadronisce del potere e depone il Reggente. In tutto l'Iraq, le masse popolari manifestano il loro entusiasmo; le autorità delle diverse comunità religiose (Sunniti, Sciiti, Cristiani) dichiarano la loro solidarietà con il governo; dignitari islamici e militanti rivoluzionari di altri paesi arabi inviano messaggi di plauso.
    Benché colta di sorpresa, la Gran Bretagna reagisce tempestivamente inviando nel porto di Bassora sette navi cariche di truppe da sbarco; alcuni giorni più tardi, il 18 aprile, sopraggiunge un gruppo di brigate anglo-indiane, mentre un battaglione aviotrasportato è dislocato nella base di Shwaybah. Tutti questi spostamenti di truppe, naturalmente, sono giustificati da parte britannica in base al trattato di collaborazione "liberamente sottoscritto". Ma quando il 29 dello stesso mese altre truppe coloniali vengono sbarcate a Bassora e alcuni aerei da caccia fatti giungere dall'Egitto, al-Kîlânî intima al governo inglese di sospendere l'invio di forze armate in Iraq e, per dare un concreto segnale della sua risoluzione a difendere l'integrità e l'indipendenza del paese, disloca un contingente iracheno nei pressi della base RAF di Habbâniyyah. L'ambasciatore britannico protesta contro la violazione del trattato, chiedendo il ritiro delle truppe irachene e minacciando ritorsioni. E' così che la mattina del 2 maggio le forze aeree britanniche aprono le ostilità, mitragliando e bombardando le postazioni irachene, mentre a Bassora le truppe coloniali cannoneggiano la popolazione civile.
    Allora le autorità dell'Islam (sia sunnite sia sciite) proclamano il gihàd, che è salutato da manifestazioni popolari in tutto l'Iraq e in molte città del mondo arabo, anzi, di tutto il mondo dell'Islam (perfino in Cina).
    Le quattro divisioni dell'esercito iracheno, appoggiate da un'aeronautica di cinquanta velivoli e fiancheggiate da una Brigata Araba comandata da ufficiali tedeschi, si trovano a combattere contro i sessanta aerei della base di Habbâniyyah e le sei sezioni di autoblindo e le otto compagnie motorizzate di Shwaybah, rafforzate dal continuo affluire di effettivi anglo-indiani. Gli Iracheni, al fine di privare le armate britanniche del petrolio indispensabile ai loro movimenti, interrompono l'oleodotto Kirkuk-Haifa e convogliano il greggio verso la Siria, la quale ha messo i propri aeroporti a disposizione della Luftwaffe.

  2. #2
    Tringeadeuroppa
    Data Registrazione
    31 Mar 2009
    Messaggi
    8,350
     Likes dati
    1
     Like avuti
    36
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Riferimento: Iraq: QUADRO STORICO-GEOGRAFICO INTRODUTTIVO

