QUADRO STORICO-GEOGRAFICO INTRODUTTIVO
La Nazione Eurasia
L'Iraq (Al-Jumhûriya al-'Irâqîya) si estende s'una superficie di 434 128 kmq, abitati da una popolazione di 22 219 000 persone. Tanto per fornire un ordine di grandezza, notiamo che l'Italia ha una superficie di 301 308 kmq con 57 533 516 abitanti (dunque una densità di 191 abitanti per kmq, contro i 51 dell'Iraq); la crescita annua della popolazione irachena è però nettamente superiore a quella italiana: 3,8% contro 0,3%. L'Iraq confina a nord con la Turchia, ad est con l'Iran, a sud-est con il Kuwait, a sud-ovest con l'Arabia Saudita, a ovest con Giordania e Siria. Il territorio è variegato: montagnoso al nord (dove si trovano i rilievi del Kurdistan), degrada attraverso le fertili pianure mesopotamiche, il deserto siriaco e le paludi meridionali fino all'esile sbocco sul mare, in corrispondenza della foce dello Shatt al'Arab. L'asse centrale del paese, quello attraversato dai fiumi Tigri ed Eufrate, ne è la parte fondamentale, ove si concentra la gran parte della popolazione, in prevalenza di religione musulmana (62,5% sciita, particolarmente nel sud dove si trovano le due principali città sante della Sh'ia, Najaf e Kerbala, e 34,5% sunnita) ma con un'importante minoranza cristiana (2,7% della popolazione). Etnicamente, la popolazione è in grande maggioranza araba, ma con due importanti minoranze arie, quella dei Curdi del nord, e quella dei Drusi (sunniti).
Terra fertilissima, la Mesopotamia ("in mezzo a due fiumi", naturalmente il Tigri e l'Eufrate) entra molto presto nella storia. Già nel sesto millennio a.C. l'agricoltura e l'allevamento sono diffusi nella Bassa Mesopotamia (in Italia s'avrà la medesima situazione solo 3 000 anni dopo); tra quell'epoca e gli ultimi tre quarti del quarto millennio si susseguono, nella regione, le culture di Oueili, di Eridu, di Obeid, i Oruk. In quest'ultima fase, nel terzo millennio prima del Cristo già abbiamo le prime città-stato (la più antica forma di civiltà urbana conosciuta nel bacino del Mediterraneo e nel Vicino Oriente), in tutto e per tutto autonome ed indipendenti: Babilonia, Uruk, Eridu, Ur, Nippur, Kish e Mari sono le più note. Con la prima metà del terzo millennio, l'inizio della storia viene segnato dai documenti scritti in Sumero, la lingua di un popolo di cui rimane sostanzialmente ignota la provenienza; ad esso si associano ben presto i semiti Accadi, che la leggenda vuole essere caratterizzati da rigido rispetto delle tradizioni, a dispetto dello spirito licenzioso del primo. La rivalità tra queste due zone è il filo conduttore delle prime vicende mesopotamiche, finché il re Sargon di Akkad con la sua dinastia (secc. XXIV-XXIII a.C.) non riesce ad unificare una regione che coincide sostanzialmente con l'Iraq odierno, ma arriva a comprendere una vasta porzione della costa libanese e sud-anatolica. L'impero akkade non resiste però all'insorgere di movimenti autonomisti e all'invasione dei Gutei, un popolo montanaro orientale, che sconvolge l'intero ordinamento della regione, precipitandola a tratti nell'anarchia. Ciò permette ai Sumeri di recuperare la preminenza regionale, nuovamente perduta, però, tanto per la mancanza di coesione interna, quanto per le incursioni dei nomadi semiti Amorrei e degli Elamiti, che intorno al 2000 a.C. giungono a saccheggiare Ur: è proprio ai re di questa città che si devono la maggior parte di quelle torri, le ziggurat, le cui rovine ancor oggi dominano il paesaggio