    L'epicentro degli scontri è l'altopiano di Habbâniyyah, dove gli Iracheni sono bersagliati dall'aviazione nemica e sono costretti a ritirarsi, il 5 maggio, verso Falluja. Per avanzare su Falluja, i Britannici trasferiscono dalla Palestina e dalla Transgiordania un contingente chiamato Habforce, elementi della Legione Araba di Glubb Pascià e tre squadroni motorizzati della guardia di confine transgiordana, che però si rifiutano di combattere una guerra fratricida. Per ostacolare l'avanzata nemica, gli Iracheni provocano allagamenti nelle zone paludose e sabotano le linee ferroviarie. Alla fine, però, Falluja cade in mano agli Inglesi, nonostante il rifiuto della popolazione di rispondere all'intimazione di resa.
    Nel frattempo la Brigata Araba viene a contatto, nei pressi dell'oasi di Salah, con le truppe coloniali che arrivano dalla Transgiordania. Alla Brigata Araba si affiancano anche tribù beduine che si sono ribellate all'emiro ‘Abdallâh.
    Quanto ai Tedeschi, il 13 maggio sono atterrati a Mossul (800 km. da Bassora) le due squadriglie di bombardieri e cacciabombardieri agli ordini del colonnello Werner Junck. Ma la benzina messa a loro disposizione non è adatta ai motori dei Messerschmitt, sicché gli aerei tedeschi devono aspettare il carburante dalla Siria! Oltre a ciò, il maggiore Axel von Blomberg, che dovrebbe dirigere le operazioni della Luftwaffe in Iraq, il 20 maggio viene colpito da "fuoco amico". Nonostante tutto, i Tedeschi riescono ad effettuare alcuni bombardamenti nei pressi di Habbâniyyah. Ma si tratta di scarsi risultati, se confrontati con le intenzioni di Hitler, che il 23 dichiara: "Il movimento arabo della libertà rappresenta in Medio Oriente il nostro alleato naturale contro l'Inghilterra. A tale proposito è della massima importanza provocare in Iraq una insurrezione che si estenderà al di là delle frontiere irachene [...]. Per questo motivo ho deciso di accelerare lo sviluppo degli eventi in Medio Oriente andando in soccorso dell'Iraq". Ma è troppo tardi. la partita volge ormai in favore degli Inglesi, che il 29 avanzano su Baghdad, nonostante gli Iracheni abbiano rotto gli argini dei fiumi per proteggere la loro capitale.
    E gli Italiani? L'intervento della nostra aeronautica si limitò all'invio di alcuni S 82 carichi di materiale bellico, di qualche S 79 d'appoggio e di una squadriglia di caccia CR 42 agli ordini dei capitani Bertotto e Sforza, la quale riuscì ad abbattere due Gloster Gladiator e a danneggiarne seriamente un terzo. L'Italia, comunque, continuerà ad appoggiare la causa irachena dando asilo a Rashîd ‘Alî al-Kîlânî e al Gran Muftì di Gerusalemme, che in un primo tempo riparano in Iran. "Il popolo iracheno, sotto la guida del governo da Voi presieduto, - dirà Mussolini rivolgendosi ad al-Kîlânî - preferiva affrontare una impari lotta anziché sottostare alle imposizioni britanniche". Cinquanta e sessant’anni più tardi, nello scontro ancora più impari che vedrà l'Iraq aggredito dagli USA e dai loro satelliti, ben diversa sarà la posizione dell'Italia...
    L'occupazione inglese si protrae formalmente fino al 1945 e sostanzialmente (alleanza con permesso ventennale concesso agli Inglesi di mantenere basi, truppe e aerei nel paese) fino al 1958. Nel dopoguerra l’Iraq è costretto dagli anglo-americani ad entrare nel Patto di Baghdad del 1955, corrispondente mediorientale dell'Alleanza Atlantica. Un colpo di stato militare del luglio 1958, condotto da ufficiali epigoni di al-Kîlânî e guidati dal generale Kerim Kassem, rovescia ed elimina la famiglia regnante imposta dai britannici e proclama la repubblica. Nel febbraio 1963 Kassem è rovesciato da Abd al-Rahman, che guida l'Iraq fino al 1968, quando giunge al potere il Ba'ath, partito socialista panarabo fondato a Damasco, negli anni '40, dal cristiano ortodosso Michel Aflak e dal musulmano sunnita Salh al-Din Bitar; tuttavia i vari tentativi di R.A.U. (Repubblica Araba Unita) abortiscono e i due partiti baathisti rivali al potere a Baghdad e Damasco impediranno una definitiva unità araba,. Saddam Hussein diviene Presidente nel luglio del 1979, succedendo a Ahmed Hassan al-Bakr. Sotto il regime del Ba'ath, l'Iraq conosce un periodo di fioritura culturale ed economica, che lo porta ad essere paese d'avanguardia, sul piano sociale, nel Vicino Oriente: le risorse economiche del paese sono nazionalizzate (suscitando così i malumori occidentali), l'analfabetismo è ridotto al 14% (da un valore di partenza prossimo al 100!), è organizzata l'assistenza sanitaria, create industrie e infrastrutture e, nonostante il sistema repressivo senz'altro feroce, l'Iraq può godere comunque d'un parlamento rappresentativo anche delle minoranze, e la ricchezza è ben distribuita su tutti gli strati sociali. Il paese deve però sopportare anche guerre molto onerose, sotto tutti i punti di vista. La prima vede opposti i paesi emblemi delle due correnti rivali che hanno condotto la decolonizzazione della regione: il nazionalismo laico e socialista dell'Iraq, contro l'integralismo religioso, teocratico e popolare, dell'Iran. Il conflitto, definito come la Prima Guerra del Golfo - incoraggiata anche da USA e Israele, che hanno tutto l'interesse a vedere esaurirsi uno contro l'altro questi due pericolosi nemici dei loro interessi locali - dura ben otto anni, provocando, pare, un milione di vittime totali, e terminando, in pratica, con un nulla di fatto. La Seconda Guerra del Golfo è invece centrata sulla questione del Kuwait. Tale Emirato era, in origine, un distretto dell'Iraq: lo stesso termine kuwait significa "piccolo agglomerato". Esso dipendeva dalla provincia ottomana di Bassora, il cui governatore Mohsen Pacha, nel 1897, informò lo sceicco locale, Moubarak al-Sabah, della decisione presa dal Sultano di nominarlo amministratore del distretto di Kuwait. Se non che al-Sabah era da tempo in combutta con gli Inglesi, e mirava a far passare il distretto sotto l'influenza britannica: nel 1899 essi firmano persino un accordo segreto (e chiaramente illegale) di protezione. Quando i Britannici conquistarono l'Iraq, il Kuwait fu staccato dal "grosso" e costituito ad emirato autonomo (indipendente dal 1961), non tardando a suscitare le proteste e le rivendicazioni degli Iracheni. La situazione si fa decisamente tesa dopo la Prima Guerra del Golfo: alla questione territoriale si aggiungono quelle dei debiti contratti dall'Iraq con il ricco vicino, e delle quote Opec non rispettate dal Kuwait. A metà luglio 1990 Saddam Hussein accusa inoltre il Kuwait di aver rubato petrolio iracheno, estraendolo per un decennio dal campo di Rumillah il cui bacino si troverebbe in terra irachena. In occasione dell'anniversario dell'indipendenza irachena, il Raìs pronuncia un roboante discorso: "Grazie ai nostri nuovi armamenti, gli imperialisti non possono più lanciare un attacco militare contro di noi. Ma per questo hanno scelto di combatteci in una guerra economica, e si servono di quei lacché dell'imperialismo che si definiscono capi dei paesi del Golfo [i quali non rispettano le quote fissate dall'OPEC, NdR]. La loro politica di tenere a forza bassi i prezzi del petrolio è una vera spada - avvelenata - nel cuore dell'Iraq. Ma se le parole non bastano a proteggerci, non avremo altra scelta che quella di compiere quelle azioni che possono ristabilire la giustizia e assicurare il rispetto dei nostri diritti e la restituzione di tutto quanto ci spetta". Ormai la decisione dell'attacco è stata presa, al governo iracheno non resta che una questione da risolvere: l'atteggiamento degli USA. Dietro istruzioni della Casa Bianca, l'ambasciatrice americana April Glaspie assicura segretamente al Raìs che il suo paese non interverrà nella disputa. Ma quando il 2 agosto le truppe irachene superano il confine e in poche ore arrivano a Kuwait City, la risposta americana non si fa attendere: dopo soli sei giorni i primi contingenti di soldati sbarcano in Arabia Saudita, e parte un'assordante propaganda anti-irachena, allo scopo di forzare la mano all'ONU e concedere agli USA la facoltà d'intervenire con la forza in Kuwait: lo scopo è presto ottenuto. Poco dopo la mezzanotte del 17 ottobre, i primi Tomahawk cominciano a cadere su Baghdad, e la città è in fiamme, mentre i telespettatori occidentali possono osservare, compiaciuti o inorriditi, il tutto grazie alle spettacolari riprese della CNN. Dopo 24 giorni di duri bombardamenti inizia l'invasione terrestre: le truppe della coalizione filo-americana incontrano solo la debole resistenza di un paese già in ginocchio per gli attacchi aerei; ciò non ostante la loro azione è furiosa, e decine di migliaia tra soldati e civili iracheni sono massacrati dagli invasori. La guerra finisce in pochi giorni, e l'Emiro è rimesso sul proprio trono in Kuwait. L'Iraq, invece, è un paese distrutto, che uno spietato embargo - calcolato responsabile d'un milione di vittime - lascia privo anche dei mezzi per ricostruire le proprie case, strade e industrie, o perlomeno seppellire i suoi tanti figli caduti. La tragedia non è che all'inizio, perché i successivi dieci anni, sotto l'embargo, gli effetti venefici dell'uranio impoverito e i continui ed illegali bombardamenti anglo-americani, sono se possibili peggiori. Finché la misteriosa tragedia dell'11 settembre, ed il figlio del primo invasore dell'Iraq, George W. Bush, non consegnano una pericolosa alternativa nelle mani del popolo iracheno: vivere schiavo del proprio carnefice, o conquistare finalmente l'agognata libertà.

    Nota: Il testo precedente è parzialmente (per quanto rigarda il periodo 1918-1945) modellato su un articolo del nostro collaboratore Prof. Claudio Mutti, "Guerra santa nel Golfo".

  3. #3
    email non funzionante
    Data Registrazione
    14 Jul 2009
    Messaggi
    1,080
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Riferimento: Iraq: QUADRO STORICO-GEOGRAFICO INTRODUTTIVO

    Articolo datato ma sempre interessante sulla resistenza irakena dal sito della rivista Eurasia:

    Iraq: viaggio nel cuore della resistenza
    :::: 7 Gennaio 2008 :::: 3:45 T.U. :::: Analisi :::: Gilles Munier
    di Gilles Munier


    Sulla legittimità della resistenza
    L'invasione dell’Iraq è stata illegale dal punto di vista del diritto internazionale. Gli Stati uniti e i loro alleati – in quanto potenze occupanti – non avevano il diritto di organizzare delle elezioni, né di promulgare una nuova costituzione, né di favorire il settarismo e la divisione. Le convenzioni di L’Aia del 1907 e di Ginevra del 1949 sono chiarissime sull’argomento.
    La legittimità della resistenza irachena si basa sulla Carta delle Nazioni Unite e su numerosi testi fondamentali. Secondo la dichiarazione di Ginevra del 1987 sul terrorismo, il popolo iracheno ha il diritto di combattere contro l’occupazione straniera e la sua lotta non può essere confusa con atti di terrorismo internazionale.

    La resistenza irachena vuole essere riconosciuta come la continuità dello Stato iracheno. Se vincerà, chi ha collaborato con l’occupante potrà essere arrestato e giudicato. Accuse per crimini di guerra e contro l’umanità saranno poste nei confronti dei dirigenti della coalizione. Lo Stato iracheno potrebbe allora richiedere dei risarcimenti per le distruzioni e le vittime di guerra. I contratti firmati sotto l’occupazione – in particolare nel settore del petrolio – sarebbero considerati illegali con la conseguenza del rimborso delle somme percepite dalle società straniere.

    Tracciare un quadro esaustivo della resistenza armata è un azzardo, perché essa raggruppa delle organizzazioni che talvolta esistono solo per il tempo di una rivendicazione, cambiano nome, si fondono, si scindono. Le si può classificare per appartenenza ideologica, quando non la mascherano. In questo caso, si tratta di baathisti, nazionalisti arabi – baathisti dissidenti, nasseriani, arefisti -, prossimi ai Fratelli musulmani, pan-islamisti o comunisti del PC-quadri. Meglio guardarsi dall’etichettarli troppo in fretta, perché a volte il loro colore cambia in base ai reclutamenti e agli avvenimenti. In compenso, una cosa è certa: il gruppo dei combattenti non ha alcuna precisa affiliazione politica, è motivato solo dalla lotta di liberazione e il numero dei jihadisti stranieri – evidenziato dagli Americani – non è determinante. Al massimo, rappresenta il 5% dei mujahidin.

    « Piccoli gruppi »
    Nei mesi successive alla caduta di Bagdad, una quarantina di organizzazioni rivendicava azioni armate. Tra di esse : il Comando della resistenza e della liberazione dell’Iraq, il Fronte nazionale per la liberazione dell’Iraq, la Brigata Faruk, gli Organi politici dei media del partito Baath, Risveglio e Guerra santa, Al Ansar, la Bandiera nera, le Cellule del Jihad, l'Esercito di liberazione iracheno, i Combattenti della Setta vittoriosa, i Mujahidin, la Brigata verde, l'Esercito di Maometto, le Bandiere Bianche, Saraya al-Mudjahidin, il Movimento Testa di Serpente, il Ritorno, etc. I servizi segreti americani erano incapaci di seguire le loro attività se non contabilizzandone gli attentati e le vittime.

    Donald Rumsfeld si era, evidentemente, rifiutato di parlare di resistenza. Egli riconosceva solo l’esistenza di « piccolo gruppi » di attaccanti baathisti, di Feddayin di Saddam o di formazioni lealiste descritte da Paul Wolfowitz come le « ultime vestigia di una causa agonizzante ». L'esercito USA, diceva, « ha la simpatia della popolazione, non gli elementi sopravissuti del regime baathista ». Ma, a fine 2003, quando il numero degli attacchi superò ufficialmente la trentina al giorno, Rumsfeld dovette confessare che la guerra sarebbe stata « lunga, dura, difficile, complicata ».

    La resistenza irachena non è stata creata da intellettuali romantici, ma dall’elite dei Mukhabarat (servizi segreti) e dell’esercito. Questo ha loro permesso di mettere in scacco la CIA quando quest’ultima ha mandato sulla scena Abu Mussab Al-Zarqaui. Quando gli Americani si sono accorti che gli Iracheni rendeva responsabili le Forze speciali USA dei feroci attentati e delle decapitazioni filmate, Zarqaui è stato eliminato.
    In cinque anni, gli Americani non hanno potuto penetrare né la strategia, né smantellare le principali organizzazioni della resistenza. Hanno ucciso centinaia di migliaia di Iracheni (un sondaggio effettuato dall'ORB, un istituto di statistiche che ha per cliente la NATO, stima in oltre 1 200 000 il numero delle vittime della guerra), detengono ufficialmente, nei campi di Bucca e di Cropper più di 26 000 prigionieri politici – di cui 950 sono bambini – senza che per questo si sia ridotto il sostegno apportato ai Mujahidin. Muwafaq Al-Rubaï, direttore del Consiglio di sicurezza iracheno ha spiegato con serietà che Saddam Hussein ha “ inoculato nell’animo degli Iracheni un virus incurabile », il quale impedisce loro di accettare l’occupazione e l’attuale governo.

    Ausiliari tribali
    Ispirandosi a metodi sperimentati dai colonnelli Trinquier e Lacheroy durante la guerra di Algeria, il Generale Petraeus – comandante in capo delle forze della coalizione – ha creato dei corpi di ausiliari tribali per lottare contro Al-Qaïda. Il più conosciuto è quello di Al-Anbar comandato fino al suo assassini, il 14 settembre 2007, dallo Sceicco Abu Risha, arrestato sotto Saddam Hussein per banditismo sull’autostrada Bagdad-Amman ! Nelle città sono nati i « Gruppi di cittadini locali coinvolti ». Essi avrebbero superato i 70 000 membri, al punto da spaventare Nuri Al Maliki il quale sa benissimo che la maggior parte di essi lo accusa di essere un agente iraniano. Peggio ancora per lui e per le Brigate Badr, una petizione firmata da 300 000 sciiti, tra cui 14 capi religiosi e 600 capi tribù, reclama una commissione di indagine dell’ONU sui crimini commessi in Iraq dagli Iraniani e dai loro agenti.
    Ad ogni cambiamento della strategia americana, la resistenza si adatta. Settori delle Brigate della Rivoluzione del 1920 e dell’Esercito islamico in Iraq hanno infiltrato gli ausiliari, mentre altri si danno da fare per eliminare quelli troppo legati agli Stati Uniti. Si è giunti al punto che l’esercito americano lascia che gruppi di resistenza si impadroniscano di quartieri, senza interferire nei combattimenti. Al poker bugiardo, Petraeus ha già perso in partenza.