mesopotamico. Col grande legislatore Hammurabi (1792 a.C.), la Mesopotamia si riunifica intorno alla sua capitale Babilonia. Nel 1595 a.C. però, gli Hittiti saccheggiano la città e rubano la preziosa immagine del dio Marduk, provocando così il primo declino di Babilonia, presto sostituita dal re cassita Agum II che recupera il simulacro e si proclama "sovrano delle quattro parti del mondo". L'egemonia cassita termina quando, sotto la guida del re Ashshuruballit I (1365-1330), gli Assiri espugnarono Babilonia, dando il là alla creazione d'un nuovo impero mesopotamico costruito con continue vittorie militari per tutto il secolo XIII: Tiglatpileser (1115-1077) si fregia del titolo di "re dell'universo", ma nel contempo anche la potenza babilonese, finalmente liberatasi del dominio cassita, rinasce sotto il famoso sovrano Nabucodonosor, vincitore degli iranici Elamiti. Viene dunque a crearsi, in Mesopotamia, una situazione di equilibrio tra gli Assiri, che formalmente controllano tutte le regioni a oriente dell'Eufrate, e i Babilonesi che godono d'indipendenza e, di tanto in tanto, s'alleano anzi con essi per fronteggiare le incursioni degli Aramei, provenienti dal deserto siriaco. Altri attori principali in questo momento sono, oltre naturalmente alle "partecipazioni esterne" degli Egizi e degli Hittiti, i Khurriti indoeuropei che, provenienti dall'Armenia, tra il 1700 e il 1500 si espansero verso ovest e verso sud, attestandosi solidamente anche nella Mesopotamia settentrionale, laddove in seguito avrebbero sviluppato il misterioso regno di Mitanni. Quasi certamente guidato da genti arie, questo nuovo stato divenne rapidamente nuova potenza egemone della zona settentrionale della Mezzaluna Fertile: il declino fu però tanto rapido quanto l'ascesa, e in breve tempo Mitanni subì i colpi infertigli da Hittiti e Assiri, ridimensionandosi a vassallo di questi ultimi. Assur stava infatti ricreando il suo impero: tra i secoli XIV e XIII si riportava sulla riva sinistra dell'Eufrate sostituendosi a Mitanni nel dominio della Mesopotamia settentrionale: è in questo stesso periodo che il già citato Tiglatpileser raggiungeva con una spedizione militare le coste della Fenicia, e ottenne dalle città costiere ingenti tributi. Alla morte del "re dell'universo" la potenza assira è prostrata dalle incursioni degli Aramei, ma una volta sconfitti questi pericolosi nemici, risorge in tutta la sua potenza fino all'apogeo del regno di Assurbanipal (668-627): nel frattempo gli Assiri hanno affrontato e sconfitto Arabi, Medi, Babilonesi, Siriaci, Ebrei e persino Egiziani - per un certo periodo il paese del Nilo, fino a Menfi, fu parte dell'impero assiro. Le colossali dimensioni da esso raggiunte, però, lo rendono sempre meno governabile: le incursioni di Medi, Elamiti, il tradimento degli alleati Sciti, la rivolta degli Egiziani, aprono la strada all'insurrezione babilonese, che nel giro di pochissimi anni, alleata ai Medi, demolisce l'impero assiro. Nel 614 i Babilonesi entrano ad Assur, nel 612 a Ninive: dopo pochi anni si spegne anche l'ultima resistenza ad Harran. L'impero neoassiro è il primo esempio di "impero universale": dalla piccola regione di Ninive ed Arbela, in appena cinquant'anni gli Assiri avevano esteso il proprio dominio su un vasto territorio che andava dal medio corso del Nilo alle pendici dei monti iranici, dall'Anatolia meridionale al Golfo Persico, passando per le coste del Mediterraneo. I Caldei, fautori della rinascita