    Fronti di liberazione pre-posizionata
    La tappa più importante raggiunta in questi ultimi mesi è la creazione di fronti di liberazione pre-posizionata nella prospettiva di un successivo ritiro delle truppe di occupazione. Essi sono quattro, di diversa importanza e più o meno uniti :
    1 – Lo Stato islamico dell’Iraq, fondato il 15 ottobre 2006 sulla base di un giuramento pronunciato intingendo le dita in un coppa riempita di profumo, una pratica chiamata Hilf Al-Mutaîyabin, di origine pre-islamica, covalidata dal Profeta Maometto. Esso comprende 7 organizzazioni tra cui Al Qaïda in Iraq, ma non ha niente a che vedere con ben Laden. Il suo capo, Abu Omar Al-Bagdadi, propone di fare dell’Iraq uno Stato retto dalla Sharia e di ristabilire il califfato.
    2 – Il Fronte del Jihad e del Cambiamento, con 8 organizzazioni tra cui le Brigate della Rivoluzione del 1920. Creato il 7 settembre 2007, si vuole indipendente da ogni partito politico, caldeggia l’unificazione della resistenza e il ricorso alla Sharia per regolare le diverse politiche, a volte sanguinose.
    3 – L’Alto commando del Jihad e della Liberazione, costituito il 2 ottobre 2007, sotto la presidenza di Izzat Ibrahim Al Duri – capo del Baath clandestino – raggruppa 22 organizzazioni. I suoi membri provengono dalle diverse componenti etniche e religiose del paese, baathiste o meno. Propone la formazione di un’assemblea consultiva che nominerà un governo transitorio. Delle elezioni legislative permetteranno poi agli Iracheni di scegliere liberamente i loro rappresentanti.
    4 – Ultimo nato, il Consiglio politico della Resistenza Irachena composto, nell’ottobre 2007, dal Fronte per il Jihad e la Riforma – che comprendeva Ansar Al Sunna, l'Esercito islamico in Iraq e l’Esercito dei mujahidin -, dal Fronte per la resistenza Islamica in Iraq e dal movimento Hamas - Iraq. Vede un Iraq governato da tecnocrati non settari.
    I fronti sono d’accordo sull’essenziale : la partenza degli Americani, degli Iraniani e dei loro alleati. Lo Stato Islamico dell’Iraq, a parte quello che li divide dopo l’esecuzione di Saddam Hussein, tiene di più ad ambizioni personali che alla visione del futuro dell’Iraq. Gli eccessi settari di Al Qaïda in Iraq, all’origine dell’oscillazione dei capi tribù nell’orbita Americana, ne hanno fatto il bersaglio delle organizzazioni nazionaliste ed islamiche che praticano il wahhabismo.
    L’attesa costituzione di un « Consiglio nazionale della resistenza » non è ancora all’ordine del giorno. Chi lo riconoscerebbe ? Certi paesi arabi aiutano la resistenza, ma questo non si spingono troppo in là. Hareth Al-Dari – capo del Comitato degli Ulema musulmani – è rifugiato in Giordania. Damasco resta un luogo privilegiato di passaggio. Izzat Ibrahim sarebbe stato visto nello Yemen, in Arabia e al Cairo.
    Qualsiasi sia lo scenario scelto da George Bush, Nuri Al-Maliki e i suoi alleati hanno di che preoccuparsi. Come affermato ultimamente da un dirigente dell’Esercito Islamico in Iraq : « L'Iraq è doppiamente occupato. Quando avremo finito con Al Qaïda e gli Americani, ci occuperemo degli Iraniani e dei loro lacché ».
    ____________________________________________
    Al - Moqawama : il comunicato n°1
    Il Comando della resistenza e della liberazione dell’Iraq (CRLI) ha pubblicato il suo primo comunicato militare il 29 aprile 2003. I suoi redattori, tra i quali – si dice – il Presidente Saddam Hussein, attestavano – nei 12 giorni precedenti – combattimenti ed operazioni suicide. Bilancio : a Bassora, 2 soldati britannici uccisi, un carro armato distrutto, 7 feriti. A Bagdad : un Gi's ucciso, 87 feriti, 4 carri e 3 veicoli militari distrutti. Veniva reso omaggio al martire Khalil Omar, morto in un’operazione suicida.
    Il popolo iracheno, concludeva il CLRI, non avrebbe mai accettato governi di collaboratori. Avrebbe combattuto fino alla vittoria per « un Iraq libero, arabo, musulmano, unificato e democratico ».

    QUELLO CHE LA RESISTENZA DEVE A SADDAM HUSSEIN
    La resistenza irachena - Al- Moqawama al iraqiya – è nata ufficialmente il 19 marzo 2003 alle ore 21.37, con la salva di Tomawak che prendeva personalmente di mira Saddam Hussein, ma - secondo Scott Ritter, ex capo degli ispettori dell’ONU, ed alcuni attenti osservatori – essa è « il risultato di parecchi anni di preparazione ».
    Nell’aprile 1997, Ritter aveva visto degli allievi del Centro di formazione dei servizi segreti iracheni imparare a fabbricare IED e auto-bombe. Prima dell’invasione, le forze di sicurezza, afferma, si erano « fuse nella popolazione ». Rafi Tolfah, attuale aiutante di Izzat Ibrahim Al-Duri, dirigeva il Direttorio della Sicurezza generale che aveva «totalmente infiltrato la società irachena ». Ora, egli sa su chi può contare la resistenza. Su ordine di Saddam Hussein, Taher Jalil Habbush, capo dei servizi segreti iracheni – oggi la sua testa vale 1 milione di dollari - aveva « rinviato i suoi uomini tra la popolazione » perché le truppe d’occupazione non li scoprissero. Il generale Sayf Al-Rawi aveva fatto lo stesso smobilitando «segretamente delle unità della Guardia Repubblicana ».
    Altra testimonianza è quella di Ali Ballut, giornalista libanese, il quale afferma che nel 2002 il Presidente iracheno aveva inviato una circolare ai dirigenti baathisti dicendo che gli Americani avrebbero potuto attaccare « in ogni momento », che l’Iraq sarebbe stato «vinto militarmente », ma che « delle tattiche di resistenza » avrebbero ristabilito il rapporto di forza. Delle unità erano state formate alle tecniche di guerriglia, il loro inquadramento era stato modernizzato. Parecchie centinaia di migliaia di AK-47 sarebbero state distribuite alla popolazione, e armi di ogni calibro, esplosivi e dollari, nascosti un po’ dappertutto.

    Fiori e caramelle
    Saddam Hussein aveva concepito la resistenza come un fronte patriottico che riunisse nazionalisti ed islamisti. Prendendo esempio dal Profeta Maometto a Medina, aveva ripartito i futuri combattenti in tre corpi :
    1 - i Mudjahidin (Resistenti), comprendente patrioti iracheni e più di 5000 volontari venuti dall'Afghanistan, dalla Cecenia e da diversi paesi musulmani ;
    2 - gli Ansar (Partigiani), baathisti selezionati negli anni precedenti l’invasione che avevano mantenuto la loro segreta adesione ;
    3 – I Muhajirun (Emigranti), raggruppante dei responsabili baathisti noti per le loro competenze nei campi militari e tecnici.
    Lo Stato maggiore americano, che il 21 marzo si apprestava ad attaccare ad Um Qasr, credeva che i Marine avrebbero polverizzato in 24 ore le difese irachene attorno a Bassora e che i partiti sciiti filo-iraniani avrebbero sollevato la popolazione contro il regime. Il 10 gennaio 2003, Kanan Makiya – autore di una pubblicazione anti-baathista – aveva assicurato a George Bush che i GI's sarebbero stati accolti con « caramelle e fiori » ! Faceva i conti senza i Feddayin, l’Esercito di di Gerusalemme e l’Esercito del Popolo - la milizia baathista – che avevano l’ordine di non dare tregua agli invasori. Risultato : le truppe USA ci misero 3 settimane per arrivare a Bagdad, progredendo solo a prezzo di duri combattimenti.

    Come nel Vietnam
    La presa di Nassiriya doveva essere « una questione di 6 ore ». I Marine ci misero 5 giorni. Il Colonnello Kemper ha paragonato l’intensità dei combattimenti a quella di Hué nel Vietnam. Il 26 marzo, i Britannici avanzavano sempre lentamente davanti a Bassora dove il Maggiore Lambert, del Royal Scots Dragoon Guards, confessava che « le difficoltà incontrate erano dovute a disertori iracheni senza uniforme che non rispettavano le regole del gioco ». Il 29 marzo, avveniva il primo attentato suicida presso Kifl, a nord di Nadjaf. Il kamikaze, Ali Jaafar Al-Noamani, era un tenente colonnello dei Feddayin. «Non è che un inizio », aveva previsto il Vice-presidente Ramadan, « noi useremo tutti I mezzi per uccidere i nostril nemici sulla nostra terra».
    L'esercito americano temeva che la battaglia di Bagdad sarebbe stata. Il giorno dopo, la città era caduta,, senza resa di massa, né capitolazione.. Che cosa era accaduto ? Quattro anni dopo, il Generale Hazem Al-Rawi ha accusato gli Stati Uniti di aver utilizzato bombe ai neutroni durante l’assalto all’aeroporto. Furono uccisi oltre 2000 combattenti iracheni, senza che gli edifice avessero un graffito. Il capitano Eric May, ex membro del servizio informazioni dell’esercito americano, conferma. Gli Americani, dice, erano prostrati. A suo avviso, « qualcuno ha deciso di passare al nucleare ». A meno che non si si tratti della bomba AGM-114 N, meno radioattiva, della quale Donald Rumsfeld aveva vantato i meriti 8 giorni dopo. Una bomba, aveva ditto, che può « colpire il primo piano di un immobile senza danneggiare i piani superiori e che può raggiungere le forze nemiche nascoste dietro gli angoli, le grotte, i bunker ».
    Dalla la caduta di Bagdad, i combattimenti non sono mai cessati. Gli ufficiali e I soldati iracheni hanno vestito abiti cibili e sono scomparsi con le loro armi. I Feddayin di Saddam e i militanti dell’Esercito del Popolo sono entrati in clandestinità. L'Esercito di Gerusalemme, del quale si burlano I media occidentali, è uno dei principali vivai della resistenza. Il 9 aprile 2003, davanti al santuario di Abu Hanifa, Saddam aveva gridato ai suoiu sostenitori : « Difendete il vostro paese ! Non difendete Saddam Hussein, difendete il vostro paese, l’Iraq è occupato ».
    _________________________
    Il « surge » : falsa vittoria
    La guerra d'Iraq non si svolge solo sul campo, ma anche sui media di oltre Atlantico. Per dare agli Americani l’impressione che la situazione migliori grazie al « surge », espressione usata da George Bush per non chiamare « scalata » l’invio di rinforzi – questo ricorderebbe il Vietnam ! – si truccano le cifre delle vittime civili. Quelle pubblicate per novembre dal Generale David Petraeus, comandante in capo delle forze della coalizione, sono un ottimo esempio di « notevole riduzione del numero di civili uccisi ». Esse vanno dal semplice al doppio !
    Secondo Reuters, in novembre non ci sarebbero stati che 538 morti, mentre l’Agenzia France Presse che ha le stesse fonti – i ministeri iracheni della Sanità, dell’Interno, e della Difesa – ne conta 606.
    L'Associated Press che si basa su altri rapporti – ospedali, polizia, militari – e sulle testimonianze di giornalisti, ne conta 718. Precisa che la cifra non comprende I resistenti uccisi in combattimento. Né, si può aggiungere, gli errori militari.
    L'Iraq Boby Count (IBC) che addiziona solo i bilanci pubblicati dale agenzie di stampa e dai media – verificati attraverso il confronto – dà, nel medesimo periodo, 1 100 morti e aggiunge che la stima potrebbe essere rivista al rialzo. Certe ONG fanno notare che la forchetta quotidiana dell'IBC è sempre stata inferiore a quella calcolata dai ricercatori indipendenti.

    Fonte: Afrique Asie (1/08) - http://www.afrique-asie.fr/article.php? article=279

    Blog de Gilles Munier: http://gmunier.blogspot.com

  4. #4
    email non funzionante
    Data Registrazione
    14 Jul 2009
    Messaggi
    1,080
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Rif: Riferimento: Iraq: QUADRO STORICO-GEOGRAFICO INTRODUTTIVO

    Come restare 1.000 anni in Irak
    :::: 19 Novembre 2008 :::: 59 T.U. :::: Analisi :::: di Frida Berrigan
    Come restare 1.000 anni in Irak
    di Frida Berrigan

    Esiste un sistema grazie al quale i negoziatori statunitensi possano rimediare delle basi permanenti senza il via libera del Congresso? Certo. Si chiama SOFA.

    FONTE: byebyeunclesam


    Pochi americani avevano sentito nominare il SOFA prima di quest’anno, quando in rete ha fatto scalpore una rivelazione che molti osservatori della politica estera americana avevano previsto da molto tempo. Malgrado abbiano ripetutamente sostenuto il contrario, le autorità statunitensi stavano facendo pressioni sul governo iracheno perché accettasse una presenza militare degli Stati Uniti a tempo indeterminato, comprese – e questa era la cosa più sconvolgente – fino a 58 basi americane sul suolo iracheno.

    Il termine SOFA, acronimo di Status of Force Agreement, è balzato improvvisamente sulle prime pagine. I Paesi hanno negoziato febbrilmente per raggiungere questo ed un altro accordo chiamato Strategic Framework Agreement (Accordo sul Quadro Strategico). I due distinti patti sono stati messi insieme e confusi sia da esperti di politica estera che dalle voci critiche. Il SOFA fornisce la base legale per la presenza e le operazioni delle forze armate statunitensi. L’Accordo sul Quadro Strategico è più vasto – benché non vincolante – e affronta tutti gli aspetti della relazione bilaterale tra l’Irak e gli Stati Uniti, compreso il controllo delle basi, le comunicazioni tra forze di sicurezza irachene e statunitensi e la questione principale: per quanto tempo? Nelle bozze dell’accordo i negoziatori hanno fatto riferimento ad “orizzonti temporali” per il ritiro delle truppe. Semantica astuta, vero? Non serve essere una persona di scienza per capire che un orizzonte non si avvicina mai all’osservatore.