babilonese e responsabili del crollo assiro, tentano di seguirne le orme, ma la loro esperienza, per quanto gloriosa, si conclude in meno di un secolo: il nuovo regno, detto neobabilonese, raggiunge l'apice sotto Nabucodonosor II (604-562 a.C.), il sovrano che nel 597 si impadronisce di Gerusalemme, facendo prigioniera una gran massa di ebrei; ma quando nel 539 a.C. Ciro il Grande guida i suoi Persiani giù dagli altipiani iranici, l'impero neobabilonese dal Sinai al Tigri collassa, e con esso si chiude la gloriosa pagina di storia in cui la Mesopotamia si trova al centro del mondo. Con la conquista della Persia da parte di Alessandro il Macedone, sembra che le sorti di Babilonia debbano risollevarsi; ma il regno dei Seleucidi che succede nella regione al grande conquistatore, sosta la capitale a Seleucia, sicché l'antica città cade nell'oblio. Stretto fra due nuove potenze, quella dei Romani e quella dei Parti eredi dei Persiani, il Regno Seleucide scompare, e la Mesopotamia, annessa all'impero partico, è sovente terra di scontro tra questo e Roma. In più d'una occasione, infatti, i Romani penetrano in Mesopotamia, ma sempre debbono poi fuggirvi sconfitti: così nel 115 d.C., quando Traiano anzi la costituisce addirittura in provincia romana, prima di doversi ritirare per fronteggiare la furiosa rivolta giudaica nell'Impero; accade poi nel 162 d.C. quando l'imperatore Marco Aurelio scatena una grandiosa controffensiva contro i Parti, prima che la peste bubbonica decimi il suo esercito; succede ancora pochi decenni dopo con Settimio Severo che giunge fino a Ctesifonte (capitale della Partia), ma poi decide di ritirarsi; per l'ultima volta, con Giuliano, che muore gloriosamente in battaglia, ma lascia senza guida il suo esercito penetrato profondamente in territorio nemico.
La Mesopotamia rimane così sotto il dominio dell'Impero persiano (uno degli imperi dall'ambizione universalistica: si ricorda che il sovrano Cosroe aveva fatto disporre sotto il suo trono tre seggi vuoti, destinati - diceva - all'Imperatore cinese, al Gran Khagan mongolo e all'Imperatore romano, quando sarebbero giunti a rendergli omaggio come loro signore!) fino all'arrivo degli Arabi. E' solo l'anno 630 quando Maometto rientra trionfalmente alla Mecca: già nel 634 gli Arabi penetrano in Siria, iniziando così la loro grandiosa espansione. Approfittando dell'ormai storica lotta tra Persiani e Bizantini nel Vicino Oriente, la nuova potenza islamica prorompe inaspettata in quello scacchiere e, in men che non si dica, vi si impone quale dominatrice. Sotto il califfato di Omar (632-644) la Mesopotamia è strappata ai Persiani, mentre i Bizantini perdono Egitto, Siria e Palestina. Nel 651 Othman, già arrivato fino a Tripoli, sottomette l'intero Impero persiano: i successi militari non salvano però il sovrano dal pugnale dei congiurati, col quale si avvia il grande scontro in seno all'Islam tra i seguaci del Califfo defunto e quelli di Alì, cugino del Profeta. Quando un arbitrato si rivela ad essa sfavorevole, la fazione di Alì - la shi'a - rifiuta il verdetto e si ritira in Mesopotamia, che possiamo ormai chiamare Iraq. A partire da questi anni la Mesopotamia subisce infatti un deciso processo di arabizzazione, che la rende nuovamente, dopo lunghi secoli d'oblio, un importante centro politico e culturale. Subentra, infatti, all'Impero omayyade l'Impero abbaside che è, per almeno un paio di secoli, l'età d'oro dell'Islam e dell'Iraq. Il primo califfo