    Questi accordi servono a sostituire il mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 2003, che scadrà alla fine dell’anno e che autorizzava la presenza militare multinazionale in Irak. Emanato senza una significativa partecipazione da parte dell’Irak, dice essenzialmente che l’Irak è sovrano, che l’occupazione militare è una collaborazione temporanea con le forze irachene, che si svolgeranno delle elezioni, che comincerà una fase di transizione democratica e che la forza militare “multinazionale” ricorrerà “a tutte le misure necessarie a contribuire al mantenimento della sicurezza e della stabilità in Irak”. La proroga del 2007 di questo mandato incontrò la strenua opposizione di un parlamento iracheno alle prime armi, che fece appello direttamente (e inutilmente) al Consiglio di Sicurezza quando il Primo Ministro Nouri al-Maliki richiese la proroga senza l’approvazione parlamentare.
    I negoziati in corso sono l’ultima occasione dell’amministrazione Bush per risuscitare la sua tormentata politica mediorientale. Se tecnicamente il mandato delle Nazioni Unite potrebbe essere ulteriormente esteso, l’Irak però aveva già indicato che la proroga del 2007 sarebbe stata l’ultima. Richiederne un’altra denuncerebbe la debolezza del governo iracheno, dimostrerebbe che non ha il controllo della situazione ed equivarrebbe a riconoscere davanti al mondo che la politica di Bush in Irak ha fatto fiasco.

    Ma quello perseguito dall’amministrazione non era un normale accordo sullo status delle forze. “Si distingue da tutti gli altri SOFA conclusi dagli Stati Uniti in quanto può contenere l’autorizzazione da parte del governo ospite… perché le forze statunitensi possano intraprendere operazioni militari”, osserva il Congressional Research Service (Servizio di Ricerca del Congresso).

    È una distinzione cruciale, secondo chi critica la politica statunitense in Irak. In effetti, i negoziatori statunitensi stavano usando il SOFA, che non necessita dell’approvazione del Congresso, come un tentativo sottobanco di far passare un trattato di mutua difesa senza la ratifica del Senato come imposto dalla Costituzione americana. Come ha dichiarato ad una sottocommissione congressuale a febbraio Douglas Macgregor, un colonnello dell’esercito in congedo ed ora esperto militare, l’amministrazione non dovrebbe “fingere che un importante coinvolgimento degli Stati Uniti in termini di difesa, all’interno e all’esterno dell’Irak, sia una faccenda da risolvere in un SOFA”.

    La lotta dell’amministrazione per scolpire il futuro dell’esercito degli Stati Uniti in Irak si è dimostrata a dir poco illuminante. Forse per la prima volta nella storia il pubblico americano si sta conquistando un posto in prima fila per assistere al modo in cui il suo governo negozia l’impero.

    In breve, un SOFA traccia le regole di base. Ovunque vada, l’esercito degli Stati Uniti negozia uno Status of Force Agreement e accordi correlati che stabiliscono diritti e responsabilità degli Stati Uniti e del paese ospite e specificano le norme di diritto civile e penale a cui il personale statunitense è soggetto. Alla fine della Guerra Fredda gli Stati Uniti avevano SOFA con circa 40 nazioni. Oggi hanno più di 100 accordi, e tra questi almeno 10 sono segreti, secondo il Servizio di Ricerca del Congresso.
    I patti possono essere piuttosto vaghi o molto dettagliati. Accordi con paesi come il Bangladesh ed il Botswana per spiegamenti a breve termine si sono limitati ad una sola pagina, mentre il SOFA con la Germania è un supplemento di 200 pagine al SOFA della NATO, e schiaccia le 13 pagine di quel documento relativamente snello con un elenco stupefacente di dettagli, che precisano perfino dove debba essere consegnata la posta, e da chi.

    Contando le zone di guerra in Irak ed Afghanistan, nel mondo è dislocato più di mezzo milione di soldati, marinai, marines, uomini della guardia nazionale ed altro personale in uniforme. Cosa succeda quando una di queste persone fa qualcosa di illegale è la questione affrontata più frequentemente ed uno dei punti più discussi nella relazione USA-Paese ospite. Il Pentagono considera i SOFA come essenziali ad impedire che le truppe statunitensi vengano giudicate e condannate da tribunali stranieri, la cui idea di giustizia può differire in misura sostanziale dal sistema conosciuto dagli americani. In Giappone, per esempio, dopo l’indagine e l’arresto, la polizia conduce spesso lunghi interrogatori che portano a confessioni, ammissioni di colpa, espressioni di rammarico e sentenze più lievi. Nei processi giapponesi non ci sono giurie popolare, de organizzare una difesa aggressiva è considerato un’ammissione di colpa.

    Perfino in altre democrazie occidentali le procedure legali vigenti sembrerebbero strane anche ad un fan distratto di Law and Order. In Francia il giudice partecipa all’indagine criminale (recandosi perfino sulla scena del crimine, a volte con l’accusato) e dirige le linee di inchiesta durante tutto il processo. Mentre nelle corti americane il pubblico ministero e l’avvocato della difesa sono figure chiave, nel sistema francese hanno un ruolo secondario.

    In ogni caso, questi accordi bilaterali favoriscono quasi sempre gli Stati Uniti. Per esempio, il SOFA tra Stati Uniti e Mongolia dichiara che “i crimini commessi contro le leggi della Mongolia da un membro delle forze armate degli Stati Uniti verranno riferiti alle autorità statunitensi appropriate, alle quali competono le indagini e le successive disposizioni”. Le autorità mongole possono chiedere la rinuncia a questo diritto, ma le autorità americane non sono obbligate a esaudirle: il patto dichiara soltanto che devono “prendere in considerazione in maniera comprensiva” tali richieste.
    (Cosa vogliono gli Stati Uniti dalla Mongolia, comunque? La posizione strategica! Negli ultimi sette anni le truppe americane hanno condotto l’esercitazione del Pentagono chiamata “Khan Quest” insieme alle forze mongole ed altri eserciti regionali in zone vantaggiosamente vicine alla Russia a nord ed alla Cina a sud. Quest’anno le esercitazioni, provvisoriamente programmate subito dopo la chiusura dei Giochi Olimpici di Pechino, coinvolgeranno truppe del Bangladesh, di Tonga, della Corea del Sud, del Brunei, dello Sri Lanka, dell’Indonesia e della Cambogia).

    Anche se un SOFA non è esplicito le protezioni legali ci sono sempre, spesso contenute in una sola frase come “Al personale degli Stati Uniti dev’essere concesso uno status equivalente a quello accordato al personale tecnico e amministrativo dell’ambasciata degli Stati Uniti”. Traduzione: immunità diplomatica.
    Il Pentagono ottiene l’immunità per il suo personale anche attraverso l’American Service-Members Protection Act (Legge per la Protezione dei Soldati Americani). Votato al Congresso nel 2002, vieta di prestare assistenza a qualsiasi Paese non abbia firmato il cosiddetto accordo dell’Articolo 98, in cui il Paese in questione promette di non consegnare i membri del personale militare americano alla Corte Penale Internazionale. La legge ebbe un impatto immediato; l’assistenza militare a 35 Paesi, che comprendeva anche l’addestramento, fu sospesa nel 2003, quando i Paesi in questione mancarono di attenersi ai termini prefissati, e la CPI – istituita l’anno precedente per perseguire crimini contro l’umanità, come il genocidio e la pulizia etnica – cominciò il proprio lavoro indebolita dalle interferenze statunitensi.
    Queste protezioni, benché vantaggiose per i soldati, possono provocare tensioni con gli alleati più stretti dell’America. In Giappone – dove gli Stati hanno mantenuto una consistente presenza militare fin dalla seconda guerra mondiale – il SOFA ha permesso a soldati responsabili di gravissimi crimini contro civili di restare in libertà.

    Circa 20.000 soldati statunitensi – la metà di tutti quelli schierati in Giappone – sono di stanza a Okinawa, un’isola situata nell’estremità meridionale del Giappone. Nel 2003 – stufo di anni di ostruzionismo, inazione e crimini violenti ripetutamente compiuti contro donne di Okinawa – il governatore della prefettura, Keiichi Inamine, presentò al Segretario della Difesa Donald Rumsfeld una petizione in cui chiedeva una revisione del SOFA per permettere al Giappone di avere un ruolo maggiore nel procedimento penale.
    Mettendo da parte le cortesie diplomatiche, Inamine invitò la stampa all’incontro e citò statistiche sui crimini compiuti contro i suoi cittadini: 5.157 reati perpetrati da soldati statunitensi, personale civile della Difesa e loro dipendenti in un arco di 30 anni, compresi 533 omicidi e stupri. Secondo Chalmers Johnson, ex analista della CIA e stimato esperto di Giappone e Cina, il governatore di Okinawa sottolineò che la situazione continuava a peggiorare, con i reati in aumento anno dopo anno.

    Non sono esclusivamente i singoli soldati a cavarsela in caso di reati; anche il Pentagono si è garantito un’ampia impunità. A partire dalla fine degli anni Novanta, decenni di inquinamento militare convinsero la Corea del Sud a rinegoziare il suo SOFA con gli Stati Uniti mentre i due Paesi stavano discutendo della restituzione ai coreani di alcune basi usate dagli Stati Uniti; la versione riveduta comprende procedure per gestire il disastro ambientale. Ma uno studio del gruppo ambientalista Green Korea United ha concluso che le nuove regole sono troppo blande e confuse per essere utili. Per esempio, il SOFA riveduto stabilisce delle regole per l’accesso dei coreani alle basi americane. Ma quando nel 2002 un’indagine coreana stabilì che una perdita di petrolio in una stazione della metropolitana veniva dalla vicina base di Yongsan, gli inquirenti militari statunitensi lo negarono, e si rifiutarono di permettere alle loro controparti coreane di fare le necessarie verifiche.

    Nonostante le periodiche dispute tra l’America e questi ed altri Paesi alleati che ospitano basi statunitensi – comprese l’Italia e la Germania – i SOFA che governano le relazioni sono perlomeno stati resi pubblici in rete per permettere ai più tenaci e attenti osservatori di analizzarli. E benché deboli, inique e/o prodotto di coercizione, le misure con cui un Paese ospite può cercare di perseguire membri del personale statunitense sono almeno state tentate, provate ed applicate.

    Ciò non vale in molti angoli del pianeta. Prendete in considerazione, per esempio, il SOFA con nazioni mediorientali come il Kuwait, l’Oman, il Qatar e gli Emirati Arabi, o con Malesia, Somalia e Kenya. Tutti questi patti restano segreto di Stato. E la rivelazione del Servizio di Ricerca del Congresso che esistono almeno 10 SOFA segreti significa che ce ne sono almeno altri 3 così segreti che non sappiamo nemmeno quali siano le nazioni coinvolte.
    In tutto il Medio Oriente i governi fanno di tutto per tenere segreta la presenza militare statunitense sul loro territorio. Quando si preparava l’invasione dell’Irak nel 2003, per esempio, migliaia di soldati delle forze speciali americane stazionavano in Giordania, il cui governo si oppose pubblicamente alla guerra, godeva di stretti legami economici e diplomatici con Saddam Hussein ed è abbastanza autocratico da immaginare di poter nascondere ai propri cittadini una consistente presenza statunitense.
    Negoziare un SOFA può essere difficile per questi Paesi, i cui governi camminano sul filo del rasoio. Ma al mondo, all’Occidente e soprattutto a Washington devono sembrare perfettamente allineati nella guerra al terrore. E, a seconda della loro importanza strategica agli occhi degli Stati Uniti, possono essere premiati generosamente per tale cooperazione. Nel 2002 la Giordania, che confina con l’Irak, ha accettato 100 milioni di dollari di finanziamenti militari americani; l’anno seguente, quando Re Abdullah II ha aperto il suo regno alle Forze Speciali degli Stati Uniti, gli aiuti sono schizzati a 604 milioni di dollari, per poi assestarsi su oltre 200 milioni l’anno. Per gestire i cittadini contrari od ostili alla presenza militare americana, una soluzione è semplicemente quella di negare, cosa ben più facile in paesi come la Giordania, dove il governo pone severi limiti alla libertà di stampa e di espressione.

    In Irak non si è mai presa in considerazione l’ipotesi di tenere segreti i negoziati per il SOFA. Queste manovre, come pure i colloqui per il quadro strategico, sono state osservate attentamente e pubblicizzate molto bene. Così volevano gli Stati Uniti, almeno inizialmente. Ma i negoziatori statunitensi hanno cercato di stipare il maggior numero di contenziosi possibili nel SOFA: tra questi, il più negativo per gli iracheni (e poi ritirato) era la richiesta che neanche i contractor militari, oltre ai soldati statunitensi, fossero perseguibili dalla legge irachena. (Il ricordo di uomini della Blackwater che uccidevano 17 civili con un fuoco di fila, lo scorso autunno, può avere aumentato la determinazione dei negoziatori iracheni su quel punto).

    In aprile una bozza del quadro per la sicurezza, che è stata classificata come “sensibile” e citava il SOFA ancora incompleto, ha scatenato una bufera di critiche, tra cui quelle dei legislatori iracheni. L’America avrebbe collaborato con le forze militari e politiche irachene, dichiarava la bozza, “per metterle in grado di proteggere l’Irak e il suo popolo e per impedire l’aggressione straniera”. La priorità principale, osservava, è “combattere al Qaeda” ed “altri gruppi terroristici e fuorilegge”. Malgrado questo compito apparentemente infinito, gli autori del quadro ribadivano ripetutamente l’affermazione dell’amministrazione secondo la quale la presenza americana è temporanea e “su richiesta ed invito del governo iracheno sovrano”.

    Il documento proponeva anche che le forze statunitensi potessero “condurre operazioni militari” e “arrestare se necessario individui per imperative ragioni di sicurezza”. Aveva tutta l’aria di essere una concessione problematica, dato che gli Stati Uniti hanno preventivamente arrestato ed imprigionato decine di migliaia di iracheni, alcuni di essi per più di un anno, senza accuse formali. (A maggio 2007 più di 19.000 si trovavano ancora in stato d’arresto).