della dinastia si stabilisce sulla sponda orientale dell'Eufrate, mentre il suo successore, al-Mansur inizia a costruire nel 762, sul fiume Tigri, una capitale che viene chiamata col nome persiano di Baghdad ("Dono di Dio"). Il quinto califfo Harun al-Rashid (786-809) stringe un'alleanza con il sovrano dei Franchi e del Sacro Romano Impero Carlo Magno: in quest'epoca il Califfato abbaside d'estende dalla Spagna ai confini dell'India. Le città irachene diventano i centri di una delle più grandi fioriture culturali che il mondo abbia mai conosciuto: quella di cui le Mille e una notte forniscono l'affresco più celebre. A Baghdad sorgono l'Accademia delle Scienze e la più importante biblioteca del mondo islamico, che raccoglie centinaia di migliaia di volumi; i visir fanno tradurre in Arabo, lingua diventata veicolo di cultura in gran parte dell'Eurasia, un'enorme quantità di opere cinesi, sanscrite, persiane, greche. I viaggiatori rimangono colpiti dalla perfezione con cui in tutto l'Impero sono organizzati i servizi e soprattutto dalla presenza d'istituzioni assistenziali sconosciute altrove (ospedali, ecc.) che forniscono cure gratuite. L'industria produce di tutto; i contadini tengono per sé i nove decimi del raccolto; merci d'ogni genere affluiscono da ogni parte del mondo.
Il Califfato abbaside scompare sotto l'ondata mongola. Hülägü, fratello del Gran Khan, nel 1258 conquista Baghdad e fonda la dinistia degli Il Khan ("sovrani locali"), che regna su un vasto territorio dal Libano al Kashmir, con capitale a Tabriz. Alla dinastia ilkhanide, che ben presto si converte all'Islam, subentra quella dei Gialayiridi, la quale fu a sua volta sconfitta da Tamerlano, conquistatore di Baghdad nel 1393 e nel 1401. Le successive lotte tra le popolazioni turche dei Qara Qoyunlu e degli Aq Qoyunlu si risolvono nel 1471 con il prevalere dei Turchi ottomani.
Nel 1534 il Sultano Solimano il Magnifico conquista Baghdad, sicché una ventina d'anni più tardi Bassora e la costa araba del Golfo Persico sono integrate nell'Impero ottomano. Baghdad, conquistata nel 1623 dallo Shah persiano Abbas il Grande, è ripresa dagli Ottomani nel 1638, al tempo del Sultano Murad IV. Nell'anno successivo, la pace di Qasr-i Shirin fissa tra Ottomani e Persiani dei confini che corrispondono all'incirca a quelli attuali tra Turchia e Iraq e l'Iran. Nel secolo successivo, tra il 1704 e il 1723, diventa governatore di Baghdad e di altre province Hasan Pascià, sotto il comando del quale prende forma una milizia di Mamelucchi georgiani, abkhazi e circassi che sottomette le tribù arabe. L'opera di Hasan Pascià viene proseguita dal figlio Ahmad, che difende l'Iraq dagli assalti persiani, finché, dopo numerosi combattimenti, nel 1746 è riconfermata la pace di Qasr-i Shirin. Il corpo dei Mamelucchi dà origine a una vera e propria classe sociale, che prende il potere e viene riconosciuta dalla Sublime Porta. Suleyman Pascià il Grande, fra il 1780 e il 1802 governatore di Baghdad, combatte contro l'espansionismo dei Muwahhidun, che diventeranno successivamente noti col nome di Wahhabiti. Si tratta della setta semiereticale fondata da Muhammad ibn al-Wahhab, la quale ha instaurato il proprio potere nella penisola arabica e lo manterrà fino ai giorni nostri; non trova però spazio in Iraq, da dove è respinta, come detto, con la forza delle armi - ed è bene ribadirlo poiché si tenta oggi sovente di porre un collegamento tra il popolo iracheno e l'estremismo wahhabita.