    A giugno i politici iracheni hanno detto ai giornalisti occidentali che la lista dei desideri degli Stati Uniti per l’occupazione a lungo termine era ancora più ambiziosa. Comprendeva 58 basi statunitensi (la richiesta iniziale era di 200), il controllo dello spazio aereo iracheno e l’immunità giuridica per i soldati ed i contractor civili. E nonostante il Segretario della Difesa Robert Gates abbia affermato il contrario, le proposte americane andavano ben al di là di altri patti a lungo termine degli Stati Uniti in quanto non limitavano né la consistenza del contingente statunitense né i tipi d’arma che poteva utilizzare.

    A chi ha obiettato che le sue proposte costituiscono praticamente un trattato per la protezione dell’Irak, l’amministrazione ha risposto sottolineando semplicemente che il quadro strategico è un’intesa non vincolante. In Irak, tuttavia, queste proposte hanno compattato il litigioso parlamento iracheno come poche altre questioni sono riuscite a fare, con una coalizione multietnica, multipartitica emersa per bloccare il SOFA ed il quadro strategico.
    Le opzioni future sono povere e limitate dal punto di vista di un’amministrazione Bush tesa a rafforzare i risultati acquisiti. Opzione uno: negoziare un SOFA ed un quadro strategico che sia accettabile sia per gli iracheni che per il Congresso americano, garantendo così che non manchi di fornire una solida giustificazione al perdurare dell’occupazione statunitense. Opzione due: estendere il mandato del Consiglio di Sicurezza e rischiare di ridicolizzare la “sovranità” irachena e di mettere a rischio il concetto di cooperazione tra Stati Uniti e Irak. Opzione tre: mettere insieme un Memorandum d’Intesa che copra le spalle a tutti fino all’insediamento del prossimo presidente.

    Ad agosto i negoziatori hanno ancora una volta mostrato le loro carte. L’amministrazione Bush sembra voler perseguire la prima opzione, ammorbidendo moderatamente la propria posizione nei confronti delle principali richieste irachene. Una bozza finale comprende la creazione di un comitato USA-Irak che controllerebbe le operazioni di sicurezza statunitensi (compreso l’arresto di iracheni), e precisa – anche suggerendo date e numeri – in quali circostanze le truppe da combattimento americane comincerebbero ad andarsene. Tuttavia i negoziatori iracheni e statunitensi hanno ammesso che l’accordo è temporaneo, dipende da marcati progressi nel settore della sicurezza ed è soggetto ad approvazione da parte di un parlamento iracheno ancora molto cauto.

    Se questa tornata di negoziati fallirà, pare che l’estremo rimedio della Casa Bianca possa essere costituito dall’opzione tre. Basta trovare un titolo altisonante a quel Memorandum d’Intesa e tornarsene a Crawford, lasciando che sia il prossimo presidente a risolvere i dettagli spinosi ed una guerra in corso.


    Articolo originale apparso il 22 agosto 2008.

    Traduzione di Manuela Vittorelli


    Qui il testo integrale e definitivo del SOFA Irak-Stati Uniti.

  5. #5
    email non funzionante
    Data Registrazione
    14 Jul 2009
    Messaggi
    1,080
     Likes dati
    0
     Like avuti
    0
    Mentioned
    0 Post(s)
    Tagged
    0 Thread(s)

    Predefinito Rif: Riferimento: Iraq: QUADRO STORICO-GEOGRAFICO INTRODUTTIVO

    « Tarek Aziz… non lo conosco ! »
    :::: 21 Maggio 2008 :::: 50 T.U. :::: Iraq :::: Gilles Munier
    di Gilles Munier*


    A Bagdad, Tarek Aziz rischia la pena di morte accusato di aver fatto impiccare 42 grossisti che speculavano sui prezzi in pieno embargo e di aver proposto di rendere omaggio a Saddam Hussein nella preghiera del venerdì. La Parigi politica che per 20 anni lo aveva corteggiato, tace o quasi. La consegna è : « Tarek Aziz… non lo conosco ! ».

    Jacques Vergès, che lo difende, ne fa l’amara constatazione. Alcuni « amici dell’Iraq », ci ha detto un esperto dell’ambiente, « non hanno nemmeno la riconoscenza del ventre » !

    Si capisce che Kouchner taccia. Gli brucia il ricordo dei mukhabarat quando giocava al french docteur in Kurdistan negli anni 70; ma Roselyne Bachelot, ministro della sanità ed ex presidente del Gruppo Francia-Iraq all’Assemblea… Alloggiava una volta all’anno, completamente spesata, all’hôtel Rashid e assediava l’ufficio di Tarek Aziz o di Taha Yassin Ramadan, il Vicepresidente e grande tesoriere impiccato un anno fa senza che lei reagisse minimamente. Patrick Ollier che con lei sosteneva l’Afice – associazione di cooperazione economica franco-irachene di Serge Boidevaix – ha pure lui la memoria che perde colpi e non è il solo.

    Dove sono Chirac, Jospin, Pasqua, Juppé che nel 1995 avevano ricevuto Tarek Aziz a Parigi, promettendogli mari e monti per ricevere qualcosa in cambio ? E Sarkozy, che non trova niente da ridire su quel soggiorno controverso: muto come un pesce. Stavolta, non avremo la cattiveria di tornare indietro nel tempo. L’elenco dei filo-iracheni che si vergognano sarebbe lungo. Bisognerebbe allora parlare di valige di ricevute e di commissioni versate agli uffici studi del RPR e del PS mitterandiano, per contratti pagati sull’unghia… dalla Coface.


    martedì 20 maggio


    * Gilles Munier è segretario generale dell’associazione Amitiés franco-irakiennes



    [Bakchich : informations, enquêtes et mauvais esprit] « Tarek Aziz? connais pas ! »

 

 

Discussioni Simili

  1. Colpo di stato - Il quadro storico della globalizzazione
    Di Majorana nel forum Socialismo Nazionale
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 10-01-11, 23:38
  2. Nokia C3: video introduttivo
    Di Templares nel forum Telefonia e Hi-Tech
    Risposte: 0
    Ultimo Messaggio: 16-04-10, 15:50
  3. il quiz geografico di teo
    Di tabaré nel forum Il Seggio Elettorale
    Risposte: 126
    Ultimo Messaggio: 11-12-08, 17:02
  4. Colonialismu Geografico
    Di Kornus nel forum Sardegna - Sardìnnia
    Risposte: 2
    Ultimo Messaggio: 15-06-05, 18:07
  5. post introduttivo
    Di fontanarossa nel forum Aviazione Civile
    Risposte: 24
    Ultimo Messaggio: 23-08-04, 20:18

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
[Rilevato AdBlock]

Per accedere ai contenuti di questo Forum con AdBlock attivato
devi registrarti gratuitamente ed eseguire il login al Forum.

Per registrarti, disattiva temporaneamente l'AdBlock e dopo aver
fatto il login potrai riattivarlo senza problemi.

Se non ti interessa registrarti, puoi sempre accedere ai contenuti disattivando AdBlock per questo sito