Nel corso dell'Ottocento, l'Iraq conosce un sensibile mutamento allorché diventa governatore Midhat Pascià, comandante del VI Corpo d'Armata ottomano. Membro della Bektashiyya, una confraternita iniziatica che ha subito un'involuzione di tipo paramassonico, Midhat Pascià è uno degli artefici della Prima Costituzione, quella del 1876, ispirata al modello belga. E' la guerra contro la Russia, un paio d'anni più tardi, a indurre il Sultano Abdülhamid a sospendere la Costituzione e a sciogliere il Parlamento. All'inizio del XX secolo, il vilayet di Baghdad conta 614 000 abitanti, 145 000 dei quali risiedono nel capoluogo. Le attività svolte dalla popolazione sono quelle dell'artigianato tradizionale; la produzione dei tessuti di lusso è in mano all'elemento ebraico, così come ebrei e inglesi sono i finanzieri che controllano importazioni ed esportazioni. Ma già è evidente l'importanza che per il paese avrà l'oro nero: nel sangiaq di Kirkuk ogni anno vengono estratte e raffinate, seppure con metodi rudimentali, circa cento tonnellate di petrolio. Per evitare forme di colonialismo economico, Abdülhamid ha incluso i territori petroliferi tra i beni privati del Sultano; ma i Giovani Turchi filo-occidentali assurti al potere, nel 1908, mettono nuovamente questi territori a disposizione del capitale straniero. Nel 1914 la Anglo-Persian Oil Company s'impadronisce di metà del capitale della Turkish Petroleum Company.
I Tedeschi, da parte loro, già alla fine del XIX secolo avevano ottenuto una concessione per costruire la Baghdadbahn, vale a dire la ferrovia Berlino-Bisanzio-Baghdad che doveva avere il suo capolinea nel Kuwait. Ma agli occhi dei Britannici l'asse Berlino-Istanbul rappresenta una minaccia per il loro impero coloniale. S'arriva così, nel 1913, a un accordo ottomano-britannico che riconosce come monopolio inglese i progetti di irrigazione in Iraq e quelli per la navigazione fluviale, nonché lo sfruttamento del petrolio persiano. Ma gli interessi britannici esigono la distruzione dell'Impero ottomano. Si giunge allora alla Prima Guerra Mondiale, che Istanbul affronta affidando al Reich tedesco la riorganizzazione del proprio esercito, sperando di evitare lo smembramento deciso da tempo. Il Sultano, che rivendica l'antico titolo di Califfo, lancia l'appello del gihàd.
L'Impero ottomano si trova impegnato su quattro fronti: il Caucaso, contro i Russi; la penisola di Gallipoli, prossima alla capitale, dove lo sbarco ideato dal giovane Winston Churchill si risolve in un fallimento e costringe gli Inglesi ad una estenuante lotta di logoramento; la Palestina, dove Lawrence d'Arabia s'avvale di irregolari arabi, convinti a lottare per la corona britannica grazie alle promesse - al solito non mantenute - di concedere loro uno stato proprio (l'organizzazione dei Giovani Arabi, composta di cospiratori in seno ai quadri militari ottomani, ottiene dall'Inghilterra l'impegno "a riconoscere e a sostenere l'indipendenza degli arabi" in Mesopotamia e buona parte della Siria, senza toccare però la questione palestinese: quella regione, infatti, era già stata parzialmente assicurata agli Ebrei); e l'Iraq. Il 7 novembre 1914 truppe inglesi (perlopiù coloniali indiani) sbarcano a Fao e occupano Bassora, e piuttosto agevolmente, nel giro di due settimane, giungono alla confluenza tra il Tigri e l'Eufrate, mettendo così a sicuro i giacimenti petroliferi di Abadan. Ciò non ostante, la popolazione araba non appare troppo disposta a servire i nuovi arrivati: emblematico l'episodio accorso nei primi mesi del 1915 a due ufficiali inglesi di cavalleria, il maggiore Wheeler e Sudhan Singh; partiti al galoppo contro il grosso delle truppe arabe a sostegno dei Turchi, afferrano il vessillo di quel reggimento ma, per tutta risposta, sono circondati dagli arabi che uccidono Wheeler e appiccano il fuoco a Singh disarcionato. A questo, s'aggiunge il clima torrido e insopportabile. Quando nel novembre 1915 il generale Townshend, comandante la spedizione, eccessivamente sicuro di sé lancia l'attacco a Baghdad, perde metà dei suoi 8 500 soldati sul campo trincerato di Ctesifonte, ed è costretto a ritirarsi su Kut, presto circondato da 80 000 nemici. Le truppe inviate in suo soccorso da Bassora sono anch'esse costantemente sottoposte a fieri attacchi, e perdono per strada migliaia di uomini: dopo 147 giorni d'assedio 9 000 britannici s'arrendono a Kut. Gli Inglesi ritornano sulla città solo il 24 febbraio 1917, quando la resistenza ottomana è ormai al limite: l'11 marzo entrano vincitori in Baghdad evacuata dal nemico.
Con la spartizione del bottino ottomano al termine della grande guerra, la Gran Bretagna si prende tra l'altro anche la Mesopotamia, particolarmente appetibile per i ricchi giacimenti petroliferi e tappa indispensabile per i collegamenti con l'India. Nasce così il mandato britannico, cui nel 1921 succede la finzione del "Regno dell'Iraq", affidato al regolo collaborazionista Faysal ibn Hussayn: agli Inglesi rimane infatti garantito il controllo del paese grazie ad un trattato che le consente di mantenere le basi aeree a Habbâniyyah e a Shwaybah, nonché di utilizzare fiumi, porti, aeroporti e ferrovie irachene per il transito di forze armate e rifornimenti militari. Alla vigilia del secondo conflitto mondiale, governa l'Iraq il reggente ‘Abd el-Ilâh, zio del re-bambino Faysal II. Tuttavia nel paese sono molto forti il sentimento antibritannico e le simpatie per il Terzo Reich, tanto che proprio a Baghdad si sono rifugiati numerosi militanti palestinesi e lo stesso Gran Muftì di Gerusalemme, Hâj Amîn al-Hussaynî. La rottura delle relazioni diplomatiche con la Germania, decisa dal governo collaborazionista presieduto dal filoinglese Nûri al-Sacîd, accresce l'impopolarità di quest'ultimo, che il 21 marzo 1940 deve rassegnare le dimissioni.
Gli succede Rashîd ‘Alî al-Kîlânî, che ha già ricoperto diverse cariche ministeriali. Quando, neanche tre mesi dopo, l'Italia entra in guerra a fianco della Germania, al-Kîlânî non solo resiste alle pressioni inglesi e rifiuta di rompere le relazioni diplomatiche con Roma, ma vieta la propaganda antitedesca e ristabilisce le relazioni col Giappone. In seguito alla caduta della Francia e alla battaglia di Dunkerque, il Comitato per il Coordinamento della Politica Araba, che ha come animatore il Gran Muftì di Gerusalemme e annovera tra i propri aderenti anche al-Kîlânî e i suoi ministri, dà inizio a regolari negoziati con la Germania e l'Italia. Un plenipotenziario del Comitato si reca ad Ankara a informare Franz von Papen, ambasciatore del Reich in Turchia, che il governo iracheno desidera riallacciare le relazioni con la Germania e sostenere la lotta dell'Asse contro la Gran Bretagna, scatenando una nuova rivolta in Palestina. Il 23 ottobre Roma e Berlino trasmettono una dichiarazione congiunta di sostegno alla causa degli Arabi: "La Gran Bretagna, che con crescente preoccupazione vede aumentare le simpatie dei Paesi Arabi per le Potenze dell'Asse, dalle quali essi attendono la liberazione dall'oppressione britannica, cerca di opporsi a questo movimento di simpatia, e in piena malafede afferma che l'Italia e la Germania hanno l'intenzione di occupare e dominare i Paesi Arabi. Per controbattere tale maligna propaganda e tranquillizzare i Paesi Arabi circa la politica italiana nei loro confronti, il Governo Italiano conferma quanto ha già fatto diramare per radio in lingua araba, e cioè che esso è sempre stato animato da sentimenti di amicizia per gli Arabi; che desidera di vederli prosperare ed occupare tra i popoli della terra il posto rispondente alla loro importanza naturale e storica; che ha seguito costantemente con interesse la loro lotta per l'indipendenza, e che, per il raggiungimento di questo fine, i Paesi Arabi possono contare anche in avvenire sulla piena simpatia dell'Italia. L'Italia fa questa dichiarazione in completo accordo con l'alleata Germania".
Ma nel giro di pochi mesi si fanno sentire anche in Iraq i contraccolpi della fiacca condotta della guerra nel Mediterraneo e dell'offensiva inglese nel Nordafrica: verso la fine del gennaio 1941, al-Kîlânî è costretto a rassegnare le dimissioni per far posto all'anglofilo Nûri al-Sacîd. Tuttavia, con la riconquista della Cirenaica e l'offensiva nei Balcani, le sorti dell'Asse lasciano ancora ben sperare, sicché il 1 aprile il cosiddetto "Quadrato d'Oro", guidato da al-Kîlânî e appoggiato dalla maggior parte degli ufficiali iracheni, si impadronisce del potere e depone il Reggente. In tutto l'Iraq, le masse popolari manifestano il loro entusiasmo; le autorità delle diverse comunità religiose (Sunniti, Sciiti, Cristiani) dichiarano la loro solidarietà con il governo; dignitari islamici e militanti rivoluzionari di altri paesi arabi inviano messaggi di plauso.
Benché colta di sorpresa, la Gran Bretagna reagisce tempestivamente inviando nel porto di Bassora sette navi cariche di truppe da sbarco; alcuni giorni più tardi, il 18 aprile, sopraggiunge un gruppo di brigate anglo-indiane, mentre un battaglione aviotrasportato è dislocato nella base di Shwaybah. Tutti questi spostamenti di truppe, naturalmente, sono giustificati da parte britannica in base al trattato di collaborazione "liberamente sottoscritto". Ma quando il 29 dello stesso mese altre truppe coloniali vengono sbarcate a Bassora e alcuni aerei da caccia fatti giungere dall'Egitto, al-Kîlânî intima al governo inglese di sospendere l'invio di forze armate in Iraq e, per dare un concreto segnale della sua risoluzione a difendere l'integrità e l'indipendenza del paese, disloca un contingente iracheno nei pressi della base RAF di Habbâniyyah. L'ambasciatore britannico protesta contro la violazione del trattato, chiedendo il ritiro delle truppe irachene e minacciando ritorsioni. E' così che la mattina del 2 maggio le forze aeree britanniche aprono le ostilità, mitragliando e bombardando le postazioni irachene, mentre a Bassora le truppe coloniali cannoneggiano la popolazione civile.
Allora le autorità dell'Islam (sia sunnite sia sciite) proclamano il gihàd, che è salutato da manifestazioni popolari in tutto l'Iraq e in molte città del mondo arabo, anzi, di tutto il mondo dell'Islam (perfino in Cina).
Le quattro divisioni dell'esercito iracheno, appoggiate da un'aeronautica di cinquanta velivoli e fiancheggiate da una Brigata Araba comandata da ufficiali tedeschi, si trovano a combattere contro i sessanta aerei della base di Habbâniyyah e le sei sezioni di autoblindo e le otto compagnie motorizzate di Shwaybah, rafforzate dal continuo affluire di effettivi anglo-indiani. Gli Iracheni, al fine di privare le armate britanniche del petrolio indispensabile ai loro movimenti, interrompono l'oleodotto Kirkuk-Haifa e convogliano il greggio verso la Siria, la quale ha messo i propri aeroporti a disposizione della Luftwaffe.